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Autore: Violinlock    21/12/2016    1 recensioni
Post Reichenbach.
Nella loro assenza reciproca, John e Sherlock si pensano reciprocamente, amando quello che hanno sempre amato.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John.
John è seduto sulla sua poltrona a meditare coi piedi scalzi se ci sia bisogno di mettersi qualcosa addosso. È nudo. Allora, ammettiamolo, qualche volta gli capita. Di uscire completamente nudo e sedersi. Di solito è Sherlock l'artefice involontario. I suoi pensieri sono rivolti a lui. Starnuta e non demorde: se ne sta seduto a bagnare tutto quello che tocca. Se si tocca però non fa alcun effetto, spalma solo il tutto. Sono le cose che lo circondano a bagnarsi. Alcune di più, altre di meno. L'effetto dura poco, comunque. A poco a poco si asciuga, prosciuga l'opportunità di morire assiderato. Era da molto che non gli capitava, ma comunque è stato proprio ieri il fatidico giorno del video di auguri. Auguri un corno, ha pensato. Davvero un corno. Un corno come quello delle chiavi sopra il mobiletto della casa. 
"John!" esclama Mary. L'ha conosciuta ieri. Sembra strano stare seduto nudo nella sua, di casa. 
"Scusa" fa subito lui, alzandosi e coprendosi come può. "Ora vado." 
E così si veste. Non si mette fretta, anzi. Si lascia andare di nuovo al cruccio di Sherlock, pensando alle sue caratteristiche, a quello che gli piaceva di lui. Gli piaceva quando indossava velocemente il cappotto e la sciarpa. La sciarpa, già. Per qualche strana ragione se la porta sempre dietro. La signora Hudson prima di andarsene gli aveva dato un pacchetto con tutte le cose più importanti di Sherlock. Il suo computer, i suoi scritti, una sua penna usata, quella che conosceva tanto bene, il giubbotto un po' logoro, la sciarpa. E poi c'era anche il suo cuore, ma vabbè. 
"Devo andare al cinema con una mia amica, potresti sbrigarti?" Il suo viso fa capolino dalla porta. 
John la guarda ed annuisce. "Sì, certo." Per una qualche ragione logistica, sorride. Immagina per un attimo se dovesse convivere con lei. Sarebbe strano, assurdo, e lo risulta di più visto che ci sta pensando adesso, in questo preciso istante, senza nemmeno conoscerla, con il viso di Sherlock a portata di occhi.

Sherlock
"Credo di avere troppo sonno" sussurra nel buio Victor. Il suo viso è adornato dalla luce della piccola lampada sopra di loro, nel tetto alto. Nella piccola stanza solo i piccoli respiri esausti di entrambi.
"Mi sento vuoto" sussurra Sherlock.
"Come?" sussurra Victor, guardandolo adesso. 
"Voglio dire, quando corro e poi riprendo fiato... Mi sento sempre un po' più vuoto, non lo so."
"Come vuoi" sussurra, facendo adesso uno sbadiglio. 
Sherlock guarda il soffitto. Le luci natalizie sono predisposte vagamente ordinate sopra di lui. "Le odio."
"Come? Odi il natale?" 
"Odio le luci." 
"Ma illuminano." 
"Non voglio gli occhi illuminati quando penso."
Victor posa il suo sguardo severo sopra la sua figura, sopra di lui. "Posso chiederti se stai pensando a John?"
"Non so chi sia." 
"È strano." 
"Strano? Sì, molti me lo dicono."
"Ti conosco da un mese" dice Victor. 
"Non me lo dire." 
"Non fare lo spocchioso." 
Sherlock si volta a guardare Victor. Lui lo sta già guardando. 
"Chi è John Watson?" 
"Un coinquilino che ho lasciato a Baker Street. Non ho sue notizie da un po'. In realtà, non voglio mi dicano più niente su di lui." 
"Sul suo conto non vuoi sapere più niente perché..." Non finisce la frase, Victor, cercando con la pronuncia di spronare Sherlock a continuare questo discorso nemmeno iniziato. 
"È natale" sussurra Sherlock.
"E a natale che si fa?" lo sprona ancora Victor.
"Ma che ne so."
Victor sa che cosa passa per la testa di Sherlock: frustrazione. 
"So cosa passa per la tua testa." 
"No, è..." incomincia Sherlock, un discorso che però non viene concluso.
"Sei frustato" lo interrompe Victor.
Gli occhi gelidi di Sherlock si abbattono su di lui in un ira strana. "Non sono frustato." Si alza veloce, si sta infilando le scarpe. 
"Non fare così" commenta Victor. 
"Così come?" chiede nel frattempo Sherlock, allacciandosi la scarpa destra, quella che lascia sempre per ultimo, la sua voce morbida e dura allo stesso tempo attutita dal suo mento predisposto sulla sua sinuosa gamba.
Victor lo guarda stranito. "Credo tu faccia finta che non ti importi, ma ti importa. In parte non lo sopporti, vero? Tutto questo. Ah, è ovvio. Scusa." 
"Non sei il mio psicologo, non devi scusarti" fa di fretta l'altro. 

John
"Vuoi dirmele?" chiede la psicologa di John. Si chiama Fibbie. Nome delicato e forte, pensa John, ma non quanto il suo lavoro. 
"Molto spesso mi chiedo che cosa sarebbe successo se fossi stato più reattivo. Ferma, si fermi dal dire alcunché. Non mi sto dando nessuna colpa... O forse sì. Ma il passato è passato, giusto? Non dovrebbe influenzarci. Um, io dico che però influenza. Siamo qui, in questo guaio, tramite il passato. Potevo evitarlo? Questo mi chiedo. Non so come considerare questo mio cruccio, ma so che non potrò tornare quello che ero, sulla stessa via di Sherlock."
Un silenzio carico di tutto e niente - di tutto perché intrinseco delle parole di John, di niente perché le parole di John se ne sono già andate, e quello che ha detto è triste. John spesso si chiede come facciano gli psicologi a processare, catalogare, le cose tristi. È un incubo, ma anche un sollievo. Come quando confessi ciò che provi di triste. Te lo fa vivere. Ed è questo il sunto. 
"Come ti senti a riguardo?" 
Se lo aspettava. Chiede per metà del tempo come si sente John. 
"Non so come mi sento a riguardo" dice John. "Ci sono parecchie parole." 
"Il primo sentimento" sussurra ancora più piano di prima la psicologa. 
John la guarda. Che cosa potrebbe essere? "Tristezza." Appunto. Un piccolo cruccio gli si forma in gola. 

Sherlock
Guarda i pesci intorno a sé. Sono tanti. Si volta verso l'acqua stagnante. "Sono stato un anno sotto copertura, e adesso sono di nuovo qua."
"Casa di mamma è del tutto priva di spirito" esulta quasi esausto Mycroft. "Le ho dato una mano." Si siede di fianco a Sherlock, alla sua destra. "Orecchio di lepre" commenta poi. 
Sherlock lo guarda. "Le hai dato una mano?" commenta, chiedendo nello stesso istante. 
"Qualche volte un po' di spirito ci vuole" dice l'altro, accigliando un sorriso.
Mycroft vorrebbe dirgli qualcosa, magari anche dispiacersi, ma non pronuncia un singola parola alla fine. Si mette un po' più distante da Sherlock e prende un pesce a mani nude. Lo guarda, e adesso lo getta nella vasca blu, facendo sbattere l'acqua, dirigendola in qualche spruzzo fino alle sue mani ancora vicine la vasca. 
"Ma che fai?"
"Niente." 
"Appunto."
Rimangono in silenzio. Adorano il silenzio, certe volte più di altre. Adorano il silenzio pieno di pensieri. 
"Le persone mi stupiscono" fa allora adesso Mycroft, deciso a dire subito quello che deve dire. 
"Davvero? A me non dispiace che le persone mi stupiscano. Non è da tutti i giorni." 
Mycroft sbuffa insoddisfatto. 
"Che c'è?" Il viso di Sherlock Holmes è accigliato. 
"Parli troppo."
"Non quante te."
"Io dico cose sensate." 
Sherlock scoppia in una leggera, ma sempre più sonora poi, risata.
"Sei nervoso." 
"Perché mai?" 
Mycroft sorride beffardo. "John Watson si è sposato. Il tempo, le congiunzioni, le coincidenze, quello che si dice destino. Lo sai...?" 
"No" lo blocca Sherlock all'improvviso. "Non so niente." Ha un po' lo sguardo perso nel vuoto, e si convince sempre di più sia normale. Watson è stato, qualche anno prima di ora, un punto fisso e sempre presente, un piacevole buongiorno, qualcuno che non si può dimenticare tanto facilmente. Non vuole avere qualcuno di cui sente la mancanza, però. È troppo tardi, ormai: John gli manca. Eccome se gli manca. E vuole rivederlo al più presto. Se lui non vorrà rivederlo, bene, Sherlock se ne farà una ragione. In fondo, vuole solo il suo bene. Ci ha pensato. Se John non è più quello di due anni fa? Se almeno per un po', lo manda a quel paese? Ci sta, è da John Watson. E cosa prova John Watson, però? Così tanta rabbia da non volerlo rivedere più? 
"Oh, ma smettila." 
"Sto solo pensando" sussurra Sherlock guardando adesso il fratello, ma poi spostando di nuovo lo sguardo sull'erba. Fumo. Odore di fumo. Si volta nel fiume, oltre esso. John?
"È già qualcosa" fa pensieroso Mycroft, notando lo sguardo preoccupato del fratello e voltando anch'esso lo sguardo. 
"Non so come ci sia finito" sussurra, e non sembra turbato. 
Sherlock, dopotutto, si calma un po'. L'effetto sorpresa è finito, e la voce di Mycroft è limpida. 

John
John ha seguito Mycroft. Lo segue, qualche volta. Delle volte Mycroft se ne accorge, lo manda a casa. Mycroft non lo ha mai convinto del tutto, quindi per una ragione o per un'altra, ripete sempre a sé che è normale, che è tutto perfettamente ok. 
Non serve spiegare perché lo faccia: non c'è nessun motivo in particolare per cui lo fa. Ammette a sé stesso che Mycroft gli ricorda Sherlock. Sono fratelli, dopotutto. Ha scoperto alcune delle abitudini di Mycroft, in questo periodo. Questa è la terza, fortunata, volta che vede Sherlock. Le prime due non c'è l'ha fatta. Voleva davvero andargli incontro, ma poi si voltava e piangeva soltanto. La seconda volta è stata più dolorosa e viva. Voleva accendere una miccia e buttargliela addosso, farlo sentire come lui scosso, in due sentimenti condivisi. Che pensieri tribali. 
Adesso si è comprato questo fumogeno che al momento è vicino a sé. 
"Oh, mio... Perché? Che sto facendo?" Dopotutto, la sua voce è abbastanza limpida, con un sottofondo di tutto.
Lo prende in mano, quasi soffoca mentre si trasporta più vicino al fiume limpido, e poi lo butta, quando è dentro con i piedi. Acqua fredda, indecente, che per un momento gli provoca dolore, ma che poi gli fa anche quasi piacere. Starnutisce subito. Dovrà fare qualche vaccino.
Corre nell'acqua, non si sente quasi per niente uno stupido, e poi eccolo davanti a sé.
"Sherlock Holmes" sussurra soltanto. 
Sherlock ride. Ride un sacco. "Quei baffi non ti donano. Domani te li tagli. O te li taglio io, se vuoi." La sua mano è melliflua di fronte alla faccia di John. La abbassa, adesso. 
John fa un mezzo sorriso killer. "Oh, la taglierò." Alza il pugno. "Ma prima lascia che ti mostri il mio pugno." 
"Piacere pu..." Sherlock non considera niente, né la velocità, né l'azione di John, che, questa volta al primo tentativo, gli dà un pugno, neanche tanto grande, in faccia. 

Narratore
Il maglione. Ha il maglione. 
Il treno delle sette è passato, ora sta correndo verso Baker Street. Tutto il silenzio di Londra lo destabilizza, lo rende irrequieto, poi capisce la parata di beneficienza poco distante. Sente sempre più chiasso più si avvicina, e quando le voci delle persone lo raggiungono, così come anche i loro volti, capisce sia una protesta di qualche genere. Non si applica nel dettaglio e va avanti. 
A John viene un idea, quindi corre ancora più veloce, sul filo di una corda immaginaria fatta di tempo. Bussa più volte, ma Sherlock è già fuori, intento a camminare mestamente verso casa. Gli si avvicina, accarezzando il vento nella faccia che sfreccia.
Si guardano, John posa il telefono a terra, dopo averlo trovato nella borsa. Una musica di valzer riecheggia. E poi ballano, semplicemente.

"Ti ricordi?" chiede John, la voce neutrale. "Le stelle, la prima volta. Abbiamo ballato senza musica, fuori, un po' figli delle stelle." 
Sherlock sussurra, invece. "E quella volta con l'influenza? Ci starnutavamo l'un l'altro, ma non ci distaccavamo. Avevamo alchimia." 
"Abbiamo" dice John.
"Ne abbiano tanta" fa eco Sherlock.
I loro volti si distaccano quasi nello stesso istante, d'improvviso. Nessuno di loro due ha più il collo dell'altro vicino, ma in compenso hanno le loro facce motivazionali, che sorridono senza fermarsi. 
"Sherlock..." 
"John?" lo interrompe Sherlock. 
"Sherlock, devo dirti una cosa."
"Già l'hai fatto." 
"No. Allora, davvero, non farmi ridere." 
Il viso di Sherlock diviene ancora più serio. "Non sarebbe da me." 
"Ah, ok, se lo dici tu. Tutti mi hanno detto di dirti una cosa." John ride. "Io non la penso proprio così, ma volevano fare i gentili..." 
"John, le tue gengive sono troppo esposte. Stai sparando qualche cosa senza senso?" 
I loro occhi sono sempre fissi l'uno sopra l'altro.
John dissente. "No. Mi hanno detto... Rimani te stesso." 
La faccia corrucciata di Sherlock la dice lunga. "Tutti chi?" 
"Tutti... Tutti quelli che conosci. O almeno credo" fa poi pensieroso l'altro.
"Ho una cosa per te, Sherlock Holmes." 
Le mani di John vanno ad infilarsi nella sua tuta, il suo sguardo ancora fisso su Sherlock. Sherlock altrettanto prende qualcosa dalla sua tasca. 
John si blocca. "Che cosa è?" 
Sherlock ride nervoso. "È un anello. Mycroft mi ha detto di dartelo." 
Rimangono silenziosi, fermi e seri. John poi annuisce. 
"Bene." Dalla sua tasca cade un fazzoletto, mentre il suo pugno si alza verso gli occhi di Sherlock. 
Sherlock mira al pugno, John guarda anch'esso il pugno; muschio. 
"Del muschio a natale è sempre il meglio" dice John. Sorride sinceramente guardando il muschio.
"Tutto rose e muschio." Sherlock annuisce serio, gli occhi su John.
John adesso butta il muschio a terra e lo abbraccia.



Mancano ormai una mancata di giorni, ed io lo so che scrivo di merda, ma volevo scrivere qualcosa così (più o meno). Born for case.
   
 
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