Quiete.
Due respiri, il tuo e il suo. Il rumore del frigorifero, in lontananza. Quello della pioggerellina che batte sui vetri, dietro di te, appena percepibile alle tue orecchie sempre in allerta.
Tutto va bene.
Sherlock, disteso al tuo fianco, ti dà la schiena: si è addormentato così, raccolto in posizione semifetale, la schiena nuda alla tua mercé. Era stanco, dopo i festeggiamenti -incredibile come una festicciola di Natale tra amici lo sfianchi più di mille inseguimenti per le strade di Londra-, e una volta a letto ha lasciato che tu lo cullassi tra le braccia di Morfeo con le tue dita tra i suoi capelli, sul collo, sul braccio. Si è addormentato dandoti le spalle, e quella parte di te che non ha mai lasciato l’esercito riconosce la fiducia nel gesto. Disegni ghirigori senza senso compiuto tra le sue scapole, distratto dal pensiero che l’uomo migliore che conosci si fidi di te. È una consapevolezza che ti dà alla testa, più del punch corretto di Mrs Hudson o del whiskey di Mycroft: ti riempie di una sostanza simile al miele, nella bocca e nella gola e nell’esofago: una gioia che non potresti spiegare a nessuno, nemmeno te stesso. E perciò lasci che le tue dita parlino per te, e disegni forme che sono amore e tenerezza e gratitudine, per quest’uomo meraviglioso che dorme; speri, forse, che il contatto tra epidermide consegni ai sogni dell’uomo che ami il messaggio che non sai esprimere: sarei perso senza di te.
Lasci che le tue dita scivolino lungo la spina dorsale, scendano e poi risalgano; si fermano, senza che tu lo decida razionalmente, nel bel mezzo della schiena, dove, tra le cicatrici ormai schiarite, figura un neo, un puntino di colore sulla pelle chiara. Non è toccato dai segni di tortura: la pelle è liscia e senza errori, come, immagini, fosse prima della Caduta, prima di voi. È un segno di umanità tanto tangibile che ti colpisce: così lo baci, piano, perché cos’altro puoi fare, se non far tesoro di ognuno dei piccoli dettagli dell’uomo che ami? Così gli dai un bacio, uno solo, e lo senti mugolare nel sonno: il tuo nome.
“John… John?” ripete, voltando il viso verso di te.
Oh. Non era addormentato, dopotutto.
Gli sorridi, un sorriso anch’esso quieto, ché quando la gioia è così completa hai quasi paura di lasciarla uscire, come se nell’esprimerla potesse fuggire via. “Ciao” mormori, contro la sua pelle. Il suo sguardo è assonnato, gli occhi socchiusi, ma ciò non gli impedisce di rispondere al tuo sorriso; la pelle attorno agli occhi si increspa, e pensi a quando la vedrai, tra dieci, venti, trent’anni, diventare un po’ più aggrinzita dai segni dell’età.
Non vedi l’ora.
“Torna a dormire” sussurri, senza staccare gli occhi dai suoi.
Lui annuisce. “Tutto bene?” ti domanda, la voce roca.
“Meravigliosamente.”
Stavolta, vi addormentate insieme.


Note: 475 parole di fic scemissima, semplicemente, per augurare a tutt* un felicissimo Natale. Che dire? Uhm. Eh. Dunque. Non sono abituata a dover dire così poco di una fic??? Niente, ispirata in parte da Banana Pancakes di Jack Johnson, e letta in dieci minuti dalla mia magicissima amika Chiara che è onestamente troppo preziosa per questa vita e che seriamente non merito. That's it, I guess??? Ancora buone feste a tutti, e se vi va di lasciare un commento, sia pure fatto di insulti, sono sempre ben felice di leggerlo ^^