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Autore: aire93    25/12/2016    3 recensioni
La ricetta perfetta per passare in armonia le festività? Un pizzico di Stiles Stilinski maestro d’asilo con una insana passione per Harry Potter; una spolverata di Sophie Hale, bimba di quattro anni allieva di Stiles e altrettanto amante della saga grazie ad uno zio misterioso, e tante, tante avventure natalizie.
Bonus, una barista imbranata, una famiglia numerosa e un tacchino impagliato.
Sterek slowburn con tanto, tanto, tanto fluff.
E buon natale!! =)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Derek Hale, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buon Natale a tutti amici! Eccomi con una fluffosissima Human!Au Sterek, spero vi possa piacere! E' ancora incompleta, ma sono in procinto di finirla. Commentate se vi piace! Stay tuned!

23 Novembre

Gli occhietti brillanti ma vacui di un gigantesco tacchino, fissavano un punto perso nel vuoto con fermezza e una sottile vena inquietante.
L’animale aveva un collo tozzo e color magenta, un piumaggio perfetto, grigiastro e bianco sporco e svettava sul bancone come se fosse lui il proprietario del caldissimo bar: il riscaldamento era alle stelle lì dentro, a contrastare il gelo immane presente fuori, tanto da sembrare di essere in una sauna.

Peggio della presenza del tacchino su quell’altrimenti splendente e pulitissima asta di legno, era solo la condizione dell’animale.
Perché Stiles Stilinski, munito di cuffia, sciarpa e guanti di uno splendido grigio e verde smeraldo, caratteristica della casata Serpeverde alla quale apparteneva fieramente nonostante fosse un babbano come tutti a Beacon Hills e nel mondo, stava fissando un essere che pareva messo lì come un trofeo, ma che in realtà era stato barbaramente impagliato, e il ragazzo sapeva benissimo da chi.

Stiles si rese conto di essere sudato un po’ per il terrore suscitato dalla presenza dell’animale, un po’ per il caldo del locale, solo quando una goccia cadde lungo la sua guancia e il respiro gli iniziava a scarseggiare.
«Ehm, il solito Malia. E complimenti per l’opera d’arte…» borbottò con poca convinzione, sfilandosi il cappotto e gli indumenti pesanti, e fissando gli occhietti dell’essere gigantesco che sicuramente avrebbe popolato i suoi incubi per qualche settimana.

Il silenzio fece da padrone dietro il bancone, e Stiles, troppo sconvolto per chiedersene il motivo, decise di sedersi su uno degli sgabelli di legno che contrastavano con il marmo scuro attorno alla postazione delle bariste. Fece per prendere il bicchiere, fissando la zona dove bottiglie di alcol di tutte le dimensioni, colori e nazionalità, erano esposte, prima di rendersi conto che nessuno aveva posato il suo amatissimo frullato e la sua desiderata brioche davanti a lui, e che quindi stava afferrando il vuoto.

Il ragazzo guardò oltre quel ridicolo tacchino, specchiandosi nelle iridi color cioccolato e piene di terrore di una giovane ragazza che poteva avere la stessa età di Stiles, e che il giovane non aveva mai visto prima.

«Scusa, puoi ripetere?» biascicò lei, l’unica barista presente oltretutto al momento.

«Il solito. Che tu non conosci perché non sei mai stata qui, o sbaglio?»

«E’ il mio primo giorno» disse lei, con una voce acuta, udibile solo dai pipistrelli.

«Beh, il mio “solito” equivale ad un frullato cioccolato e mango, e una brioche con crema di caffè. Credo tu sia in grado di prepararlo, no?»

La ragazza annuì, paonazza, voltandosi per prendere lo shaker dietro di lei e inciampando contro il gradino accanto al lavandino.
Stiles sorrise, empatico verso la giovane. Anche lui generalmente non ne combinava una giusta.
«Cioccolato e mango hai detto…oh!» la sconosciuta iniziò ad agitare lo shaker, afferrandolo solo leggermente e per questo lanciandolo contro la vetrina dove venivano esposti dei curatissimi cupcake.

Stiles non potè trattenere una risata sguaiata, che imbarazzò molto di più la giovane di quanto già non fosse.

«E’ il mio primo gi-giorno,e non so usare lo shaker decentemente! Oh che figura! Devo rifare tutto, non posso servirti quel frullato!»
La giovane scosse la testa terrorizzata, colpevolizzandosi forse in maniera esagerata per le brutte figure: prima che uno tra lei e Stiles potesse solo o scusarsi di nuovo, o tentare di tranquillizzare l’altra, una massa di capelli color grano e uno sguardo scuro come i quintali di eyeliner indossati – anche se erano solo le sette di mattina – si palesò davanti a loro, camminando con un po’ di fatica perché munita di pancione ben visibile, dato che mancavano pochi mesi alla nascita di Sanaa, e Stiles tirò un sospiro di sollievo.

«Stiles è un nostro cliente abituale, trattalo bene, mi raccomando! Voglio che tu prepari il miglior frullato di mango con cioccolato fondente e controlli se nel forno ci sono le brioche alla crema di caffè. Ce la fai Kira?» ordinò lei con fare saccente, e un pizzico di fiato corto.

Kira – finalmente la barista aveva un nome - corse verso una porta diretta in cucina, annuendo all’altra, che di nome faceva Erica Reyes, nel tragitto, borbottando una litania simile ad una preghiera e che in realtà era semplicemente l’ordinazione di Stiles e inciampando malamente su una piastrella dove inavvertitamente era caduta della panna.

Erica sbuffò, e Stiles dovette mordersi la lingua per soffocare la risata spontanea che gli era salita in gola.

«E’ una stagista, è arrivata appena ieri, ma dato che era domenica non l’hai potuta conoscere. E’ un disastro, però sembra comunque piacere ai clienti. Oggi ci sono almeno cinquanta persone in più di lunedì scorso, è assurdo! Scusa se non ho raccolto la tua ordinazione, ma stavo dietro a smanettare con la radio: non riesco a trovare una cazzo di stazione che mi possa piacere. Si fotta la musica d’atmosfera, voglio un po’ di rock, qualche sintetizzatore e anche della musica latina!»

Stiles si grattò la nuca, le dita lunghe e affusolate da pianista, che andarono a tamburellare nervosamente sul bancone.

«Ah, vuoi influenzare i gusti musicali di Sanaa già da quando è nel pancione? Contenta tu… e comunque non ho fretta, apro l’asilo alle nove del mattino…»

Delle dita fredde e callose si intrecciarono a quelle di Stiles all’improvviso, facendolo sobbalzare sullo sgabello: voltandosi di scatto, il ragazzo si trovò di fronte ad uno sguardo intenso e serioso, al limite del ridicolo.
Il sorriso forzato e a trentadue denti che la giovane dai capelli scuri e definiti da qualche colpo di sole color caramello mostrò a Stiles, pareva uscire direttamente da “IT” o peggio, Shining.

«Mi porto avanti con gli auguri, dato che non ci vedremo sicuramente domani, giorno del ringraziamento. Per questo volevo dirti già oggi che sei il cliente migliore e l’amico perfetto. No… intendevo il contrario, ma non importa. Grazie Stiles. E comunque – proseguì indicando il tacchino, che fissò con una luce piuttosto folle negli occhi - ta-dan! Ti piace? L’ho fatto io! Ho tolto gli organi, quelli sono occhi di vetro e le piume sono le sue. E’ per celebrare il giorno del ringraziamento, ovviamente. Ha un bell’effetto, non credi?»

Malia Tate aveva una strana concezione di “bell’effetto”, ma dato che il bar apparteneva ad Erica e le due erano migliori amiche da quando andavano all’asilo, non poteva non negarle quel capriccio, essendo amante anche lei delle assurdità.
Stiles alzò un angolo delle labbra, sorridendo per compassione e separando le mani dalla stretta di Malia: guardandosi intorno però, il bar perdeva completamente quell’essenza lugubre dettata dal tacchino, grazie alle decine di adesivi dello stesso animale, seppur in tipico stile chibi giapponese, sommersi da foglie secche di tutti i colori dell’autunno.

«Ahem, io e te abbiamo due concezioni completamente diverse di bello, Malia e la tua è probabilmente un sinonimo di macabro. Ma il mio frullato a proposito? Kira è andata in sud America a prendere il mango?»

Bastò solo nominarla, perché Kira apparisse tutta trafelata, con una guancia sporcata da una linea di crema al caffè. La brioche venne posata calda e friabile davanti a Stiles, che non attese altrettanto, mordendola con gusto e lasciando che si sciogliesse in bocca.

«Mentre riempivo la brioche è esplosa la sac a poche…ho già pulito il bancone, ma credo che il grembiule sia da cambiare… devo fare il frullato a Stiles, ho perso troppo tempo con le brioche, chiedo scusa!»

Malia alzò un sopracciglio verso Kira, scuotendo la testa.

«Vai a cambiarti, il frullato a Stiles lo faccio io…»

Kira annuì di fretta, scusandosi con un paio di inchini verso Stiles, che la salutò a mo’ di militare.
Gli faceva quasi tenerezza quella ragazza, non troppo diversa dai bambini coi quali lui aveva a che fare tutti i giorni.

Stiles non dovette aspettare troppo per bere per fortuna, dato che Malia era ovviamente molto più pratica dell’altra a maneggiare ingredienti e soprattutto lo shaker: Stiles era intento a sorseggiare il frullato, quando l’aria fredda di fuori si insinuò per un attimo nel locale, perché a quanto pare qualcuno aveva aperto la porta.

«Mamma!»

Una bimba che poteva avere tre anni a malapena entrò, mano nella mano con un omone alto e ben piazzato, pelle color caffè e un paio di labbra carnose.
Entrambi si diressero verso lo sgabello accanto a quello occupato da Stiles e l’uomo si protese, accarezzando Erica sulla guancia, prima di trascinarsela accanto per baciarla con trasporto.
«Posso denunciarvi per atti osceni in luogo pubblico?» chiese Malia, speranzosa e un tantino disgustata, ma Erica, dopo essersi separata dall’uomo, mosse un dito come a redarguirla.

«No cara, non ci pensare nemmeno…»

«Sono solo venuto a trovare la mia barista preferita…» disse il ragazzo – Vernon Boyd – mentre la bambina, Nuru, guardava Stiles con un’espressione curiosa e divertita, gli occhi scuri che facevano il paio con la sua pelle color caffelatte e quelle codine bionde che aveva ereditato fieramente dalla madre.

«Tu tei Tiles? Anch’io ti sono oggi all’asilo!» disse, fiera e pomposa, e Boyd – preferiva essere chiamato per cognome – le scompigliò i capelli con tenerezza.

«Oggi la peste proverà ad inserirsi all’asilo. Credo la farò rimanere per un paio di ore, così si ambienterà per bene. Sono passato di qui perché sapevo ti avrei trovato, e poi volevo dirtelo di persona» spiegò, verso uno Stiles molto interessato.

«Ottimo! Beh, questo vuol dire che io e te saremo grandi amici da oggi, vero Nuru? Ti divertirai con tutti, sono sicuro!» ridacchiò Stilinski terminando finalmente il frullato e alzandosi per riprendere il cappotto.

«Ciao Stiles, ci vediamo tra un paio di giorni!» lo salutò già Malia. Kira rientrò proprio in quel momento, sperando di poter preparare l’ordinazione di Boyd al meglio e Erica imitò Malia, salutando Stiles con una mano sul ventre, perché a quanto pareva Sanaa aveva scelto quel momento per scalciare a più non posso.

-

Quando consumi una colazione in un certo senso raffinata, e nel caso di Stiles comunque abituale, e un po’ tropicale, con mango, cioccolato e brioche alla crema di caffe, capisci che la giornata promette almeno scintille.

Insomma, è la colazione che determina se la giornata parte o meno col piede giusto in fondo: come farebbero a sorridere quando raggiungono il posto di lavoro, i consumatori abituali di misere gallette di riso e acqua e limone?

Statisticamente, chi apre la porta dell’ufficio con la pancia piena, è decisamente più contento.
E quando a convincersi di questa teoria particolare è un dubbioso cronico come Stiles Stilinski, beh, allora c'é da aspettarsi come minimo l’arrivo a sorpresa di Michael Bublè in mezzo alla via, intento a intonare "It's a beautiful day".

Nemmeno lo strillo più acuto di Jacob, pupo di tre anni già padrone del caos tra i bambini, e che assomigliava nei modi terribilmente a Dudley Dursley, lo avrebbe fatto scendere dalla sua inaspettata bolla di piacere.

Aveva ancora il sapore estivo del mango che ballava la conga tra le sue papille gustative, mentre entrava nell'enorme atrio dell'asilo di Beacon Hills, pronto a iniziare una nuova giornata come insegnante: era un luogo accogliente, con i muri verniciati con tonalità accese e le piastrelle dipinte a mo’ di tessere di un enorme puzzle, che raffigurava l’arcobaleno.
L’odore di crema per bambini, poi, era un tocco in più che quasi rilassava Stiles.

Aveva avuto da sempre un rapporto speciale con i bambini, il giovane figlio dello sceriffo: capiva in un certo senso i loro capricci, giocava senza mai stufarsi, così da smaltire in qualche modo la sua costante iperattività, ed era ben voluto da tutti, soprattutto dai genitori, molti dei quali avevano frequentato il liceo con lui – vedi Erica e Boyd - e alcuni solo di qualche anno più grandi.
Il che dava da pensare a suo padre, che ogni volta che incrociava i propri passi con uno dei vecchi compagni di scuola del figlio, notava una fede brillante sull’anulare sinistro, o buste della spesa piene zeppe di pannolini.

Stiles non vedeva quel gran bisogno di cercarsi l'anima gemella: aveva venticinque anni e stava alla grande, nonostante le continue lamentele di suo padre, che lo rimproverava di dover costantemente togliere le briciole dal divano tutti i sabato sera, dato che Stiles occupava la sala, in mancanza di altre attività più consone ad uno come lui, tipo uscire.

Stiles ridacchiò al solo pensiero. Era innamorato del cibo, in fondo, e i weekend erano dedicati solo ad approfondirne la conoscenza con ricette nuove e sensazionali: suo padre doveva accettarlo.
Erica ad esempio non sopportava come lui amasse il cibo e mangiasse le stesse quantità di un elefante, senza nemmeno prendere un kilo e quel che era peggio, Stiles amava le colazioni abbondanti, i nuggets di pollo e i burritos.
O la pizza ogni sabato, con la quale, checché si lamentasse suo padre, provava un vero e proprio orgasmo culinario.
Ecco, forse non c'era veramente bisogno di pensare all' appuntamento fisso con la pizza dei fine settimana, quando erano ancora le otto e trenta di mercoledì...

Stiles fece appena in tempo ad aprire il portone dell’asilo, che una mano piccolina ma decisamente forte lo riscosse dai propri pensieri: guardò in basso, sorridendo contento alla vista di Sophie Hale, intenta ad attirare la sua attenzione trattenendo la manica del suo giubbotto con fare insistente, nonostante l'imbarazzo della madre accanto che tentava di dissuaderla .

«Sophie! Non infastidire Stiles!» la sgridò Laura Hale, sua madre, con veemenza, trascinandola via per spogliarla dal giubbotto pesante che indossava, e lei fece la linguaccia come se nulla fosse, attaccandosi nuovamente al giubbotto dell'insegnante.

«Stiles giochiamo con i cuscini oggi? Giochiamo? Giochiamo?» tirò lei con una vocina acuta e piuttosto lagnosa.

Laura sospirò, mettendosi la mano sul volto per la vergogna, e Stiles scoppiò a ridere.

Capelli color bronzo, iridi simili al mogano e un cipiglio piuttosto caratteristico, oltre che una voglia di giocare e di muoversi da Guinness: questa era Sophie, figlia di Laura, a sua volta figlia del sindaco della città Robert Hale.

Gli Hale erano molto rispettati e amati per il loro altruismo, in città, e Stiles mentiva a se stesso se non ammetteva di voler davvero molto bene alla bimba che, tra parentesi era l'unica tra quei marmocchi a capire il suo sottile sarcasmo.

«Prima aspettiamo che arrivino tutti gli altri e poi giochiamo, tranquilla!» le rispose lui con fare gentile, scompigliandole i capelli lisci con fare affettuoso.

Laura sorrise largamente e fiera, mentre delle grida provenienti dall' uscio, segnalavano l'arrivo degli altri bambini, tra i quali si notava anche Nuru Boyd.

«Ti lascio lavorare, Stiles...oh dimenticavo - Laura si battè la fronte quasi in maniera comica, con gli occhi verdi che brillavano - credo venga mia sorella a prendere Sophie all' uscita. Sono piuttosto impegnata col lavoro e Lucas, mio marito, sarà fuori tutto il giorno...»

«Niente paura! E poi è da molto che non vedo Cora, mi farebbe piacere ritrovarla.»

«Vero. È un peccato che mia sorella si sia fidanzata con quello scapestrato di Lahey. Ti avrei voluto in famiglia...» si lasciò sfuggire la ragazza, beandosi quasi in maniera sadica dell'imbarazzo di Stiles.

«Eh, io la conterei come una grossa fortuna, invece...» rispose lui, piuttosto a disagio, mentre lei si allontanava.

Stiles scosse la testa.
Mezza Beacon aveva questa fretta illogica di accoppiarlo con qualcuno, come se l'intero paese fosse affiliato ad un'agenzia per incontri.
Quasi tutte le mamme di Beacon erano passate sotto la sua finestra per decantare le lodi dei propri figli o figlie - Stiles era onestamente attratto da entrambi i sessi – e far sbuffare di divertimento John Stilinski.

Stiles aveva fatto coming out ormai da quasi cinque anni, e ad essere sincero era stata una delle situazioni più comiche della sua vita: suo padre aveva scosso la testa con frustrazione, sbottando: «Adesso avremo la casa invasa dalle madri dell’intera popolazione under 25 del paese, sai che vuol dire?»

«Le stesse che hanno sparlato per anni di un tuo interessamento a Melissa McCall?» aveva ribattuto Stiles, ringraziando il cielo che suo padre l’avesse presa in maniera così divertente.

«Sì, ma lo sappiamo tutti che le chiacchierone nelle città fanno sempre centro… - aveva bisbigliato fiero.
Dopo la morte di Claudia, la madre di Stiles, John era sempre stato un po’ restio a volersi impegnare di nuovo. Ma con Melissa, la madre del migliore amico di Stiles, Scott, non erano state le impiccione del paese, bensì gli stessi figli a combinare il tutto, lasciando che prevalesse il loro disperato bisogno di essere fratelli.
Ora Scott si era trasferito in Francia con la fidanzata Allison Argent, a lavorare nella società bancaria appartenente alla famiglia della ragazza e a Stiles era rimasto Skype per comunicare con loro, tentando di distrarsi dalle continue insistenze da parte delle compaesane a trovargli una persona alla quale stare accanto, mentre Melissa si era trasferita da loro - … e comunque non parliamo di me. C’è la figlia del mio collega Richardson che ha la tua età, non mi sembra male. Oppure il figlio del capo della sicurezza Mahealani, mi sembra un ragazzo a posto…»

«Heather è in Sud Africa, e Danny sta frequentando Ethan Carver, uno dei gemelli figli dell’idraulico…» aveva risposto Stiles, e il discorso era terminato con uno sbuffo di John, intento ad uscire per iniziare il turno di lavoro.

Stiles venne riscosso nuovamente dai propri pensieri, da un forte tonfo proveniente dall’angolo degli scatoloni, assalito dal solito Jacob e dagli amichetti.
Il tempismo dell' arrivo degli altri bimbi non fu altro che provvidenziale.

-

Erano trascorse un paio di ore dalla colazione, e ancora era presente un' atmosfera particolare. Era come se l'aria brillasse di aspettativa, e Stiles era certo che un messaggio, un segno di qualsiasi tipo stesse per capitargli tra capo e collo.

I bambini del primo anno con i quali Nuru aveva stretto amicizia letteralmente all’istante, erano impegnati a gironzolare per la stanza a bordo delle loro macchinine a forma di coccinella, scontrandosi violentemente senza nemmeno graffiarsi ( e ancora, Stiles era certo che nei primi cinque anni di vita i bimbi posseggano un airbag naturale, dato che quelli nonostante le innumerevoli cadute, non si erano fatti mai niente) mentre gli alunni più grandi coloravano con insolita pazienza un album di animali.

Jacob Whittemore (sì, Stiles insegnava al figlio del suo vecchio compagno di merende Jackson, che tra parentesi aspettava il secondogenito dalla "tre volte medaglia Fields” Lydia Martin, cioè la responsabile dei suoi sogni erotici e del suo cuore spezzato, dieci anni prima) colorava in maniera maldestra, spesso andando a finire con la mina della matita sul foglio bianco di Sophie, che nonostante i suoi quattro anni, sapeva esattamente il fatto suo.

Stiles colse solo qualche frammento della loro conversazione, troppo concentrato nel provare a controllare le coccinelle che sfrecciavano sul pavimento.

«Jacob smettila! Ho detto di non colorare la mia pagina! Jacob! La vuoi finire? Mamma mia, adesso chiamo Stiles così ti sgrida ben bene. Sei proprio un Ricciocorno Schiattoso!»

Stiles credette di aver capito male, in un primo tempo, e per quello non notò una delle coccinelle che gli passò sul piede con la rotella.
Stiles dovette mordersi la lingua per non urlare.

«Sei più antipatico di uno Schiopodo Sparacoda, ecco!» strillò Sophie, spostando il proprio foglio con così tanta foga da strapparlo.

Sophie rimase immobile a fissare le due parti rotte, ormai impossibili da risanare.
«Hai visto cosa è successo? Babbano!» piagnucolò Sophie, col labbro tremolante e gli occhioni colmi di lacrime.

La prima azione di Stiles onestamente, fu quella di urlare stavolta di gioia, se il senso comune non si fosse messo in mezzo suggerendogli che gridare in una sala piena di bimbi nel bel mezzo di un litigio che doveva muoversi a risolvere, non era proprio la decisione migliore da prendere.

Va bene, forse il suo lato nerd stava prevalendo su quello dell’educatore, ma era normale, in fondo.
Non credeva che i bimbi di quell’età già conoscessero quei termini specifici e piuttosto inusuali, a meno di non considerarsi un vero “potterhead”.
Solo quando Lara, una bimba buona come il pane, si avvicinò timidamente a lui per avvisarlo del caos che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi, Stiles si riscosse dal suo ennesimo trip mentale per correre verso Sophie: la bambina si trovò nella stessa situazione dei cerbiatti investiti dai fasci di luce delle macchine. Rimase immobile con gli occhi spalancati, come se dalla sua bocca fosse uscita una parolaccia di proporzioni immani.

La realtà era che Stiles faticava a contenere il suo entusiasmo.

«Per caso ho sentito qualcosa di simile a "ricciocorno schiattoso, schiopodo sparacoda e babbano" venire dalla tua candida bocca, Sophie? Mi puoi dire chi ti ha insegnato quelle parole?» chiese, quasi saltellando sul posto e facendo ridacchiare Lara e le sue amichette lì vicino.

A volte – troppo spesso - dimenticava di non essere coetaneo dei bimbi ai quali insegnava.

Sophie si calmò, dato che era evidente che Stiles non avesse nessuna intenzione di sgridarla, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di stoffa prestatole dallo stesso Stilinski.

«Sì. Mio zio mi legge ad alta voce Harry Potter ogni pomeriggio...» dichiarò semplicemente Sophie, con gli occhi che facevano trasparire un pizzico di fierezza.

Stiles non riuscì più a calmare il suo entusiasmo, sgranando gli occhi e frenandosi per non urlare in faccia alla bimba per la gioia.
Era incredibile, aveva trovato qualcuno tra quei bambini che finalmente poteva capire la sua ossessione. Nemmeno Scott aveva mai assecondato o capito la sua passione per il maghetto inglese, e Mc Call deteneva il premio come “fratello col quale condivideva tutto”.

«Ah davvero? E ti piace?» domandò Stiles, con la voce leggermente tremante.

«Tantissimo! Siamo arrivati al sesto libro, nella scena della morte di Aragog e ci sono Lumacorno e Hagrid che cantano le canzoncine divertenti…»

«Mentre sono ubriachi fradici. Ah, sì “E Odo l’eroe riportarono a casa, nel luogo dorato di sua fanciullezza…” ricordo bene quella scena, quando Harry riesce a carpire il segreto da Lumac-»

«CE LA FA?» urlò Sophie in preda ad una gioia quasi selvaggia.
«Sono tre giorni che chiedo a mio zio se Harry ci riesce e lui mi fa la solita faccia da musone, senza dirmi niente! Oh grazie Stiles poi come continua?»

Stiles si morse il labbro, dubbioso se proseguire col racconto. Dove sarebbe stata la sorpresa poi? E soprattutto, perché non riusciva a tenere sotto controllo il suo filtro bocca – cervello, nemmeno con i bambini?

«Ehm, lo leggerai più avanti, tranquilla. Non voglio rovinarti la sorpresa! Comunque, quali sono i tuoi personaggi preferiti?» domandò il ragazzo, tentando di sviare il discorso in una zona priva di possibili anticipazioni.

I bimbi si erano ammutoliti, tutti assorti ad ascoltare il discorso tra Stiles e Sophie, che avevano preso a chiacchierare come due vecchi amici.

«Mi piace tanto Silente! E Piton non so perché ma mi fa tenerezza. Oh, anche Edvige, tra gli animali! Vorrei tanto una civetta bianca!»

Lo stomaco di Stiles fece un tonfo e un brivido leggero di tensione gli attraversò la schiena. «Ot-ottime scelte!» sorrise lui, col gesto più simile a una smorfia di dolore che a felicità vera e propria.

“Certo che ha scelto proprio tre personaggi col destino tragico. Spero che suo zio non le legga gli ultimi capitoli del Principe, altrimenti potrei sentire i pianti da casa mia” pensò Stiles tra sé e sé scuotendo la testa, provando forse troppa pietà per la piccola.

«Oh, già, dimenticavo Dobby, l’elfo domestico! E’ così divertente!»

Stiles si schiaffò la mano in faccia, col volto decisamente affranto.

«Che fine ha fatto l’amore per i personaggi principali, eh? I miei preferiti quando ho letto la saga per la prima volta erano Draco, Blaise Zabini e Lumacorno…» si lamentò lui, cercando di convincere la bimba, irremovibile nelle sue decisioni.

«I professori piacciono di meno ai bambini! Anche se mio zio mi ha spesso detto di voler più bene ad Harry che a Silente, anche se non ho mai capito perché…»

«Ognuno sceglie i personaggi che vuole…» terminò Stiles, segretamente in disaccordo con questo zio misterioso.

«Cos’è Harry Potter?» domandò Bonnie, una dei più piccoli dell’asilo, con la frangetta scura che copriva una cicatrice a forma di cono che si era fatta da neonata, sulla fronte.
Stiles rispose all’istante, ricordando il particolare.
«E’ una storia bellissima, per i bimbi un po’ più grandi, e parla di un ragazzino undicenne che si scopre mago e studia in una scuola di magia. Ed ha una cicatrice sulla fronte, proprio come te Bonnie!»

Gli occhi dei bimbi si illuminarono all’istante, sembrando piccole luminarie di Natale.
Da loro partì un coro di “leggiamolo, leggiamolo” che stupì Stiles, ma che lo vide purtroppo negare la richiesta dei suoi piccoli alunni.

«No. Mi spiace ma è un libro più difficile di quanto sembra, e non è ancora appropriato per la vostra età. Nemmeno Sophie dovrebbe leggerlo, soprattutto adesso» li interruppe Stiles, tirando di nuovo fuori dall’armadio i pastelli e i fogli da colorare.

«Forza, proseguiamo…» li invitò, un po’ a malincuore perché la parte nerd in lui non avrebbe mai smesso di parlare di Harry Potter.

-

L’asilo vuoto faceva uno strano effetto: non c’erano strilli di alcun tipo, rumori di macchinine, canzoncine cantate in un inglese zoppicante, voci metalliche e inquietanti di giocattoli e nemmeno passi continui di ciabattine sul pavimento.
Stiles teneva stretta la manina di Sophie, entrambi col giubbotto addosso, stanchi di stare tra quelle quattro mura e desiderosi dell’arrivo di Cora, così da poter tornare ognuno nella propria calda dimora.

Sophie guardava con insistenza verso il parcheggio, sentendosi quasi tradita da quella zia che non ne voleva sapere di venire a prenderla.
Non che le dispiacesse stare con Stiles, per carità, però le mancavano i giochi in camera sua e gli action figures di Piton, Silente e il pupazzo di Edvige.

«Tua zia Cora si sta facendo attendere! La dobbiamo sgridare quando arriva, vero?» chiese Stiles, ridacchiando.
Era da parecchi mesi che non vedeva Cora Hale, ragazza tutto pepe, istintiva e perennemente contestatrice, e così diversa dalla sorella più riflessiva e razionale.

Conoscendo Sophie, a quanto pareva aveva ereditato tutti i tratti predominanti di sua zia.

Cora non era però la più scatenata della famiglia Hale, dato che il membro che più aveva fatto passare grane al sindaco era stato suo figlio mezzano, Derek, e per un motivo quasi ridicolo.
Derek era troppo onesto, quelle poche volte che osava spiccicare parola, il che aveva provocato parecchi equivoci che spesso arrivavano quasi a rovinare la carriera politica di Robert, dato che Derek tendeva a dire la sua senza censurarsi durante cene ufficiali con altri sindaci o sceriffi della contea, mettendo tutti in imbarazzo a causa delle scottanti verità che enunciava.
Derek non si faceva mai vedere in giro, forse per ansia sociale, forse per non incorrere in figuracce e Stiles non si ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva incrociato lo sguardo sfuggente dell’Hale: poteva forse essere una decina di anni prima?

Possibile, anzi, molto probabile. In fondo i due non avevano nemmeno mai parlato.

Proprio quando Sophie e Stiles erano una al limite delle lacrime e l’altro pronto a chiamare il sindaco in persona per dirgli di sbrigarsi a riprendere la nipote, un’auto lussuosissima che sicuramente non apparteneva a Cora svoltò l’angolo del parcheggio, fermandosi esattamente davanti al portone dell’asilo. Stiles tirò un sospiro di sollievo: il proprietario di una macchina del genere, che per inciso era una Chevrolet Camaro del 2011, doveva essere per forza un membro della famiglia Hale.
O almeno lo sperava.

«Zio!» urlò per fortuna Sophie, dimenandosi letteralmente dalla presa di Stiles per tentare di raggiungere la persona che stava uscendo dalla macchina.
Stiles la trattenne proprio all’ultimo, evitando che schizzasse verso il parcheggio e scampando un eventuale tragedia, se fosse passata una macchina da quella zona, cosa fortunatamente non accaduta.

Quando Stiles alzò gli occhi, perchè troppo concentrato su Sophie, mentre si toccava il petto con una mano per provare a calmarsi, riconobbe lo sguardo smeraldino, silenzioso e al limite del criptico che lo fissava: l’uomo in questione indossava una giacca di pelle con le maniche troppo lunghe per lui, un paio di jeans all’ultima moda e guanti, cuffia e sciarpa rosso fuoco, bordi gialli e con lo stemma di un leone disegnato su di essi.
Il giovane si identificava palesemente coi Grifondoro, a costo di sembrare ridicolo per l’abbigliamento diverso e più cupo, rispetto alla tonalità delle sciarpe.

Stiles rimase paralizzato sul posto: allora lo zio appassionato di Harry Potter era nientemeno che il fantomatico Derek Hale?
Ora che lo rivedeva, non poteva che constatare come fosse cresciuto maledettamente bene. Sembrava forte, fiero, certamente silenzioso, ma sicuramente capace di dire qualcosa di sensato e onesto una volta arrivata la voglia di parlare.
Il Derek che ricordava lui, ai tempi del liceo, era leggermente più in carne, fissato col baseball e col basket e senza quell’aria perenne da Godric Grifondoro che lo rendeva in un certo senso più saggio.
Stiles deglutì un paio di volte, tentando di scacciare quella sensazione di paralisi istantanea che Derek gli aveva provocato con la sua sola presenza, sommata ad un rossore sulle guance che nulla aveva a che fare col freddo.

Dal canto suo, Derek squadrò lentamente le mani, la testa e il collo di Stiles, i punti dove si poteva notare l’abbigliamento di Serpeverde. L’uomo tese la mano a Sophie, prendendola in braccio e schiarendosi la gola, mostrando un’ espressione quasi delusa, come se vedere indumenti di quella casa fosse un dramma per lui.

«Scusa il ritardo Stiles, Cora ha avuto un imprevisto e mi ha avvisato solo ora.»

Stiles dovette mordersi la lingua due volte per evitare di cacciare un urletto che poco aveva a che fare con la sua figura, e che più si addiceva ad una fan girl tredicenne. Derek conosceva il suo nome?

«Conosci il mio nome?» domandò Stiles prima di frenarsi, e di nuovo, dove aveva dimenticato il filtro bocca – cervello? L’aveva mica lasciato al bar quella mattina?

«Conosco te. Eri amico di Cora alle elementari e sei il maestro di mia nipote. Non voglio che tu abbia confidenza con lei, però, sei un membro della casa di Salazar, ho poca fiducia in voi» Derek alzò le spalle, voltandosi per raggiungere la Camaro, con Sophie che salutava Stiles con più entusiasmo di quanto suo zio le avrebbe permesso.

Stiles aggrottò le sopracciglia, registrando solo quando la macchina era già stata messa in moto, che Derek l’aveva indirettamente offeso o meglio, aveva ripreso alla grande la secolare, nei libri, battaglia tra Grifondoro e Serpeverde quasi come se fosse diventata una questione di stato.
La sua mente, mentre chiudeva l’asilo e distrattamente si metteva alla guida della sua Jeep scassatissima, era invasa da milioni di scenari dove a differenza delle parole di Derek, l’amore proibito trionfava, anche se quello che più ricordava al momento era la fine tragica di Romeo e Giulietta.

Tutto quello scombussolamento era stato causato da un ragazzo che si proclamava membro dei Grifondoro, che l’aveva insultato e che Stiles non riusciva a levarsi dalla testa: se fossero vissuti davvero nel mondo di Harry Potter, i Serpeverde lo avrebbero come minimo spedito fuori dal dormitorio per fargli schiarire le idee.

-

24 Novembre

Stiles aveva fatto della modestia un tratto predominante del suo carattere. Tendeva a non vantarsi mai del suo aspetto o del suo naturale animo gentile, e questo lo differenziava dai Serpeverde dei quali faceva parte.
Quella sera però, davanti allo specchio, non poteva esimersi dall’osservarsi con uno spirito diverso.
Stava bene davvero, nel suo paio di jeans e in quella camicia bianca che gli aveva regalato Erica. Era convinto di poter fare un grosso figurone alla cena del ringraziamento alla quale era stato invitato.
Breve storia lunga: quella stessa mattina Stiles, pronto per cucinare il tacchino e riempirlo di delizie insieme a suo padre, tradizione maturata col tempo e iniziata da sua madre, aveva sentito John ricevere una chiamata dal sindaco Robert, che obbligava le due figure più importanti di Beacon Hills a cenare insieme per il ringraziamento e per celebrare la loro amicizia profonda.

Per questo Stiles ci aveva impiegato più di un’ora e mezza a prepararsi e a cercare l’abbigliamento migliore che potesse trovare: quella stessa sera avrebbe visto Derek Hale e voleva presentarsi al meglio delle sue possibilità.
Non gli interessava in quel senso, non ancora almeno, però Stiles, da istintivo non poteva non ignorare quella strana sensazione di calore che aveva provato con Derek il giorno precedente.
Voleva seguirla, tanto cosa aveva da perdere?
Non era mica innamorato di Derek, in fondo.

«Sei pronto figliolo?» chiese John, vestito di tutto punto come il figlio, tra le mani un cesto con i brownies che Stiles aveva diligentemente preparato come sorpresa per la piccola Sophie, ignara della presenza di Stiles in casa sua.

Stiles indossò il cardigan bordeaux che tanto adorava, insieme a guanti,sciarpa e cuffia argento-verde e seguì suo padre nella macchina di servizio, sperando che alla fine della serata accadesse davvero qualcosa per la quale potesse dire “grazie”.

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Stiles e John scesero dall’auto con una certa fretta: il freddo pungente rendeva il loro respiro pesante, con nuvole di fumo che uscivano soavemente dalla bocca di entrambi.
L’immensa villa Hale si stagliava esattamente di fronte a loro, immersa nel buio della foresta e non ancora addobbata con le tipiche luci natalizie, seppur emanasse comunque quel calore perfetto che permetteva di sentirsi a casa in una giornata di festa.

Il fumo usciva come un lungo serpente dalla ciminiera, le luci delle stanze filtravano da tutte le persiane chiuse, sia al piano terra che a quelli superiori e la musica della playlist preparata apposta per il ringraziamento rimbombava così tanto da potersi sentire persino da dove si trovavano Stiles e suo padre.

Il due si avvicinarono verso il pesante e imponente portone di legno, camminando sulle foglie generalmente secche sul terreno con cautela, per non scivolare su quelle più umide e toccarono una sola volta la maniglia di ottone per bussare, un po’ nervosamente.
Per loro era un onore ed un piacere essere invitati alla cena ufficiale del ringraziamento indetta niente meno che dal sindaco. Sapevano che la famiglia Hale era enorme e per questo si sentivano quasi privilegiati nell’essere trattati alla stregua degli altri membri.
In totale si potevano contare più di venti tra cugini, parenti alla lontana e una sorpresa: persino Malia era una di famiglia.
Era la figlia di Peter, zio di Laura, che aveva preferito abbandonare il cognome più famoso per prendere quello della madre, l’ultima di una lunga e rinomata famiglia “i Tate” rimasta a Beacon Hills.

Ad aprirgli la porta fu sorprendentemente il gigantesco tacchino impagliato che Stiles aveva avuto la sfortuna di incontrare il giorno precedente, e che nascondeva proprio una stupefatta Malia, intenta a rompere così l’atmosfera e l’aspettativa di maestosità che Stiles e John avevano creato.

«Tu che ci fai qui? Sei venuto per farmi gli auguri? Ce li siamo scambiati ieri amico, non ricordi?!» sbottò lei, chiudendo la porta a pochi centimetri dal volto di Stiles, prima che lui potesse solo risponderle.
Stiles scambiò uno sguardo imbarazzato con suo padre, vergognandosi un po’ per il comportamento dell’amica.
«Ma lei non è una delle bariste che conosci? E’ sempre così?» domandò suo padre, ridacchiando, con l’espressione schifata per aver visto il tacchino.

«Sì. E’ un po’ stramba, però, ehm, è molto divertente a suo modo. Grazie a lei riesco sempre più a tollerare le stranezze del mondo…» Stiles ridacchiò, con la mano che andava a bussare di nuovo contro il portone e pregando che non ricomparisse nuovamente la bestia.

Stavolta fu Laura dopo qualche secondo, con indosso un felpone con una renna rossa stampata, ad aprire loro la porta, con Sophie in braccio che non trattene un sorriso largo e sincero, nascondendosi contro la spalla della madre.

«Siete arrivati, che bello! Sophie, visto chi ci ha fatto la sorpresa, venendo a mangiare da noi? Lei non lo sapeva, è molto contenta di vederti Stiles! Entrate pure! Buona sera sceriffo!»

Laura fece loro strada lungo il corridoio d’entrata: da donna pratica qual era riuscì ad afferrare i giubbotti degli ospiti con ancora Sophie in braccio, invitando poi John e Stiles verso la sala, prima stanza a comparire, addobbata con tacchini di carta e quello ormai famoso e impagliato di Malia.

Stiles entrò, col calore del camino che gli scaldò le dita perennemente fredde e il profumo di carne, patate e zucca proveniente dalla cucina, che si espandeva per tutta la casa, inebriandogli i sensi.
John nel frattempo si era separato da lui, dirigendosi verso Robert Hale per salutarlo.

In sala la vivacità era all’ordine del giorno: c’era la tv accesa su un canale sportivo, un divano bianco e lungo quasi metà della stanza, occupato da cugini e parenti di Laura, che salutarono Stiles con strette di mano e abbracci.
Stiles ricambiò la gentilezza, finchè non notò con sorpresa le figure di Cora e Isaac in un angolo, intenti a sbaciucchiarsi sotto ad una pianta di vischio.
Il ragazzo li lasciò fare, senza disturbarli.
Avrebbe salutato Cora più tardi.

Stiles decise di guardarsi attorno, per godersi l’atmosfera festiva: c’era gente che ballava al ritmo di una musica lenta e tipicamente da camera, la stessa che si sentiva da fuori; Sophie correva tra le stanze in compagnia di un paio di cuginetti; Malia si agitava come se fosse in discoteca, completamente fuori tempo, e poi finalmente Stilinski posò gli occhi su un angolo della cucina, dal quale si poteva notare Derek.

Subito non potè fare a meno di sorridere, un po’ per la sorpresa, un po’ per nascondere la sensazione di calore che l’aveva investito e che nulla aveva a che vedere con quello proveniente dal camino.
Derek era vestito con lo stesso cardigan che portava Stiles, e pareva intento ad alzare curioso la copertura di carta stagnola che lo stesso figlio dello sceriffo aveva posto sui brownies, come per osservarli meglio.

Fu quello il momento in cui Stiles decise che la sua missione era fraternizzare con Derek il giusto da avere almeno il suo numero di telefono alla fine della serata, e con la speranza che quei brownies gli piacessero almeno un poco.

Stiles si avvicinò a Derek a lunghi passi, appollaiandosi letteralmente contro la sua spalla per spaventarlo e tentare in una maniera piuttosto infantile di rompere il ghiaccio tra di loro all’istante.
«Ehi, li ho fatti io questi!» disse contro il suo orecchio, perché il volume della musica era davvero troppo forte ora.

Inutile dire che Derek saltò sul posto, indietreggiando per la sorpresa e facendo quasi finire Stiles dritto per terra, a causa del suo equilibrio precario.

«Ma ti sembra il modo?» sbottò, rosso in volto e con un cipiglio piuttosto arrabbiato. Derek scosse la testa contrariato, correndo verso il piano di sopra di fretta e senza proferire parola.
Stiles si sbattè una mano contro la fronte, insultandosi mentalmente. Che idiota era stato, quello non era il modo migliore per approcciare Derek, semmai l’ideale per farlo scappare via.
«Vacci piano con Derek. Assaltarlo così è stata l’idea peggiore che potessi farti venire in mente» ridacchiò Laura, intenta ad estrarre la torta di mele dal forno, mentre Talia, sua madre, ultimava le preparazioni.

«L’ho capito…» borbottò Stiles, sospirando. Era ovvio ormai, sarebbe stata una lunghissima serata.

-

C’erano venticinque persone al tavolo degli adulti e sette in quello dei bambini: sulla mobilia in legno scuro, c’erano composizioni di foglie secche create da Sophie all’asilo, cornucopie piccole piene di frutta e due splendidi candelabri arancioni, simili a lunghissime carote di cera.
L’aria frizzava di entusiasmo e la lunga sala da pranzo era animata da voci che si sovrapponevano le une sulle altre, mentre Robert e Talia avevano appena iniziato a portare il cibo.
Stiles non aveva mai visto così tante portate come quella sera. Il re era senza dubbio il tacchino ripieno enorme, croccante fuori e così morbido all’interno da far vedere le stelle alle papille gustative, col ripieno e la salsa di accompagnamento al cranberry che erano praticamente perfetti.

Il purè che accompagnava il tacchino poi, era di una sofficità quasi astrale, simile ad una mousse in un certo senso, e Stiles pensò che avrebbe voluto mangiare solo quello per il resto della vita.

C’era una spiegazione comunque, sul perchè si stesse concentrando così tanto sul cibo.
A) era un goloso da far paura; b) tutti attorno discutevano di politica, di moda, o di cartoni animati, argomenti che non gli interessavano e c) Derek Hale si era seduto a sorpresa di fronte a lui.

Stiles era noto per la sua lingua lunga e per il suo sarcasmo tagliente, ma quelle caratteristiche erano completamente svanite solo perché il più taciturno – e sexy – della sala aveva deciso di prendere posto di fronte a lui, mandandogli in cortocircuito il cervello.

Eppure Derek non sembrava fare caso a chi gli stava attorno, così intento ad assaporare tutto quello che aveva nel piatto con un espressione piuttosto concentrata.
Stiles voleva davvero staccare il proprio sguardo da Derek, così da sembrare meno inquietante e palese, ma non ci riusciva; in più la musica sempre d'atmosfera aiutava a creare quel clima di imbarazzo che aveva creato un vero e proprio scudo tra Derek, Stiles e il resto della tavolata.
Stiles portò alla bocca un'altra cucchiaiata di purè, sospirando di piacere.

«E' delizioso.» borbottò, trangugiandone il resto.

Derek alzò lo sguardo all'improvviso, mostrando un espressione di sorpresa sul volto. Stiles lo vide fissare prima i residui di purè nel suo piatto e si rese conto che Derek l'aveva sentito, nonostante il suo tono di voce piuttosto basso.

«Ti piace?» domandò Derek stupito e con la punta delle orecchie che si stava tingendo di rosso.

«Ma naturalmente! E' soffice al punto giusto. Tua madre ha davvero talento in cucina. O forse l'ha fatto Laura?»

Derek schiarì la gola: «Veramente...»

Malia, che di fianco a Stiles sembrava aver sentito lo scambio di battute, sbuffò contrariata e si alzò in piedi, sbattendo una mano contro il tavolo:«Un applauso a Derek per il suo deliziosissimo purè! Ricetta segreta della famiglia Hale che non diffonderemo per motivi di copyright. Chi lo vuole assaggiare deve per forza partecipare a una cena del ringraziamento in questa casa, o in alternativa sposare un membro della famiglia.»

Talia rise dal lato del capotavola, e Malia si risedette calma, rivolgendosi verso uno Stiles che aveva intuito fin troppo quello che voleva dire l'amica con quelle parole.

«Venti dollari per questo.» sbottò Malia avvicinandosi all'orecchio di Stiles con furbizia.
«Non ci penso nemmeno, hai preso l’iniziativa tu, io non ti ho chiesto di metterlo in imbarazzo!» rispose Stiles con un sussurro, mentre indicava un Derek con le mani sul volto, a proteggersi dall’attenzione che aveva appena ricevuto.

Malia roteò gli occhi, in un palese gesto di stizza verso sia Stiles che Derek: «Ridicolo. Ventotto anni e ancora non sa come prendersi un complimento…»

Dopo la rivelazione su chi avesse effettivamente cucinato il purè, e una dose massiccia di tortini di patate appena usciti dal forno, Derek e Stiles decisero di ascoltare i discorsi intrapresi da chi sedeva accanto a loro, anche per smorzare la tensione che si era inevitabilmente creata.

Eppure parevano i soli ad avvertire nervosismo: il pranzo infatti, proseguì caratterizzato dalla vivacità dei bambini che si erano messi a ballare attorno al tavolo al ritmo di una filastrocca, e da Sophie che di nascosto da Malia, aveva staccato un paio di piume dal tacchino impagliato per infilarsele nel felpone, fingendo lei stessa di essere un tacchino, suscitando l’ilarità generale.

Il momento dei dolci fu quello che consacrò in un certo senso il divertimento nella stanza. Tutti ridevano e discutevano di argomenti più frivoli; Laura, Cora e Isaac ballavano assieme ai bambini e Talia da padrona di casa perfetta, iniziò a distribuire apple pies e pumpkin pies in quantità industriali.

Stiles puntò lo sguardo su una delle fette arancioni – colore della zucca – che pareva gli implorasse di essere mangiata. La frolla sembrava perfetta alla vista, la base di zucca invitante e lo spruzzo di gelato alla panna il tocco perfetto per rendere quel dolce delizioso.
Stiles prese la fetta con le mani, in maniera distratta perché intento a fissare Laura e Sophie mentre ballavano, e per questo non si accorse di toccare delle dita al posto della frolla.

«Questa fetta è mia…»

Stiles si girò di scatto: lui e Derek avevano scelto la stessa porzione di torta, il che era ridicolo. In fondo c’erano così tanti dolci da poterli vendere, non c’era bisogno di combattere per lo stesso pezzo.

«Scusa, ne prendo un’altra» disse Stiles, con la presa ancora ben salda sulla torta e soprattutto ancora intento a toccare con quel gesto le dita di Derek.

«Beh allora fallo» rispose Hale, nemmeno troppo convinto a mollare il colpo.
Stiles alzò lo sguardo: l’espressione di Derek era la stessa di un cerbiatto investito da un fascio di luce per strada. Le sue iridi erano così magnetiche, che Stiles si ritrovò ad essere scosso da esse, immergendosi negli sprazzi di verde che le caratterizzavano.

La presa di entrambi sulla torta svanì, ma non perché uno dei due l’aveva fatta cadere: Stiles vide Malia che in pochi morsi stava digrumando con gusto quella stessa fetta, assaporandone la morbidezza.

«Grazie» ridacchiò lei, spazzando via le briciole dalla tovaglia con un espressione che Stiles non potè che considerare piuttosto furba sul volto.

«Ma ora assaggiamo i deliziosi brownies di Stiles! Bambini, sono tutti per voi!»
Laura entrò in sala con la teglia di quei deliziosi cubotti al cioccolato impugnata per bene, volteggiando tra le sedie poste ormai in disordine, dato che gli invitati si erano spostati sul divano per chiacchierare, aspettando la tradizionale partita di baseball.

Stiles non fece nemmeno in tempo ad afferrare una delle sue specialità, che tutti i bimbi, e soprattutto Derek, si erano letteralmente fiondati verso la teglia.

«Ehi, e a me non ne lasciate?» sbottò Stilinski, fingendosi offeso.

«No, sono per i bimbi! Zio Derek, vai via!» rispose Sophie, con gli angoli della bocca già tutti macchiati di cioccolato, e un sorriso sincero e divertito.

Stiles non potè fare altro che annuire alla bambina, afferrando una fetta di torta di mele da sotto il naso di Derek, il quale c’era rimasto male per essere stato escluso dal divorare i dolci.
Ora si che erano pari, pensò Stiles, assaporando con gusto il dessert.

-

Stiles voleva davvero bene a Malia, e quella sera non potè che provare sincera ammirazione nei suoi riguardi.
Era stata lei a decidere, nonostante l’obiezione di Talia e Laura, che fossero Derek e Stiles a risciacquare la marea di pentolame vario che non riusciva a stare in lavastoviglie.

«Derek emette più di un suono di senso compiuto da quando Stiles si è seduto vicino a lui. Voglio solo che il mio cuginetto adorato sia loquace. Altrimenti sarebbe il solito stoccafisso, bravo a confondersi col mio meraviglioso tacchino…» Stiles sentì Malia spiegare così la decisione a Talia, mentre lo spingeva letteralmente in cucina, insieme a Derek.

La ragazza chiuse addirittura la porta a chiave, separando completamente il mondo della festa che si stava svolgendo in sala, da quello del lavoro di gomito che si sarebbe tenuto in cucina.

Stiles non obiettò; sarebbe stato incoerente da parte sua lamentarsi di una situazione del genere.
Avrebbe passato almeno mezz’ora da solo con Derek, e se gli andava di lusso, avrebbe persino parlato un po’ con lui, usando parole vere e non uno strano linguaggio fatto di sopracciglia alzate e sguardi furtivi.

Stiles sospirò, riunendo dalla sua parte del lavandino tutte le pentole sporche, mentre Derek preparava l’asciugamano e puliva il ripiano da eventuale residuo di cibo.

Gli occhi di Stilinski si posarono su un angolo della cucina, esattamente vicino alla finestra, dove una treccia di foglie secche era appoggiata a mo’ di decorazione.
Stiles la riconobbe: era una delle tante che aveva fatto creare ai bambini all’asilo, però questa era diversa.
Al centro c’era un disegno di un simbolo a forma di “s”, creato con gel dorato, pieno di brillantini, che dava uno splendido tocco in più alla composizione.

«Ehi! Quella è decorata, che meraviglia!» esclamò Stiles, riempiendo Derek di gomitate sul braccio per attirare la sua attenzione.
A furia di stare coi bambini, Stiles aveva riacquistato pienamente un comportamento giocherellone, più di quanto il quarto di secolo che aveva sulle spalle gli consentisse.

«E’ una mia aggiunta. Mi sembravano più belle così» borbottò Derek, mentre apriva l’acqua e indossava i guanti.

Stiles non potè fare a meno di sorridere di nuovo, immaginandosi Derek che con tutta la cura e la pazienza del mondo, disegnava sulle foglie secche e su quelle rosse o giallastre, attento a non romperle.

«E splendida» disse a bassa voce, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse vicino a Derek, tanto che le loro braccia si sfioravano ripetutamente, davanti al lavandino.

Stare accanto a Derek così, a lavare i piatti insieme, stava facendo crescere in Stiles una sensazione di calore e tranquillità che poche volte aveva provato in vita sua. Per un attimo, solo per un secondo, pensò di essere a casa, indietro di vent’anni a festeggiare il ringraziamento assieme a John e Claudia, sua madre.

Senza di lei, c’era ben poco da ringraziare.

«Ho visto che ti sei divorato i pochi brownies sui quali hai potuto mettere le mani. Ho usato la ricetta preferita di mia madre. Ormai lo facciamo ogni anno con mio padre, da quando lei non c’è più, ringraziando e ricordando i momenti felici passati con lei, un morso alla volta, piangendo ogni anno sempre di meno. Lo so che non ti interessa, però volevo confidartelo.»

Stiles passò una pentola a Derek, le dita che di nuovo si sfioravano, e l’Hale che si morse un labbro.
«Mi dispiace. La ricetta è sensazionale, tua mamma doveva essere un portento…» borbottò, dopo qualche minuto. Sembrava si fosse studiato la risposta nella mente più volte, prima di esternarla.
A Stiles comunque importava solo dell’apparente empatia che Derek aveva appena mostrato.

«Grazie» rispose lui dopo qualche istante, con i guanti rossi impastati di schiuma e la spugna piena di residui di cibo, mentre l’acqua del rubinetto si sostituiva al silenzio comodo che aveva invaso la stanza.

Stiles non riuscì a non sobbalzare, ogni volta che il suo braccio veniva toccato da quello di Derek.
Aveva un ritardo di dieci anni negli affari di cuore, lo sapeva bene, e non gli importava. Ne avrebbe aspettati venti, o trenta, se quello voleva dire incontrare Derek lungo il suo cammino.

I due terminarono di lavare, sempre senza proferire parola, ma entrambi a loro agio. Stiles notò la posa meno rigida di Derek, il che voleva dire che la sua presenza non lo disturbava più.

«Oh, finalmente abbiamo terminato. Ora possiamo raggiungere la tua famiglia nell’altra stanza, non voglio perdermi la partita dei Mets per nulla al mondo!» esclamò Stilinski stiracchiandosi le braccia.
Quando si girò verso Derek per trascinarlo con lui fuori dalla cucina, si rese conto che il ragazzo lo stava fissando su una guancia.

«Uhm»

«Che c’è? Ho un brufolo per caso? Forse l’effetto dei croissant giornalieri sta iniziando a farsi sentire, e dire che l’adolescenza è passata da un pezzo…» Stiles iniziò a tastarsi la guancia destra, non avvertendo alcun tipo di stranezza.

Derek, invece, indicò la propria guancia sinistra, in maniera piuttosto goffa. «Sei sporco di detersivo» disse imbarazzato, indicando a Stiles il punto esatto.

Stiles annuì. «Oh grazie, sono il solito impiastro. A furia di stare con i bambini ormai mi comporto come loro!» ridacchiò, spiaccicandosi il detersivo sul resto della faccia, al posto di toglierlo completamente.
Stiles sentì lo sguardo di Derek su quella guancia sporca, e vide l’Hale avvicinarsi, brandendo un fazzoletto di stoffa che aveva estratto dalla tasca in tempo di record.
Derek lo posò sulla pelle di Stiles, pulendola con cura e Stilinski seppe che stava diventando rosso come un peperone: l’altro era effettivamente troppo vicino, tanto che Stiles poteva sentire il suo respiro caldo sul collo.
Ora che ci faceva caso, le immense pupille nere di Derek che lo scrutavano, erano persino più dilatate.

«Aspetta…ok, ora è pulito.» Derek si allontanò a testa bassa, mentre apriva la porta della cucina e correva via, lasciando Stiles in piedi, ancora turbato dalla marea di sensazioni che quel contatto gli aveva provocato.

-

Fu a metà della partita “Dodgers contro Mets”, che la voce squillante di Sophie annunciò cosa stesse accadendo al di fuori della villa.
«Nevica! Guardate, sta nevicando!»

Tutti, compresi Stiles e John, troppo concentrati sul match anche durante la pausa, corsero verso le finestre, a osservare lo spettacolo che quell’inevitabile manto bianco e silenzioso aveva regalato.
Si poteva notare anche al buio la quantità di neve che era caduta a sorpresa durante la cena: aveva coperto tutta la distesa di foglie, tanto che distinguere le auto parcheggiate o rami caduti dagli alberi era impossibile

«Le strade saranno impraticabili. Sono caduti almeno venti centimetri di neve, ad occhio e croce» sbottò lo sceriffo, che guardò Stiles con un pizzico di frustrazione.

«E che problema c’è? Dove si dorme in venti, si può benissimo dormire in ventidue, no?» rispose Peter Hale, scrollando le spalle.

«Ma non vogliamo disturbare! Accendiamo il riscaldamento della macchina e stiamo lì…» blaterò John in risposta, sinceramente imbarazzato.

Stiles venne letteralmente anticipato da un Derek stupefatto. «Sceriffo, mi scusi ma è una pessima idea: consumerebbe la batteria senza motivo. E’ praticamente intrappolato in casa nostra, che lo voglia o meno…»

«Derek ha ragione. Ora goditi la serata, troveremo un posto per la notte, tanto il divano sul quale vedevate la partita diventa letto senza problemi…» continuò Peter, sorridendo.

Stiles e lo sceriffo si trovarono ad annuire, ringraziando tutti gli Hale per la loro gentilezza. «Grazie mille allora…» sorrisero, con Stiles che andò a cercare Derek con lo sguardo.
Derek alzò di poco le labbra, rendendo il giovane Stilinski più soddisfatto di quanto non fosse mai stato quella sera.

-

In realtà John e Stiles condividevano il divano letto con Cora e Isaac, che avevano promesso di non saltarsi addosso nel cuore della notte in nessun modo.

Stiles potè udire distintamente suo padre russare, così come Isaac dall’altra parte del divano.
Lui invece non riusciva a prendere sonno, senza il cuscino che usava sempre a casa a sostenere spalle e testa.
Stiles si girò più volte per trovare la posizione giusta, anche se assomigliava ad uno spiedino o ad un pollo arrosto, tanto che le coperte gli si attorcigliarono tra le gambe.

«Calmati Stiles. Non hai mai perso questa perenne iperattività, o sbaglio?»
Cora accanto a lui alzò la testa, appoggiandosi con la guancia sulla mano.

«No. E non credo di perderla mai, ora che sono sempre con bambini, che sono l’esempio più palese di agitazione continua…»

«Chiaramente. Ascolta, e con mio fratello come va? Ho visto che vi siete gironzolati attorno a vicenda tutta la sera. Se foste stati dei cagnolini, vi avremmo visti ad annusarvi il sedere a vicenda»

Stiles scosse la testa. «Tu e tua cugina Malia siete abbastanza crude ed esagerate con gli esempi, per i miei gusti.»

«Si certo, è perché siamo realiste Stiles, c’è poco da fare. Comunque hai il suo numero, vero? Glielo avrai chiesto, spero…»

«No.»

«Ok. Non sarò io a dartelo, se non alzi quel bel sedere sodo che ti ritrovi, e trovi il coraggio di chiederlo tu a Derek. Buon black Friday Stiles a proposito. E ricordati che in amore non ci sono mai sconti.»

«E’ la massima peggiore che abbia mai sentito.» ridacchiò Stiles, voltandosi verso suo padre per sperare che il domani gli regalasse un pizzico di coraggio in più.

-

Stiles tastò le tasche del giubbotto quando ormai era già tornato a casa, trovandoci un bigliettino con un numero e una dedica: avvicinò lo sguardo stupito al foglietto, leggendoci queste parole, scritte in una calligrafia piuttosto piccola e ordinata.

“Lo faccio solo perché è da molto che io e te non ci vediamo, a parte ieri chiaramente e mio fratello è stato particolarmente espansivo ieri, ogni volta che gli sei stato accanto. Ma se non lo chiami o gli spezzi il cuore, sei un ragazzo morto”.
Con affetto, Cora.
1223554638.
Ps, Derek non sa che te l’ho dato.

Stiles strinse tra le mani quel semplice ma fondamentale stralcio di foglio.
Cosa poteva farne? Poteva chiamare Derek?
Aprirgli il suo cuore?
No, per Stiles era un concetto che non sapeva ancora affrontare.
Stiles ripose il biglietto nel cassetto della sua scrivania. Nonostante tutte le sensazioni che aveva provato la sera precedente, non si sentiva ancora pronto per iniziare a frequentare qualcuno.

Dovettero passare due settimane prima che il figlio dello sceriffo rivedesse Derek.

   
 
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