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Autore: Dietrich    24/05/2009    4 recensioni
Ecco cosa succede quando un Principe adolescente pensa troppo e un Conte capriccioso si annoia. I personaggi non sono miei, ma della sensei Toboso Yana.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“Forse non sarei mai dovuto venire qui in Inghilterra” pensava il principe Soma, mentre se ne stava disteso mollemente sul morbido divano di porpora, che ornava uno dei molti salotti di casa Phantomhive. Si sistemò meglio un cuscino sotto la testa e incrociò le braccia dietro di essa.
Da quando era giunto in quel paese, non aveva fatto altro che subire dolori su dolori. Sembrava che tutti lo volessero abbandonare. Sì, certo, Agni lo aveva fatto per il suo bene, e Mina perché era stufa della rigida legge delle caste. Ma rimaneva il fatto che quello era un paese di gente fredda, quasi insensibile, che ti guarda dall’alto in basso, ignorando se tu ti senti morire dentro lentamente.
Tutti tranne uno: era sciocco dirlo, ma Ciel, quel piccolo conte dallo sguardo triste e dai modi freddi, era riuscito a farlo sentire almeno un po’ felice dopo tanto tempo. Nel momento del bisogno l’aveva aiutato, anche se non l’avrebbe mai ammesso. E con quell’impacciato modo di chiedergli di giocare a carte, gli aveva tentato di fargli compagnia.
Soma chiuse i suoi occhi color dell’ambra. Povero ragazzino: solo dodici anni, e così tanti fardelli da sopportare. In confronto al conte, si sentiva più viziato che mai. Lui che aveva sempre ottenuto ciò che voleva, lui che era un principe nella sua terra e tutti si sarebbero sacrificati per la sua vita, impedendo qualsiasi dolore fisico, come essere privati di un occhio. Dodici anni, e alle spalle un passato così crudele. Era sciocco pensare di voler fare qualsiasi cosa in proprio potere per lenire le sue ferite?
Sì, era sciocco, perché lui non c’entrava nulla, si era autoinvitato in casa sua, aveva occupato la sua vita personale e aveva preteso aiuto in ogni momento di difficoltà. Però ora si era stufato, non riusciva ad andare avanti sapendo di non aver ricambiato la gentilezza di Ciel. Senza avergli dato qualcosa, qualsiasi cosa, in cambio.
Era da quella mattina che ci pensava. Anzi, da quella notte. Nonostante fosse ormai una cosa diventata abituale tra loro due, quel giocare a carte fino a tardi, Soma lo vedeva come l’unica occasione per stare da solo con il conte e conoscerlo, diventare a tutti gli effetti quel grande amico che si era prefisso di essere e donare un po’ di conforto a quel cuore dilaniato.

Come sempre si erano trovati nel piccolo salottino vicino alla camera del conte, e avevano iniziato a giocare e a chiacchierare come sempre. Cioè, Soma parlava animatamente come al solito e Ciel annuiva e taceva.
Il principe aveva perso per l’ennesima volta.
- Uffa! Non è giusto, Ciel! Perché non vinco mai? - si era lamentato.
- Perché non sai le regole - aveva risposto apaticamente l’erede dei Phantomhive.
Facendo una faccia offesa, Soma aveva preso le carte e le aveva lanciate in aria, in un infantile scatto d’ira.
- Sei veramente un principe viziato, Soma - aveva poi detto Ciel, inarcando un sopracciglio infastidito, e si era alzato per poi inginocchiarsi in terra a raccogliere le carte.
- Scusa - aveva sussurrato il principe, unendosi al conte in terra, prendendo con cura una carta alla volta e rimettendole in ordine.
Il silenzio era calato su di loro, cosa assai rara, poiché Soma lo odiava e per questo cercava di spezzarlo parlando a raffica al piccolo Phantomhive. Stavolta però non se la sentiva, perché si meritava il rimprovero di Ciel.
Distratto nella sua autocommiserazione, aveva finito con l’afferrare la stessa carta che aveva preso il conte, facendo in modo che le loro mani si toccassero.
Accadde così una cosa. Una cosa che mai si sarebbe immaginato. La sua mano si trovava sopra quella di Ciel e stava per spostarla, per permettergli di raccogliere la carta, ma il conte lo fermò. Prese con le sue piccole e pallide mani la sua e se la portò alla guancia, che era innaturalmente ghiacciata.
- Le tue mani sono calde - mormorò Ciel, con l’occhio socchiuso e la guancia a riscaldarsi nel tepore del principe.
A Soma si strinse il cuore: ciò che mancava al conte era proprio questo, del calore umano. Il primo pensiero che ebbe fu quello di abbracciare il ragazzino, ma si trattenne. Sapeva che così l’avrebbe infastidito e Ciel lo avrebbe scansato in malo modo, andandosene poi dritto a dormire. No, doveva trovare un modo di far durare quel momento, almeno un po’ a lungo.
Rimase così immobile, ad attendere la probabile reazione fredda e imbarazzata del piccolo conte con un po’ d’amaro nel cuore. Ma non accadde nulla. Anzi, più passavano i minuti, più Ciel si premeva contro la sua mano. E piano piano, in un movimento così lento, le labbra del giovane Phantomhive si avvicinavano al suo palmo.
Soma, in un silenzio religioso, trattenne il respiro nel momento in cui sentì quella superficie morbida e fredda riscaldarsi grazie al suo calore naturale. Il palmo premeva contro quelle labbra, e le sue dita da principe, che non avevano mai conosciuto la fatica di un lavoro, si aprivano a contenere tutto il viso del conte, quasi volessero afferrare quella maschera fredda e apatica e distruggerla, e ridare la libertà al vero Ciel.
Tra queste dita, quell’occhio color del cielo lo fissava, e non era il solito sguardo scostante, chiuso, che impediva anche solo di immaginare cosa provasse, era uno sguardo segnato dal dolore che chiedeva compagnia, calore, affetto. Soma era veramente turbato da questa visione, che mai si sarebbe aspettato. E proprio grazie a quell’occhio, che brillava nonostante la stanza fosse illuminata da una sola candela posata sul tavolo, il principe mandò all’aria tutte le sue esitazioni e avvicinò a quel piccolo viso anche l’altra mano.
Iniziò così ad accarezzargli i capelli, tirandoglieli un po’ indietro, per poi farli ricadere di nuovo in avanti, e sentire la loro consistenza simile a seta scivolare tra le mani. Scese poi verso la tempia, la dolce linea della mandibola, passando i polpastrelli sull’orecchio e raggiunse il collo, anch’esso gelato. La sua mano s’insinuò dolce all’interno del colletto della camicia, riscaldando ogni centimetro di pelle che accarezzava.
Durante tutto ciò, l’occhio non smetteva mai di guardarlo, e la bocca non smetteva mai di baciarlo.

La porta si aprì, e un rumore conosciuto di passi, lo destò da quel suo ricordo che sembrava quasi un sogno.
- Principe, cosa ci fate qui tutto solo? Oh, scusate, stavate dormendo… -
- No Agni, tranquillo…mi stavo solo rilassando, tutto qui -
- Ah, bene. Se mi cercate, sono in cucina ad aiutare Bard…con permesso -
Una scia di capelli bianchi sparì dietro la porta. Soma chiuse di nuovo gli occhi, cercando di tornare con il pensiero a dove era rimasto, anche se sapeva che i suoi preziosi attimi con il conte erano stati interrotti dall’arrivo di Sebastian e Agni.
- Non fai nulla dalla mattina alla sera, Soma… e adesso ti prendi pure del tempo per rilassarti - sentì dire il principe, in tono ironico, dalla persona che di soppiatto era entrata nella stanza.
- Ciel! - esclamò, sollevandosi sui gomiti, in modo da vedere meglio la seria faccia dell’erede dei Phantomhive.
Il ragazzino non gli rispose, si limitava semplicemente a osservarlo, a studiarlo in ogni suo minimo dettaglio.
Le gambe mollemente adagiate, una sul bracciolo del divano e l’altra che ricadeva giù. I fini pantaloni di lino bianco, che cadevano morbidi sulle gambe lunghe del principe, evidenziavano ogni curva. Il petto, che lentamente si alzava e si abbassava, era accarezzato da una semplice maglietta di seta rossa, con uno scollo che si apriva un po’ a scoprire una spalla. La curva del collo, il suo viso, i suoi occhi, la sua pelle, che ricordava ancora così calda.
Chiuse piano la porta dietro di sé, girandola una volta nella toppa. Si avvicinò al divano, piano, e vi si sedette, in modo che, appena si piegò sopra il principe, potesse sovrastargli il volto. Soma si limitò a tornarsene con il capo disteso sul cuscino.
Si osservarono a lungo. Nessuno che riusciva a fare la prima mossa, entrambi che s’inebriavano del calore e della vicinanza dell’altro.
- Soma, tu non fai mai niente… - gli sussurrò poi Ciel - renditi almeno utile: riscaldami - ordinò.
L’unica persona a cui mai il principe aveva obbedito così subitaneamente era il conte: prese quel piccolo viso tra le mani, lo accarezzò, o strinse, s’impresse nella memoria la sua pelle liscia. Poi arrivò al collo, e fece la stessa cosa e stavolta sapeva che nessuno sarebbe giunto a interrompere la sua discesa.
Infatti, appena le sue mani si trovarono ostacolate dai bottoni della camicia di Ciel, questa si aprì arrendevolmente, permettendo a esse di continuare il loro lavoro. Toccò così le scapole, il petto, sentendo distintamente i capezzoli del conte indurirsi a quel gesto, continuò verso il basso, accarezzando le costole, l’addome, i fianchi.
Quel ragazzino era terribilmente esile, sembrava doversi spezzare da un momento all’altro. Così il suo tocco divenne ancora più dolce, facendo il percorso contrario lungo tutta la schiena, arrivando così ad abbracciarlo involontariamente.
Ciel si lasciò andare, finendo con il viso nell’incavo del collo di Soma. Stettero così per un po’, o per lo meno questo era ciò che poteva sembrare a chiunque li avesse visti in quel momento.
Tuttavia nessuno mai seppe, nessuno mai vide le mani del principe scivolare ancora lungo quella piccola schiena, in una carezza quasi infinita, nessuno mai vide il respiro del conte infrangersi fra quei capelli scuri dall’odore di vaniglia, nessuno mai vide gli sguardi incontrarsi ancora, ambra nello zaffiro, e le labbra posarsi le une sulle altre.

- Principe la vedo turbato…cosa avete? - Agni lo fissava apprensivo.
Soma lentamente si votò a guardarlo, con il mento appoggiato al palmo della mano, seduto sul davanzale della finestra della propria camera.
- Non ho nulla, veramente, Agni. Non preoccuparti - rispose calmo, cosa strana per lui sempre così su di giri.
Il maggiordomo inarcò le sopracciglia, continuando a guardarlo in quel modo. Poi sospirò, decidendo che forse un Soma così tranquillo era una piacevole novità rispetto al solito. E se lui aveva detto che non aveva nulla, allora gli credeva.
Il principe, dopo avergli lanciato una veloce occhiata, tornò a rivolgersi verso al finestra, verso il tramonto inglese che si spegneva dietro gli alberi del bosco della tenuta. Le dita della sua mano finirono sulle sue labbra. Le scostò, veloce e imbarazzato.
Ciel era riuscito a trasformare il conforto e l’amicizia che il principe gli aveva offerto in qualcosa di più. In qualcosa che lo faceva arrossire e desiderare di correre per tutta la villa alla ricerca di quelle labbra. Si toccò di nuovo la bocca.
Chissà se anche il conte aveva percepito le sue labbra come qualcosa di morbido e dolce da toccare. Chissà se anche Ciel si era sentito annientato, quando quel bacio era andato oltre, provando qualcosa che mai aveva osato immaginare, un contatto così intimo, così proibito, così incandescente.
- Che Kalì mi perdoni - mormorò Soma, senza farsi sentire dal suo maggiordomo, che già preparava il letto per la notte.
Bussarono alla porta. Era l’alto e tenebroso Sebastian che portava una piccola busta color porpora con sopra il nome del principe. Agni non ebbe bisogno di portargliela, perche Soma si precipitò quasi a riceverla dalle mani dell’alto maggiordomo.
- Da parte del Signorino - disse laconico Sebastian, con un sorrisetto dai mille significati.
Il principe non ci badò. Non si accorse neanche che l’altro maggiordomo se ne era andato e che il suo lo guardava perplesso.
Aprì e lesse. La richiuse e la abbandonò sul proprio cuscino.
Uscì di corsa dalla porta, seguito da un Agni pieno di domande; appena Soma arrivò davanti alla porta del salottino accanto alla camera del conte, disse serio: - Che nessuno mi disturbi - . E chiuse la porta dietro di sé.

Se il maggiordomo indiano fosse tornato nella camera e avesse letto la lettera porpora sul cuscino bianco, forse avrebbe capito il perché dell’agitazione e del rossore che era apparso sulle guancie del suo principe in quel momento, quando si era precipitato dal conte.
Ma il segreto dei due nobili non fu mai scoperto.

“Soma, tu
non fai mai niente…
renditi almeno utile:
Baciami.
C.”


FINE
   
 
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