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Autore: Ruta    26/12/2016    4 recensioni
“Non si vive di soli ricordi,” lei gli poggia le mani ai lati del collo e lo scruta con una dolcezza ineffabile.
“Si può invece.” Come credi che sia sopravvissuto fino ad oggi?
Si piega in avanti per strapparle un ultimo bacio in una stanza invasa dai profumi della sera incombente, dal frinire delle cicale, dalla risata del bambino che è stato, dalle reminiscenze di un periodo in cui non conosceva altro che non fosse l’inconsapevole beatitudine e spensieratezza di uno stato di grazia rarissimo: felicità pura, ideale.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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finchè

Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo.
Isabel Allende, Paula

 

 

 

“Sei tornato.”
La voce alle sue spalle non lo sorprende, eppure una parte di lui – una debole e sciocca che era convinto di avere estirpato da ragazzo – ha un sussulto interiore quando si volta per incrociare gli occhi limpidi di Molly Hooper. Lei lo scruta con un’ombra di rimprovero che neppure la sua espressione pacata riesce a ingentilire.
Sherlock memorizza con un’occhiata avida l’aspetto di lei, immobile e saldato nell’obitorio in un momento di perfezione come quello di un dipinto. Avanza come un predatore, la circonda, occupando il suo spazio vitale con la condiscendenza e la prepotenza che per anni è stata abituale ai loro rapporti. Ciò nonostante c’è una nota inedita e nuova nel modo in cui lei si sottrae alla sua presenza, arbitraria nelle sue rimostranze, nella furia che emana e che si dipana da lei, nociva e vischiosa come veleno.
Sherlock piega la testa di lato e il suo sguardo si sfalda in mille crepe ai bordi della bocca pragmatica, degli occhi chiari che indugiano come un’imposizione sulla figura minuta di lei per vedere e non osservare. “Sono tornato perché posso.”
Molly fa una smorfia contrita, china il capo. La cortina dei suoi capelli sciolti e ondulati gli nasconde alla vista il volto che neppure il ricordo del reale riesce a sfumare. Indelebile. Molly Hooper è un marchio indelebile, si riscopre suo malgrado intento a pensare. E come potrebbe essere altrimenti?
“Non dovresti essere qui.”
Ha deposto le armi e ciò nonostante… ciò nonostante il cessate il fuoco di Molly è una vittoria vuota. La rassegnazione nella sua fronte accigliata, la desolazione impressa nelle sue spalle afflosciate, il dispiacere palpabile sono immagini troppo vivide perché lui non ne senta un’immediata risonanza, un contraccolpo da qualche parte in alto nel torace, come l’eco di un’antica sinfonia suonata da terzi.
Con un sospiro che sembra privarlo di ogni energia in esubero, poggia la fronte contro quella di lei. La sente irrigidirsi. L’odore familiare della sua pelle – uva e formaldeide - lo avvolge con la stessa sensazione confortevole che ha sempre provato a Baker Street. Una vita diversa, un uomo diverso, in una storia che non lo vede più protagonista e a cui altri hanno messo la parola fine in sua vece.
“Non dovrei?” chiede e con le dita le scosta gentilmente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sai che è sbagliato,” lei bisbiglia di rimando, mordendosi il labbro inferiore. “Cosa direbbe tuo fratello se ci trovasse così?”
“Fortuna vuole che Mycroft abbia sentito il bisogno di confinare la sua presenza ingombrante nella stanza 110 del terzo piano.”
Il suo sorriso da canaglia non basta a intenerirla. Molly si scosta con un’aria incredula. “Hai davvero rinchiuso tuo fratello nel reparto dei casi irrisolti?”
Lui rotea gli occhi. “Non è un reparto,” sottolinea con tono petulante. Per l’amor di Dio! Si tratta di un numero assolutamente esiguo di scaffali con i rari – dieci, venti, cinquanta al massimo – casi ai quali si è trovato nell’incapacità di trovare una spiegazione logica. Chiamarlo reparto è una gonfiatura della realtà dei fatti.
La risata divertita di Molly lo ripaga all’istante di quel breve interludio di malumore. “Come preferisci.” Quando lei, sempre ridendo, si allunga sulle punte per gettargli le braccia al collo, la tristezza è uno spettro lontano.

 

 

Finché esiste il ricordo.

 

 

 

 

Non sono che briciole. Eppure qualsiasi affamato dopo un lungo digiuno riuscirebbe a saziarsi con molto meno. Questa è una bugia. Nessuna persona dotata di un barlume d’intelligenza accetterebbe mai una simile tesi. Un tempo anche per lui sarebbe stato così, ma quel tempo sembra affievolirsi nelle luci languide del crepuscolo, nei giochi di chiaroscuro che si rincorrono gioiosamente sul viso di Molly Hooper. Un viso giovane, invariato, incontaminato dal tempo e dalle sue menzogne insidiose.
La mano di Molly scivola nella sua con una facilità disarmante. I suoi occhi paiono avere accolto il flusso turbolento dei pensieri che sta covando e sono venati d’improvvisa consapevolezza.
“Che giorno è?”
Sherlock tace. Fissa le loro mani intrecciate e poggiate sul davanzale della finestra a cui sono affacciati. Il sole sta tramontando, tappezzando d’arancio le pareti della sua stanza d’infanzia, soffondendo di malinconia i rumori e i colori del paesaggio esterno: un pomeriggio estivo, il latrato di un cane e gli schiamazzi di un bambino che non esiste più.
“Sherlock, che giorno è oggi?”
La gentile insistenza con cui lei lo sta pregando è un dolore vecchio e amico.
Serra gli occhi per evitare il ricordo che lei ha rievocato, ma ogni sforzo è inutile. Ricorda le urla e il successivo silenzio, l’impotenza, il senso di vuoto, l’abisso di una perdita che, non importa quanti anni siano trascorsi da quando è accaduto, rimane incolmabile.
Le lacrime che Molly sta piangendo sono le sue. Lei è una parte di lui, la migliore, perciò osservarla è osservare una parte di sé, è come rimirarsi nel riflesso di uno specchio.
“Oggi è il giorno in cui sei morta.”

E’ il giorno in cui ti ho persa.
“Raccontami,” lei dice, sfiorandogli la guancia. “Aiutami a ricordare.”
Lui vorrebbe evitare di soddisfare la sua richiesta, allontanarsi, ma questo equivarrebbe anche a privarsi della sua compagnia, evitare un contatto da cui, non importa se vero oppure no, non è ancora pronto a liberarsi. Indugia nel calore fittizio della mano di lei, nell’amore fiero e feroce che intravede nei suoi occhi.
“Perché sei qui?”
Che domanda. Non è ovvio il motivo? “Sono qui perché non posso dimenticare.”
“Dimenticare cosa?”
Che è tutta colpa sua, dimenticare la sua idiozia, la sua arroganza, la sua eclatante ottusità. Dimenticare lei.
Con il polpastrello accarezza la curva sottile del suo polso, accoglie con sollievo il battito forsennato del sangue nelle vene. Anche qui, dove tutto è fermo a memorie cristallizzate, dove ogni cosa e persona non subisce gli inevitabili mutamenti o deterioramenti del caso, la sua mente non concepisce l’idea che lei non sia viva. Ogni suo respiro ne è una conferma.
“Come sono morta?”
“Per un mio errore.”
“No, Sherlock.” L’impazienza di lei è evidente. “Come?”
“Perché sono stato debole.”
Molly sbuffa. “Non ti ho chiesto perché, ma come e anche se fosse dubito che quella sarebbe la causa.”
Le sopracciglia di lei si scontrano in un acciglio irremovibile. Vuole la verità. Non accetterà altro. E sia, dunque.
“Un colpo di pistola.” La sua voce non è secca né priva di intonazione, al contrario vibra di collera e risentimento.  
“Uno solo?”
“Alla nuca,” lui spiega stentoreo e con il pollice le mostra il punto esatto in cui il proiettile ha perforato la pelle. Non le racconta della piccola pozza di sangue che le aveva imbrattato i capelli e il colletto del camice da laboratorio, della luce spenta nelle sue orbite spalancate e fisse al soffitto. Non serve perché Molly sa già tutto questo, sono particolari che ha appreso per averli analizzati sulle facce dei suoi pazienti centinaia di volte.
“Doveva avere una buona mira allora.”
La battuta non ha l’effetto sperato. “A distanza ravvicinata chiunque ha una buona mira.”
Il sorriso di Molly non è scalfito dalla mancanza di reazione. La sua allegria ha qualcosa di stonato, è fuoriposto eppure ha perfettamente senso. D’altronde perché dovrebbe essere impaurita? Quando mai la morte ha esercitato un potere di qualsiasi tipo su di lei? Ha generato curiosità, interesse, tristezza, ma mai amarezza o angoscia. Soltanto una volta, in un caso senza eguali.    
“Quando è successo? Quanto tempo è trascorso?”
Sherlock si rifugia nel silenzio come se fosse la sua trincea, ostinato.
“Rispondi alla domanda, Sherlock.”
“Che importanza può avere?”
“Tutto ciò che conta,” è la risposta di lei.
Perché mentire? A che pro? “Dieci anni.”
“Dieci anni,” lei ripete in un sussurro sbigottito, portandosi una mano al cuore. Il suo viso esprime mille emozioni e il loro peso lo accartoccia come un pezzo di carta che sta bruciando. Il tramonto ha raggiunto le sue tinte più fosche e sanguigne, una brezza leggera fa muovere le tende bianche verso l’interno, rialza gli schizzi di disegno sparsi sulla scrivania. Molly si abbraccia il busto come se il vento che le soffia addosso fosse pregno di neve e non della calura del giorno morente. Trascorre un lasso di tempo che pare eterno prima che lei gli rivolga di nuovo la parola.
“Hai mentito.”
Lui aggrotta la fronte. “Non l’ho fatto.”
Molly gli rivolge un sorriso di puro sconforto. “Hai detto che sei qui perché non puoi dimenticare, ma non è vero. Sei qui perché l’hai già fatto, hai già dimenticato. Io sono morta. Sono morta, Sherlock e non c’è niente che possa riportarmi indietro. Non sono reale. Sono solo –”
“Un ricordo,” la interrompe, comprendendo appieno il significato delle sue affermazioni.
“Non si vive di soli ricordi,” lei gli poggia le mani ai lati del collo e lo scruta con una dolcezza ineffabile.
“Si può invece.” Come credi che sia sopravvissuto fino ad oggi?  
Si piega in avanti per strapparle un ultimo bacio in una stanza invasa dai profumi della sera incombente, dal frinire delle cicale, dalla risata del bambino che è stato, dalle reminiscenze di un periodo in cui non conosceva altro che non fosse l’inconsapevole beatitudine e spensieratezza di uno stato di grazia rarissimo: felicità pura, ideale. Dove altro avrebbe potuto portarla se non lì, a condividere quei momenti?
Quando riapre gli occhi è in un salotto vuoto e solitario e lo sguardo che incrocia nello specchio sopra il camino appartiene a un vecchio scorbutico con un segreto.
Il segreto, ben custodito nelle macerie dell'uomo di un tempo, è che finché difenderà il ricordo del passato, una parte di lei vivrà e così facendo anche ciò che resta del suo cuore.  

  
 


N/A:

Scritta di getto dopo l’abbuffata di quest’oggi. Una angst che, spero incrociando le dita, vi piaccia e non mi faccia detestare troppo perché ho ucciso Molly.
Scrivere in questo fandom, non importa quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta o quanto tu ti senta arrugginita, è come tornare a casa dopo un lungo periodo in cui si è stati lontani.
Ne approfitto per regalare un abbraccio particolare alle splendide persone che lo arricchiscono e che, non importa quanto incostante io sia diventata nel rispondere alle recensioni o nel pubblicare (forze di causa maggiore: ovvero le solite cose barbose della vita xD), mi regalano sempre un sorriso di gioia e orgoglio quando leggo i loro commenti, quando esprimono le loro opinioni sui personaggi che amiamo e che mi danno il bentornato con lo stesso calore di sempre. Ringrazio tutti e vi auguro un Natale (anche se in ritardo) strepitoso e, nel caso in cui non dovessimo leggerci prima, un Anno Nuovo pieno di scene sherlolly ;)
 

P.s.: quasi non credo a quello che sto scrivendo, ma manca meno di una settimana al Grande Giorno e l’ansia cresce a dismisura, fomentata dalle foto promozionali, le recensioni e i teaser trailer. Avete visto quanto è bella la nostra Molly? E Mary?

  
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