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Autore: bubblekush23    26/12/2016    1 recensioni
Corinna ha diciannove anni ed è rimasta impigliata nelle preoccupazioni di una quarantenne.
Felix di anni ne ha ventinove, non vuole pensare alla tappa dei trenta ed è un irrimediabile romantico.
Si incontreranno per caso, con la scusa di una sigaretta e finiranno per rivoluzionare la visione della vita che hanno.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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È tardi ma domattina mi dovrò  svegliare comunque alle sette. 
Dovrò andare in cucina, preparare latte caldo e mettermi sulle punte per prendere una merendina dal ripiano. 
I miei passi nelle scarpe saranno silenziosi e la mia voce bassa quando scuoterò dolcemente Maya per svegliarla. 
«La vuoi una birra chiara?» chiede Sage, risvegliandomi dai miei pensieri. 
Annuisco e la guardo. 
Guardo le labbra sottili piegarsi sul viso ovale, gli occhi nocciola inumiditi dal fumo e la massa di capelli ramati sbatterle sulla schiena mentre cammina verso il bancone. 
Non ha preoccupazioni, Sage. I suoi genitori le pagano l'affitto di un monolocale in centro, ha un fidanzato innamorato e all'università ci va quando le pare perché tanto un posto di lavoro nell'azienda alimentare della sua famiglia l'avrebbe sempre avuto. 
Ha il culo parato. 
«Offro io» dice sorridendomi e tenendo in bilico due boccali gocciolanti di schiuma. 
Bevo un sorso di birra, è buona e con un retrogusto dolce amaro. «Grazie». 
Siede davanti a me, si tira i capelli dietro le orecchie e: «Allora? Come va? È da un po' che non ci vediamo!». 
Ha ragione. 
L'ho evitata per due settimane perché, a differenza sua, non ho nulla di emozionante da raccontarle. 
La mia vita procede placida tra commissioni e lavori eoccasionali. Quella di Sage invece è piena di aneddoti dei concerti ai quali è stata, souvenirs dei suoi viaggi e scopate con Axl. 
«La solita vita... E tu?». 
Non mi dilungo troppo anche se le vorrei chiedere se si è accorta dei miei occhi spenti e di come sia diventata una fallita a diciannove anni e anche come farò  domani mattina a nutrire Maya perché non mi sono accorta che le sue merendine erano finite. 
«Alla grande! Forse mi trasferisco a Parigi per un po' con Axl» mormora con il tono vellutato e un sorriso timido sul volto. 
È innamorata e tanto. 
Le invidio anche questo perché vorrei innamorarmi pure io. 
Sorridere, avere qualcuno che mi apra la porta prima di uscire e entrare, un mazzo di rose di tanto in tanto.  
Per tutto il tempo che stiamo in quella tana densa di fumo e voci controllo la busta del tabacco, è vuota e non ho abbastanza soldi per comprarne una nuova. 
Mia mamma dice che dovrei smetterla di fumare, che è un vizio che solo chi ha un lavoro stabile si può permettere. 
«Sage, hai una sigaretta? O del tabacco?» domando, guardandola speranzosa.
Scuote la testa. Dice che ha smesso da più di due mesi, che sono la solita svampita per non essermelo ricordato e che se proprio voglio fumare mi da un grammo di erba, che lei non riesce più fumarla quella degli spaccini di Londra dopo essere stata ad Amsterdam. 
Accetto con un grazie ed un sorriso. 
Avrei rubato una Camel a Noah una volta tornata a casa. 
«Questo posto comunque fa schifo. È l'ultima volta che scegli tu dove andare» mormora,  facendo saettare lo sguardo dal piccolo televisore che da una partita di calcio e un vecchio con il muso appogiato al bancone. 
Fa schifo si, penso, ma è vicino casa. 
L'iphone lasciato sul tavolo vibra e sullo schermo campeggia il nome di Axl. 
Sage risponde e il suo viso si cruccia in un'espressione preoccupata: Axl ha la febbre alta. 
«Scusa, tesoro, ma devo proprio andare!» dice infilandosi la giacchetta di pelle. «Ci vediamo settimana prossima per il mio compleanno». 
Mi lascia un bacio sulla guancia ed esce sui suoi tacchi alti. 
Bevo un altro sorso di birra, la schiuma è evaporata quasi tutta e adesso sembra piscio. 
Afferro il mio parka verde scuro e rabbrividisco quando una volta uscita il freddo di gennaio mi sbatte addosso. 
Infilo in fretta la giacca e mi ci stringo. 
Addossato contro al muro vedo un paio di blue jeans, una fronte troppo alta e delle nuvolette di fumo. 
«Scusi, ha una sigaretta?». 
Annuisce, sfila una sigaretta dal pacchetto e me la passa. 
«Grazie» mormoro, accendendola. 
Sorride a labbra chiuse. «Comunque non sono così vecchio per darmi del lei» protesta. 
Le piccole zampe di gallina intorno agli occhi direbbero il contrario, ma non ribatto sentendo le guance e le orecchie scaldarsi. 
Mi guarda con la faccia simpatica e: «O forse si. Quanti anni mi dai?». 
«Trenta?» tento, grattandomi la fronte. 
Assottiglia lo sguardo e si schiarisce la gola. «Ventinove» precisa. «Posso perdonarti domani sera a cena però».
Sorrido tenendo lo sguardo basso e schiacciando il mozzicone sotto la suola delle mie Vans. 
«Ti ringrazio ma...». 
«Ma preferisci un pranzo? È più informale, ma va bene» m'interrompe, avvicinandosi e inclinando il busto nella mia direzione. 
«Ehm... Non saprei» mormoro piano, alzando lo  sguardo e trovando i suoi occhi color cioccolato alla ricerca dei miei. 
«Qual'è il tuo nome, dolce signorina?». 
Sento le guance avvampare e un sorrisino spuntarmi, nessuno mi aveva mai chiamata così. 
«Corinna». 
Ride con una risata rauca e i denti bianchi dritti in mostra. «È troppo difficile per un vecchio come me, Rory» dice e poi, afferra la mia mano, si china e lascia un bacio a fior di pelle. «Non so se riuscirò a rialzarmi, ma ne varrà la pena se domani verrai a pranzo o cena con me».
E dopo un baciamano chi direbbe mai di no? 
«Cena, ma dovresti dirmi anche il tuo nome» pronuncio cristallina, guardandolo rialzarsi e sorridendogli. 
«Felix Miller. Chiedi e ti sarà dato, dolce Rory». 
Estrae dalla tasca dei jeans il suo telefono e una sigaretta, porgendomi il primo. «Tu scrivi il tuo numero sul mio telefono e io...».
S'interrompe con un sorriso e una camminata a passi lunghi dentro al bar. 
Mezzanotte e mezza, dovrei essere già nel letto a dormire e invece sto lasciando il mio numero a questo pazzo. 
Lo vedo ritornare con una mano a darmi la sigaretta e l'altra a prendere l'iphone. «E io il mio nome su questa sigaretta» termina. 
Infilo il bastoncino nella tasca e: «Si è fatto tardi e devo andare... Ci vediamo domani» lo saluto con un morso al labbro inferiore e poi un sorriso. 
«Domani sera non potrai svignartela così, senza un bacio» ribatte facendomi l'occhiolino e: «Buonanotte, Rory, e non dimenticarti di me». 
Faccio qualche breve passo in direzione di casa per poi girarmi e dirgli: «'Notte, Felix, e tu di me». 
Cammino verso casa con il sorriso stampato sul viso e non sentendo nemmeno più il freddo. 
È passato un po' dall'ultima volta che qualcuno mi ha approcciato, ma in ogni caso nessuno lo aveva fatto con il suo stesso modo di fare. 
Quasi tutti i ragazzi con cui ho avuto a che fare pretendevano che fossi io a smuovere le situazioni: proporre uscite fuori e certe volte anche a fare il primo passo. 
Lanciavano esche, ma non tiravano la lenza. 
Con il mio ex avevo dovuto abboccare ed arrivare a riva da sola, ma nel letto comando io, diceva sempre. 
Non so ancora se Felix abbia solo intenzione di portarmi a letto, usarmi come una bella bambolina per farsi bello davanti agli amici a suon di: ragazzi, mi sono trombato una ragazzina di diciannove anni! 
Ma al momento non voglio pensarci. 
Spingo il portone in vetro smerigliato, salgo i gradini a due a due fino al quarto piano e distolgo lo sguardo quando uno del secondo piscia in una pianta. 
Giro la chiave nella toppa ed entrando sento le voci ovattate della tv provenire dalla stanza di mia madre. La lascia accesa tutta la notte, la tv, altrimenti non riesce a prendere sonno. 
Cammino piano al buio verso la mia stanza, schivando qualche gioco di Maya che giace per terra e che l'indomani avrei dovuto raccattare. 
Noah  è disteso sul suo letto, la schiena che aderisce contro il muro e la testa rinsaccata nelle spalle. 
La luce del pc illumina il suo volto asciutto con i tratti ancora morbidi, da bambino. 
«Vuoi fumare?» gli domando, estraendo dalla giacca la cimetta ricoperta di velina trasparente. 
Piega le labbra piene in un sorriso sghembo e annuisce. 
«Hai una sigaretta, tu? Io ho finito le mie» dice, chiudendo il pc e facendo calare buio pesto nella stanza. 
Apro la bocca, la richiudo. 
Ce l'ho, ce l'ho una sigaretta ma non si può usare. Non la voglio usare. 
Se tutto questo fosse successo un paio di anni fa avrei raccontato tutto a Noah. Eravamo complici, lui si cospargeva di colonia scadente ed io avevo l'apparecchio. 
Poi senza un reale perché ci eravamo allontanati ed eravamo diventati due estranei che condividevano una stanza e un bagno. 
Ci sta poco tempo a casa, Noah. 
Avrei voluto fregarmene come lui, ma qualcuno doveva assumersi delle responsabilità ed io avevo scelto di essere quel qualcuno. 
Avevo scelto di mollare la scuola al penultimo anno, di passare l'aspirapolvere e  rifare i letti al mattino. 
Non ce l'ho con Noah e nemmeno con mia mamma. 
La vita di tutti in questa casa è costellata di delusioni. 
«No, ma possiamo fare un purino» propongo, sedendomi vicino alle sue gambe. 
Lo sento muovere, piegare le gambe e poi il click del l'interruttore della luce premuto. 
Usciamo sul terrazzo che sono le due meno venti e gli ultimi pub aperti chiudono le porte. 
Aspiriamo avidi quel fumo dolciastro, sentiamo le preoccupazioni scivolarci addosso almeno per un po' e ritorniamo complici. 
Noah che ingoia una Sprite ed io che rido perché domani sera uscirò con un tizio che ha scritto il suo nome su una sigaretta. 
«Cazzo ridi?» biascica lui, avvolgendomi con un braccio. 
Mi mordo un labbro e: «Niente» sussurro, sentendo le palpebre pesanti e la salivazione rasente allo zero. 
Noah mi libera dal calore fraterno, entra nell'abitacolo e ritorna con un'altra Sprite.
«Bevi» dice, ma sembra più un ordine. 
Mi era mancato quel senso di protezione che da piccoli mi avvolgeva come un alone anche se solo per farmi bere. 
«Domani mattina la porto io Maya Cucù a scuola». 
Sento le palpebre rinvigorite, spalancarsi e per poco non mi faccio andare di traverso il liquido gassoso. 
Non me l'aveva mai detto, mai. 
Nella sua testa piena di idee su canzoni da scrivere e viaggi da fare non erano mai balenati  dei turni.
Non gli avevo mai dato l'opportunità nemmeno io, convinta che non fosse in grado di portare a termine questo compito. 
Mi era sempre sembrato così inadeguato e goffo con Maya e invece adesso si proponeva lui stesso. 
Avevo paura che non sarebbe riuscito a svegliarsi in tempo, che non avrebbe convinto la mia bimba a lavarsi i denti e ad infilarsi la divisa per le otto. 
«È anche mia sorella dopotutto» mormora e non so se a me o a sé stesso. 
«Va bene» biascico, guardandolo negli occhi azzurri come la sua felpa.

«Dovremmo fumare più spesso insieme» sussurro, ridendo e sentendomi libera di poter dormire almeno otto ore questa notte. 
«Taci, domani mattina mi devo svegliare presto». 


N.d.a. 
Hola a chiunque abbia aperto e letto il primo capitolo di questa storia a cui tengo molto! 
L'avevo già pubblicata ieri con il mio vecchio profilo, ma ho deciso di ripubblicarla con il mio nuovo profilo. 
Che dire... spero vi possa piacere e di ricevere qualche parere al riguardo! 
Un bacio, bubblekush23
   
 
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