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Autore: La Mutaforma    28/12/2016    1 recensioni
Tutti vedono la prima ballerina che si esibisce sul ghiaccio e nessuno vede gli iracondi occhi della tigre.
Ma è giusto così: mai guardare una tigre negli occhi, è come sfidarla. E se accetta la sfida, non puoi uscirne vivo.
[Otabek/Yuri]
[Post Gran Prix]
[Madonne quanto li amo]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Otabek Altin, Yuri Plisetsky
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Negli occhi della tigre

 

Yuri Plisetsky non è la prima ballerina.

Ne ha le sembianze, la grazia, i movimenti delicati. Ma non è così.

Ci hanno provato, hanno cercato di prepararlo come una ballerina, tirando indietro quei capelli biondi così ribelli, più crini leonini che delicata capigliatura da ballerina.

Nessuno lo guarda davvero negli occhi. Nessuno vede la sua rabbia, la sua fame di vittoria, il disperato desiderio di dimostrare qualcosa, ma nella tenerezza confusa dei suoi anni ancora non sa cosa.

Tutti vedono la prima ballerina che si esibisce sul ghiaccio e nessuno vede gli iracondi occhi della tigre.

Ma è giusto così: mai guardare una tigre negli occhi, è come sfidarla. E se accetta la sfida, non puoi uscirne vivo.

 

La tigre ha effettivamente vinto, ha afferrato con le zanne l'oro ed è balzata sul podio.

Ad Altin Otabek la sconfitta non era sembrata così bruciante quando l'aveva visto con la medaglia al collo, il viso arrossato dalla fatica, il petto che ancora si sollevava in rapidi respiri. Aveva meritato gli applausi e la gloria con un'esibizione straordinaria.

Ma poi, fatto ancor più straordinario, Yuri era scappato via dal podio come in fuga, lasciandosi alle spalle tutti quelli che volevano un pezzetto del vincitore, le sue fans, gli amici, i giornalisti che volevano intervistarlo: aveva lasciato la medaglia d'oro ai suoi allenatori ed era corso a nascondersi.

I vincitori sono creature strane, reagiscono nei modi più assurdi. Sono pronti a sbranare chiunque pur di raggiungere il loro obiettivo, ma una volta conquistata la meta, essa sembra perdere l'importanza che sembrava avere appena un minuto prima.

L'ha trovato, più tardi, nel silenzio del parcheggio, sotto delle malfunzionanti luci al neon.

Otabek approfitta di quell'istante di calma per avvicinarsi e congratularsi.

Yuri si volta rapidamente e sgrana i grandi occhi verdi. Poi lo abbraccia forte.

Piange.

Deve essere così stanco.

“Riposati soldato” Otabek non osa dirglielo ad alta voce “la guerra è finita. Hai vinto tu.”

 

Finito il Gran Prix, non c'è motivo di restare a Barcellona.

Otabek ha chiuso le sue cose in un borsone e si prepara per il ritorno a casa. Pur sconfitto, sente di aver fatto così tanto, di portare a casa un grande successo.

Poco male. L'anno prossimo andrà meglio.

 

Carica il borsone sulla moto e fa in modo che non oscilli e si rovesci.

Yurio è seduto sulle scale appena fuori dall'albergo; sul viso pallido cadevano i lunghi capelli biondi e l'ombra dal cappuccio della felpa.

Si nascondeva.

Ascoltava la musica.

Chissà che genere di musica gli piaceva, non gliel'aveva mai chiesto.

Otabek lo guarda da lontano, appena con la coda dell'occhio, mentre stringe con la cinghia il borsone al sediolino della moto. Non sa esattamente cosa dirgli o se sia appropriato parlarsi adesso.

Poi decide di voltarsi.

(Yuri lo stava guardando.)

Chissà se sotto quel cappuccio scuro e quei capelli invadenti quel ragazzino aveva imparato a piangere. O se ancora soffocava nella sua stessa ombra ogni suo pensiero, ogni sentimento.

Agita la mano per salutarlo. Non dice nulla perché tanto non sentirebbe, vede il cavo degli auricolari attorcigliato intorno alle sue dita.

Ma è bastato un muto saluto per smuoverlo completamente.

Di fretta Yuri alza il capo ed scatta in piedi con l'agilità del grandioso pattinatore quale è. E corre da lui. È scattato come una tigre, ma stavolta senza mostrare le zanne, senza spalancare le fauci, senza alcuna aggressività. Ha lasciato cadere il cappuccio della felpa all'indietro e insieme a quello cade la dura pelliccia striata da tigre, il manto perfetto per mimetizzarsi e nascondersi.

È corso da lui e si è lanciato tra le sue braccia.

Lo stringe forte, poi si allontana in fretta, quanto bastava per guardarlo negli occhi.

Yuri ha il viso arrossato, gli occhi lucidi.

È un pattinatore, ma non ha il cuore di ghiaccio.

“L'anno prossimo mi aspetto che tu dia il tuo meglio.” borbotta, nel suo stretto accento russo “Voglio stare accanto a te sul podio.”

Otabek annuisce, senza cambiare espressione. “Nessun trattamento speciale per gli amici.” Si ferma “Ti ho dato il mio numero di cellulare. Non dimenticare di usarlo.” E gli rivolge un piccolo sorriso.

Yuri guarda quel sorriso come se fosse la più scintillante delle medaglie e i suoi occhi da predatore brillano.

Gli stringe la mano.

“Alla prossima. Davai!”

Davai.

 

In verità, Yuri Plisetsky non è una tigre.

Ma anche se lo fosse stato, Otabek non ne avrebbe avuto paura. 

   
 
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