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Autore: Kary91    30/12/2016    2 recensioni
[Long Fiction | Jace!centric | Jace & Alec (bromance) | What-if? di "Città delle Anime Perdute"]
Ci troviamo verso la fine di Città di Anime Perdute e qualcosa di sostanziale cambia, durante la battaglia fra Shadowhunters e Ottenebrati: Alec viene ucciso da Sebastian, sotto lo sguardo impassibile di un Jace schiavo della volontà di quest'ultimo.
Sei mesi dopo, Jace è finalmente libero dal condizionamento di Sebastian, ma non è più se stesso. Devastato dai sensi di colpa e dal dolore per la perdita del suo parabatai , è ossessionato dall’idea di riportare in vita Alec.
Troverà un modo: una strada che nessuno ha mai nemmeno pensato di intraprendere e che probabilmente gli costerà la vita. Un viaggio che rischia di scardinare l’equilibrio dei Regni Celesti – dove vivono gli angeli e le anime di chi non c'è più.
Ma quando Jace Herondale vuole qualcosa nemmeno Raziel in persona può impedirgli di ottenerla. Soprattutto se quel qualcosa è la vita di suo fratello.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, James Carstairs, Kieran, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
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1 | All the Stories are True;

 

«Non so come stare al mondo come Cacciatore, senza Will. Non credo neppure di volerlo. Sono ancora un parabatai, ma la mia altra metà non c’è più. Non mi sentirei mai completo.»

Jem Carstairs - Le Origini, La Principessa. Cassandra Clare

 

 

Sei mesi dopo.

 

La punta della matita scivolava leggera sul foglio, sporcando il bianco con linee di diversa intensità.

Clary abbozzò un volto e ne definì i lineamenti, marcando la profondità di un paio d’occhi che, nella versione in carne ed ossa di quel viso, erano stati azzurri.

Quello a cui stava lavorando non era il suo primo ritratto di Alec, tuttavia erano trascorsi mesi dall’ultima volta che Clary aveva tirato fuori il suo album.

Da quando aveva abbracciato la vita di Shadowhunter l’ispirazione si era fatta più rada, quasi  invisibile. Una volta Jace le aveva detto che la scintilla della creatività apparteneva più ai Mondani, che non ai Nephilim. Nel corso degli ultimi mesi, Clary si era sorpresa a domandarsi se la sua natura di cacciatrice stesse incominciando a prendere il sopravvento sulle sue doti artistiche, ma quella sera aveva cambiato tutto.

Nel corso delle ultime ore aveva disegnato senza sosta, tramutando in carta i ricordi più intensi e dolorosi dell’ultimo periodo: lo sguardo fiero di Amatis, gli occhiali tondi del piccolo Max, l’elsa luccicante della spada di Michele.

E poi Alec, nelle sue felpe informi e consumate.

Sapeva che Jace avrebbe sofferto se l’avesse sorpresa con quei disegni, ma non poteva farne a meno.  Il bisogno di imprimere certi ricordi su carta era troppo forte perché potesse ignorarlo. Non voleva correre il rischio di dimenticare, di piangere dei morti senza più volto. Non voleva cancellare dalla mente i sorrisi o gli sguardi che nessuna fotografia era mai riuscita a immortalare.

C’era anche dell’altro altro che premeva contro i suoi polpastrelli per sgusciare fuori dai suoi pensieri. Situazioni non ancora del tutto assimilate e spesso dolorose, che avrebbe volentieri intrappolato in un foglio, per strapparsele via dalla mente.

Momenti come la battaglia del Burren e la colluttazione con Sebastian che l’aveva preceduta; immagini come quella di Jace che cadeva sulle ginocchia, la divisa sporca di sangue all’altezza della runa parabatai. O ancora la presa salda di Simon sulla Gloriosa e il suo affondo per trafiggere Sebastian, sfruttando il suo unico momento di distrazione.

Era solo grazie a Simon che adesso aveva Jace di nuovo con sé: Simon era stato il primo a recuperare il controllo dopo aver visto Alec accasciarsi a terra e Jace crollare a sua volta.

Si era gettato sulla spada di Michele, caduta a terra nel momento in cui le mani che la brandivano avevano smesso di muoversi.

Sebastian non aveva fatto in tempo a impedirglielo, né  aveva avuto modo di difendersi, ma Jace sì. Si era buttato in mezzo, facendo scudo a Sebastian col proprio corpo, piegato al controllo demoniaco del marchio di Lilith.

La Gloriosa li aveva trafitti entrambi, ma aveva salvato solo uno dei due.

Clary ricordava ancora bene l’orrore lancinante che l’aveva avvolta nel momento in cui Jace era caduto.

Solo il sollievo di riconoscere il battito debole del suo polso era stato altrettanto intenso.

E così, mentre Jonathan Morgensten era morto – troppo corrotto dal sangue di demone per poter sopravvivere alle fiamme celesti – con Jace le cose erano andate diversamente. Era sopravvissuto e il fuoco della Gloriosa gli si era insinuato sotto-pelle,  bruciandogli incandescente nelle vene.

Per mesi i Fratelli Silenti si erano affannati attorno a lui, cercando di trovare un modo di estrarlo, ma senza successo. Le cose erano migliorate quando, per errore, Jace aveva travolto fratello Zaccaria con le sue fiamme. Parte del fuoco si era insinuata nel corpo del Fratello Silente, indebolendo il poco che ne era rimasto nel ragazzo.

In quanto a Zaccaria, si era ripreso in fretta. Clary aveva sentito dire che le scintille celesti avevano bruciato qualcosa che si portava dentro – nel sangue – da secoli: le conseguenze di un attacco demoniaco. Aveva smesso di essere un Fratello Silente e aveva ripreso a farsi chiamare James, James Carstairs, come il giovane Shadowhunter che era stato un tempo. 

 

Clary sospirò, fissando il suo disegno. Un rumore di pagine sfogliate attirò la sua attenzione dalla stanza a fianco – la camera da letto di Jordan Kyle.

Trascorreva parecchio tempo nell’appartamento che il licantropo condivideva con Simon, perché era uno dei posti in cui Jace si ritirava più volentieri.

Jace.

Il suo cuore sembrò accartocciarsi nel momento in cui suoi pensieri tornarono al fidanzato.

Ripose l’album nella tracolla e andò a sbirciare oltre la porta socchiusa della stanza di Jordan: Jace era lì ormai da qualche ora, sdraiato sul letto dell’amico, i piedi sul cuscino e una mano a giocherellare distratta fra i capelli arruffati.

Sul pavimento erano disseminati grossi libri dall’aria antica, alcuni dei quali aperti e pieni di annotazioni.

Clary s’intrufolò nella stanza e si rannicchiò sul letto contro di lui. Jace spostò le gambe per farle spazio, ma non alzò lo sguardo. Sembrava assorto nella lettura, il volto segnato dalle occhiaie.

Clary adagiò la schiena contro il suo torace, la mano intrecciata alla sua come se sperasse che, stringendogli le dita, avrebbe potuto infondergli anche solo una flebile scintilla di vita.

Il Jace che aveva riavuto indietro dopo la morte di Sebastian non era più vincolato alla volontà di suo fratello, eppure nemmeno quella versione assomigliava al ragazzo di cui era innamorata.

Jace Lightwood – il vero Jace  –  aveva cessato di esistere nel momento in cui aveva ripreso conoscenza dopo la battaglia al Burren. Sin da quando il suo sguardo confuso aveva saettato ostinato per la stanza, in cerca di qualcuno.

Le sue dita si erano aggrappate a quelle di Clary come temendo che, senza il suo sostegno, sarebbe caduto nel vuoto.

“Dov’è?”, aveva urlato, deciso a scacciare il presentimento che lo stava dilaniando. Voleva convincersi che ciò che ricordava era solamente uno dei sogni maledetti con cui lo tormentava Lilith.

“Dov’è, Clary? Dov’è? Alec!”

Aveva chiamato il suo nome più volte, respingendo con violenza i tentativi dei Fratelli Silenti di trattenerlo.

Non aveva avuto bisogno di una risposta: gli era stato sufficiente voltare la testa e cercare  la sua runa parabatai, argentea e sbiadita.

La consapevolezza nei suoi occhi fu tagliente quanto la lama della Gloriosa. Dolorosa quanto gli strilli straziati di Isabelle,  nel momento in cui si era appoggiata la testa del fratello sulle ginocchia. Quanto le lacrime di Maryse che aveva singhiozzava in silenzio, con il volto affondato nel petto immobile di Alec.

Quel dolore non scomparve con il trascorrere dei giorni. Si acuì, invece, penetrando in profondità: propagandosi come un cancro o un fungo velenoso, corrosivo come il sangue di demone.

I mesi successivi avevano trasformato il bel volto di Jace, riducendolo a una maschera di dolore e apatia: le sue iridi avevano perso il brillio dorato che le caratterizzava. Sembrava un fantasma, la vita estirpata dai suoi movimenti un tempo eleganti,  le ombre della stanchezza sempre marcate sotto gli occhi.

Da mesi aveva smesso di vivere all’Istituto. Preferiva stare da Simon e Jordan o intrufolarsi di nascosto in camera di Clary. Dormire nella sua stanza all’Istituto gli era impossibile, con la consapevolezza che quella di fianco alla sua era vuota e lo sarebbe stata per sempre.

 

“Che leggi?”

Clary cercò di attirare la sua attenzione, sbirciando le pagine del volume: erano settimane che Jace non faceva altro che studiare.

C’era qualcosa di tremendamente contraddittorio in quell’atteggiamento. Sì, Jace aveva sempre amato leggere, ma non era da lui rintanarsi in realtà fittizie pur di seppellire il dolore. Jace era la personificazione della reazione, era un elastico che si fletteva da tutte le parti, impossibile da trattenere. Aveva sempre preferito attaccare, invece che difendere: di certo, disprezzava la fuga.

Da quando Alec  era morto, Clary si era aspettata in continuazione di vederlo partire per qualche caccia solitaria contro i demoni, deciso a sotterrare i ricordi e la sofferenza sotto icore, sangue e nuove cicatrici. E in effetti qualcosa del genere era successo.

Jace aveva trascorso il primo mese di lutto gettandosi in pasto alle missioni più pericolose che riusciva a scovare, combattendo in solitario e sforzandosi di tornare a casa il più ammaccato possibile – non senza prima aver, tuttavia, massacrato qualsiasi demone o Nascosto disprezzante degli Accordi gli si fosse parato davanti.

Ma poi era soggiunta l’apatia e quell’insolita, quanto sospetta, sete di informazioni. Clary stava incominciando a chiedersi se avesse qualcosa in mente, ma preferiva non fargli domande: per il momento preferiva saperlo al sicuro e immerso in strane letture  piuttosto che intento a stuzzicare i demoni superiori.

Finalmente, Jace sollevò lo sguardo verso di lei. Le sorrise e, in quel momento, un brillio solitario vivacizzò il suo sguardo. Nonostante il dolore degli ultimi mesi, qualcosa del vecchio Jace era rimasto: lo si evinceva ogni volta che i suoi occhi incrociavano quelli di Clary. Il suo amore per lei era evidente, ma non era più l’unica cosa che portava scritta negli occhi. Adesso, quando lo guardava, Clary intravedeva nel suo sguardo l’estremità sfilacciata di una corda recisa: la perdita di qualcosa di importante, di una parte essenziale per il suo funzionamento.

Jace era diventato un meccanismo rotto: funzionava a scatti e non esistevano pezzi di ricambio per l’ingranaggio mancante.

“Hai mai sentito parlare di Tommaso il Rimatore?”

Clary scosse la testa.

“Sembra il nome di un personaggio per bambini” rispose, sbirciando nel libro.

Il sorriso di Jace si fece più vispo.

“Era un cantore scozzese del tredicesimo secolo” spiegò. “Pare che alcuni Mondani lo credessero addirittura un indovino. Una delle sue ballate parla di un uomo che viene rapito dalla Regina delle Fate.  Lei lo condusse in un punto dal quale si diramavano tre strade…”

Voltò pagina, mostrando a Clary una delle illustrazioni. Raffigurava una grande grotta, all’interno della quale si aprivano tre sentieri. “Gli disse che una portava al Paradiso, una nella terra delle Fate e  una all’Inferno.”[1]

Clary spostò lo sguardo dal disegno a Jace: la sua frase le aveva trasmesso un’insolita punta d’inquietudine.

“E l’uomo scelse una di queste strade?” chiese, appoggiando il capo sulla sua spalla.

Jace scosse la testa.

“Fu la regina a scegliere per lui: lo condusse nel regno delle Fate.”

Clary chiuse gli occhi; il tocco leggero di Jace fra i suoi capelli e la sua voce tranquilla, mentre raccontava, riuscirono a spazzare via un po’ della sua preoccupazione.

“Tornò mai indietro?” chiese, portandosi una mano di Jace in grembo, per giocherellarci.  “Questo ragazzo, dico. Perché io me lo immagino come un ragazzo piuttosto giovane.”

Jace rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse scegliendo le parole migliori per risponderle.

Infine, il suo sguardo tornò sul libro.

And till seven years were gane and past” lesse con un tenue brillio nello sguardo che Clary non fu in grado d’interpretare. “True Thomas on earth was never seen.”

E benché sette anni siano ormai passati, il buon Thomas in terra mai più si è visto.

In quel momento accadde qualcosa. Un’immagine si disegnò nella testa di Clary, rapida e accecante, come un lampo di luce: una runa.

Svanì prima che la ragazza avesse il tempo di riconoscerne  i tratti, ma la visione le impresse addosso una strana sensazione.

La sensazione di aver avuto fra le mani, anche se solo per qualche istante, qualcosa di terribile e di maestoso al tempo stesso: un potere secondo solo a quello degli angeli, terrificante e celestiale come la figura dello stesso Raziel.

Infine, fugace com’era arrivata, anche quella sensazione svanì.

 



*

 

Londra, Covent Garden.

 

Il portale si chiuse alle spalle di Jace, sprizzi di luce azzurra a disegnare ghirigori sulla strada acciottolata.

Il quartiere in cui era capitato aveva l’aria elegante e un po’ all’antica, piuttosto discordante dall’atmosfera New-Yorchese in cui era cresciuto.

Suonò il campanello del portone che aveva di fronte, una pioggerella fine a tenergli compagnia.

La donna che venne ad aprirgli doveva aggirarsi attorno alla ventina e il suo volto non gli era nuovo: ricordava quel viso ovale, i lunghi capelli castani, la dolcezza della sua espressione.

Tuttavia, non era lei la persona che si era aspettato di trovare ad accoglierlo.

Anche la giovane sembrava sorpresa: per un attimo sembrò a corto di parole, mentre i suoi occhi chiari lo studiavano incuriositi.

Jace si strinse nelle spalle.

“Beh, mi ero preparato a trovarti un tantino cambiato, Magnus…” commentò, incrociando le braccia sul petto. “… Ma non pensavo così tanto.”

Un sorriso spazzò via lo stupore dal volto della ragazza.

“Sono un’amica di Magnus: lui è di sopra… non mi ha detto che aspettava visite.”

“Non le aspettava, infatti” precisò Jace, sbirciando oltre l’ingresso. “Io e te ci siamo già incontrati, vero?”

La giovane annuì, mentre si faceva da parte per lasciarlo entrare.

“Al matrimonio di Jocelyn Fairchild” rivelò, studiandolo con attenzione: sorrideva, ma i suoi occhi sembravano malinconici. “Mi chiamo Tessa, Tessa Gray. Mio marito Will era un Herondale, proprio come te.”

Finalmente, Jace ricordò.

“Il Will di Fratello Zaccaria?”

Ripensò a una delle prime conversazioni che aveva avuto con James Carstairs, alla runa cicatrizzata che aveva notato sulla sua spalla; all’affetto che si disegnava sul suo volto ogni volta che menzionava il nome del parabatai.

Lui invece, quando pensava ad Alec provava solo dolore.

 “Il Will di Jem, sì” rispose Tessa con un sorriso sorpreso. “Sai, sono contenta che tu sia qui: ho qualcosa per te. Volevo dartela al matrimonio, ma non sono riuscita…”

S’interruppe, una punta di apprensione a velarle gli occhi.

 “… Non mi sembrava il momento giusto.”

Le nozze di Luke e Jocelyn erano state celebrate due mesi prima: allora ne erano trascorsi solo quattro, dalla notte del Burren.

Jace vi si era trascinato a forza, per Clary. Aveva trascorso la serata sullo sfondo – cosa insolita per lui. Si era tenuto impegnato tenendo d’occhio Izzy, che aveva trovato nell’arte dell’insulto un ottimo anestetizzante contro il dolore. Durante la cerimonia si era sentito addosso lo sguardo di Jem, che sembrava deciso a ricambiare il favore nei suoi confronti facendogli da baby-sitter.

Magnus non si era fatto vedere nemmeno quella volta.

Jace si riavviò i capelli umidi di pioggia.

 “Tutto questo mistero mi sta tentando, davvero, ma non sono qui per i regali. Devo vedere Magnus.”

Tessa  sospirò: lo stava ancora fissando, lo sguardo triste, ma consapevole, di chi si trova a rivivere qualcosa di doloroso.

“Ognuno di noi vive il lutto in maniera diversa” rivelò, parlandogli con dolcezza. “Ma il dolore, la sofferenza che si prova quando una parte così grande di te viene strappata via dal suo insieme, quello lo conosco bene. Perciò ti chiedo di credermi quando dico che ti capisco, Jace.”

Gli accarezzò una guancia, guidata da un istinto materno mai assopito.

 “So cosa si prova nel toccarsi il petto e non sentirsi più l’anima. So cosa vuol dire sentirsi a metà, avere un vuoto dentro che non riesce a colmare.”

Qualcosa si spezzò.

Il filo sottile in cui, per giorni, Jace si era tenuto in equilibrio precario, cedette sotto al suo peso.

“No, non puoi capire.”

Il suo tono di voce era tagliente e i suoi occhi scuriti dalla collera. Si chiese se specchiandosi in quell’istante avrebbe riconosciuto qualcosa di Valentine nel suo sguardo.

O addirittura Sebastian.

 “Avrai anche perso tuo marito, ma non l’hai ucciso tu. Non ti sei sporcata del suo sangue o di quello dei tuoi figli.”

Tessa scosse la testa.

“Jace, nemmeno tu hai…”

“Dov’è Magnus?”

La sua voce era affilata come una minaccia.

Jace scansò Tessa e si scagliò verso le scale.

Fu come camminare su una superficie oleata. Scivolò all’indietro, un tenue scintillio azzurro ad accompagnare la sua caduta: evidentemente Magnus non aveva voglia di farsi trovare.

Imprecò, rialzandosi in piedi. I pugni serrati lungo i fianchi erano roventi e le tempie gli bruciavano.

“Piantala di nasconderti!” sbraitò, dando un calcio all’ultimo gradino. Si aggrappò alla ringhiera per riprovare a salire e un calore insopportabile gli esplose sotto pelle. “Esci fuori!”

“Jace!” Tessa lo fissava spaventata, gli occhi grigi sgranati per lo stupore.  “Le tue mani!”

Il calore sprigionò fiamme e le fiamme generarono fumo.

Jace arretrò di scatto, fissandosi le dita: erano sporche di nero.

Il legno della ringhiera era bruciacchiato in più punti e una piccola porzione sembrava essersi carbonizzata.

 “Mi dispiace.”

Jace scosse la testa, combattendo contro il fiato corto: il fuoco celeste gli scoppiettava sottopelle, alimentato dall’eccesso di collera.

“Mi dispiace, non riesco a controllarlo” ammise, voltandosi verso Tessa.

La ragazza scosse la testa. Gli posò una mano sulla spalla e Jace tentò di scansarsi, spaventato al pensiero di scottarla. Non ci riuscì: quelle dite esili dovevano nascondere molta forza, si disse. O molta magia.

Tessa riprese a studiarlo: sembrava più vecchia, adesso. Aveva un volto intaccata dal tempo, ma dai suoi occhi trapelavano ricordi vecchi di secoli.

“Hai gli stessi occhi di Jamie…” mormorò, sorridendo malinconica. “… Mio figlio: sei diverso da lui, eppure me lo ricordi.”

Jace non rispose; continuò a fissarsi le mani brucianti fino a quando Tessa non gli passò davanti.

“Vieni” lo esortò, salendo i primi gradini: lo scintillio azzurro di prima era scomparso. “Ti porto da Magnus.”

 

 

Note Finali.

Buongiorno e buona pre-vigilia di anno nuovo!

Ci tenevo a lasciare il primo capitolo prima dell’arrivo del 2017 (e della Season 2!) e così eccomi qui! Sto pensando di aggiornare sempre di venerdì, ogni due settimane, in maniera da essere regolare con l’arrivo dei capitoli!

Questo capitolo è ancora molto introduttivo; la prima parte, dal punto di vista di Clary, serve a spiegare come si sono svolti i fatti dopo la morte di Alec. Scopriamo così che in questa versione della storia Sebastian muore già nella battaglia del Burren. Anche Jace è stato trafitto dalla Gloriosa ed è per questo che, ha in corpo il Fuoco Celeste.

Nella seconda parte del capitolo Jace si fa un viaggetto a Londra, dove Magnus si è momentaneamente trasferito. Se qui, tuttavia, ha parlato solo con Tessa, il prossimo capitolo sarà incentrato proprio sull’incontro fra Jace e il nostro stregone preferito. La storia incomincerà un po’ a delinearsi e si scoprirà come mai Jace abbia così tanto bisogno di parlare con Magnus. Inutile aggiungere che è in arrivo una vagonata di angst, ma prometto che prima o poi mi farò perdonare. L’angst è essenziale per poter raccontare la storia ma, per citare Ron Weasley, “…Soffrirai ma poi ne sarai felice…” … o almeno lo spero!

Ringrazio davvero tantissimo le persone che hanno scelto di dare fiducia a questa storia, inserendola fra le seguite: spero anche questo nuovo capitolo vi sia piaciuto! Un grazie in particolare a mafiaromano e al suo meraviglioso commento!

Un abbraccio e ancora buon anno!

Laura



[1] Di Tommaso il Rimatore e della sua ballata se ne accenna in “Città del Fuoco Celeste”. Grazie alle tre strade, Jace e compagnia accedono alla dimensione demoniaca di Edom.

   
 
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