Cauta è l'oscurità che
si annida dietro ad ogni angolo, silenziosa, alla stregua di un
predatore che con pazienza attende il momento giusto per ghermire la
propria preda. Amica della morte, costeggia il cammino della vita
dell'essere umano, lambendo le membra del viaggiatore esausto che,
allo stremo delle forze, non ha altra scelta se non annegare in essa,
non prima di aver teso per un'ultima volta la mano nella direzione
del bagliore ormai irraggiungibile di una luce agognata per anni.
Ma che scelta può avere
invece il bambino a cui è stato negato un cuore per provare
sentimenti? Mentre i suoi occhi pregni di profondo vuoto fissavano un
mondo colmo di violenza, si chiedeva quale fosse il suo scopo, se
nell'ultimo respiro esalato da coloro che cadevano esanimi ai suoi
piedi trafitti dalla sua tetra lama vi fosse una risposta ai suoi
interrogativi.
Quello che tuttavia il
bambino – ormai divenuto ragazzo – non si aspettava, era che
l'oscurità stessa gli offrisse lo scopo che tanto bramava. In quella
fatidica notte in cui, perdendo tutto ciò che la sua misera vita gli
aveva donato, venne travolto da sentimenti d'odio e rancore che mai
si sarebbe sognato di provare, solo quegli occhi che riflettevano il
sangue degli assassini dei suoi fratelli riuscirono a farlo
finalmente sentire vivo, a fargli credere davvero che ci fosse
qualcosa oltre a quell'inferno che era stata la sua infanzia.
Annegare nell'oscurità
come il viaggiatore in cerca della luce non gli dava sconforto, anzi.
Per il silenzioso cane rabbioso
in fondo, quella sensazione di profondo rispetto che provò nei
confronti della persona di fronte a lui fu abbastanza per dipendere
da quelle parole, pronunciate come se ciò che stavano implicando
fosse il più semplice dei fatti.
«Voglio
trovare uno scopo... un significato alla mia vita.»
«Te
ne darò uno.»
Fu
così che quella notte Akutagawa Ryunosuke, quello che fu il bambino
senza sentimenti, incrociò la strada di Dazai Osamu, uno dei cinque
Membri Esecutivi della Port Mafia.
Fu
così che Akutagawa Ryunosuke imparò ad essere umano.
Oltrepassando
l'orizzonte del supplizio che aveva dovuto sopportare fin dalla più
tenera età, il giovane iniziò a muovere i primi passi sotto l'ala
di colui che fin dal primo momento aveva considerato un vero e
proprio demonio, inquietante e spaventoso come un'ombra danzante
appena intravista tra la dormiveglia e il sonno. Il solo incrociare
quegli occhi, a volte infantili e allegri, a volte totalmente privi
di compassione, metteva i brividi ad Akutagawa, ma allo stesso tempo
ne era affascinato, come una falena attratta dall'ardere di un
braciere nelle tenebre.
Che
cosa però avesse reso Dazai ciò che era – perché in fondo
il giovane ancora si domandava come qualcuno di poco più della
propria età potesse essere così temibile – non gli era dato
saperlo. Dietro a quel sorriso all'apparenza calmo si nascondeva la
freddezza di un assassino, davanti a quello sguardo che faceva
sentire nudo e inerme, persino un Dio si sarebbe sentito vulnerabile.
Eppure
Akutagawa cominciò ad imparare da quella persona, da colui che
dipingeva talvolta come demone, talvolta come divinità. Da Dazai
apprese l'incuranza nei confronti della morte, ogni volta che, quasi
per pura scommessa, la vita del giovane subordinato si trovava appesa
ad un filo, con una pistola puntata alla testa al solo scopo di
innescare quel suo oscuro potere. Apprese inoltre che lo stesso Dazai
non era spaventato di morire, anzi. Per il proprio mentore cessare di
vivere non sarebbe stato nient'altro che un modo di liberarsi da quel
mondo immutabile in cui era stato costretto. Avrebbe accolto la morte
volentieri, se solo ci fosse riuscito. Proprio come gli esseri
sovrannaturali a cui era stato paragonato infatti, perire non gli era
stato concesso.
Più
forte della morte stessa e all'apparenza invincibile. Cuore e mente
di Akutagawa erano rapiti dal rispetto e dal timore, avviluppati da
grinfie ben più temibili del potere della bestia oscura che giorno
dopo giorno il giovane faceva suo.
«Le persone non hanno paura delle armi, bensì di coloro che invece ne fanno buon uso.»
Rischiare
la vita per un capriccio o essere percosso come un cane disobbediente
che veniva ammaestrato non faceva più male come le prime volte. Ogni
punizione acquisiva un nuovo significato, ogni livido sul suo corpo
diveniva un insegnamento forgiato dal sangue.
La
lezione più grande infine era stata compresa.
Il
ragazzo temprato dall'oscurità stessa imparò che al mondo i deboli
muoiono e i forti sopravvivono.
Doveva
dimostrare di essere forte.
Doveva
dimostrare a Dazai di essere forte.
Quel terribile passato impresso nei suoi ricordi venne accantonato. La memoria di quella vita vissuta tra le strade venne riposta in un angolo remoto del suo essere, così come i volti dei fratelli morti durante quella notte in cui tutto cambiò. Per essere più forte, diceva Akutagawa. Perché in fondo, tutti noi vogliamo dimenticare qualcosa. Raccontiamo storie, a volte anche a noi stessi.
Tutto è più semplice in questo modo.
Ma
un cuore svuotato dalle emozioni può essere davvero tale?
Le
persone dicono di voler essere libere, ma la realtà è che nessuna
di esse lo spera davvero. Esse sono schiave di ciò che provano,
costrette in continuazione a lottare contro demoni che si celano nel
loro subconscio – demoni di cui spesso ignorano la natura. Sono le
loro stesse volontà le loro catene, i loro desideri le loro sbarre
d'acciaio, giudici della tragica natura dell'essere umano che con le
unghie e con i denti cerca una
motivazione per cui vivere.
Il
demone nel cuore di Akutagawa non aveva un nome, il ragazzo non
riusciva a dargliene uno. Eppure egli sapeva che quel qualcosa
si annidava dentro di sé, emergendo come un mormorio costante e
insistente, come un bisbiglio al suo orecchio che lo faceva fremere
di rabbia ogniqualvolta l'attenzione di Dazai non gli era rivolta.
Avere su di sé quegli occhi che un tempo aveva temuto era divenuto
un bisogno soffocante, riuscire anche solo a strappare un sorriso
compiaciuto da quelle labbra una necessità. Smarrito e sconfitto
egli si sentiva quando colui a cui doveva tutto – ogni briciolo di
sé – gli voltava le spalle; il tempo si fermava, perdeva il suo
senso originario. Tutto assumeva la ristagnante sensazione di
abbandono che forse avrebbe dovuto provare quando in quelle strade di
periferia i suoi piccoli occhi leggevano il disprezzo in quelli
altrui, lo stesso disdegno che gli veniva concesso come unico
appiglio in una crudele indifferenza.
E
così notte dopo notte raccoglieva i frantumi di ciò che si infrangeva
dentro di lui, incomprensibile per il ragazzo, ma pur sempre atroce e
straziante. Ricomponeva quei frammenti uno a uno come schegge di uno
specchio che rifletteva un'anima tanto distrutta quanto devota, che
altro non voleva che sentirsi dire che non era più il debole bambino
che non avrebbe mai potuto vendicare i propri fratelli se non morendo
con loro, udire parole che probabilmente quella voce non avrebbe mai
pronunciato se non nel più nascosto dei suoi sogni.
«Dazai-san...»
Finché quello specchio tenuto insieme da un'emozione senza nome non si infranse per un'ultima volta. Quella notte, i pezzi rovinati di un riflesso distrutto dal corso degli eventi dilaniarono quel cuore che aveva provato sentimenti solo grazie ad Osamu Dazai.
Traditore, avevano chiamato quest'ultimo, come il peggiore dei fuggitivi.
Ma
nessuno in verità si sentì più tradito del ragazzo dalle certezze ormai distrutte. Ormai abbandonato, venne portato a fondo nell'abisso della disperazione, trascinato
dall'oscurità che, come nella storia del viaggiatore in cerca della
luce, aveva atteso per tutto quel tempo, pronta ad afferrare colui
che ingenuamente credeva di aver trovato finalmente uno scopo.
Gli
uomini a volte dedicano la propria vita a inseguire un desiderio,
incerti se esso verrà esaudito. Coloro che ridono di questi uomini
non sono nient'altro che spettatori della vita.
Quella
notte, un giovane orfano perse per la seconda volta tutto ciò che aveva.
Ma
Akutagawa Ryunosuke non si era mai considerato uno spettatore.