Baciamano e gentilcorvi

Le sue dita sono fresca rugiada sulla pelle: scivolano delicate come il vento tra le piume, si soffermano leggere sulle cicatrici che sono da sempre sue compagne; non riesco a capire, si meraviglia Aurora, come possano essere stati tanto crudeli.
«Dicono che i corvi siano portatori di sventura e di morte» si stringe Fosco nelle spalle, e c'è qualcosa, nella rassegnazione con cui lo afferma, che fa corrugare la fronte della giovanissima regina.
«Credi anche tu a queste sciocchezze, Fosco?» domanda, facendo scorrere la mano sulla superficie argentata che è la laguna ai loro piedi, disegnando una scia d'impalpabile schiuma iridescente.
Fosco segue i suoi movimenti con lo sguardo, eppure rifugge la domanda. «C'è qualcosa a cui tu non credi, Aurora?»
Aurora ride, scuote la testa; l'acqua brillante le circonda le caviglie nude, fiori incantati e luce rosa giocano attorno alla cascata d'oro liquido che le carezza la vita.
«Sono stato un lupo, una volta» le rivela, accostando la bocca al suo orecchio, e sorride di riflesso quando le labbra di lei s'increspano e gli occhi blu s'allargano di stupore bambinesco. «E un drago» rammenta ancora, sebbene sia certo che lei non l'abbia dimenticato.
«E un gentiluomo» aggiunge la fanciulla inaspettatamente, con un sorriso; Fosco inarca un sopracciglio, la guarda sorpreso.
«Un gentiluomo?»
«Sì, o un gentilcorvo, se preferisci» conferma Aurora, e non può che ridere davanti alla sua espressione meravigliata. «La mia Fata Madrina mi ha raccontato che sarei morta in fasce, se non ci fossi stato tu, uccello carino» dice, intenerita, e Fosco ridacchia senza volerlo, al ricordo dell'imbranataggine di tre fatine farlocche. «E poi, il giorno in cui ci siamo presentati...» soggiunge, ma subito s'interrompe, sul viso l'espressione sognante e assorta di chi rincorre un ricordo.
«Il giorno in cui Malefica ha fatto le presentazioni...» puntualizza Fosco ironicamente, invitandola però a continuare, inclinando leggermente il capo.
«Il giorno in cui ci siamo presentati» ribatte, «tu mi hai rivolto un bell'inchino elegante, e le tue piume erano nere e bellissime, e poi mi hai baciato la mano, come un vero cavaliere, o un principe» racconta Aurora, con voce argentina e imbevuta di felicità, e le sue guance piene sono leggermente rosse e i suoi occhi brillano quanto polvere di fata. Sembra lei stessa una creatura della brughiera, pensa Fosco, e non può che trovarla ingenuamente bella e adorabilmente tenera, poiché lo ritiene davvero un gentiluomo e non un mero corvo umanizzato, poiché un sorriso così non le aveva illuminato il viso neppure il giorno in cui aveva incontrato il principe Filippo.
«Non credere mai a quelle sciocchezze, Fosco» dice ancora, e lui osserva il suo sorriso dolce e non si accorge di quello che sta facendo finché non avverte i suoi polpastrelli freschi sulla tempia, e poi tra i capelli nerissimi. «Tu sei molto più di un corvo».
Fosco solleva leggermente un angolo della bocca, e annuisce; afferra poi con delicatezza le dita che non l'hanno mai lasciato e con un guizzo negli occhi scuri si china verso di lei e sfiora con le labbra le sue nocche e bacia piano il dorso morbido della sua mano. Forse è pazzo, forse è che vicino ad Aurora dimentica troppo facilmente di essere un corvo e ricorda invece di avere un cuore che batte, eppure ha l'impressione che quegli occhi lucidi d'imbarazzo, quel sorriso felice e quelle labbra che sussurrano il suo nome, mentre appoggia il capo contro la sua spalla, siano davvero solo per lui.
 

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