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Autore: MerasaviaAnderson    03/01/2017    1 recensioni
•{Gallavich ~ Pericolosamente angst ~ Mickey!OOC ~ What if?}
Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell'esercito.
Al Rosso non viene diagnosticato il Disturbo Bipolare.
Eppure, due anni dopo, una difficoltà molto più grande si abbatterà sui due amanti.
"Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Until the end of my days

Capitolo II:


NO HERO

“Don’t say this is
over, looking for better days, oh, don’t say this over, there’s no losers, look at better days, just what it gets. I can’t jump over buildings, I’m no hero, but love can do miracles. I can’t outrun bullet, I’m no hero, but I would take one for you.”
 
 
 
Erano tornati a casa già da un paio d’ore, i medici avevano dimesso Ian con riluttanza non appena si era sentito meglio e gli avevano augurato buona fortuna … per quanto potesse contare.
Avevano dovuto comprare uno di quei carrellini per la bombole di ossigeno, perché, da come dicevano i medici, Ian con il passare del tempo e il progredire della malattia ne avrebbe avuto sempre più bisogno.
Il Rosso aveva perso qualche kilo, era più pallido e sempre più stanco, ma gli erano stati prescritti alcuni farmaci per ridurre i dolori, che l’infermiere Mickey s’assicurava che li prendesse con regolarità e che non esagerasse con le dosi quando sentiva troppo dolore, che ormai si era sparso ovunque.
In ospedale, aveva passato un terribile pomeriggio a contorcesi nel letto.
Erano più o meno le undici di mattina, Ian era crollato in un sonno profondo nel suo letto, con Mickey seduto al suo fianco che gli accarezzava i capelli, dopo avergli rimboccato le coperte. In cucina Lip era seduto con i gomiti poggiati sul tavolo e la testa tra le mani, Fiona era adagiata al lavabo, con una mano a coprirle gli occhi, probabilmente rossi e lacrimanti. Carl e Debbie erano stati spedititi a scuola. Liam all’asilo.
Quando Mickey Milkovich scese al piano di sotto, si bloccò sull’uscio non appena vide i due Gallagher in quelle condizioni; si sentiva così fuori luogo in quella famiglia che, nonostante tutto, aveva sempre avuto ciò che alla sua mancava: l’unione.
Chi, nella sua famiglia, si sarebbe mai disperato in quel modo se lui stesse morendo? Sicuramente Mandy. E basta. E poi ovviamente Ian, perché Ian era la sua famiglia.
Solo che era Ian stesso a star morendo e lui voleva solo sprofondare in baratro di dolore e solitudine perché forse la vita lo stava punendo, forse quella era tutta la sofferenza che si meritava. E lui l’avrebbe accettata, se questo non avesse comportato la morte di Ian Gallagher. Avrebbe accettato e sopportato di tutto pur di risparmiargli quel dolore.
Quando aveva dato quella terribile notizia a Mandy per telefono lei era corsa in ospedale e aveva stretto forte tra le sue braccia il Rosso, cercando di rassicurarlo e distrarlo con qualche stupida battuta delle sue – «cocco dei Milkovich» l’aveva preso in giro Carl – era impaurita, quel fottuto Gallagher era stata la prima persona che le aveva porto una mano d’aiuto, era il suo migliore amico, la sua roccia.
Se già per Mandy Ian era una roccia, per Mickey era molto, molto di più … ma lui non conosceva nulla dell’amore e non sapeva cosa di preciso fosse.
Si limitava a seguire quello strano sentimento dettato dall’istinto, che a volte cercava di dominare senza alcun successo.
«Ehm, Gallagher senior.» borbottò, stanco, grattandosi la nuca imbarazzato «Sentite, io … faccio un salto a casa, la Russa mi ha già bombardato di chiamate e vorrei farmi una doccia.»
«Okay, basta … basta che ritorni o quello muore prima del tempo.» borbottò Lip, con un’aria sfinita.
«Lip, ti prego.» lo rimproverò Fiona, guardandolo negli occhi in cagnesco.
«Mandy voleva passare a salutare Ian.» aggiunse Mickey, la sua voce sembrava svuotata da ogni sentimento. Lip saltò dal tavolo quando sentì il nome di Mandy. «Allora, so che quello che sto per dirvi è una delle cose più da checche che abbia mai detto in vita mia, ma …» Mickey vacillò, strofinandosi il naso con le mani, cercando di restare lucido e di non farsi sopraffare da quella bruttissima emozione che gli faceva battere il cuore in maniera così veloce che sembrava scoppiare. «Io sono disposto a farmi carico di tutte le responsabilità, voglio prendermi cura di lui, ma non voglio creare casini in questa casa, quindi se non mi volete in mezzo alle palle, se pensate che la mia presenza possa essere deleteria per Ian, basta dirmelo ed io leverò le tende.»
«Mickey, ma cosa …» Fiona sembrava confusa.
Quello davanti a lei, che aveva pronunciato quelle parole, era davvero Mickey Milkovich?
Com’è che quella situazione aveva scosso e cambiato anche Mickey, quello con la scorza dura, quello che non si sarebbe fatto vedere in quelle condizioni da nessuno?
«Sentite, già siamo in una situazione del cazzo e non voglio che questa situazione del cazzo diventi ancora più del cazzo perché ci sono io in mezzo.» si scroccava le nocche, come se si stesse preparando a fare a pugni con qualcuno.
Senza alcuna previsione, Fiona Gallagher gli saltò al collo in lacrime.
«Ma cosa cazzo … ?» brontolò, guardandosi attorno stupito mentre la maggiore dei Gallagher lo stringeva tra le braccia, nel frattempo Lip se ne stava salendo al piano di sopra con un sorriso triste, scuotendo la testa.
Fiona intanto singhiozzava e lo stringeva, mormorando qualcosa disperatamente, che quasi quasi faceva sembrare il suo dolore una bazzecola. Mickey non sapeva come reagire, era diventato come una statua di marmo, lui e Fiona insieme sembravano combinare un mix di disperazione pura, un carico di sofferenza così grande che in confronto la morte stessa sembrava un taglietto.
«Non dire cazzate, Mickey.» lo rimproverò Fiona, ancora tra le lacrime «Se solo ti azzardi ad abbandonarlo ti stacchiamo la testa a morsi.»
«E-E tutte quelle altre cazzate?» borbottò, una volta che Fiona si staccò da lui ed era piuttosto impegnata a scrutare le sue scarpe imbarazzata. Non capitava tutti i giorni di avere l’impulso di abbracciare Mickey Milkovich. Per lo più, desideravi prenderlo a calci nelle palle per la maggior parte del tempo. «Quando viene la parte in cui mi direte che volete che passi i suoi ultimi giorni con voi? Che volete la vostra privacy familiare?»
«Ian ha bisogno di te tanto quanto ha bisogno di noi, se non di più.» Fiona avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro che riguardava Mickey, ma si trattenne, comprendendo che in quel momento il ragazzo non avrebbe certamente accettato parole di compassione o altre moine simili «Quindi se vuoi puoi trasferirti qui finché …» non c’era bisogno che aggiungesse altro e Mickey comprese e annuì perché non voleva che dicesse ad alta voce quelle parole, anche se probabilmente neanche lei aveva il coraggio di dirle.
Il ragazzo sorrise amaramente, salutò la maggiore dei Gallagher e andò via.

Il Milkovich sarebbe ritornato solo all’ora di pranzo, con sua sorella Mandy,  trovò Ian seduto sul divano che guardava la televisione e Lip che cercava disperatamente di concentrarsi per studiare.
Con Mandy in circolazione sarebbe stato ancora più complicato, non contando il costante pensiero che suo fratello sarebbe morto da lì a poco tempo.
Nel frattempo Ian era seduto tra i due Milkovich, Mandy lo abbracciava e gli sussurrava qualcosa che lo aveva fatto anche ridere, Mickey si era limitato ad avvolgere un braccio intorno alle sue spalle, forse imbarazzato dalla presenza della sorella.
A quel punto Lip decise che le parole scritte sul suo libro di fisica non riuscivano ad entrargli in testa e raggiunse Ian e i Milkovich in salotto.
Guardò Mandy: era struccata, con i capelli un po’ sfatti e il suo sorriso un po’ triste era stampato sul suo volto, la frangia nera troppo lunga era appuntata di lato.
Bellissima.
Fu il primo e inquietante pensiero che gli venne in mente.
Non aveva mai pensato che una donna fosse bellissima, non in quel modo.
«Ti fermi a pranzo, Mandy? Fiona mi ha detto che porta i Tacos.»
«Fiona torna per pranzo?» domandò Ian, mentre quasi inconsapevolmente metteva una mano sulla coscia di Mickey, che sobbalzò.
«Sì, si è presa il pomeriggio libero.»
Ian annuì risentito, sapeva che Fiona avrebbe iniziato a comportarsi in quella maniera, avrebbe iniziato a preoccuparsi, a cercare di trascorrere il più tempo possibile a casa, assieme a lui, a cercare di farlo stare meglio, ma già gli bastava Mickey come infermiere personale … e forse averne due sarebbe diventato troppo doloroso, oltre che abbastanza seccante.
Avrebbe iniziato a tentare di fare la supereroina, provando a portare a casa ancora più soldi e in molto meno tempo del solito, perché c’erano le medicine da comprare e le prestazioni mediche da pagare, con cui veniva aiutata da Mickey che già aveva venduto una parte della sua armeria personale e da Kevin e Veronica, che avevano alzato i prezzi dei loro farmaci per guadagnare di più e destinavano a loro quasi tutto il loro guadagno dell’Alibi.
Ma sapeva che Fiona era forte ed anche che voleva bene a sua sorella più di quanto volesse ammettere a se stesso. Era merito suo se era riuscito ad arrivare almeno a diciotto anni, altrimenti si sarebbe trovato in mezzo a una strada o in un cassonetto della spazzatura fin dalla tenera età.
Fiona aveva preso le redini della situazione, aveva tirato su e si era presa cura di tutti fin da quando era piccolissima.
Prima o poi l’avrebbe ringraziata. E le avrebbe confessato tutta la sua gratitudine.
Fu riportato al presente da un Mickey misto tra preoccupato e arrabbiato che gli schioccava le dita davanti agli occhi, dicendogli qualcosa a cui non prestava particolarmente attenzione.
«Ehi, Testa Rossa, ci sei?» gli domandava.
«Sì, scusami era sovrappensiero.»
«Dicevo se dopo pranzo volevi fare un giro, magari ce ne andiamo a fare i frocetti innamorati al lago Michigan. Prima dovrei passare a dare un po’ di soldi alla Russa che stamattina si lamentava perché al Succhia-latte mancavano i pannolini.»
 E a Ian balenò un altro pensiero in mente: Yevgeny … oh, si sentì uno sciocco, come aveva potuto dimenticarsi del piccolo Milkovich? Avrebbe tanto voluto passare un po’ di tempo con lui, come faceva prima della diagnosi della malattia, poterlo cullare e farlo addormentare nel letto con lui e Mickey la notte, quando Svetlana era a fare qualche servizio al “Centro Massaggi”.
E Mickey si lamentava, chiedendosi perché quell’esserino dovesse dormire con loro, per poi abbracciarli entrambi inconsapevolmente mentre dormiva.
«Mick, voglio andare da Yev, me ne ero dimenticato.» gli mormorò, mentre Lip e Mandy avevano dato inizio ad un fitto chiacchiericcio.
Mickey ebbe un tuffo al cuore: avrebbe dovuto odiarlo, quel bambino, non avrebbe dovuto volergli bene, prendersi cura di lui.
Per Mickey era il ricordo più brutto della sua vita, eppure …
Eppure Ian gli aveva fatto vedere quella situazione con una luce completamente diversa.
«D’accordo.» la voce di Mickey si addolcì e, come al suo solito, fece una carezza nei capelli del fidanzato. «Dopo pranzo andiamo e gli fai tutte le moine e i giochetti che vuoi.»
Lip e Mandy erano scomparsi, probabilmente si erano rintanati in camera a scopare pesantemente, in un altro momento Mickey avrebbe volentieri spaccato la faccia al biondino, ma adesso non gli importava.
Mickey si guardò intorno e dopo aver effettivamente constatato che erano soli attirò Ian a sé e gli fece poggiare la testa sulla sua spalla, in modo da potergli accarezzare meglio i capelli e le guance.
Ormai tempestare il suo volto – e soprattutto i suoi capelli – di carezze era diventato un rituale, uno scacciapensieri, una medicina, una droga. Ma Ian era sempre stanco, pallido, nonostante si sforzasse di apparire al meglio si notava lontano un miglio che qualcosa non andava …. E Mickey odiava quel “qualcosa”, perché gli ricordava costantemente come quella storia sarebbe andata a finire.
In fondo al suo cuore avrebbe voluto sposarlo, fare quelle cose da fighette in abito elegante, condividere la casa – magari non al South Side – e sì, anche poter crescere insieme quel Succhia-latte.
Non si era mai reso conto di volerlo davvero finché non era stato ad un passo dal perderlo per sempre.
Gli scese una lacrima solitaria sulla guancia destra, che prontamente si apprestò ad asciugare, deglutì pesantemente ed immediatamente tornò ad affondare le mani nella chioma di Ian, sospirando di tanto in tanto. Il Rosso, nel frattempo, aveva affondato il naso nella sua felpa, sniffandola come se fosse la droga migliore del mondo.
Cercò di convincersi che sarebbe andato tutto bene, che avevano ancora qualche mese da passare insieme … voleva solo che quei pochi mesi a disposizione non finissero mai.
«È tutto okay, Mick?» gli domandò, accarezzandogli il fianco con i polpastrelli da sotto il tessuto. Aveva le dita incredibilmente gelide.
«Sì, va tutto bene.» gli lasciò un impacciato bacio sulla testa e poi tirò un sospiro profondo, gettando la testa sullo schienale del divano, nel tentativo di non piangere ancora. E andava bene, perché sembrava funzionare.
Oh, si sarebbe preso altri mille proiettili nelle chiappe pur di vederlo guarire.

Ian si fermò dietro la porta socchiusa del bagno di casa Milkovich, sbirciando attraverso di esse la dolce immagine di Mickey che teneva tra le braccia Yevgeny: era poggiato alla sua spalla, mezzo addormentato.
Svetlana lo aveva lasciato nella loro custodia per andare all’Alibi, dove voleva controllare la situazione delle sue colleghe.
Era stranissimo vedere Mickey che faceva avanti e indietro per la stanza cullando con un po’ di imbarazzo il piccolo Yev, Ian sentiva anche che mormorava qualcosa, ma la sua voce era triste, sicuramente non era il tono con cui si dovrebbe parlare ad un bambino.
Considerando anche il fatto che per la maggior parte delle volte lo guardava con diffidenza e si lasciava scappare qualche strano insulto, quel tono dolce e malinconico era terribilmente innaturale per Mickey Milkovich. Sembrava una recita troppo realistica.
«Quella testa di cazzo di papà Ian ha deciso di giocarci un brutto scherzo.» gli disse, parlando come se avesse qualcosa incastrato in gola «Cazzo, non lo ricorderai neanche. Cretino pure io, che sto parlando con un lattante … ma lui si è sempre preso cura di te, stronzetto. Troverò il modo con quella puttana russa di tua madre per parlarti di lui quando crescerai» la mano di Ian cominciò a tremare e gli occhi a farsi lucidi «e che nessuno si azzardi mai a dire che non era il tuo vero padre, eh. Tu pestali a sangue se lo faranno. Mettila così: sei figlio della Russa, mio e di Ian Gallagher. Hai una madre e due padri, okay?»
Ian non resse, si accovacciò al muro vicino alla porta e si coprì gli occhi, perché il Rosso sapeva che la sua famiglia ce l’avrebbe fatta a superare la sua morte, sapeva che i suoi fratelli erano forti e si sarebbero ripresi, si sarebbero fatti forza l’un l’altro, ma il suo Mick era solo … Era straziante accettare di dover abbandonare per sempre l’uomo della sua vita con il piccolo Yevgeny e Svetlana – la sua pseudo moglie – a carico.
Ian lo sapeva che non avrebbe retto, lo sentiva anche dal tono con cui parlava con il bambino, o comunque dal fatto stesso che stesse parlando con quel bambino. Gli stava facendo un discorso che chiunque membro della famiglia Milkovich avrebbe definito da fighette e che Ian trovava maledettamente doloroso.
Mickey era cambiato, qualcuno avrebbe potuto dire in senso positivo, ma tutti avrebbero preferito che il contesto che lo portasse a cambiare fosse diverso.
Non dormiva più durante la notte, vegliava su Ian nel timore che l’avrebbe lasciato nel sonno, controllava costantemente se respirasse e, come faceva al solito, giusto per non farsi mancare il tranquillante giornaliero, gli accarezzava i capelli.
Quando Ian tornò in camera Mickey era seduto sul letto, con la schiena poggiata al muro e il piccolo Yevgeny ancora tra le braccia, che dormiva come un ghiro sulla sua spalla destra; Ian si sedette accanto a lui, poggiando la testa sull’altra sua spalla mentre, a dispetto di tutto, gli scappava un sorriso beffardo nel vedere Mickey e suo figlio in quel modo.
«Fai qualche commento dei tuoi e ti faccio volare tra le mucche del Kentucky.» lo minacciò Mickey, facendolo scoppiare in una grossa risata, che lo portò ad accoccolarsi ancora di più a lui.
Lo faceva sentire bene il fatto che Mickey mantenesse certi atteggiamenti, lo faceva sentire a casa, come se niente di brutto fosse mai successo; ormai si era praticamente poggiato sulle sue cosce e lo guardava dal basso, con quella sua espressione un po’ truce, come se fosse pronto a far cazzotti con chiunque gli di presentasse davanti.
Tipico di un Milkovich.
Era quella per lui la normalità: raggomitolarsi nel letto di casa Milkovich, fare sesso fino a restare senza fiato e godersi il freddo invernale abbracciato a Mickey che si lamentava per qualsiasi cosa. L’unica volta che aveva osato chiamarlo “Brontolo” gli era costata un pugno nello stomaco, ma era valsa la pena … perché dopo, di sua spontanea volontà, Mickey Milkovich l’aveva baciato.
E che bacio.
E che sesso.
In quel momento, Ian Gallagher, a dispetto di tutto, si sentiva come se potesse vivere per sempre.
«A quanto pare il Succhia-latte si è addormentato ben bene.» gli disse Mickey, battendo alcuni colpetti dietro la schiena di Yevgeny.
«Penso che la tua presenza lo tranquillizzi.»
«La mia presenza? Tieni qua, dai!» Mickey rise, porgendo suo figlio ad Ian che se lo poggiò sul petto, con una smorfia di dolore … i dolori al petto erano lancinanti in quel periodo, ma cercava in ogni modo di non farlo notare a nessuno. Mickey s’allarmò.«Ehi, ehi, ehi, che cazzo fai? Tutto a posto?»
«Sì, tranquillizzati.» gli prese una mano e s’accorse che tremava.
«Come cazzo faccio a tranquillizzarmi? Tieni, attaccati questo aggeggio.» il ragazzo scansò la mano per sistemargli le cannule per l’ossigenoterapia, per poi iniziare a gesticolare e borbottare cosa senza senso, sembrava quasi impazzito, mentre imprecava con parole indecifrabili «Io … Io … Ian, porca puttana!»
Ian s’alzò piano e appoggiò Yevgeny nel passeggino che Svetlana aveva piazzato accanto al letto («Che cazzo ci fa qui questo trabiccolo?» gli aveva chiesto Mickey irritato.), si sistemò meglio sul materasso e prese tra le mani il volto arrabbiato del fidanzato, l’espressione corrucciata gli diceva che non si sarebbe fatto scrupoli a tirargli un pugno.
Eppure Ian sorrideva, con quell’odiosa espressione di chi era l’incarnazione della perfezione, di chi riusciva a ad accettare il proprio destino con quell’immane coraggio.
E Mickey si chiedeva cosa cazzo avesse da sorridere.
«Senti, Mick, la realtà è questa purtroppo. Ho paura anche io. Ti sembra forse che io non avrei voluto più tempo a disposizione? Ho solo diciotto anni, cazzo.» una lacrima scese sulle guance lattee e lentigginose del ragazzo.
«Ian …» Mickey con la sua voce rotta e instabile gliel’asciugò, perché non poteva tollerare quei discorsi da parte di Ian, in un altro momento l’avrebbe preso a botte, ma adesso no, adesso era diverso.
Se li voleva tirare da solo, i pugni.
«Guardiamo ai giorni belli, Mick.» riprese Ian, tirando su con il naso «Quelli che abbiamo passato e quelli che verranno. Anche quando sarò tre cazzo di metri sotto terra, ricorda tutte le cose belle. E vai avanti.»
«La smetti con questo cazzo di discorso da checca?» il suo labbro tremava, i suoi occhi erano tornati ad essere gonfi «Io … Mi getterei da un palazzo per te, cazzo.»
“Oh, l’amore fa miracoli” aveva pensato Ian, sorridendo dentro di sé. Non si sarebbe mai aspettato delle parole del genere dal Mickey.
«Non ce n’è bisogno, Mick.» sorrise nuovamente il Rosso che, vedendolo sull’orlo della disperazione lo attrasse a sé, ignorando il dolore e stringendolo forte al suo petto, in modo che soffocasse tutte le sue inconsuete lacrime contro la sua maglietta.
Prima di incontrare Ian e innamorarsene Mickey Milkovich non avrebbe pianto mezza lacrima neanche sotto tortura, era difficile per uno come lui.
Eppure eccolo lì, a piangere ogni giorno come un pisciasotto disperato.
«Sono un perdente.» borbottò, stringendo forte le braccia intorno al torace di Ian, a cui stava aggrappato come un bambino. «Ho perso tutto!» Mickey urlò, staccandosi dal corpo di Ian e tremando, rosso di rabbia in volto «Guardami! Cosa cazzo sono diventato?»
Ian tornò ad abbracciarlo, nonostante le urla Yevgeny ancora dormiva – ed era un bene – lo abbracciava con tutta la forza che aveva in corpo, si dondolava avanti e indietro con lui tra le braccia. Lui stesso si stava chiedendo come si fosse trovato in quella situazione, a cullare tra le braccia Mickey Milkovich che si disperava come un bambino …
«Tu mi stai salvando la vita, Mick …» ed era vero.
«No, tu morirai.» aveva smesso di piangere, si era semplicemente rannicchiato contro di lui impaurito e arrabbiato «Ed io non sono un eroe, Gallagher.»
«Non è ancora finita, Mick.» gli confessò, accarezzandogli le spalle e cercando di tranquillizzarlo in qualsiasi modo possibile «Io sono ancora qui.»
Mickey allungò le braccia sul suo collo, fino ad arrivare ai capelli che tanto amava e che ora aveva preso ad accarezzarli con la dolcezza tipica e impacciata di un Milkovich.
Quel movimento tranquillizzava Ian, quel tocco che concedeva solo a Mickey era per lui come un toccasana.
I capelli che Ian aveva sistemato poco prima si erano nuovamente scompigliati sotto le mani del fidanzato, che compieva quel rituale come se ne andasse della sua vita stessa.
Forse era effettivamente così.
«Non andare via, maledetto cazzone.» gli aveva mormorato Mickey, con la poca voce che aveva a disposizione.
Ian sorrise, mentre due lacrime gli solcavano il volto.
«Non vado da nessuna parte, Mick.»


 
FINE CAPITOLO II


 

Note d’Autrice:
Ciao a tutti! Eccomi puntuale con il secondo capitolo di questa storiella che, come avevo già anticipato, urla OOC da ogni parola.
Lo so, ma giuro che è complicatissimo trattare una tematica del genere quando c’è in mezzo un personaggio come Mickey Milkovich.
So che delle reazioni del genere non sono tipiche del suo carattere, ma l’abbiamo già visto crollare in parecchie situazioni nel corso della serie TV e, alla consapevolezza della sicura morte di Ian, io non sono riuscita ad immaginare una reazione differente.
Rabbia e dolore.
Principalmente rabbia, però. Incontenibile.
Nella parte iniziale del capitolo ho cercato di dimostrare quanto i personaggi siano cambiati e maturati, Mickey per primo, che è disposto ad allontanarsi da Ian pur di farlo stare meglio.
Sinceramente, non credo che il Mickey Milkovich della serie l’avrebbe mai fatto.
Un altro personaggio importante, a mio parere, è Lip. Ho inserito delle sue piccole reazioni che, nel corso della storia, potrete comprendere.
(E lo sto facendo riavvicinare con Mandy perché i Gallavich!Het sono l’amore ♥)

Per la scena in cui vediamo la speciale partecipazione del piccolo Yev (ed un Mickey abbastanza confuso sui sentimenti che prova per il bambino), diciamo che mi sono dovuta mettere ad esaminare buona parte della quinta stagione, diciamo il periodo in cui hanno giocato alla famigliola felice, prima del rapimento di Yev.
Ho analizzato anche la puntata del rapimento, cercando di comprendere meglio i sentimenti che sia Ian che Mickey provano verso Yev e cogliere le loro reazioni.
Sono giunta alla conclusione che Mickey riesce ad accettare suo figlio solo con la presenza di Ian, che gli scaccia il brutto ricordo del suo concepimento.
Okay, forse sto divagando un po’, ma detto brevemente credo che conoscendo Mickey Milkovich lui ne uscirebbe totalmente distrutto al solo sapere che Ian deve morire.
Ecco.
Inoltre, i versi che accompagnano questo capitolo sono quelli di “No Hero”, di Elisa.
Come al solito, se volete altri chiarimenti, avete domande o altro … non esitate a chiedere.
In più, ringrazio Katie_P che ha inserito la storia nelle preferite, bananacambogianachiquita che l’ha inserita nelle ricordate e ophelia15362 che l’ha inserita nelle seguite.
Non mi dilungherò oltre visto che queste NdA sono uscite più lunghe del capitolo stesso!
A martedì prossimo,
Merasavia Anderson.

 
   
 
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