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Autore: _sun_rise_    04/01/2017    2 recensioni
Sofia ha 23 anni, è una ragazza dolce, solare, ottimista e a un passo dal realizzare il sogno di seguire il padre antropologo nei suoi numerosi viaggi.
Edoardo, 28 anni, migliore amico del fratellastro di Sofia. Fisioterapista di professione, non ama parlare di sé e tratta Sofia come una bambina ingenua e inesperta, bisognosa di protezione.
Li lega un rapporto di reciproca indifferenza, fino all'improvviso, quanto inaspettato, cambiamento di Edoardo.
Ma non tutto è come sembra.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1


 

“Direi che può bastare. Le do un 30 e lode signorina, che ne pensa?”

“Grazie professore, la ringrazio.” ripetei, non potendo trattenere un sorriso soddisfatto. Cercai di rimanere composta e impassibile, mentre dentro di me urlavo a squarciagola.

“Ha già scelto il suo relatore?”

“Sì, ho chiesto la tesi al Professor Covini.”

“Storia contemporanea, giusto?” annuì il docente finendo di apporre la sua firma sul libretto. L’ultima firma, per l’ultimo esame. Urlavo, eccome se urlavo.

“Esatto. L’ho chiesta un mese fa e ho già iniziato la ricerca bibliografica.”

“Bene. Non mi resta che augurarle in bocca al lupo allora.” disse sorridendo e porgendomi la mano. Ricambiai la stretta, “crepi il lupo”, risposi e poco dopo potei finalmente lasciare l’aula.

Mi ritrovai nel giardino della facoltà. Erano le undici di un un’assolata mattina di maggio e avevo ufficialmente finito. Avevo superato brillantemente non un esame qualsiasi ma quell’esame, quello più odiato, quello che mi perseguitava dal primo anno d’università, quello per cui da più di due mesi non dormivo la notte. Terrorizzata, avevo avuto la brillante idea di rimandarlo di anno in anno ma finalmente ce l’avevo fatta, era finita. Quello era il mio ultimo esame.

L’adrenalina era talmente tanta che non sapevo bene cosa fare, cosa dire o dove andare. Intanto dovevo informare qualcuno. Come sempre in quei casi chiamai mia madre, la prima persona a cui ero solita comunicare gli esiti dei miei esami. Inutile dire che ne fu felicissima, sentirla così soddisfatta mi riempì il cuore di gioia e anch’io ebbi modo di sfogare un po’ di adrenalina.

Mentre aspettavo il tram che mi avrebbe riportata a casa scambiai qualche messaggio anche con Claudio e Arianna, i miei due migliori amici. Diedi loro la favolosa notizia e subito mi proposero di vederci quella sera stessa per festeggiare. Sorrisi e ovviamente accettai. Staccare la spina e divertirmi era proprio ciò di cui avevo bisogno per scacciare via definitivamente quel sostrato d’ansia mischiata a confusione che inevitabilmente continuava a persistere.

Due autobus e dieci minuti di camminata più tardi, giunsi finalmente a casa. Leggermente distratta dai messaggi dei miei amici, aprì la porta senza far caso all’enorme sagoma che subito iniziò a correre verso di me. Fu quando percepì distintamente il rumore delle unghie sul pavimento e il suo pesante ansimare che sollevai gli occhi. Gridai terrorizzata quando mi saltò addosso.

Zara, un labrador. Un enorme labrador color crema di appena due anni iniziò a leccarmi la faccia e, scodinzolando felice, mi diede il suo personale bentornata.

Una scena commovente, certo, se non fosse per il fatto che avevo il terrore dei cani.

Con il cuore a mille e la paura che mi faceva tremare dalla testa ai piedi sentivo la mia voce urlare a squarciagola, come se non mi appartenesse. Come al solito in quei casi smisi di ragionare e mi feci prendere dal panico. Riuscii a scrollarmela di dosso e a indietreggiare di qualche passo. Tenni entrambe le mani avanti, per mantenere un po’ di distanza tra me e il mio incubo personale e, con una voce improvvisamente bassa e abbastanza inquietante, iniziai a dire frasi sconclusionate: “Buona. Buona. Ferma Zara, stai ferma là.” dissi, senza distogliere lo sguardo da quegli occhietti marroni, straordinariamente luminosi. O assetati di sangue? Dovevo ancora deciderlo. “Buona. Non muoverti. Ecco brava. Bravissima. Vedi come sei brava?”

“Stai cercando di ipnotizzare il mio cane?” Esclamò una voce divertita alle mie spalle.

“Che diavolo ci fa qua? Lo sai che ho il terro...oddio! Oddio! Portalo via!” sbraitai per l’ennesima volta, vedendo che Zara non solo non accennava a volersi allontanare, ma sembrava volermi saltare nuovamente addosso. Analizzai velocemente le possibili vie di fuga e iniziai a correre come la demente che, in quel momento, ero.

Ebbi fortuna e, un attimo prima che il demone mi raggiungesse, riuscii a raggiungere il bagno e a chiudermici dentro.

Mi misi una mano sul cuore e cercai di respirare normalmente. Al diavolo lui e il suo maledetto cane!

“Coniglietta, io mi chiuderei a chiave se fossi in te. Zara potrebbe abbassare la maniglia della porta e a quel punto non avresti scampo.” Edoardo Castelli, il padrone di Zara nonché migliore amico di mio fratello Davide, con voce palesemente divertita, continuava indisturbato a prendersi gioco della sottoscritta.

“Molto divertente. Davvero molto divertente.” dissi sarcastica. Sentii una risata dall’altra parte della porta e, poco dopo, i passi di Edoardo e Zara allontanarsi dal punto in cui mi trovavo. Sconsolata, strinsi gli occhi e mi passai una mano sul viso al ricordo delle parole e dei gesti imbarazzanti di pochi secondi prima.

Solita storia: amavo i cani, finché se ne stavano legati al guinzaglio e a debita distanza dalla sottoscritta.

“Puoi uscire, l’ho portata fuori.” sentii dire da un Edoardo ancora palesemente divertito.

Aprii la porta lentamente e, dopo essermi accertata che il cane fosse effettivamente sparito, abbandonai il mio nascondiglio.

Edoardo Castelli se ne stava là, in piedi di fronte a me, con il suo glorioso metro e novanta e le braccia incrociate al petto. Con i capelli e la barba nera, gli occhi scuri e il sorriso luminoso era veramente un bel ragazzo. Ciò che di sicuro non passava inosservato era però il suo fisico statuario: l’altezza, le spalle larghe e i muscoli definiti, frutto dei numerosi sport che amava praticare. Fu l’abbaiare di Zara, esiliata probabilmente fuori in balcone, a riportarmi in carreggiata e a far rimontare la rabbia: “Si può sapere perché l’hai portata qua? Quante volte devo ripeterti che ho paura?” esclamai inviperita.

“Calmati, sono passato a consegnare dei documenti a Davide e ho portato con me Zara perché pensavo non fossi a casa. Non avevi un esame o qualcosa del genere?”

“Sì, ma ero la terza in ordine d’iscrizione e ho finito presto.” spiegai.

“Ehi, ma si può sapere che succede? Ho sentito delle urla.” la voce di mio fratello ci interruppe e pochi minuti dopo la sua figura ci raggiunse.

“Zara.” esclamammo all’unisono io e il suo migliore amico.

Dovette capire immediatamente la situazione, perché in tutta risposta scoppiò a ridere.

Lo fulminai con lo sguardo e subito si diede un contegno. “Ehi! Aspetta un momento! L’esame? Com’è andato?” chiese, ricordandosi il motivo della mia assenza mattutina.

“Passato!” annunciai, ritrovando subito il buonumore.

“Vai così!” disse, aprendosi in un sorriso e dandomi il cinque.

“Ci credi Edo? Questo esserino sta per laurearsi.” continuò Davide e non potei trattenermi dall’alzare gli occhi al cielo e sperare che non si abbandonasse al viale dei ricordi.

“Esserino sarai tu, quando la smetterai di trattarmi come una bambina?” sbuffai indispettita, stanca di quello stupido atteggiamento.

“Sofia ha ragione Davide, non è più una bambina. Se la guardi da lontano sembra addirittura che le siano cresciute le tette, non vedi?” arrossii fino alle punte dei capelli e maledissi quella voce sarcastica e derisoria che ci colse tutti di sorpresa.

Ada. 27 anni di puro cinismo, egoismo e rancore. La mia adorabile sorellastra, nata, come Davide, dal primo matrimonio di mia madre.

La battuta parve offendere solo la sottoscritta dato che tutti gli altri scoppiarono a ridere come se niente fosse. Non era una novità, considerando che mettermi in imbarazzo era il passatempo preferito di quei tre.

“È ufficiale Ada, a Sofia rimane solo la tesi.” Davide, in buona fede, informò la sorella delle ultime novità e mi preparai mentalmente alle conseguenze di quel gesto.

“Wow! E sentiamo, quale complesso argomento hai scelto per la tesi? Io mi metterei subito a lavoro se fossi in te, quanti libri devi leggere? Due?”

Approfittando della mia timidezza erano molti gli argomenti che Ada sfruttava per colpire i miei punti deboli: dall’età, all’aspetto fisico, fino ad arrivare al rapporto con mio padre; ma il suo terreno di scontro preferito continuava ad essere quello scolastico. Lei studiava medicina, io lettere. Lei era destinata a salvare vite, io a ritrovarmi disoccupata e sotto un ponte. Lei era destinata a diventare qualcuno, io, nella migliore delle ipotesi, a insegnare materie noiose e banali ad adolescenti disinteressati e in piena crisi ormonale. Lei si era laureata con il massimo dei voti in un’università prestigiosa dove la mole di lavoro era notevole, io sì, avrei anche potuto laurearmi con il massimo dei voti, ma in quella che lei definiva un’università di serie B.

“Ada...” fu Davide ad ammonirla. Dovette percepire il mio stato d’animo perché subito cercò di cambiare argomento.

Mi si riempirono gli occhi di lacrime e odiai me stessa, il mio carattere e la mia debolezza. Di solito riuscivo a risponderle a tono ma mai come in quel momento mi sentii stanca. Stanca del suo atteggiamento nei miei confronti, del suo continuo sminuirmi, dei suoi costanti tentativi di mettermi in imbarazzo. Come accadeva da una vita era riuscita, per l’ennesima volta, a smorzare il mio entusiasmo, a rovinare un momento per me importante.

“Sofia, allora?” a riscuotermi dai miei pensieri fu la voce di Davide.

“Non ho sentito, scusa.” ammisi.

“Stasera esci con noi? Dobbiamo festeggiare.”

“Non posso, mi dispiace. Ho promesso ad Arianna e Claudio che sarei uscita con loro.”

“Sei una guastafeste.” fu la risposta del mio fratellastro, che tuttavia mi sorrise affettuoso.

Sorrisi a mia volta, cercando di evitare il suo sguardo che si era fatto apprensivo e preoccupato dopo le parole della sorella.

“Vado di sopra.” aggiunsi e prima andai a prendere un bicchiere d’acqua.

Oltrepassai il soggiorno, in cui ci eravamo spostati appena arrivato Davide e mi diressi in cucina.

Stavo riponendo la bottiglia d’acqua in frigo, quando la voce di Edoardo mi colse di sorpresa.

“Coniglietta, io e Zara andiamo via. Vuoi salutarla con una carezza?”

“No, grazie.” feci una smorfia, voltandomi di scatto e tirando un sospiro di sollievo quando vidi che il cane non era con lui.

Stavo per lasciare la stanza quando la sua voce mi fermò.

“E comunque Ada ha detto una stronzata.”

Sgranai gli occhi e mi voltai verso di lui. Lo vidi venire verso di me, senza mai interrompere il contatto visivo. Si fermò a pochi centimetri dalla mia figura, coprendomi la visuale con la sua stazza imponente. Mi guardò negli occhi e, sorridendo leggermente, mi scostò una ciocca di capelli dal viso. Aggrottai le sopracciglia confusa quando lo vidi chinarsi su di me per sussurrarmi all’orecchio: “Che ti sono cresciute le tette è un dato di fatto.”

Arrossii come non mai e, furente di rabbia, gli diedi una spinta che non lo smosse di un centimetro e, dopo averlo mandato a quel paese, mi diressi a passo di marcia al piano di sopra, sentendo in sottofondo la sua risata divertita.


 

Davide, Ada ed Edoardo. Potevano tre persone così diverse tra loro essere amici per la pelle e addirittura fratello e sorella?

Ada e Davide erano i figli che mia madre, Nora, aveva avuto dal suo primo marito: Antonio Fabriani. Erano stati sposati per sei anni, per poi separarsi a causa del tradimento di lui. Due anni dopo, quando Ada aveva appena tre anni e Davide cinque, mia madre incontrò mio padre, Filippo Ferrari. Fu amore a prima vista. Mia madre era una psicologa e mio padre un antropologo, si incontrarono ad un convegno e non si separarono più. Un anno dopo nacqui io. Purtroppo le cose non andarono come previsto; mio padre era ciò che si poteva definire uno “spirito libero”, nel senso che amava follemente il suo lavoro e, se inizialmente cercò con tutto sé stesso di adattarsi al suo nuovo ruolo di padre e marito, ben presto non riuscì più a stare rinchiuso nelle aule universitarie in cui aveva iniziato a insegnare e riprese a viaggiare per il mondo, per continuare le sue ricerche sul campo. Inizialmente i miei provarono a continuare la loro relazione, ma ben presto entrambi capirono che i rispettivi caratteri non permettevano loro di convivere a distanza e decisero di separarsi, mantenendo comunque ottimi rapporti.

Mio padre andò via di casa quando avevo appena dieci anni. Lo adoravo e, strano a dirsi, la sua partenza non aveva minato il nostro rapporto. Certo, mi mancava terribilmente e durante l’adolescenza non fu sempre facile accettare la sua lontananza o il poterlo vedere solo due o tre volte l’anno ma, in fin dei conti, era proprio la lontananza a rendere il nostro rapporto così speciale. Era proprio la sua folle personalità che adoravo, il suo essere così eccentrico e anticonformista, la sua costante curiosità, il suo essere così aperto mentalmente. Erano queste le caratteristiche che, ai miei occhi, lo rendevano speciale e sapevo perfettamente che se avesse condotto una vita “normale”, non sarebbe più stato sé stesso.

Mio padre era la persona che più ammiravo al mondo e, non a caso, era proprio da lui che avevo ereditato la passione per la storia, l’archeologia e l’antropologia. Sognavo di seguirlo nei suoi viaggi, anche solo per qualche anno, per vedere e conoscere personalmente i posti e le genti di cui amava parlarmi durante le nostre lunghe telefonate. Avevamo fatto un patto, noi due: la laurea. Dopo la mia laurea avremmo parlato seriamente di questo mio progetto e speravo con tutta me stessa che acconsentisse a farmi fare quell’esperienza.

Tornando alla mia famiglia allargata, nulla cambiò dopo l’allontanamento di mio padre, nulla a parte il comportamento di Ada. Quando rimanemmo soli con nostra madre, Ada aveva quattordici anni e Davide sedici. Se con il secondo ebbi sempre un ottimo rapporto, fatto di fiducia e confidenze, lo stesso non potevo dire della mia sorellastra. Da bambine le litigate non mancavano ma riuscivamo a far pace in maniera relativamente veloce; fu durante l’adolescenza che lei cambiò e iniziò a tollerarmi sempre meno. Secondo Davide non aveva mai superato la separazione dei suoi, così come il dottor Fabriani, il padre di entrambi, che continuava ad accusare nostra madre di essersi consolata un po’ troppo in fretta dopo la loro separazione, cercando di indurre entrambi i figli a fare lo stesso, mettendo in cattiva luce non solo nostra madre e mio padre, ma anche la sottoscritta. Mio padre riuscì a creare un rapporto molto stretto con Davide, ma non riuscì mai a conquistare l’affetto di Ada, che, sin da bambina – spinta molto probabilmente dal dottor Fabriani con cui mantenne sempre un ottimo rapporto – sembrava detestarlo, vedendo sia me che lui come la causa della fine del matrimonio tra i suoi.

Durante l’adolescenza iniziarono le sue costanti prese in giro nei miei confronti e i suoi continui tentativi di mettermi in imbarazzo.

Ero sempre stata una persona molto timida e introversa e per me era molto difficile rispondere a tono alle sue provocazioni. Mia madre e mio fratello – perché consideravo Davide un fratello a tutti gli effetti, e sapevo che per lui era lo stesso – cercarono più volte di aiutarla a superare quel malessere, quel rancore che sembrava provare nei miei confronti, ma non riuscirono mai nel loro intento. Solo dopo tanti anni, quando io avevo più o meno diciotto anni e lei ventidue, sembrò calmarsi. Non che avessimo un buon rapporto, anzi, tutt’altro, semplicemente eravamo giunte ad instaurare una pacifica convivenza, fatta per lo più di indifferenza e alti e bassi: ovvero momenti in cui ci tolleravamo e momenti in cui lei non perdeva occasione di deridermi, come poco prima.

Da un lato capivo il suo atteggiamento e in parte lo attribuivo al lavaggio del cervello, perché di questo si trattava, fattole dal padre, ma c’erano giorni in cui i suoi comportamenti infantili mi lasciavano stremata. Avevo imparato a risponderle a tono e molte volte avevo avuto la meglio, ma vivere nella stessa casa con un simile individuo iniziava a stancarmi.

Infine c’era Edoardo. Lui e mio fratello si erano conosciuti durante il periodo universitario tramite amici in comune: Davide studiava farmacia, mentre Edoardo era un fisioterapista. Si erano trovati, quei due, erano amici per la pelle ed Edoardo passava molto tempo a casa nostra. Sembrava andare molto d’accordo anche con Ada, mentre con me – forse a causa della differenza d’età – aveva un atteggiamento fondamentalmente più distaccato. A causa dell’istinto protettivo di Davide, che da buon fratello maggiore non perdeva occasione di farmi sembrare una bambina idiota e indifesa, col tempo anche Edoardo aveva preso a trattarmi come tale, senza mai superare una linea immaginaria che sembrava aver creato. Mi prendeva in giro, senza mai mancarmi di rispetto e non si intrometteva mai nei miei battibecchi con Ada. Ero fermamente convinta che mi vedesse come una povera bambina inesperta, ingenua e indifesa e il suo chiamarmi coniglietta non aiutava certo la mia causa. Mi aveva affibbiato quel soprannome anni prima, dopo aver visto un video risalente alle elementari, in cui interpretavo la parte di uno stupido coniglietto pasquale interamente vestito di rosa. Un video della discordia, quello, considerando che la parte finale mostrava l’imbarazzante momento in cui, finita la recita e ancora vestita da coniglio, correvo da mia madre per portarle le uova che avevamo dipinto solo poche ore prima; uova sfracellatesi al suolo poco dopo, a causa della mia rovinosa caduta dovuta al costume particolarmente scivoloso.

Detestavo Davide per avergli mostrato quel video e odiavo ancora di più il fatto che da quel momento in poi quello stupido nomignolo sembrava essere diventato il preferito di Edoardo.

Quest’ultimo, Davide e Ada erano amici per la pelle. Uscivano spesso insieme e avevano molti amici in comune. Nonostante i numerosi inviti da parte di Davide, il 99% delle volte e a meno che non vi fossero occasioni speciali, mi rifiutavo di uscire con loro, preferendo mantenere separata almeno la sfera delle amicizie.

Fortunatamente avevo Arianna e Claudio, senza di loro non sarei riuscita a sopravvivere in quella gabbia di matti.



 

_Sun_Rise_

 

Ciao a tutti! Questa è la prima storia che pubblico su EFP, spero che il primo capito vi sia piaciuto :) inutile dire che mi farebbe tanto piacere conoscere la vostra opinione, quindi commenti positivi e negativi sono ben accetti :) Buona lettura!


 


 


 


 


 


 


 


 


 

   
 
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