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Autore: Baetris    06/01/2017    0 recensioni
Irene ha perso l'anno scolastico e i genitori decidono di iscriverla in un collegio femminile lontano dalla sua città. A rendere questa partenza ancora più drammatica è la presenza di un ragazzo di cui Irene è perdutamente innamorata, Liam, un ragazzo italo americano.
E proprio quando sembra che Irene riesca a vivere bene questa sua nuova vita all'interno del collegio stringendo amicizia anche con un'altra ragazza, Isabella, un evento tragico cambierà ogni cosa e costringerà Irene ad una scelta.
(Questa storia è il seguito di "Tempesta di Pace", di cui consiglio la lettura per capire meglio la trama. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2805164 )
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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“Cerca di non fare troppo rumore, se la Marsini ci becca fuori dalle stanze a quest’ora ci fa il mazzo.” mi dice Isabella, davanti a me che cammina sulle punte dei piedi per fare meno rumore possibile.

Riusciamo miracolosamente ad arrivare in stanza senza che nessuno ci scopra e affondo nel letto, sono esausta.

“Sono le 7.00, tra poco dovremo scendere per la colazione.”

Mi cambio i vestiti, questi sanno troppo d’ospedale e fumo di sigaretta.

“Bella la camicia” nota Isabella. Ho comprato questa camicia di cotone ultraleggero qualche anno fa e mi ero totalmente dimenticata di averla.

“Grazie, se vuoi uno di questi giorni te la presto.”

Sentiamo dei rumori fuori dalla porta e qualche istante dopo entra la Marsini: “Buongiorno, signorine. È un piacere trovarvi già sveglie. La colazione sarà servita tra qualche minuto e alle 8 ci sarà, per così dire, una sorpresa del rettore. Vi aspettiamo in aula magna, non tardate.” esce accostando la porta.

“Che pensi che sia?” le chiedo.

“Non ne ho assolutamente idea e non ho neanche voglia di scoprirlo.”

Scendiamo a fare colazione, Silvia ci ha tenuto due posti vicino a lei.

“Buongiorno ragazze, dormito bene?”

“Beh, dormito è una parola grossa.” le dico, accennando un sorriso.

Silvia mi fissa negli occhi, poi quando passa la cameriera a portarci il caffè con le brioche, distoglie lo sguardo.

Ad Isabella si illuminano gli occhi a vedere il croissant al cioccolato davanti a lei, sono felice che abbia questa reazione.

Lo mangia tutto d’un fiato e sorseggia il caffè, forse questo posto le sta facendo davvero bene.

Iniziamo a chiacchierare del più e del meno ma io tengo gli occhi fissi sul telefono, aspettando una chiamata dai genitori di Liam.

“La Marsini ha detto anche a voi della sorpresa?” chiede Silvia.

“Già, tu hai idea di cosa sia?”

“Zero proprio. So solo che riguarda un tizio, un certo professore di non so quale università di Milano. Spero che non sia uno stupido test attitudinale o roba del genere.”

Solo ora noto dei graffi sul polso sinistro di Silvia, paralleli, che proseguono anche sull’avambraccio.

Lei nota che li sto fissando e nasconde il braccio sotto al tavolo. Abbasso gli occhi, spero che non siano ciò che penso.

Ci alziamo da tavola e sono le 7.50, non ho tempo di tornare in camera e cambiarmi, così esco in giardino nella speranza che il telefono squilli.

“È stato il gatto.” è la voce di Silvia alle mie spalle.

“Uhm?”

“È la scusa che usano gli autolesionisti più spesso, oppure il cane o un incidente da bambini. Nessuno ti dirà mai la verità. Beh, a meno che non sia palese e direi che nel mio caso è così.”

Le guardo il braccio, alla luce del Sole si vedono anche delle cicatrici più vecchie su tutto il braccio, fino alle spalle.

“Prima non volevo fissarti, scusa.”

“Tranquilla, sono abituata agli occhi increduli della gente. Non è un problema, sono cose passate.”

“Mi dispiace comunque, avevo un’amica che…”

“Si tagliava? Puoi dirlo, tranquilla, è la verità. E a pensarci dopo è anche una cazzata. Perché farsi del male da soli quando la gente ne fa già abbastanza?”

Non so che dire.

“Sai, Irene, i motivi per cui la gente arriva a farsi del male sono molteplici. C’è chi lo fa perché si sente apatico, chi per distrarsi da altro.”

“Tu perché lo facevi?” appena finisco la frase mi rendo conto di quanto sia invadente e cerco di renderla meno personale, senza risultato perché Silvia mi risponde prima che possa dire altro: “Senso di colpa, principalmente. Pensavo di dover soffrire come hanno sofferto le persone che ho ucciso. Ma la sofferenza che hanno provato loro e tutti quelli che volevano loro bene non è paragonabile a qualche taglio sulle braccia. Purtroppo l’ho capito dopo, dopo aver ridotto il mio braccio così.” Mi mostra le cicatrici che ha, alcune sono molto più marcate, altre sembrano davvero graffi di un gatto.

“Che schifo è?” mi dice lei.

“Non dire così. Io non lo penso.”

“Tu sei una persona buona, l’ho capito da quando ti ho parlato la prima volta. Ma sai, non tutti sono come te. Non sai quante volte mi hanno detto che sono pazza, perché solo una pazza può infliggersi tagli da sola. Sai la cosa più brutta? Alla fine pensavo anche io di essere pazza.”

“Non lo sei, anzi. Ti trovo molto razionale.”

“Ci sono voluti mesi per essere così, appena arrivai qui ero fuori di me. Ancora sotto effetto di tutta quella droga che avevo preso e dell’alcol che avevo bevuto. Ero isterica, nevrotica e non dormivo. Penso di aver mandato a fanculo la Marsini un milione di volte, ma ciononostante non mi ha mai cacciato. Devo tanto a quella donna, dopotutto.”

Si sono fatte le 8, è tempo di andare.

È impressionante come ogni giorno scopra cose nuove di Silvia. Se prima la invidiavo, beh, ora provo tenerezza nei suoi confronti. 

 

 

Buonasera ragazze. So di essere in ritardo perché è passata la mezzanotte, ma il lupo perde il pelo ma non il vizio. Devo essere sincera, questo capitolo è stato facile da scrivere ma il post scriptum è molto più duro.

Non voglio che fraintendiate le parole di Silvia, ovvero le mie, perché ritengo essere l’autolesionismo un argomento fin troppo ridicolizzato e vi faccio una confessione, Silvia sono io. Non per la droga o la morte della famiglia, sia ben chiaro, ma per il suo modo di combattere il dolore. Già, anche io, la vostra amata (e anche odiata, lo so lo so) autrice è, o meglio dire era, un’autolesionista. Tranquille, è un capitolo chiuso e la chiave è stata buttata tempo fa.

Ora capite perché tengo così tanto a Silvia come personaggio.

Buona notte e a domani

Beatrice

  
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