'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei componenti Tokio Hotel, nè offendere il gruppo o i suoi componenti singoli in alcun modo'
1)LA
RAGAZZA DEL BAR.
Era un sabato
sera qualunque, solita gente, soliti stronzi pieni di soldi, soliti
fighetti arroganti e solito lavoro noioso.
Era la ragazza del
bar, la cameriera eccentrica che dispensava sorrisi e bevande, con i
suoi vent’anni e i suoi capelli tinti di un viola acceso.
Tutti la
guardavano, ma nessuno la conosceva mai veramente, un po’
come in quella canzone dei Tre allegri Ragazzi Morti,
nessuno vedeva che la cameriera era sommersa di problemi, tutti
vedevano solo ciò che lei lasciava trapelare.
L’ultimo
cliente era uscito e lei aveva iniziato a pulire il bancone dopo che il
titolare si era portato via l’incasso, fischiettando per
l’appunto quella canzone.
Era
dannatamente veritiera.
“Sarà
che lavori troppo….”
Le sedie
vennero messe una a una sui tavoli.
“E
che sorridi a tutti…”
Andò
a prendere lo spazzettone
e iniziò a pulire.
“non
ti ho mai vista cosi'
stanca e cosi'
lo-go-ra”
Sottolineò
con acredine l’ultima parola, era perfetta per descrivere il
suo stato, se solo avesse potuto sarebbe fuggita seduta stante in
Giamaica.
“sara'
che sei da troppo in piedi
dietro a un banco che non sa”
Guardò
il pavimento, poteva andare…
Incredibilmente
nessuno aveva vomitato quella sera, quell’infame di Sid
almeno una volta aveva dato un’occhiata alla sua protetta e
già quello era da considerarsi miracoloso.
“che
ti eri preparata
per l'universita'”
Ora rimaneva
l’ultimo compito, quello che detestava, portare fuori la
spazzatura.
Uscire in un
vicolo gelido, raggiungere un cassonetto vecchio come le piramidi( ma
in sere particolarmente storte lei sospettava che quel dannato affare
fosse lì già prima di loro) e sperare che nessuno
sbandato decidesse
di passare di li.
Avrebbe passato
un brutto quarto d’ora se l’avesse incontrata, se
la cavava bene in autodifesa e nonostante le troppe Camel fumate lungo
il giorno poteva essere agile se fosse stato necessario.
Chiuse i
sacchetti e ne prese due per mano.
Lei era Aisha Salias,
non era la ragazza cantata da uno dei suoi gruppi preferiti, per lei
non sarebbe arrivato nessun principe in bicicletta, né in
triciclo né in monopattino, al massimo un barbone a
supplicare per una sigaretta.
Aprì
la porta che dava sul vicolo, come al solito emise un cigolio di
protesta, nessuno l’aveva mai oliata.
“Mi
dispiace, bella…
Se non fossi così impedita ti olierei io…anche
perché questi lamenti alle due di notte mi fanno uscire
pazza!”
Era novembre,
rabbrividì e sentì le sue mani, sempre fredde,
perdere la sensibilità, così affrettò
il passo e si avvicinò al rudere acchiappa rifiuti.
Stava per
mettere i sacchetti a terra, quando inciampò in qualcosa che
la fece finire lunga distesa.
“Cosa
diavolo c’è?”
Biascicò
intontita, mettendosi in ginocchio e maledicendo l’oggetto
misterioso.
Rimase a bocca
aperta, non era inciampata su qualcosa, ma su qualcuno, precisamente su
un paio di gambe chilometriche.
Era arrivato il
barbone che aveva predetto…
Un barbone(O
una barbona?) con degli assurdi capelli neri, irti sulla testa come se
avesse preso la scossa, due secondi prima, con dei vestiti che
probabilmente valevano quanto il suo stipendio.
“I
barboni si sono aggiornati…mo
fammi buttare la spazzatura che non ci sto veramente più
dentro questa sera…”
Cautamente si
tirò in piedi, non aveva riportato danni ,si
liberò dei sacchetti e poi tornò verso la porta.
Si
fermò a pochi centimetri con la mano già sulla
maniglia.
Poteva davvero
fregarsene di quell’essere?
Poteva davvero
lasciarlo lì?
Con che
coraggio avrebbe raccontato a Eli,
che lei Aisha,
mezza sarda, aveva ignorato un povero essere umano bisognoso
d’aiuto, dopo tutte le tirate che aveva fatto
sull’insensibilità?
No, ovviamente
non poteva, così, congelando e smadonnando
ritornò al cassonetto e scosse per le spalle
quell’individuo, giunto a coronare una serata che avrebbe
potuto definire tranquilla.
Lui
sbarrò gli occhi intontito e grugnì qualcosa che
non afferrò, ma fu almeno sicura che fosse un ragazzo.
“Stai
bene?”
Nessuna
risposta.
“Ti
posso aiutare in qualche modo?”
Disse qualcosa
di incomprensibile e se tornò in coma.
Rimase
lì, inginocchiata come una scema, con una parte di
sé che urlava di lasciarlo lì a gelare quello
zotico e l’altra che le diceva che non era corretto, la sua
coscienza sapeva produrre un discreto casino se ci si metteva.
Si
massaggiò la testa per un’attimo
e poi decise, in uno di quei rari attimi di irrazionalità
totale che ogni tanto la prendevano, che se lo sarebbe portato a casa,
non poteva averlo sulla coscienza!
Aisha non era tanto
alta, non era nemmeno magra, ma era deboluccia, pigra fino al midollo,
scappava non appena si pronunciava la parola
“palestra” e così quella sera fece una
fatica del diavolo a trascinare il suo poco collaborativo nuovo amico
alla macchina.
“Promemoria
mentale: l’altruismo non fa per te, non hai il fisico Aisha.
Se devi
ammazzare qualcuno, ricordati di procurarti una carriola, casomai
dovessi trasportarlo.”
Quando
finalmente riuscì a metterlo in qualche modo sui sedili
posteriori (ma quanto era alto?)tirò un sospiro di sollievo
e decise di concedersi
una sigaretta per festeggiare.
Lanciò
un occhiata alla sua macchina, una vecchia Panda e sospirò
sconsolata.
L’aveva
ricevuta per il suo diciottesimo compleanno da suo nonno che alla
veneranda età di ottant’ anni aveva deciso di non
rinnovare più la patente, in famiglia la
chiamavano”l’orrore” perché
era di un color mattone che tendeva oscenamente
all’arancione, senza che nessuno avesse mai avuto il coraggio
di dirlo al vecchio proprietario.
Finì
la sigaretta, salì in macchina, dove accese al massimo il
riscaldamento e infilò un cd dei Rancid
nella radio, al quarto tentativo e dopo un paio di bestemmie,
l’orrore partì.
Parcheggiò
discretamente soddisfatta, a un semaforo aveva perfino bruciato un truzzo,
persino trascinare quell’essere incosciente che era in coma
là dietro fino al suo appartamento all’ultimo
piano non le sembrava così impossibile….
Fu svegliata da
un urlo bestiale e da un miagolio ancora più incazzato.
Una era Nana,
la sua gatta, l’altro chi cazzo era?
Aprì
gli occhi, erano le undici e mezza secondo la sveglia e lei non
connetteva molto, chi altro c’era in casa considerando che
aveva buttato fuori casa Alex e il suo ciarpame un mese prima?
“Chi
diavolo c’è?”
Silenzio.
Cominciò
a spaventarsi, afferrò un posacenere a forma di foglia di
marijuana(avanzo di Alex, il suo ex coinquilino) e strisciò
verso il salotto.
Era
già con il posacenere alzato pronta a colpire chiunque
avesse trovato, quando lo vide, il tizio della sera prima(Si era
completamente dimenticata di lui) che la guardava a occhi spalancati.
Lo capiva
benissimo, si era ritrovato in una casa estranea, probabilmente
svegliato da Nana che diventava isterica se beccava sconosciuti in giro
e ora era arrivata lei: capelli viola alla
Erinni, maglia dei Rancid,
pantaloni di una tuta a mò
di pigiama
e un assurdo portacenere
alzato conto di lui.
Lo
abbassò subito e arrossì.
“Non
sono pazza!”
No?!
Lui
inarcò un sopracciglio e cominciò un monologo in
una lingua che le era sconosciuta, a lei iniziò a
germogliare un mal di testa.
Doveva farlo
tacere, alla prima pausa doveva riuscire a infilare una frase qualsiasi
di senso compiuto.
“Do
you speak english?”
“Yes!”
Alleluia! Uno
spiraglio di comunicazione si era aperto e lei ne approfitto per
spiegargli la situazione,prima che si
facesse strane idee.
“Who
are you?”
Chiese alla
fine, lui la guardò come se fosse completamente demente,
eppure la domanda aveva un senso…..
“I’m
Bill Kaulitz.”
“AH!
sei tedesco quindi?però lo parli bene l’inglese…”
La
guardò incredulo e vagamente divertito, poi le ripete il suo
nome, irritandola immensamente e aggiunse.” Non credevo
nemmeno io di parlarlo così bene…”
“Ho
capito come ti chiami! Non sono sorda!”
Lui si
irritò a sua volta.
“sono
il frontman
e cantante dei Tokio Hotel.”
Lei
sgranò gli occhi, confusa e anche un po’
preoccupata, a quando ne sapeva lei i Tokio Hotel erano tre e il
chitarrista era anche il cantante e comunque aveva i dread,
non i capelli come un porcospino.
“Sei
sicuro di non avere battuto la testa?”
“EH?”
Sguardo
risentito.
“Ascolta…non
offenderti, davvero…Hai
battuto la testa contro il cassonetto?”
“NEIN!”
Lei
cominciò a sudare freddo, aveva trovato un pazzo furioso....
Arretrò.
“senti,
io non so come dirtelo…
I tokio
Hotel non hanno un frontman
vero e proprio, il chitarrista è anche cantante.”
“Ti
diverti a prendermi in giro?”
Cominciò
a infuriarsi, come si permetteva quello?
L’aveva
svegliata in un’orario
antelucano per le sue abitudini, non le aveva detto uno straccio di
“grazie” e ora si metteva pure a piantargli delle
grane?
“NO!”
“Secondo
me si. Vestiti che andiamo in un’edicola e ti
dimostrerò che se c’è qualcuno che ha
battuto la testa sei tu!”
“D’accordo!”
Si
infilò una giacca e un paio di anfibi, lui invece era ancora
lì, in mezzo al suo salotto.
“Allora?!”
“MI
devo camuffare…hai
dei vestiti da uomo?”
“Certo!
Ho un negozio di abbigliamento in camera mia!”
“Davvero?”
“NO!”
La
incenerì con un’occhiata, era un maledetto
isterico! Si era beccata un ingrato isterico!
Respirò
profondamente.
“Vieni!”
Lo
portò in camera sua e aprì l’armadio,
lui era stranito.
“Ma
è un casino!”
“è
il mio casino. Non giudicare!”
Gli
lanciò un altro paio di rimasugli di Alex, dei jeans e una
felpa nera.
“Provateli,
spero che saranno di tuo gradimento.
Non vedo
l’ora di finire questa stronzata.”
Uscì
dalla stanza a passo di marcia, Nana le domandò con lo
sguardo chi fosse quel ragazzo.
“Non
lo so, ma me ne libero cara…”
“Parlare
con i gatti è sinonimo di pazzia e di chi sono questi
orribili vestiti?”
“Di
colui che non si può nominare….”
“Di
Lord Voldemort?”
“Certo!
È il mio coinquilino….Sapessi
che litigi la mattina per il
bagno…Ormai
sono diventata più brava di Harry Potter a schivare gli Avada
Kedavra….”
“Potresti
smetterla di prendermi in giro?”
Lei si
portò un dito sotto il mento come a considerare
l’ipotesi poi lo guardò dritto negli occhi.
“lo
farò quando tu mi avrai ringraziata.”
“E io
ti ringrazierò quando la pianterai con questo scherzo
idiota.”
“Non
è uno scherzo! Non ho voglia di scherzare la mattina appena
alzata! È così difficile da capire???”
Afferrò
rabbiosa le chiavi e le sigarette e uscì di casa, lui
sogghignava divertito, dandole ai nervi.
-Stai calma Aisha,
calma…che
il casino vero arriva adesso.”
Durante il
tragitto casa-edicola lui non aveva smesso un’attimo
di guardarsi in giro.
“Piantala
di fare così! Non ti considera nessuno.. è sempre
pieno di punkettoni
qui, non sei certo più strano di loro!”
“Tu
non capisci!”
“Sono
arrivata a vent’anni pettinando bambole.”
Lui la
guardò stranito.
“Lascia
perdere…Aspettami
che ci metto un’attimo.”
“No,
vengo anch’io…potresti
fregarmi!”
“Ma
fai quello che ti pare!”
Entrò
nell’edicola, il negoziante le rivolse un sorriso, lei
arraffò con aria indifferente un giornale per ragazzine.
“Ciao
Aisha!
Perché quest’insolito acquisto?”
“Lo
porto alla cugina di Sara…”
“è
un po’ che non vedo Alex.”
“E
non lo vedrai per un bel pezzo..L’ho buttato fuori casa…”
Rispose funerea.
“AH…scusa.”
“Non
fa niente…ciao
Nico.”
Uscì
insieme alla sua nuova ombra formato palo della luce.
“Alex
è colui che non si può nominare?”
“Da
quando capisci l’italiano?”
“Non
lo capisco infatti, sono andato per intuito…”
Lei
respirò a fondo un’altra volta.
“Bill
Kaulitz
ascoltami attentamente perché io, Aisha
Salias
non telo ripeterò due volte, quindi memorizza.
Non voglio
parlare di Alex, ne ora ne mai, quindi cancella quel nome dalla tua
mente e reprimi la tua curiosità , sono affari dannatamente
miei!”
“MA!”
“Niente
ma…
ti è arrivato il messaggio?”
“Ja…”
“Più
forte che non ho sentito!”
“JA!”
“Bene.”
“Aisha!
Mi dai il giornale?”
“A
casa!”
Continuarono a
litigare fino alla porta di casa, solo allora lei gli
allungò il giornaletto senza dire una parola.
Lui rimase in
silenzio un’attimo
mentre sfogliava velocemente la rivista, poi sbiancò e
lanciò un acuto altissimo, che le fece tappare
automaticamente le orecchie.
Iniziò
a girare per la stanza, irrequieto, Nana lo incenerì con una
delle sue occhiate feline di disapprovazione, lei invece rimase in
silenzio visto che lui attaccò un monologo in tedesco
stretto assolutamente incomprensibile.
-Cosa faccio?-
Fece per
avvicinarsi, ma lui la scansò, comprensibile che non volesse
averla tra i piedi, così non le rimase altro che afferrare
il pacchetto di camel
e uscire i terrazzo a fumare.
“L’avevo
detto che il peggio arrivava dopo…e
mo che faccio?
Sid un aiutino no,
eh?”
L’unico
rumore che le arrivò fu quello di una folata di vento che
smosse le foglie degli alberi del giardino del condominio.
“Grazie
tante!”
“La
pianti di parlare da sola signorina!”
Un voce acida
la riscosse dai suoi pensieri, si appoggiò alla ringhiera
per vedere chi fosse e la vide: la stronsa,
la z addolcita in una s per sottolineare la sua profonda cattiveria.
Quella vecchia
era il terrore del condominio, si lamentava per qualsiasi cosa,
dall’acqua che cadeva sul suo balcone quando annaffiava le
sue piantine di basilico, alla televisione troppo alta, passando per
l’aspetto di chiunque abitasse lì e dal rumore dei
bambini che giocavano.
“Buongiorno
signora Pautasso…”
“Non
prendermi in giro! Smettila di parlare che non sento la messa, razza di
eretica miscredente e smettila di fumare che il fumo delle tue orribili
sigarette mi fa appassire le petunie!”
- non
è il mio fumo a farle appassire! Si suicidano per sentirti
più vecchiaccia rompipalle.-
“Come
sta?”
Tentativo di
conversazione per placare il mal di testa ed evitare una guerra verbale.
“Male!
I reumatismi non mi danno tregua e tossico sempre! È il tuo
fumo che mi avvelena, ti farò cacciare dal condominio! Tu e
i tuoi amici tossici! Quella pazza satanista e quel nuovo acquisto che
sembra un ritardato!”
Tentativo
fallito.
“morirà
prima che riescano a cacciarmi via! Buona giornata, mia adorabile stronsa!”
Rientrò
in casa sbattendo la porta finestra, troncando sul nascere gli strilli
della donna.
Lui era
sdraiato sul divano, totalmente apatico, lei scoccò
un’occhiata di strisciò e fuggì
vigliaccamente in camera con il cordless in mano.
-Oh meu
deu!
Cosa diavolo ho fatto? Tanto valeva metterle una bomba in casa a
quella! E lui….vabbè…ragioniamo
con calma…-
Si
incastrò nello spazio sottola scrivania, folle abitudine che
aveva quando aveva bisogno di pensare e compose il numero di Eli,
sperando nel conforto del’amica rimasta in Sardegna.
Uno squillo.
Due squilli
-Eli dove sei?-
Tre squilli.
Quattro squilli.
Rispose.
“Pronto.”
“Ciao
Eli,
come va?
Sid è
uno stronzo, lo licenzio! Non può trattare così
le sue protette. Non dico una vita perfetta, ma cazzo, non mi schiva
niente.
Niente e se
dico è niente
Cristo che
casino!”
“Buongiorno
Aisha…sei
in forma vedo…”
L’amica
aveva ritenuto saggio non chiedere il perché di quella
tirata contro Sid
Vicious,
santo Sid,
certa che avrebbe avuto una risposta.
“ho
mandato a fare in culo la stronsa.
Mi
scioglierà il basilico nel acido o impiccherà
Nana, me lo sento.
È il
demonio quella donna!”
“è
un filino acida, in effetti…”
“Un
filino? Se avessi provato a sopportarla tutti i santi giorni
l’avresti già investita con
l’orrore.”
“poi?”
“Poi?
Ho in casa un pazzo furioso che crede di essere il cantante dei Tokio
Hotel, fai tu.
È spiaggiato
sul divano in coma dopo che ha letto che si era sbagliato. È
talmente giù che persino Nana non ci trova nessun gusto a tormentarlo…”
“Prova
a convincerlo ad andare all’ospedale…
tu Dove sei?”
“sotto
la scrivania! e dove sennò?”
“Giusto…dimenticavo
il pensatoio di Aisha….Hai
un cric a portata di mano per tirarti fuori quando avrai messo
giù?”
“Impegnati
un po’ di più che forse rido…Eli
sai qual è la cosa peggiore?”
“Spara,
stella.”
“che
vedendo come messo, io a ‘sto matto ci credo!”