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Autore: ButterBeerBitch    07/01/2017    4 recensioni
Victor Nikiforov, la leggenda vivente, vincitore di cinque Campionati del Mondo consecutivi e cinque finali dei Grand Prix di fila – era nel letto di Yuuri. Il letto accidentato e scricchiolante di Yuuri, con gli adesivi dei Pokémon che si staccavano dalla testata e le lenzuola non lavate.
“Sa di te”, mormorò, cauto e schivo.
Yuuri era sul punto di svenire. Violentemente.
---
O di quella volta in cui Victor scopre il motivo per cui Yuuri non lo ha mai fatto entrare nella sua camera... beh, sappiamo tutti come mai.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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NdT: 
Ciao a tutti, questa fanfcition è stata tradotta dall'originale “From the Moon” di ButterBeerBitch su Archive of Our Own, che potete trovare in inglese qui: https://archiveofourown.org/works/8245553 . Me ne sono davvero innamorata, e ve la propongo in italiano dopo aver ricevuto il consenso (entusiasta!) dell'autrice. Buona lettura, spero possa piacervi tanto quanto è piaciuta a me!
 
NdA: (tradotte dalla fiction originale)
Aloha! Ho scritto questa fanfiction subito dopo aver guardato il primo episodio, del tipo che... sono le tre di mattina ora... e non so ancora come sia successo??? 
Sinceramente non so come evolveranno le loro interazioni nel futuro (MA SPERO IN MODO MOLTO GAY, CAZZO) o quali altri aspetti mostreranno i personaggi, quindi mi sono presa un po' di libertà e ho riempito gli spazi (eeee potrei aver reso Victor un po' più perfido sul ghiaccio...) Quindi tutto questo è basato soltanto sul primo episodio. Non so se qualcuno ha già scritto qualcosa di simile? E se qualcuno lo ha fatto, non ci saranno comunque mai abbastanza fic del tipo "Non ti voglio nella mia stanza perchè i muri sono letteramente fatti della tua faccia".
Questa storia non ha avuto beta, e spero che passiate tutti una meravigliosa, meravigliosa giornata!

(Seguono altre note alla fine del testo)

 
"Solo una sbirciatina, kobuta-chan!"
"Smettila di chiamarmi così"
"Per favore?"
"No!"
"Ti prego?"
"Smettila, sveglierai tutta la casa!"
"Saranno passati mesi ormai, lasciami almeno dare un'occhiata!"
"Perchè dovresti - No!"
"Cosa nascondi lì dentro?"
"Nulla!"
"Yuuri…"
"Victor."
"Kobu -"
"Se non la smetti di chiamarmi così, io -"
"Tu cosa?"
"Io - Io -" Yuuri deglutì, sentì la gola gonfiarsi mente il respiro di Victor inondava il suo viso. Era così vicino che Yuuri riusciva ad individuare l'agglomerato di lentiggini sulla punta del suo naso, il rossore sottostante.
Trattenne il respiro, mordendosi la guancia così forte da far toccare i denti tra loro. Pregò che Victor non riuscisse a sentire il battito furioso nel suo petto.
"Tu cosa..." ansimò Victor. Dita sottili arrivarono ad afferrare il suo mento. La parte posteriore della testa di Yuuri colpì la porta della camera. Mani sudate. Dita dei piedi ritratte. "Yuuri".
Cancella. Cancella, cancella, cancella, cazzo.
Yuuri ruotò la testa di scatto, odiando quanto debole fosse, quanto facilmente Victor riuscisse a renderlo inerme. E lo sapeva. Victor lo sapeva benissimo - perché nel mezzo del monologo-interno-di-auto-deprecazione di Yuuri si piegò verso la maniglia e sgattaiolò oltre.
Dritto nella camera da letto di Yuuri: il più grande tempio Nikiforov sulla faccia della terra.
Le ginocchia di Yuuri si piegarono al click dell'interruttore della luce e al piccolo "Oh" di Victor. Il tipo di "Oh" che emetteresti scoprendo come vengono fatte le salsicce. O trovando i tuoi che lo stanno facendo sul pavimento della sala.
Buonanotte.
"Che angolazione orribile. Non riescono mai a prenderla bene." Sentì Victor mormorare, non sapendo se fosse diretta a qualcun altro oltre che a lui stesso.
Yuuri pregò affinchè il pavimento si aprisse per inghiottirlo fino in fondo. Oltre il Purgatorio. Direttamente all'Inferno, grazie.
"Non ricordo nemmeno di aver posato per metà di queste," disse Victor, a voce più alta stavolta, come se cercasse di rendere questo momento un po' meno... orrendo.
Yuri fece capolino nella camera, dove dozzine di Victor bi-dimensionali lo squadravano, e quello vero, quello caldo, che respirava, stava in mezzo a tutti gli altri. Vivo e sogghignante.
Se lo Yuuri tredicenne fosse stato qui per vedere tutto questo, avrebbe avuto un aneurisma cerebrale. Seguito da un attacco di cuore. Avrebbe urlato, anche. E pianto. E lo Yuuri ventitreenne sentiva come se stesse per succedere tutto questo. Davvero una immensa, mostruosa combo.
"Questa qui è la mia preferita". Victor si sporse oltre il disordine sulla scrivania, il dito premuto sul bottone nero che era il naso di Makkachin.
Era anche la preferita di Yuuri. Un Victor dai capelli lunghi sorrideva soddisfatto verso la fotocamera, con le braccia attorno a quella palla di pelo del suo barboncino. Victor lì era più giovane, radioso e in fiore, il primo giorno di Primavera. Vivo, vivo, vivo.
Victor sbuffò quando scorse il collage di lui a forma di cuore fissato sulla lavagna di sughero lì a fianco.
"Quello è stato - si, è stato un... regalo." Yuuri trascinò i piedi, le sue guance diventavano chiazzate.
Ricordava ancora la piccola Yuko-san con le codine distesa sul pavimento degli spogliatoi alla pista di pattinaggio, le mani incrostate di brillantini e colla, piccoli ritagli di Victor sparsi tra giornalini tagliuzzati e stampe sgranate.
"E' per te, Yuuuuuri! Per il tuo compleanno!" cinguettava, mentre le sue codine ronzavano come eliche.
La maggior parte dei poster nella sua camera venivano da Yuko-san. Non era colpa di Yuuri, sul serio. Lei continuava semplicemente ad andare da lui con Victor in body, Victor sul ghiaccio, Victor con i capelli lunghi e i capelli corti e i suoi occhi nettuniani che ti tagliavano attraverso la frangia, Victor e questo e quello, Victor e il suo qualsiasi altra cosa.
A volte per Yuuri era difficile separare la sua idea di Victor da quello reale. Quello che era lì in piedi nella sua camera mentre sceglieva un poster che si stava staccando dal muro e mormorava qualcosa riguardo la grandezza delle sue narici. Quello che lo irritava fino al punto di strapparsi tutti i capelli. Quello che sogghignava con delle risatine da montagne russe. Quello che lo inseguiva sul ghiaccio e lo spingeva fino a raggiungere il suo punto di rottura, che lo rendeva cattivo e veloce e tagliente, che lo faceva girare, tuffare, volare. Quello che beveva come un idrante rotto al contrario e sfidava al karaoke Minako-sensei fino a far esplodere le orecchie di tutti quanti. Quello che riusciva ad essere così pieno di sé stesso da far venire voglia a Yuuri di schiaffeggiarlo e baciarlo insieme. Quello che era così stupidamente dolce e stupidamente affascinante, e pazzo, davvero, davvero pazzo da legare, e a volte anche così spaventoso che Yuuri aveva voglia di scappare, ma anche di restare al suo posto e diventare spaventoso a sua volta. Quello che diventava triste in segreto, nel retro di uno spogliatoio, nell’angolo di un treno, quello che faceva venire voglia a Yuuri di mettersi tra lui ed il resto del mondo.
Il Victor sui poster era solo l’immaginazione di un tredicenne, i suoi sogni e desideri. Il Victor reale faceva venire voglia a Yuuri di dargli un pugno e di accarezzarlo allo stesso tempo. Il vero Victor lo faceva diventare pazzo. Pazzo in senso negativo, pazzo in senso positivo, il tipo di pazzia che a Yuuri faceva venire voglia di sbattere la sua testa contro il muro ma anche di masturbarsi fino che non gli sarebbero cadute le mani. Yuuri lo odiava così tanto, e lo adorava così tanto, e non avrebbe mai saputo dire se voleva ammazzare quel bastardo o baciarlo così forte da dimenticare anche il proprio nome.
Victor Nikiforov era qualcosa di atroce, di meraviglioso.
“Cosa è successo a… questo qui?”
Yuuri tornò in sé all’istante, riavviando il cervello. Victor era in piedi davanti al suo armadio indicando un poster stracciato, con la sua faccia sfigurata da grandi X nere. Yuuri aveva praticamente assalito il poster con un pennarello indelebile dopo una turbolenta giornata sul ghiaccio.
Aveva insistito che Yuuri completasse un triplo axel pulito, e aveva continuato a spingere e spingere, meschino e inflessibile. Fino a quel momento, Yuuri non sapeva cosa significasse essere allenati da Victor. Dovevi essere meglio di quanto avessi mai immaginato, sveglio e determinato, pronto a tutto, lividi e vento. Ogni secondo sul ghiaccio doveva contare più del precedente. Oppure ti avrebbe distrutto. Yuuri era rimasto chiuso a piangere nel bagno così a lungo che sua madre era venuta a bussare, chiedendo se avesse bisogno di lassativi.
Non ne avevano più parlato da allora. Ma Yuuri aveva fatto in modo di eseguire rigorosamente ogni axel quando gli occhi di Victor erano puntati su di lui. Sul ghiaccio, le cose tra di loro erano differenti. Sul ghiaccio, era tutto o niente, e Yuuri non avrebbe accettato nulla di diverso.
“E’ stato… un incidente”, Yuuri sputò fuori, e sul volto di Victor si accese per un attimo un sorriso divertito. Sembrava quasi compiaciuto.
Non c’era da sorprendersi, a Victor piaceva vedere Yuuri diventare furioso. Diceva che lo avrebbe reso un po’ più affilato, che gli avrebbe fatto volere di più. Le emozioni sul ghiaccio ti davano quel piccolo calcio che ti serviva per raggiungere le ultime file. E arrivare più in alto, più in alto, più in alto.
Diceva che dovevano poterti vedere dalla luna.
Gli occhi di Victor guizzarono verso il soffitto, attestandosi sulla costellazione di poster sopra il letto. Yuuri deglutì.
“Quindi sono la prima e l’ultima persona che vedi ogni giorno?” Si buttò pesantemente sul letto, le molle che cigolavano. “Mi sento onorato”. E il suo viso fece quella cosa che accendeva tutte le luci. Un sorriso da 100 mega watt. Ti colpiva come una galleria del vento in pieno volto. La testa di Yuuri scoppiò. E non fece altro che continuare a rompersi mentre Yuuri dava dei colpetti alle lenzuola, sotterrando la sua faccia nei cuscini e sospirando.
Victor Nikiforov, la leggenda vivente, vincitore di cinque Campionati del Mondo consecutivi e cinque finali dei Grand Prix di fila – era nel letto di Yuuri. Il letto accidentato e scricchiolante di Yuuri, con gli adesivi dei Pokémon che si staccavano dalla testata e le lenzuola non lavate.
“Sa di te”, mormorò, cauto e schivo.
Yuuri era sul punto di svenire. Violentemente.
Di cosa diavolo sapeva lui? Zuppa di miso? Sottaceti?
Victor si girò sulla schiena, pugni serrati sulle lenzuola, metà del suo viso nascosto dai cuscini. Tutto assonnato e con le guance arrossate, probabilmente troppo stanco dopo una giornata intera a fare da coach – passata ad urlare verso Yuuri, inseguirlo su e giù per il ghiaccio con un giornale, a fargli fare le flessioni mentre rideva come il demonio perché Yuuri stava pensando al cibo, e lui sapeva quando ci pensava, perché era un malvagio alieno russo che aveva infettato il cervello di Yuuri.
Yuuri non aveva idea di che ora fosse. Sembrava troppo tardi e troppo presto allo stesso tempo. Di solito, non restavano mai in piedi dopo le dieci di sera, ma Victor aveva continuato a blaterare su quali prodotti per capelli usasse, e una Minako-sensei parecchio ubriaca era stata un po’ troppo propensa a mostrarsi un membro attivo dell’audience durante il suo monologo. Yuuri dovette assicurarsi che lei non finisse per fare qualcosa di cui poi avrebbe potuto pentirsi. Il che succedeva spesso quando lui non era nei paraggi. Avrebbe potuto battere Victor in una gara al numero di drink, il che sarebbe stato un vero traguardo.
Yuuri accese la lampada da scrivania e le altre luci, sperando che fosse abbastanza per segnalare che era il caso di mettere fine a quella giornata. Che voleva andare a dormire. Che Victor doveva alzarsi dal suo letto prima che il suo cervello mezzo addormentato se ne uscisse con delle idee stupide.
Come chiedergli di unirsi a lui.
Yuuri si sentiva come se stesse sbattendo la testa contro un muro. Victor si rotolava nel letto, facendo le fusa e sospirando, e Yuuri era davvero, davvero vicino ad afferargli una gamba e a scaraventarlo fuori dalla finestra più vicina. Si trascinò verso il letto e colpì la testata leggermente con un calcio. Si era stufato di sforzarsi di essere discreto. Con le mani in tasca e la testa che ciondolava verso il basso, provò con un cauto, “Victor…”
Niente. Gli occhi di quel bastardo erano chiusi. Yuuri diede una gomitata al materasso questa volta.
“Victor”. Un po’ più forte.
“Mmh…” Sospirò con un lamento roco. Yuuri sentì la spina dorsale contrarsi.
"Victor." Impaziente.
“Kobuta-chan.” Soffice.
Il petto di Yuuri si gonfiò.
“Per favore, smettila di chiamarmi in quel modo”. Sembrava a un bambino arrabbiato in punizione all’angolino. “Non mi piace quando tu –”
Ma il resto delle parole gli rimasero bloccate in gola quando una mano si strinse attorno al suo polso e lo tirò verso il basso. Yuuri incespicò sul letto, gli occhiali in disordine, il respiro affannoso. Victor era sopra di lui. Le sue mani attorno ai suoi polsi.
Lo aveva inchiodato al materasso.
“Che ne dici di lapochka?” cinguettò, avvicinandosi lentamente, i loro nasi che quasi si scontravano. “O pirozhok?” Il suo respiro era caldo. “Sladkij?”. Yuri stava annegando. Come un’imbarcazione che si rovescia in alto mare. "Moy kotenok?" sussurrò. "Krasivyj…"
Merda. Avrebbe potuto elencare delle varietà di panini e Yuuri non avrebbe saputo dire la differenza. E in realtà non gliene sarebbe potuto importare meno. Victor era vicino, troppo vicino, e Yuuri non sapeva cosa stesse per succedere al suo petto. Avrebbe ceduto? Sarebbe esploso? O magari entrambi?
Victor afferrò il suo mento, il suo pollice scivolava lungo il labbro inferiore.
Entrambi.
Rabbrividì, i piedi contratti, le mani strette in deboli pugni. Non sapeva dove guardare, cosa pensare, cosa dire.
Odiava ogni volta che Victor faceva così, ogni volta che oltrepassava il confine solo per guardarlo penzolare inerme. Metterlo all’angolo nello spogliatoio, respirargli sul collo mentre erano sul treno, sfiorare la sua gamba sotto al tavolo, cambiarsi davanti a lui come se nulla fosse – folgorandolo con quelle piccole occhiate come se potesse attaccarlo al muro più vicino e respirare direttamente dalla sua bocca.
Victor poteva rigirarselo attorno ad ognuna delle sue belle dita, e lo sapeva. Yuuri sapeva che lui sapeva. E Yuuri sapeva che gli piaceva. Usarlo come giocattolo, tenerlo in pungo, come un grosso gatto che giocherella con la sua preda. Yuuri era fin troppo facile. Un bersaglio grande e molle.
Il suo cuore era diventato una piuma.
Non sapeva cosa significasse tutto questo per Victor, se lo faceva solo per ottenere una reazione da lui, o se invece lo faceva perché… perché…
A Yuuri non piaceva pensare all’altra opzione. Gli si torcevano le budella. Gli faceva provare cose che lo avrebbero messo nei guai. Come lasciarsi semplicemente scivolare via. Ribaltarsi. Arrendersi.
Il suo cuore era diventato una piuma.
Il pollice di Victor strattonò il suo labbro inferiore. Un gesto così cauto che si avvertiva appena. Yuuri deglutì, chiuse i suoi occhi alla sensazione del respiro caldo che volteggiava sulla sua pelle. Tremò.
"Yuuri."
Lo colpì dritto nel petto.
“Quante volte sei stato… baciato?”
Non abbastanza, pensò, stupidamente. Assolutamente non abbastanza.
Il petto di Yuuri fremette, tutto in lui adesso era sveglio, pieno di desiderio. Magari tutto questo era solo un gioco per Victor, averlo lì in quello stato, lasciarlo così una volta averlo visto capitolare. Forse questa volta quando avrebbe finito e sarebbe stato finalmente soddisfatto, avrebbe lasciato Yuuri completamente, interamente con il cuore spezzato.
“Vic –“ Si schiarì la gola. “Victor.” Nulla più di un gracidio. Era così semplice da risultare triste. “Basta”.
Con la sua mano libera, premette contro il petto di Victor, sentendone il battito. Voleva che se ne andasse. Se tutto questo era solo un gioco, voleva che se ne andasse.
“Basta, per favore.” Suonava patetico, indifeso. E gli fece ricordare quella notte che aveva cercato così duramente di dimenticare. Il colore malaticcio delle luci fluorescenti. Le persone che sussurravano il suo nome alle sue spalle. E Victor, tutto eccentrico ed impeccabile, che gli sorrideva dall’altro capo della stanza.
Una foto commemorativa?
Gli aveva voltato le spalle. Se l’era data a gambe come un qualche cane randagio investito da una macchina.
“Yuuri.” Le sopracciglia di Victor si aggrottarono. Sembrava quasi ferito, dal modo in cui il suo sorriso vacillava, tutto il suo essere stava annegando in sé stesso.
A Yuuri fece tutto l’effetto del mondo. Il genere di effetto che ti fa avvizzire il cuore. Che ti fa tremare il labbro inferiore. 
Serrò il pugno attorno al maglione di Victor, le dita che tremavano come se non sapessero se volevano spingerlo via o strattonarlo più vicino a sé. Quelle mani gentili cullarono la sua testa, i pollici scivolarono lungo la sua mandibola, le sue guance, strofinando, graffiando con le unghie. E guardava Yuuri come se lo stesse aprendo in due e volesse strisciare al suo interno – fino a che non si fosse raggomitolato nel mezzo di tutto, spalla a spalla con i suoi segreti e desideri.
Guardava Yuuri come se sapesse.
La sua presa si allentò, le dita sfioravano la nuca di Yuuri così cautamente, così silenziosamente da trasmettere tristezza. Victor lo toccava come nessuno prima d’ora si era mai disturbato di fare.
E non riuscì a trattenersi. Era sull’orlo di arrendersi senza provare a combattere.
Forse solo questa volta, pensò. Per questa volta e basta, glielo lascerò fare.
“Quante volte,” sussurrò Victor. “Quante volte, Yuuri?”
Era una domanda stupida, davvero stupida. Yuuri non voleva prenderla seriamente. Forse perché poteva contare il numero di volte sulle dita di una mano. Forse perché aveva ventitré anni e le persone della sua età erano lì fuori a farsi baciare più volte di quanto riuscissero anche a contare.
I suoi occhi vagabondarono sul viso sopra di lui, sulla ruga delicata formatasi tra quelle sopracciglia, il rossore su quelle guance. Victor in quello stato, era solo lievi tremori e respiri, qualcosa che dovevi osservare ad occhi chiusi. Yuuri voleva leggerne ogni centimetro come se fosse braille.
Fece un respiro profondo. Tutto ciò era davvero stupido – stupido, ma lo avrebbe detto. Stupido. Non che fosse un grande segreto. Sarebbe bastato guardarlo per capire.
Stupido.
“Una volta,” disse in un soffio, inciampando nei suoi pensieri e aggiungendo, “Okay, due volte… ma è stato solo – è stato, sai, è stato… un gioco. Tipo un gioco alcolico. Ed io non bevo – non così tanto. Ma era il primo anno del college ed io – sai com’è, no? Io, io non credo che conti, in effetti, ma è stato solo, tipo, davvero, davvero veloce, e io – ecco. Una volta. Due volte. Già, io… - ecco…”. Risucchiò una boccata d’aria, aspettando, sperando che succedesse qualcosa.
“Mh…” Il viso di Victor si accartocciò come succedeva quando aveva difficoltà a comprendere qualcosa, come quando il padre di Yuuri gli aveva raccontato dell’Hadaka Matsuri e del ristorante che vendeva cibo in lattina di Mr. Kanso.
Victor disegnò dei mulinelli sulla nuca di Yuuri, guardandolo come se stesse cercando qualcosa sul suo viso.
“Che c’è?” Yuuri voleva colpirsi gli occhi con le mani e chiuderli talmente forte da far implodere la sua testa. Avrebbe benissimo potuto avere “VERGINE” stampato in fronte. Se lo portava dietro come un tanfo. Un bizzarro cocktail d’ansia e frustrazione sessuale.
“Nulla…” Mormorò, lasciando che le sue dita seguissero il profilo del collo esposto di Yuuri, il contorno della sua clavicola attraverso il maglione. Il respiro di Yuuri si fece irregolare. Odiava quanto fosse rumoroso. Quanto fosse ovvio.
“Solo che –“ Victor inclinò la testa da un lato come se avesse bisogno di un’angolazione migliore da cui osservarlo. “Mi sorprende”.
Qualcosa su quel viso si ammorbidì, quasi sgretolandosi, ed il suo pollice tornò a sfregare sul labbro inferiore di Yuuri.
“A questo punto… dovresti essere stato baciato tante volte da perderne il conto, Yuuri Katsuki.”
Era orribile. Il modo in cui Victor se la cavava dicendo qualcosa di talmente ridicolo e facendolo sembrare una verità.
Yuuri tossì una risata, terribilmente, orribilmente. Era tornato a sperare che il letto lo inghiottisse e che il terreno si aprisse per lasciarlo scomparire per sempre.
“Beh, questo è –“ Tentò di trattenersi dallo sbuffare. “Proprio stupido.”
Victor soffiò una quieta risata, lasciando che alimentasse il suo sorriso mentre scuoteva la testa.
“Se solo sapessi,” sussurrò, rimuovendo gli occhiali di Yuuri dal naso e appoggiandoli da un lato.
Yuri deglutì. “Sapere… che cosa?”
Il volto di Victor si annebbiò leggermente. Come la luna. Ma non rispose, lasciò soltanto che quel sorriso si restringesse in una lieve traccia sull’angolo sinistro della sua bocca. Yuuri fissò quel punto fino a che i suoi occhi non iniziarono a bruciare. Voleva afferrarlo e tenerlo per sé, riporlo nel fondo della sua tasca. Tirarlo fuori più avanti e gustarlo in segreto.
Il suo pugno, ancora intrecciato al maglione di Victor, si fece più forte, e tirò. Solo un poco. Poteva cavarsela con così poco. Le loro fronti ruotavano una contro l’altra. Arricciò il naso alla sensazione di tutti quei capelli lisci che gli solleticavano il viso. Aveva immaginato di farci scorrere le dita ogni volta che precipitava in quegli occhi azzurri, ogni volta che il vento li scompigliava. Yuuri si chiese come fossero sotto la pioggia.
Forse era troppo tardi per tornare indietro. Si stava lasciando scivolare via. E più il respiro di Victor si accumulava tra gli avvallamenti e le pieghe, più sentiva che un altro piccolo pezzo di lui si abbandonava alla pazzia.
Con così poco. Poteva cavarsela con così poco.
Le mani di Victor avvolsero la sua mandibola in una coppa, con una pressione tale da fargli ronzare la testa. I pensieri diventavano comatosi.
“Lubov moya.” Un sussurro, dolce e pieno, e a Yuuri non interessò cosa significasse. Il modo in cui Victor lo diceva gli faceva gonfiare il cuore, lo rendeva così pesante che avrebbe battuto fuori l’aria dai suoi polmoni. Lui voleva.
Voleva e voleva e voleva.
Le bocche avanzarono più vicine, i nasi si urtavano. Le mani di Yuuri stringevano nei pugni il suo maglione così forte da spezzargli le dita. Ma non avrebbe lasciato la presa. Non ora. A costo della sua vita.
Quando Victor lo baciò, era ogni secondo sul ghiaccio alla velocità della luce. Era il freddo che colpiva le sue guance, il fendente delle sue lame. La musica che lo investiva in una densa marea. Il corpo in aria, teso e forte e crescente. Era più di sé stesso. Un battito tra centinaia.
Ed altrettanto improvviso com’era iniziato – finì. Victor che si allontanava, prendendo il ghiaccio con lui, la sensazione di essere indubbiamente in movimento. Yuuri gemette a quella perdita, le sue mani tiravano il maglione di Victor così forte da avere paura di strapparlo.
“Tre volte”, mormorò Victor, la bocca leggermente gonfia, e ci volle un po’ per Yuuri per capire cosa intendesse. Si sentiva come se si fosse appena ubriacato a stomaco vuoto.
Victor afferrò il suo mento, tirandolo su e lasciando che le loro labbra sfregassero tra loro.
Visioni del ghiaccio, il suono di una folla, il suo peso sulle lame.
“Quattro”, disse in un respiro, le bocche che a malapena si toccavano. Yuuri balzò in avanti per un altro bacio, inspirando l’umidità e la morbidezza, insieme al pungere della barba appena accennata di Victor. “Cinque.” Un respiro tremante. “Sei.” Lingue che si toccavano. “Sette.” Il sapore pungente del dentifricio. “Otto… Nove…” Suoni soffici. “Dieci… Undici… Dodici…”.
Solo un’ultima volta, e poi basta, la smetterò, solo un’ultima volta.
Ma Yuuri sapeva di essere un pessimo, pessimo bugiardo. Le sue mani non ascoltavano, scavando nei capelli di Victor, perdendosi tra di essi. La sua testa era andata ed il suo cuore pulsava dolorosamente. Non gli importava. Aveva Victor per un qualche glitch temporale. Doveva avere lui tutto questo. Questa cosa così piccola e comune che sembrava molto più grande di quanto dovesse. Come faceva la gente ad andare avanti nella vita sapendo che qualcuno poteva baciarti in qualsiasi momento e semplicemente… polverizzarti? Come facevi a non impazzire? Come potevi non finire per andare in giro con un pezzo di scotch sulla bocca, perché se era così che ci si sentiva così ogni dannata volta – beh, era finita. La bocca di Victor era la cosa più vicina ad un attacco di cuore, ad un crollo mentale. Un completo caos chimico.
Erano qualcosa di terribile, denti che sbattevano, mani su colli e mandibole, intrecciate nei capelli. E tutto ciò che Yuuri sapeva era che ne voleva di più. Le sue gambe agganciate ai fianchi di Victor, bisognose di contatto, frizione, era totalmente suo in attesa di essere preso. Stavano passando il confine, andando più lontano e più veloce. I fianchi di Victor sfregavano verso il basso. Le mani di Yuuri erano sotto il suo maglione. Il loro calore, il bisogno si accumulava il verso il basso. Non riuscì a trattenersi. Era stato ridotto alla pulsazione tra le sue gambe.
Mugolò quando le dita di Victor strattonarono i pantaloni della sua tuta, avvolgendo il davanti. Una vibrazione profonda nelle viscere. Yuuri gemette contro un altro bacio umido, sentendo le labbra di Victor che si tendevano. Stava sorridendo. Aveva un sapore molto più delizioso di quanto sembrava.
“Shhh… Sveglierai tutti,” bisbigliò, cospargendo di baci il viso di Yuuri, le sue guance e il naso, la fronte, qualcosa di calmante quanto sentire i boccioli di ciliegio che ti sfiorano durante una corsa in primavera. Yuuri voleva quella bocca sul resto di sé, ogni centimetro ancora intatto di sé stesso. Le mani di Victor avanzavano sotto il suo maglione, i pantaloni della tuta, mentre ogni parte di Yuuri cadeva a pezzi. Era troppo preso da tutto per dare importanza alla sua pancia o alle cosce o ai suoni che faceva. Stava consegnando sé stesso con le mani legate e gli occhi chiusi. Lo faceva sentire così bene essere voluto così tanto, essere voluto e basta.
Non aveva idea di cosa sarebbe successo dopo. Yuuri, con la sua bocca impacciata e le sue mani paffute, il suo cuore leggero. Non sapeva cosa fosse troppo, o dove andasse tracciata la linea. Non aveva mai dovuto farlo prima. Yuuri, sempre prudente, sempre al riparo.
Questo era il primo volteggio sul ghiaccio, eseguito senza sapere cosa sarebbe successo dopo, una caduta o un trionfo, tutto di sé esposto al di fuori e nessun luogo in cui nascondersi. A volte Yuuri desiderava essere tanto audace nella vita come lo era sul ghiaccio. Voleva fidarsi di Victor in questo esattamente come si affidava di lui ad ogni rotazione, torsione, salto.
E se si lasciasse semplicemente essere stupido per una volta? Buttarsi senza un piano di emergenza? E se continuasse semplicemente a baciare e desiderare e dare?
Se lasciasse che Victor lo rovinasse per chiunque altro?
“Victor.” Yuuri pronunciò il suo nome ancora e ancora, una preghiera sotto shock tra i baci e i battiti, contro il suo collo, la sua mandibola, seppellita tra le sue guance.
“Sono qui.” Victor premette le loro fronti una sull’altra. “Sono proprio qui.”
La sua mano era avvolta strettamente attorno al calore tra le loro gambe, tirando, muovendosi su e giù, in modo esperto e così bene da far male. Yuuri premette la sua faccia nell’incavo del collo di Victor, contro la sua pelle in quel punto, così delicata e liscia. La sua lingua era su di lui, raschiando i denti. Victor continuava a sussultare al suo nome. Yuuri non l’aveva mai sentito in quel modo, denso di qualcosa in più.
“Nnngh.” Yuri stava ansimando adesso, i suoi baci a bocca spalancata diventavano bagnati, grondanti di saliva.
“Cristo, guardati,” Victor mormorò, emettendo un grugnito quando i fianchi di Yuuri iniziarono a schioccare verso i suoi, incontrollati come singhiozzi. La sua mente si stava annebbiando. Il calore tra le sue gambe era un pozzo costante. Bagnato. Pieno di desiderio.
“Fai il bravo per me.” Victor lo premette contro la sua bocca. Ancora e ancora. Ancora, ancora, ancora. Se ne stava ubriacando. “Bravo… tutto per me…”
Fare il bravo per te.
Erano bloccati nel ritmo, i fianchi si muovevano a scatti, le bocche mordevano. I corpi fuori controllo. Nessun metodo. Nessuna pazienza. Soltanto bisogni sparpagliati e mani desiderose di essere ovunque allo stesso tempo senza sapere da dove cominciare. Calamità totali.
Yuuri non sapeva che potesse esistere qualcosa di più bello di pattinare sul ghiaccio intatto di prima mattina, più di ascoltare il suono che fa la punta del pattino o del completare ogni salto, del sentire l’aria tagliarti le guance durante un volteggio.
Yuuri non sapeva che quel “tante volte da perdere il conto” potesse farti sentire così.
 



 


Era stato fuori luogo lasciare che Victor giocasse con i suoi capelli mentre canticchiava qualche sciocca ninna-nanna russa che soleva ripetere a Makkachin ogni notte. Era stato fuori luogo permettergli di fare qualcosa di così casto dopo essere stati troppo vicini per sentirsi a proprio agio. Non sapeva per quanto a lungo fossero rimasti allungati l’uno davanti all’altro, stando semplicemente fermi, senza respirare troppo forte, toccandosi leggermente… sfiorandosi accidentalmente…
Yuuri si trascinò un po’ più vicino, lasciando che le loro ginocchia si scontrassero, lasciando che le sue dita tracciassero il sorriso che cresceva su quel viso a soli pochi centimetri di distanza. C’era qualcosa di tragico riguardo Victor Nikiforov. Il modo in cui indossava il suo volto come una maschera, sempre nascosto dietro un sorriso. Ma era sfocato ai bordi, e se li strattonavi e li tiravi via – lui era così. Ogni sentimento scolpito negli angoli della sua bocca, l’arco delle sue sopracciglia, le sue guance, i suoi occhi…. Quegli occhi profondi ed inquietanti.
Quando lo vedevi in quello stato, sapevi che era intenzionale. Ti stava dando il suo permesso, facendoti entrare come se ti stesse raccontando un segreto. Tu eri lì ad assistere a qualcosa a cui non avresti dovuto.
Ti spezzava un po’ il cuore.
Il suo viso, ti spezzava il cuore.
Yuuri deglutì, gli occhi guizzavano dagli occhi di Victor al suo naso, la sua bocca, il suo mento, il suo petto. Rimasero lì, incollati alla macchia di inchiostro che chiazzava il colletto della sua t-shirt. Era strano vedere Victor con addosso i vestiti di Yuuri. E non dei vestiti qualsiasi, ma quelli delle superiori, quegli abomini allargati e flosci che usava per coprire le rotondità invadenti durante le settimane di esami. Quando assaliva il frigo maggiormente e i cassetti della sua scrivania subivano ripetute epurazioni alla ricerca di barrette di cioccolato.
Victor con addosso i vestiti di Yuuri faceva diventare le sue guance delle lampadine riscaldanti. Gli piaceva. Victor che indossava i suoi vestiti…
Yuuri tastò le lenzuola tra loro, schiarendosi la gola, non sapendo cosa ne sarebbe potuto uscire fuori se l’avesse aperta. Forse semplicemente non avrebbe dovuto dire nulla. Ma non riusciva a non dire qualcosa. Non dopo che le parti di Yuuri avevano toccato le sue. Non con i loro maglioni macchiati di sperma finiti sul pavimento. Non dopo aver respirato direttamente da quella bocca. Non dopo aver desiderato farlo di nuovo. Respirare direttamente da quella bocca, si intende. Quella bocca davvero, davvero morbida.
Victor ridacchiò. Yuuri tornò rapidamente in sé. Era rimasto a fissarlo. Deglutì. Decise che preferiva mettersi a guardare le sue dita. Tutto ciò che riguardava Victor gli faceva venire un colpo al cuore.
“Io…” Si schiarì la gola. Fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi come se si stesse preparando ad un impatto che non sarebbe mai arrivato. “potrò capirlo se questo… o, sai, quello non dovesse… più accadere”.
Socchiuse un occhio, sbattè le palpebre, osservò il sorriso sul volto di Victor spumeggiare e scomparire. Yuuri avrebbe voluto protendersi in avanti e rimetterlo a posto. Victor era fatto per quel genere di sorrisi troppo grandi per il suo viso, troppo per questa città, per la terra e per l’intera Galassia della Via Lattea.
Le sopracciglia si Victor si aggrottarono, le guance persero colore. Rotolò più vicino, afferrò Yuuri per la mandibola e tirò. Yuuri non poté fare a meno di chiudere gli occhi, gioendo del modo in cui il respiro di Victor inondava la sua faccia, solleticava le sue sopracciglia, il modo in cui sentiva come se stesse cadendo in pezzi mentre veniva anche tenuto insieme. Non sapeva se avrebbe mai avuto di nuovo tutto questo. Voleva farlo durare più a lungo che poteva. Fino a che Victor non si sarebbe sbarazzato di lui. Fino a che Yuuri si fosse dovuto aggrappare alle sue caviglie, e lui avrebbe dovuto prenderlo a calci per farlo andare via.
Le loro fronti si scontrarono. Il suo petto singhiozzò.
“Yuuri…”
Questa volta, quando le loro labbra si toccarono, fu una faccenda delicata e silenziosa.
Yuuri si ricordò della prima volta che sua madre gli aveva insegnato a fare un origami, la pazienza necessaria, i tocchi gentili. Ogni intaglio aveva il suo posto, ogni estremo ne incontrava un alto. Tutto era lì per creare l'intero.
“Non penso che avrei mai quel genere di ritegno,” disse Victor, ancora così vicino, le loro labbra che si incontravano ogni poche parole.
Nessuno aveva mai detto a Yuuri che anche le cose belle potevano spezzarti il cuore.
“Nemmeno io,” bisbigliò, avvicinandosi fino a che Victor non lo tirò verso di sé, i loro volti seppelliti ognuno nell’incavo del collo dell’altro. “Nemmeno io,” disse di nuovo, premendo contro la curva delicata della spalla di Victor, le braccia attorno a lui che stringevano fino a fargli bruciare il petto. Era quasi sciocco, stringere e aggrapparsi come se volessero scivolare l’uno nell’altro. Victor premette la bocca sulla cima della sua testa. Attraversandolo con un bacio. Yuuri riusciva a sentirlo fino alle punte delle dita delle mani, dei piedi. Un tremore perfetto.
E non sapeva cosa sarebbe successo dopo, quando avrebbe cominciato a far male e quando sarebbe finita. Ma non pensava che dovessero saperlo. Non dovevano arrivare a comprenderlo. Non oggi. Non domani.
In quel momento, erano solo loro due, ruotando in cerchi sul ghiaccio e inventando i movimenti sul momento.
Yuuri sperò che raggiungessero le ultime file. E più in alto, più in alto, ancora di più. Sperò che potessero vederli dalla luna.



NdA:
Ecco cosa dice Victor a Yuuri (non so una parola di russo, ho solo googlato delle paroline sciocche con cui chiameresti il tuo fidanzatino marshmellowso - quindi ringrazio pubblicamente i perfidi alieni Russi nei commenti che mi hanno aiutata a correggere qualche cosa!):

Tesoro, zuccherino, dolcezza, gattino mio, bellissimo, amore mio...

E, si, Yuuri è tutto questo. Se qualcuno non è d'accordo, ehi, salve, veniTE A FARE A BOTTE CON ME!!!
   
 
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