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Autore: Cwtch    08/01/2017    4 recensioni
Due ragazze lontane da casa condividono cibo, risate, confessioni, emozioni.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lena era nel suo ufficio, al buio. Era quasi mezzanotte, eppure non riusciva a trovare la forza d'alzarsi e andare a casa. Aveva lavorato tutto il giorno per organizzare un viaggio che l'avrebbe costretta in Europa per alcuni giorni. Le mancava solo un piccolissimo dettaglio: un reporter che potesse documentare il suo lavoro.
“Coraggio, posso farcela. Non è poi così difficile.” continuava a ripetersi, massaggiandosi le tempie.
Con un movimento che parve durare un'eternità, sollevò la cornetta e compose il numero.
“Pronto?” si sentì squillare una voce dall'altro capo del filo.
“P-Pronto, Kara?”
“Lena, sei tu?”
La donna sospirò. Piano la tensione che l'aveva stretta sino a quell'istante lasciò la presa e lei poté sedersi più comodamente.
“Ciao Kara, sì. Avrei un favore da chiederti.”

___


Atterrarono a Parigi alle 19:30. Troppo presto per dormire, ma troppo tardi per poter visitare qualsiasi luogo.
“Andiamo direttamente in albergo, va bene?” chiese Lena mentre osservava, ansiosa, il nastro del ritiro bagagli.
“Per me va bene, sei tu a decidere.” rispose Kara.
Senza replicare, la Luthor si avvicinò al suo bagaglio e fece per tirarlo via dal nastro, ma nel far forza per poco non cadde all'indietro. Kara si avvicinò tempestiva e tirò via la valigia dalle mani della donna, portandola direttamente al carrello su cui aveva già sistemato la sua.

Impiegarono circa un'ora e mezza per arrivare all'albergo. Erano in una zona tra la V e la XIII circoscrizione.
Lena si era premurata di prenotare due camere singole, ma l'una accanto all'altra. Avrebbe di gran lunga preferito una stanza comune, siccome era terrorizzata all'idea di trovarsi in un luogo così lontano da casa, ma non aveva ritenuto opportuno approfittare ulteriormente di Kara e concederle, così, un minimo di privacy.
Salirono nelle stanze e, proprio quando Kara stava per entrare nella sua, la bruna sentì il panico assalirla.
“Kara, ah-ehm... siccome dovremmo mangiare qualcosa, che ne dici se ordiniamo il servizio in camera?”
“Servizio in camera?” chiese la Danvers.
“Sì, tu chiami e loro ti portano quello che chiedi in cam-” la donna s'interruppe d'improvviso rendendosi conto di quanto fosse stupida la sua risposta.
Kara rise e Lena, rossa in viso, si schiarì la voce.
“Perdonami, la stanchezza...” provò a giustificarsi.
“Ma certo, mi chiedevo solo se preferissi mangiare insieme o ognuna nella propria stanza.” rispose con una tranquillità disarmante la giovane.
“Sistema pure la valigia, ti aspetto.” sorrise Lena e indicò la porta della sua stanza.

Kara non si fece attendere molto. Bussò con un tocco talmente leggero che Lena la sentì appena.
“Prego, entra pure.” la accolse, dandole subito le spalle mentre tornava verso il letto per liberarlo dalla sua giacca e far spazio per la ragazza. “Ho ordinato già qualcosa. Sia cucina francese che... cinese, giusto? Ricordo che a te piacciono particolarmente i ravioli.”
“Sì, grazie.” bofonchiò Kara con un sorriso, mentre si sistemava gli occhiali.
“Siediti pure.” la invitò.
Sentiva la ragazza muoversi alle sue spalle, ma evitò in ogni modo il suo sguardo. Aveva paura di mostrarsi vulnerabile, di far capire alla reporter quanto in realtà tremasse all’idea di essere in un paese a lei sconosciuto.
A National City aveva avuto modo di crearsi un posto sicuro, una certezza. Sin da che era piccola, aveva dovuto imparare a gestire ogni cosa che la circondasse. E così s'era trascinata quest’abitudine fino alla maggiore età e, ormai, era talmente abituata ad avere ogni cosa sotto controllo che bastava un niente per spiazzarla.
Kara si sistemò su una poltrona accanto al letto.
“Come mai hai scelto proprio me per seguirti?” chiese.
“Cosa intendi?” si pietrificò improvvisamente, voltandosi e incontrando lo sguardo della sua compagna di viaggio.
“Sono una reporter da poco tempo, non ho molta dimestichezza con questo lavoro. A volerla dire tutta, il mio capo non crede minimamente che questo sia il lavoro adatto a me.” Lena la vide sistemarsi i capelli dietro l'orecchio, impacciata.
“Perché hai chiesto proprio di me e non di qualcuno di più, come dire... esperto?”
“Non credo affatto che tu non abbia dimestichezza con questo lavoro. Come già dissi appena ci incontrammo, credo tu sia portata per farlo.” le rispose con un sorriso sincero.
Kara arrossì.
In quel preciso istante bussarono alla porta.

Le due ragazze si sistemarono vicino al carrello e cominciarono a mangiare in un imbarazzante silenzio. Lena sedeva sulla punta del letto, mentre Kara aveva avvicinato la poltrona su cui si era seduta poco prima. La Luthor osservò quest'ultima mentre addentava uno dei ravioli ordinati e non poté trattenere una leggera risata.
“Ch- coFa?” farfugliò la bionda.
“Scusa, notavo il tuo grande appetito.” si giustificò, sorridendo.
Per tutta la durata della cena Lena osservò ogni movimento di Kara. Notò che arricciava il naso mentre sorrideva, che tendeva a sistemarsi gli occhiali con la mano destra, tirandoli su per la piccola asticella, che quando mangiava tendeva a gonfiare le guance. Si accorse che aggrottava le sopracciglia se, per sbaglio, assaggiava qualcosa che non le piaceva, ma allo stesso tempo capì che erano davvero poche le cose che non preferiva.
Quando si rese conto di quanti dettagli aveva imparato e memorizzato, si sentì ridicolmente stupida e finalmente capì perché aveva chiesto proprio a Kara Danvers di accompagnarla: aveva fatto di lei il suo luogo sicuro. Non l'aveva scelta perché brava, per il suo lavoro. Indubbiamente anche per questo, ma il vero motivo per cui in quel preciso istante era in una stanza con quella che poteva sembrare una sconosciuta, era perché questa riusciva a trasmetterle calma. Kara la conosceva. Più di quanto altri potessero affermare, di certo.
Quella goffa ragazza aveva mostrato di credere in lei sin dal primo momento, di fidarsi, di non aver timore del suo cognome. A differenza di chiunque altro, le aveva offerto ciò che le era sempre stato negato: il beneficio del dubbio.
“Ti va un caffé?” chiese, per spezzare il silenzio.
“Oh, sì!” esclamò Kara entusiasta.
Lena spostò il carrello accanto alla porta della stanza, si avvicinò alla macchina del caffè che era su un tavolino e preparò due tazze. Nel porgerla a Kara, le suggerì di stendersi sul letto, così da poter chiacchierare un po'.
Dapprima la ragazza si mostrò titubante, ma poi, seppur con visibile imbarazzo, si sistemò sul bordo del letto, dal lato opposto alla Luthor.
“Raccontami di te.” esordì d'improvviso.
“Di me?” sussultò la bruna.
“Sì. Di me sai già qualcosa, ma di te invece, a parte il nome della tua famiglia, non so molto.”
Per alcuni istanti Lena sentì le orecchie infiammarsi e i battiti accelerare. Fu una sensazione nuova per lei, sentirsi rivolgere una domanda così banale, ma per nulla scontata. Quasi nessuno prima d'ora aveva mostrato interesse per lei in quanto Lena e non in quanto Luthor.
Si morse il labbro e cominciò a giocare col punto luce che aveva al collo. Sorseggiò il caffè mentre cercava le parole adatte.
“Non devi rispondere per forza, se ti crea disagio.” quasi sussurrò Kara, avvicinandosi leggermente e poggiandole una mano sulla spalla.
“No, è solo che... vedi, nessuno si è mai interessato a me negli ultimi anni. Contava solo il mio cognome.” s'apprestò a replicare la donna, col timore d'aver mandato in frantumi una buona occasione di mostrarsi per chi davvero fosse.
“Non capisco come sia possibile. Credo che un cognome non sia altro che un bagaglio che ci portiamo dietro per obbligo, ma sta a noi creare la nostra storia e – diciamo così – disegnare tutto il contorno.”
Lena sorrise di getto. Non credeva possibile che una ragazza così pura di cuore fosse capitata proprio sulla sua strada, nella vita di una donna da sempre condannata a rapporti anaffettivi e privi di qualsivoglia comprensione.
“Già.” si limitò a rispondere, bevendo un altro sorso di caffè.
“Non sembri convinta.” replicò subito Kara, tirando via la mano dalla spalla dell'altra.
“Mi stupisce, semplicemente, signorina Danvers.” rise. “Sin da che ho memoria, l'unica persona che abbia mai mostrato un minimo interesse nei miei confronti era mio padre. Vedeva me e Lex con gli stessi occhi, nessuna preferenza. Quando passi i tuoi primi anni di vita in un orfanotrofio, non è facile rapportarsi agli altri e ancor più difficile è accettare il rifiuto da chi ti porta via da quel posto, mostrandoti quindi cosa vuol dire la speranza.” continuò, con tono gravoso.
“Cosa intendi?” la interruppe la bionda.
“Sei una bambina e speri che arrivi anche per te la famiglia perfetta che ti tiri via da un posto come quello. La famiglia arriva e tu sei speranzosa di poter finalmente avere una vita felice... invece, d'un tratto, ti rendi conto che chi ti ha adottato non ti ama affatto e non fa altro che fartelo notare sempre di più. È come subire un secondo rifiuto, capisci cosa intendo?”
Mentre diceva questo, sentì un fremito percorrerle la schiena e provò a bere altro caffè, ma il tremore non la abbandonava. Kara, in totale silenzio, si avvicinò e le posò una coperta sulle spalle.
Lena sussultò.
“G-Grazie.” sussurrò stringendo il plaid a sé. Sapeva bene che quei brividi non erano causati dal freddo, ma dai ricordi che le tornavano in mente, eppure non riuscì a proferire parola, ad ammetterlo a voce alta.
Ciò nonostante, percepì il suo battito tornare regolare, abbassò le spalle e pian piano sentì anche scemare il tremolio. Ci mise un po' a capire che piuttosto che calore fisico, quel gesto le aveva dato qualcosa di più profondo, un tipo di premura che conosceva proprio grazie al padre.
“Cosa ti spinge ad esser così gentile?” chiese, con disarmante schiettezza.
Kara si limitò a sorridere e sistemarsi nuovamente gli occhiali. Lena notò un leggero rossore farsi strada sul viso della ragazza e sorrise di rimando.
Sentì un forte ardore all'altezza del petto e socchiuse gli occhi, continuando a sorridere mentre poggiava la testa all'indietro, alla spalliera del letto.
Cosa stava facendo e perché si sentisse così tranquilla al fianco di quella figura non riusciva minimamente a comprenderlo. O meglio, aveva avuto modo di accettare l'idea che Kara fosse il suo jolly per sentirsi sicura al di fuori dalle mura di casa o dell'ufficio, ma perché qualsiasi gesto di quella ragazza destasse un sorriso spontaneo sul suo volto... questo no, non riusciva proprio ad afferrarlo.

Continuarono a parlare per un'oretta. Lena raccontò alcune storie d'infanzia, l'unico periodo che considerava felice nella sua vita. Allo stesso modo, Kara replicò con alcuni suoi stralci di racconti.
Lena si sentì ancor più legata a quella goffa ragazza nel sapere che entrambe erano state adottate, la invidiò nel sapere che aveva trovato una famiglia che l'amava, la compatì quando le parlò della madre biologica e di quanto le mancasse.
“Penso che se ti vedesse ora, potrebbe essere orgogliosa di te.” provò a rincuorarla. “Hai avuto successo e sembra tu abbia trovato la tua strada. Hai un buon cuore e questo ti rende ancora più onore.”
Kara sorrise e abbassò la testa, ormai totalmente rossa in viso.
“Sei troppo gentile.” bofonchiò, stringendosi le spalle.
“No, sono solo onesta.” replicò. “Non dispenso complimenti a chiunque, non è nella mia natura.”
Detto questo, Lena si alzò e preparò altri due caffè. Tornò sul letto e porse la tazza a Kara. La distanza tra le due era quasi del tutto scomparsa, sia fisicamente che emotivamente. La Luthor sentiva di potersi realmente fidare di chi aveva di fronte e, per la prima volta dopo tanto tempo, non provava disagio alcuno nel sentire qualcuno così fisicamente vicino a lei.
Anzi, quasi ci si stava abituando.
“Posso farti una domanda?” disse Kara, guardando l'altra negli occhi. Lena annuì.
“Considerando tutto quel che hai raccontato, della mancanza d'affetto, del fatto che nessuno si sia mai mostrato interessato a te... non sei mai stata innamorata, quindi?” azzardò.
“Innamorata sì. Ricambiata... no. O almeno, non ultimamente.” rispose lei, distogliendo lo sguardo.
Per alcuni istanti, il cuore di Lena sembrò rallentare. Chiuse gli occhi per ascoltare il proprio battito, ma più si avvicinava e più questo sembrava allontanarsi. Istintivamente avvicinò le ginocchia al petto e le strinse.
Rimasero in silenzio per un tempo che sembrava infinito. La bruna, sentendosi oppressa da quella apparente calma, cercò di dire qualcosa.
“E tu?” fu tutto quello che riuscì a borbottare.
“Credevo di sì, ma non era mai qualcosa di reale. Piccole cotte, diciamo.”
“Kara Danvers, la donna adolescente.” ironizzò Lena. Si ritrovarono a scambiarsi un sorriso che si trasformò in una timida risata e la reporter quasi fece cadere il caffè sul letto. Tempestivamente si alzarono e salvarono piumone, lenzuola e materasso. Scoppiarono a ridere mentre Lena prese le due tazze e le posò sul carrello del servizio in camera.
Il calore provato al petto poco prima tornò, seppur più lieve. Il battito accelerò e sentì nuovamente il viso prender colore.
Proprio mentre stava per tornare sul letto, Kara la sorprese.
“Credo sia meglio che vada a letto, prima di combinare disastri.”
Si sistemò il maglioncino, portò su gli occhiali e, con gli occhi bassi, si avviò verso la porta.
“Ci vediamo domani mattina. Per qualsiasi cosa, non esitare a bussarmi o... non so, chiamare. Insomma, sono qui accanto. Buonanotte!” e senza aggiungere altro o aspettare risposta alcuna, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Lena rimase per qualche minuto stesa sul letto, la schiena poggiata alla testiera mentre finiva di sorseggiare il caffè che aveva lasciato poco prima.
Pensieri d'ogni tipo s'alternavano, rendendole difficile anche solo immaginare cosa avrebbe dovuto fare per prepararsi al lavoro che l'attendeva il giorno dopo.
Nell'esatto istante in cui Kara era scomparsa al di là della porta, aveva sentito qualcosa bloccarle il respiro. Paura, credeva. Il suo terrore di restar sola riusciva a farle mancare l'aria. Ne era quasi convinta, se non fosse che, al tempo stesso, sentiva una strana sensazione alla gola. Un nodo stretto, che non riusciva a mandar giù. Più che sgomento dovuto alla solitudine, era angoscia, smarrimento provocato dall'assenza di Kara al suo fianco.
Finito il caffè, si decise ad alzarsi e prepararsi per fare una doccia calda. Non aveva minimamente sonno, tanto valeva rendersi produttiva e prepararsi per la giornata che l'aspettava. Il pensiero d'esser sola le aveva dato una piccola tregua, quindi senza pensarci troppo si sfilò il vestito nero e le calze, tolse il punto luce e lo posò sul comodino.
Senza badare a dove fosse l'accappatoio, si infilò sotto la doccia e lasciò che il calore dell'acqua l'abbracciasse.
Che stupida,  pensò.
Mentre s'insaponava, si rese conto di star ripassando tutta la serata nella sua mente e di star sorridendo tra sé e sé al pensiero del viso della reporter leggermente rosso per l'imbarazzo.
Accompagnata dal tepore della doccia calda e, soprattutto, di quell'immagine che trovava bambinescamente adorabile, recuperò un accappatoio e si andò a sistemare nuovamente sul letto.

All'improvviso, mentre provava a rilassarsi e abbandonarsi al sonno, sentì il cellulare squillare.
“Dormi?”
Era un messaggio di Kara e la Luthor sentì le guance colorirsi.
“No. Tu come mai sei sveglia?”
La risposta non arrivava e la bruna si sentiva alla pari di una tredicenne: stringeva il cellulare tra le mani e fissava lo schermo di continuo, arrivò per sino a riavviarlo, convinta si fosse bloccato.
Dopo poco ecco una nuova notifica.
“Apri.”

Si fiondò alla porta della stanza e, spalancandola, si ritrovò il viso della bionda sorridente mentre stringeva tra le mani un pacchetto con su scritto 'Boulangerie La Gobelinoise'.
“Avevo fame e quindi sono scesa a comprare qualcosa.” iniziò quest'ultima, ma notando l'accappatoio dell'albergo e i capelli bagnati della donna mostrò il suo stupore.
“Oh, scusami. Se vuoi torno dop-”
“No! Non preoccuparti...” la interruppe subito Lena, facendole segno d'entrare nella stanza.
Si sentì una totale idiota nel reagire in modo così sfacciato, ma non appena il telefono aveva squillato la prima volta, una strana gioia l'aveva pervasa. Mentre richiudeva la porta, notò le sue mani tremanti e le nascose nelle grandi tasche.
“Ho preso dei croissant. Un paio vuoti e qualcuno al cioccolato, alla crema e non so che altro.” spiegò Kara mentre posava il pacchetto sul tavolino dove erano le due tazze usate precedentemente da entrambe.
“Avevi molta fame.” osservò la Luthor sorridendo, ancora una volta.
La ragazza si sistemò gli occhiali e rispose con un sorriso impacciato.
“Ne prendo uno vuoto, grazie.” continuò.
Subito la bionda le porse una brioche vuota, mentre per lei ne prese una alla crema. Si misero nuovamente sedute sul letto e diedero i primi morsi in silenzio.

“Cosa devi fare domani, precisamente?” chiese Kara, d'un tratto.
“Dovrei incontrare un imprenditore che vorrebbe investire nella L-Corp.” replicò subito la bruna.
“Sei in ansia?”
“Perché me lo chiedi?”
“Ti tremano le mani.” fece notare la reporter, indicandola.
“Devo ammettere che sono un po' preoccupata.” mentì. In realtà era semplicemente felice di non esser più sola e che fosse proprio lei a farle compagnia. Eppure, provò timore nel rivelarlo alla ragazza che le sedeva davanti, soprattutto poiché non riusciva a spiegare tutto ciò neanche a se stessa.
“Non pensavo che una come te potesse avere paura... o essere in ansia, insomma.” rivelò l'altra.
Lena si limitò ad osservarla, aggrottando le sopracciglia.
“Sembri una persona difficile da intimorire. Tutto qui...” parve giustificarsi Kara.
Qualcosa sembrò rompersi nella mente della Luthor. Come una catena che stava spezzandosi, sentì il bisogno di raccontarsi, di scacciare qualsivoglia incertezza e aprirsi.
“Ho molte più insicurezze di quante ne mostro. La cosa che più mi intimorisce, stasera, è non essere a National City. Che sia in ufficio o a casa, ho tutto sotto controllo, mentre qui è una totale incognita. Lì riesco anche a non necessitare di alcuna compagnia...”
Abbassò lo sguardo nel dirlo. Appena pronunciate, quelle parole sembrarono così fuori luogo e il sospetto di aver dato modo di pensar male di lei cominciò ad agitarla.
“Ma devo rischiare per cambiare il destino della compagnia e il mio futuro.” aggiunse, toccandosi dietro la nuca, visibilmente imbarazzata.
Con quel gesto, realizzò d'avere ancora i capelli umidi e, quindi, di essere ancora in accappatoio. Si alzò piano e si diresse verso la valigia.
“Forse dovrei vestirmi, prima di ammalarmi.” si giustificò.
In tutto questo, la ragazza ancora non aveva aperto bocca. Non una parola, non uno sguardo. Aveva semplicemente smesso di mangiare il cornetto, lasciandolo a metà su un fazzolettino posato sul letto.
La situazione creava in Lena uno strano stato d'ansia mista ad amarezza. Osservò, sottecchi, l'altra avvicinarsi, con una calma esasperante. Si sistemò dietro le sue spalle e la sentì schiarirsi la voce.
“Per quanto possa essere d'aiuto, io sono qui, con te. Non considerarmi solo una reporter, ma vedimi piuttosto come un'amica, un incoraggiamento, non so... Non ne avresti davvero bisogno, perché sei una donna straordinaria, coraggiosa, ma non te ne rendi conto.” mentre diceva questo, si avvicinò e le posò una mano sulla spalla, costringendola a voltarsi.
“Permettimi di starti accanto e aiutarti a capire quanto vali.” esordì poi, guardandola negli occhi abbozzando un sorriso. Il tempo parve rallentare.
La Luthor, per lo stupore, lasciò cadere ciò che aveva tra le mani. Si piegò a raccoglierlo e la bionda fece lo stesso. Le loro dita si sfiorarono e la bruna sentì il cuore quasi uscirle dal petto, il rumore del suo battito cardiaco era tutto ciò che riusciva a sentire intorno a sé.
“Kara, io...”
D'istinto si spinse verso la ragazza, ne cercò le labbra. Le sfiorò con le sue.
Sentì questa tremare a quel tocco, ma poi subito ricambiarlo.
“Sono qui.” sussurrò la reporter, stringendola a sé. “Non ti lascio sola.”

 

   
 
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