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Autore: Losiliel    11/01/2017    6 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 12

dove Maedhros torna a casa

 

 

 

Fingon era venuto a salvarlo. La sua mente non riusciva ancora a processare quell’informazione.

Non solo l'aveva portato fuori da quella fabbrica, ma ora stava seguendo le sue indicazioni, guidando chiaramente contro la propria volontà, per condurlo là dove lui aveva nascosto l'hard-disk.

Meadhros faticava a capire come fosse potuto accadere, gli sembrava quasi di vivere in un sogno, se non che, in un sogno, non avrebbe avuto quel dolore lancinante alla testa, quel bruciore al collo, e soprattutto quell’inquietante sensazione di insensibilità al braccio destro.

Fingon gli aveva dato da bere, ed era bastato quello per dargli la forza di continuare finché anche l’ultimo tassello non fosse andato al suo posto.

Quello, e la mano che dal momento stesso in cui erano partiti copriva la sua, lasciandola solo per il tempo necessario a cambiare le marce. 

Una mano forte e ruvida che pochi minuti prima aveva quasi spezzato il collo di un uomo, e che ora teneva la sua con una delicatezza sorprendente. 

– Non capisco perché non potevamo mandarci Ty, o qualcun altro – disse Fingon per l’ennesima volta, senza però accennare a fermarsi o a cambiare direzione.

Maedhros lo ignorò: – Alla prossima, svolta a destra e fermati sul fondo della strada. 

L’altro fece come gli veniva richiesto, ma non smise di protestare: – Lascia almeno che chiami Curufin...

– Dopo – lo interruppe lui con voce sempre più debole, – meglio se non spegni il motore – aggiunse, quando Fingon accostò.

Si trovavano nel posto dove era stato catturato: una strada chiusa a poche centinaia di metri dalla sede della Gothmog. L’unico lampione del vicolo era fuori uso, ma i fari dell’auto illuminavano a sufficienza per vedere due cassonetti rovesciati e parecchia immondizia per terra. Segni evidenti che qualcuno aveva condotto delle ricerche.

Maedhros cominciò a temere che non avrebbero trovato più traccia dell'hard-disk.

Quella notte, durante la fuga, aveva imboccato il vicolo prima di rendersi conto che era senza via d’uscita. Sapendo di essere seguito, aveva cercato in fretta un nascondiglio per la refurtiva. Non c’erano che due cassonetti e l’accesso a un garage con la serranda abbassata. Il vicolo era chiuso da un muro alto non più di tre metri, in parte ricoperto da una pianta rampicante. Nel tentativo di vedere se era abbastanza robusta per fornire da appiglio a un’eventuale scalata, Maedhros si era accorto che le foglie nascondevano il tubo di una grondaia. 

Convinto di non avere abbastanza tempo per scavalcare il muro, aveva infilato l’hard-disk nel tubo e l’aveva fatto risalire di qualche centimetro, poi l’aveva inclinato per incastrarlo meglio che poteva. Stava valutando la possibilità di gettare il badge e le chiavi nel cassonetto, quando era stato raggiunto dal colpo che l'aveva stordito.

Ora, però, il suo stratagemma gli sembrò più debole che mai, ed ebbe quasi la certezza che gli scagnozzi della Gothmog avessero alla fine trovato il nascondiglio. 

Era arrivato il momento di scoprirlo.

Ma l’unica cosa che Maedhros scoprì fu che non aveva le forze sufficienti nemmeno per uscire dalla macchina. Quando cercò di piegarsi per raggiungere la maniglia con la sinistra, crollò in avanti sostenuto solo dalla cintura di sicurezza.

– Lascia fare a me – disse Fingon, aiutandolo a raddrizzarsi contro il sedile, e lui riuscì a sentire l’appellativo “idiota” anche se l’altro evitò di pronunciarlo. Gli venne quasi da sorridere.

Aveva senza dubbio ragione l’amico, lui non sarebbe riuscito ad andare da nessuna parte. Allora gli spiegò cosa fare, e Fingon, dopo aver ascoltato con attenzione, uscì dall’auto e lo lasciò solo. 

Maedhros restò a sperare che l'hard-disk fosse ancora là dove lui l'aveva lasciato, che tutti i suoi sforzi fossero valsi a qualcosa, che il motivo per cui suo padre era morto non fosse stato vano.

O forse restò solo a chiedersi quanto avrebbe potuto resistere senza il contatto con quella mano.

Fingon tornò poco dopo, un ghigno sul viso, nel pugno un piccolo oggetto nero e lucido. 

– E adesso? – domandò, sedendosi al posto di guida.

– Adesso mi lasci a casa – rispose Maedhros, che avrebbe voluto dire parole completamente diverse, – i miei fratelli mi porteranno all'ospedale.

– Ti ci porto io in ospedale – propose all’istante Fingon. Poi abbassò lo sguardo e aggiunse, incerto, – se vuoi.

Maedhros sentì una fitta al cuore che sovrastò ogni altro dolore nel vedere quanto ancora l’amico dubitasse di ciò che provava per lui. Ma il tempo stringeva, e c’erano cose che andavano fatte.

– No – disse, – tu prenderai questo disco e lo porterai a tuo padre.

– Cosa? – esclamò l’altro, preso del tutto alla sprovvista.

– Hai capito bene. Sono certo che saprà cosa farne. Di sicuro farà meglio di un branco di ragazzini assetati di vendetta.

– Ma i tuoi fratelli… – cominciò Fingon.

– I miei fratelli si adegueranno. Per come la vedo io, queste informazioni me le sono guadagnate – il suo sguardo scivolò sulla mano di cui bramava il contatto: nocche tagliate, che cominciavano a gonfiarsi, bluastre. – Ce le siamo guadagnate – si corresse.

– Ma tuo padre... – insistette l’altro.

– Mio padre avrebbe voluto vedere la Gothmog sprofondare nell'oblio, e la Tirion assurgere alla fama mondiale con lo sviluppo della sua ultima invenzione. E sono certo che tuo padre provvederà egregiamente ad entrambe le cose.

Fingon non disse più nulla, ma si infilò in tasca l’hard-disk e accese il motore. Ricominciò a guidare per le strade deserte, mentre la sua mano riprendeva il suo posto su quella di Maedhros.

Nessuno dei due parlò più fino a quando imboccarono la strada della casa dei Fëanorion. 

Fingon parcheggiò davanti al portone d'ingresso.

Lui sentì l’improvviso bisogno di dire qualcosa, di spiegarsi, di chiedergli ancora scusa, ma la sua volontà lo stava di nuovo lasciando, insieme alle ultime forze.

– Fin… – cominciò.

L’altro scosse la testa e riuscì a esibire un sorriso tirato.

– Domani – disse, e diede un colpetto di clacson.

Le luci delle scale si accesero, la serratura del portone scattò.

Allora Maedhros sussurrò: – Grazie.

Era un grazie che conteneva tutto. Grazie per avermi salvato, grazie per essere tornato, grazie per aver accettato ciò che ti ho chiesto.

Sperò che l'altro lo capisse.

Fingon annuì. Tolse la mano dalla sua e gli sganciò la cintura.

All’istante la portiera venne aperta e lui fu trascinato fuori da Celegorm e da Maglor, che lo sollevarono e lo abbracciarono, con Caranthir che si teneva un passo indietro e continuava a dire: – Fate piano, fate piano – e già tirava fuori il cellulare, senza dubbio per chiamare l'ambulanza.

Vide Curufin, sulla soglia di casa, col volto leggermente annerito e i capelli in disordine, che guardava il tutto con la sua solita aria distaccata. Lo vide lanciare uno sguardo all'interno della macchina e indirizzare un impercettibile cenno del capo a Fingon.

Quest'ultimo chiuse la portiera dietro di lui e partì.

E Maedhros, circondato dai suoi fratelli, si sentì di nuovo solo.

 

 

 

 

______________

Appuntamento a domani, per il capitolo finale!!!

  
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