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Autore: LadyStark    17/01/2017    6 recensioni
Dal testo:
"-Il mio cervello lavora velocemente e in quel momento ha lavorato più in fretta delle altre volte. O forse non ha lavorato affatto, non l’ho ancora capito, ma il punto è, Molly, non ci sarebbe stato motivo di ripetertelo una seconda volta –
Molly trattenne il fiato. Forse le lacrime e i singhiozzi le avevano momentaneamente inibito le capacità uditive. Forse c’era una bomba anche in quel locale e la farsa doveva continuare o forse…."
Piccola shot, scritta di getto dopo la 4x03.
SPOILER
[Sherlolly]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Salve a tutti!
Non mi sono ancora totalmente ripresa dalla visione della 4x03, più precisamente dalla scena della telefonata a Molly – che continuo a rivedere in ogni momento - ma è da giorni che la mia mente continua a elaborare questa ideuzza e alla fine ho ceduto e l’ho messa nero su bianco.  Ovviamente ditemi voi se ho fantasticato troppo o il bisogno di vedere come è andata a finire la questione lo abbiamo avuto tutti J
Grazie mille e buona lettura!

Due Volte
 

 -Ti amo….Molly….Molly ti prego –
- Io ti amo –.

E aveva messo giù. O era caduta la linea. Non si ricordava bene cosa fosse successo, era frastornata e confusa.
Mise giù il telefono, realizzando di avere le mani tremanti. Aveva bisogno di calmarsi e finire il suo the, ma non riusciva a pensare a nient’altro. Quelle parole risuonavano nella sua testa.

“Non posso dirlo, non a te…..perché è vero. Lo è sempre stato”
“Se è vero dillo allora”

E alla fine lo aveva detto. Aveva detto quelle parole che si era ripromessa di non dire mai.
Aveva la vista appannata. Si portò una mano agli occhi, accorgendosi solo allora delle lacrime.
Doveva respirare,stare tranquilla e riprendere il controllo di se stessa.
“Ti amo”
Ma ormai lo aveva detto. Non poteva più tornare indietro.
Singhiozzò.
Ignorava il motivo di quella telefonata, ignorava dove lui fosse di preciso e ignorava anche quello che sarebbe successo dopo.
Prese il telefono in mano e aprì il registro delle chiamate: una chiamata persa e una ricevuta. Era successo davvero. Non lo aveva immaginato.
Fece per richiamare ma le sua dita si bloccarono. Stava piangendo, stava tremando, non era nelle condizioni di richiamarlo. Aveva già fatto troppo per quel giorno. Sapeva che lui, dall’altro capo del telefono, aveva capito che lei stava piangendo. Anche un bambino lo avrebbe capito, si disse tra sé.
Lasciò il telefono sulla mensola della cucina, si diresse in camera da letto e una volta abbandonatasi sul materasso si concesse un pianto liberatorio, pieno di singhiozzi e tremiti. Continuò a piangere fino a quando non sembrò dimenticarne il motivo, fino a quando gli occhi diventarono pesanti e il sonno le apparve come un rifugio sicuro, almeno per qualche ora.

Si svegliò  all’alba. Per un secondo, per quel secondo in cui gli occhi si aprono e la coscienza deve ancora tornare del tutto, si sentì riposata, riemersa da un sonno profondo e senza sogni.
Poi però i ricordi la colpirono.
“Ripeti queste parole: io ti amo…..se è vero dillo e basta”
Gli occhi non si inumidirono, ma le mani ripresero a tremare. Le pulsazioni del suo cuore aumentarono.
Certo, aveva mantenuto almeno la ragione per poter rispondere, per non sentirsi completamente distrutta e umiliata.
“Ok, dillo tu prima.”
Se era stato davvero così importante a nudo i suoi sentimenti, poteva considerare una piccola vittoria almeno quella sua presa di posizione. Se io lo devo dire, voglio sentirtelo dire.

E lo aveva sentito.
Due volte.
Lo aveva sentito e solo dopo aveva deciso che ormai, che se lui era suonato così convincente, forse lei poteva essere altrettanto convincente nel non farsi sentire così esposta.
Aveva miseramente fallito. Ma questo lo sapeva solo lei. Questo lo avrebbe saputo solo lei.
Mentre cercava di ignorare il suo cuore, che aveva deciso di abbandonare un battito regolare, ritornò in cucina e lo sguardo fu subito catturato dal suo cellulare. Si impose di non prenderlo in mano, di non sbloccarlo e di non cercare notifiche da parte sua. Lui non le avrebbe scritto. Lui non l’avrebbe chiamata.
Lui non le avrebbe fornito alcun tipo di spiegazione.
Ingoiò il groppo in gola che le si stava formando e girò su se stessa. Prese il cappotto e uscì di casa, quasi correndo. Camminò nella fredda mattina londinese fino a quando le strade non si riempirono di persone.
Decise allora di tornare a casa e farsi una doccia calda, ancora una volta ignorando il cellulare, abbandonato sulla mensola della cucina.
Fu quindi impossibile rispondere al messaggio che le arrivò mentre era sotto il getto della doccia.
 
 
 
- Stai bene? –
- Tu stai bene? –
- Sono vivo –
- Sherlock… -
- Parliamone a casa, John –
Nessuno dei due parò durante il tragitto. Nessuno dei due però si sentì in dovere di parlare, però. Sapevano che le parole, dopo quello che avevano vissuto erano superflue.
Il silenzio si protrasse fino all’arrivo al 221B, ancora distrutto e mezzo esploso. Posarono i cappotti e rimasero sulla soglia, a guardare l’appartamento. Poi John sospirò ed entrò, iniziando a raccogliere tutto quello che gli sembrava salvabile.
Sherlock lo seguì, rimise in piedi la sua poltrona, tolse con la mano i detriti più grandi e si sedette.
- Non credere che io faccia tutto il lavoro da solo – disse John mentre guardava l’orologio – io ho anche una figlia, da cui vorrei tornare. Non posso spendere il mio stipendio in babysitter –
Sherlock si lasciò sfuggire un breve accenno di sorriso.
- Chiamerò qualcuno per rimettere a posto – disse.
- E nel frattempo hai intenzione di rimanere a guardare, sperando che le cose tornino al loro posto? –
- Ti riferisci alla casa? –
- Anche –
- Vai a prendere tua figlia, inizierò a fare qualche chiamata –
Rimasto solo, Sherlock estrasse il suo cellulare dalla tasca. Lo aveva ripreso subito dopo aver visto sua sorella che veniva portata via, ma non lo aveva ancora usato. Non appena aprì il registro delle chiamate, il suo sguardo non poté fare a meno di cadere sull’ultimo nome.

Aveva avuto modo di vedere Molly durante la telefonata, aveva visto come cercasse di trattenere il tremore delle sue mani, le lacrime dai suoi occhi e il tremolio della voce. Aveva visto come potesse essere facile crollare sotto il peso delle emozioni, ma aveva visto anche la dignità e la forza che anche in momento difficile era stata in grado di mostrare.
“Dillo prima tu”
E lo aveva detto. Doveva salvarle la vita, ecco perché lo aveva detto. In fondo erano amici e gli amici si mostrano affetto.
Affetto, lui le aveva detto “ti amo”.
Due volte.
Aveva detto a Molly Hooper “ti amo” per salvarle la vita, aveva fatto fatica anche solo ad articolare la frase, non solo a pronunciarla. Era stata una tortura.
Ma poi aveva visto quell’accenno di sorriso sul viso di Molly, quel sorriso che aveva subito represso, per paura di crederci per davvero. Aveva visto le spalle di lei tremare, i suoi occhi chiudersi e si accorse solo mentre le sue labbra si muovevano di star ripetendo quelle tre parole.
Strinse il telefono,  serrando la mandibola. Nonostante la sua scarsa esperienza in campo amoroso, conosceva bene la chimica e conosceva ancora meglio il proprio corpo. Si chiese se anche in quel momento le sue pupille fossero dilatate.
 
Dopo un paio d’ore John rientrò nell’appartamento insieme a quella che sembrava un’impresa di pulizie. Sherlock era ancora seduto sulla poltrona, ma a differenza di quando lo aveva lasciato, ora stringeva il proprio telefono in mano.
- Rosie? – chiese, anticipando probabilmente la domanda che il militare stava per fargli.
- Con miss Hudson – rispose, poi entrò e continuò a sistemare.  Dopo alcuni minuti di silenzio mormorò qualcosa che assomigliava a  - il telefono prima o poi si scaricherà -.
Sherlock sospirò, poi compose rapidamente un sms e si alzò.
 
 
 
 
Uscita dalla doccia, Molly decise che era giunto il momento per fare i conti con i suoi ricordi e con Sherlock Holmes. Afferrò il telefono e imprecò alla vista del messaggio.

Sai dove trovarmi. SH

L’aveva anticipata ancora una volta.
Si vestì in tutta fretta e si arrese all’idea che se la telefonata le era sembrata imbarazzante, vederlo di persona le avrebbe fatto venire voglia di sotterrarsi.
 
 
La vista dell’appartamento in quelle condizioni le fece spalancare la bocca. John le si avvicinò e l’abbracciò. Lei non capì bene il motivo, se era perché sapeva della telefonata o perché era semplicemente scampato a un’esplosione. Ricambiò l’abbraccio sorridendo  lievemente.
Quando si staccarono, la prima cosa che notò John fu come le mani di Molly tremavano, nonostante lei cercasse di controllarsi.
- Ti offrirei volentieri un the, Molly, ma non credo che al momento questo sia il luogo più adatto – le disse, cercando di suonare rassicurante.
- Non toglierti il cappotto, Molly. – Intervenne allora Sherlock – prenderemo il the fuori - 
Molly si irrigidì, capace solo di annuire e di seguire la figura di Sherlock Holmes che scendeva le scale.
 
Seduti al tavolo del bar, uno davanti all’altra, Molly Hooper e Sherlock Holmes aspettavano in silenzio le loro ordinazioni.
Molly fissava il tavolo, incapace di alzare lo sguardo sull’uomo  davanti a lei, ma sapeva che quel silenzio sarebbe diventato solo più pesante. Sapeva anche che doveva essere lei a romperlo. Doveva essere lei per evitare di farsi vedere ancora una volta debole e fragile davanti all’uomo che amava.
Sì, ormai lo aveva detto, non aveva senso negarlo o nasconderlo, ma questo non significava che doveva comportarsi come un animale indifeso.
Alzò lo sguardo e trattenne il fiato quando incrociò lo sguardo di lui.

- Cosa è successo al tuo appartamento? – chiese, notando con fastidio quanto la sua voce tremasse e risultasse acuta.
- Hai pianto – rispose lui, continuando a fissarla, le mani appoggiate sul tavolo.
- Credo che sia impossibile non notarlo – sorrise nervosamente lei.
- Molly, io… -
La cameriera che servì due tazze di the caldo interruppe il discorso. Cadde nuovamente il silenzio tra i due. Quando la cameriera con un sorriso si allontanò dal tavolo Molly fece per bere un sorso di the, ma quando vide la tazza tremare nelle sue mani, la riappoggiò sul tavolo, stringendosi le mani l’una nell’altra, nella vana speranza di calmarsi.

Sherlock continuava a osservarla. Ammirava la dedizione con la quale Molly si stava imponendo di rimanere il più calma possibile, ma lo disturbava il vederla così tesa. Sapeva che doveva dirle qualcosa per calmarla, ma non si era preparato un vero e proprio discorso. Si rese conto di quanto spesso ultimamente si trovasse in difficoltà sulla scelta del comportamento migliore da adottare.

- Perché me lo hai fatto dire? –
- Ho distrutto la tua bara –
Parlarono contemporaneamente, veloci. Molly spalancò gli occhi, poi inarcò un sopracciglio.

- Credo di essermi persa un pezzo della storia, allora – disse.
- Un pezzo piuttosto lungo – annuì Sherlock.
Molly allora si alzò, prese la sedia e la spostò sul lato adiacente al tavolo. Guardare Sherlock Holmes negli occhi era ancora troppo, ma non poteva alzarsi e andare via. Non ora.
Incrociò le braccia al petto – Ho tempo – disse – raccontami -.
Sherlock si irrigidì per un secondo poi, fissando un punto imprecisato sul tavolo, raccontò. Raccontò di come pensava che la vita di Molly fosse in pericolo, di come aveva distrutto quella che doveva essere la sua bara e di come aveva passato le ultime ore.
Mano a mano che il racconto continuava, Molly sentì gli occhi inumidirsi, maledicendosi.
Quando Sherlock arrivò alla fine, alzò lo sguardo, incrociando quello di Molly.

- Non era mia intenzione ferirti, Molly – mormorò Sherlock.
- Era….era per salvarmi quindi – Molly sentì un tuffo al cuore. Sapeva che quello che aveva sentito non era reale, che Sherlock non poteva ricambiare i suoi sentimenti, ma sentirlo dire da lui era peggio di quanto si aspettasse. La vista le si stava appannando nuovamente, segno che non avrebbe trattenuto le lacrime ancora a lungo.

Sospirò sperando di riuscire a reggere ancora qualche secondo, il tempo di ringraziarlo per averla protetta e uscire dal bar, ma fece a malapena in tempo ad alzarsi e a biascicare un “grazie comunque” prima di scoppiare a piangere. Si portò una mano alla bocca per soffocare i gemiti, ma si ritrovò imprigionata nell’abbraccio di Sherlock Holmes.
Sentiva le sue braccia stringerle le spalle, mentre una mano di lui le accarezzava la testa.
Perché le stava facendo questo? Perché non la lasciava semplicemente andare a sfogarsi a casa, dove non aveva bisogno di mantenere quel briciolo di dignità  a cui in realtà aveva rinunciato nel momento in cui le lacrime sgorgarono dai suoi occhi.
Sherlock, lentamente, poggiò le sue labbra sulla tempia di Molly, continuando a stringerla, incurante degli sguardi che iniziavano a circondarli.
- Sherlock, ti prego – sussurrò Molly contro la camicia di lui, una mano ancora sulla bocca, l’altra lungo il fianco, serrata a pugno dalla rabbia che provava nei suoi confronti, per mostrarsi così debole, ogni volta.
- Molly il primo era per salvarti – sussurrò a sua volta Sherlock. Deglutì sonoramente prima di continuare, ma si disse, non era leale nei confronti di nessuno continuare a ignorare la cosa. Inoltre, forse dirlo ad alta voce sarebbe stato un sollievo, piccolo magari, ma un sollievo rispetto a quel senso di impotenza e frustrazione che gli pesava. – Ma il mio cervello lavora velocemente e in quel momento ha lavorato più in fretta delle altre volte. O forse non ha lavorato affatto, non l’ho ancora capito, ma il punto è, Molly, non ci sarebbe stato motivo di ripetertelo una seconda volta –
 
Molly trattenne il fiato. Forse le lacrime e i singhiozzi le avevano momentaneamente inibito le capacità uditive. Forse c’era una bomba anche in quel locale e la farsa doveva continuare o forse….
Con uno sforzo che le parve indescrivibile alzò lo sguardo fino a incontrare quello di Sherlock. Nonostante il sorriso, era visibile l’imbarazzo di lui e la fatica che aveva fatto nel tirare fuori quelle parole.
- Stai cercando di salvarmi la vita da un’altra bomba? – chiese, senza darsi la possibilità di sperare nelle parole dell’uomo.
Sherlock sorrise scuotendo la testa in segno di diniego.  Si avvicinò alla donna, appoggiando la propria fronte alla sua.
- Nessuna bomba, Molly Hooper –

Fu allora che Molly si concesse un ultimo singhiozzo, liberatorio questa volta, prima di gettare le braccia al collo del consulente investigativo e stringersi a lui con tutta la forza che aveva.

Sherlock sorrise  e  si distaccò da lei giusto per sussurrarle in un orecchio che forse era il caso di uscire, prima che tutto il bar smettesse di consumare per guardarli. Molly avvampò e cercando di sistemarsi alla meglio fece per prendere la borsa e pagare. Sherlock la fermò con un gesto della mano, poi la spinse gentilmente fuori dal bar.

L’aria fredda pungeva la pelle umida di lacrime di Molly, che si sentiva ancora frastornata. Avrebbe chiesto a Sherlock di chiamarle un taxi per tornare a casa, lei non si sentiva ancora completamente padrona di se stessa.

Avvertì  il braccio dell’uomo cingerle le spalle mentre iniziavano a camminare.
- Sherlock – iniziò Molly – saresti così gentile da… -
Ma Sherlock Holmes non seppe mai per cosa doveva usare la sua gentilezza. Strinse nuovamente la donna contro di sé, per poi sollevarle il mento e mischiare i loro due respiri. Sfregò il suo naso contro il proprio, mentre con la mano asciugava le ultime lacrime dal volto di lei.
Molly si beò di quel momento, così perfetto, che quasi le sembrava irreale. Sorrise al contatto della mano di Sherlock contro il suo viso e solo allora l’uomo colmò la distanza tra le loro labbra.
Fu un tocco lieve, durato solo un secondo, ma a Molly parve durare ore. Quando Sherlock si staccò da lei riprese a camminare, come se nulla fosse, sempre mantenendo però il suo braccio attorno a lei.

- Credo che per oggi è meglio se non torni a casa – disse guardando il cielo – ci sono ancora delle telecamere nel tuo appartamento –
Molly lo fissò – E dove dovrei andare? –
Sherlock aprì il portone del 221 e fece segno a Molly di entrare: - Non mi pare tu sia allergica alla polvere o sbaglio? –
Molly sorrise, prima di entrare e superare l’uomo – Sì ma starai tu nella stanza degli ospiti –
- Ma non c’è… - Replicò Sherlock, ma la frase gli morì sulle labbra. Chiuse la porta e salì le scale sorridendo tra sé.
 
 
 
Eccomi!!!! Non ho resistito a scrivere questa cosa, soprattutto dopo non aver visto nessuna scena esplicativa nel finale e soprattutto dopo aver letto le dichiarazioni di Moffat. Per lui Molly passa oltre, ma io rimarrò dell’idea che finalmente la coppia Sherlock/Molly è diventata canon. Non ho resistito vedendo lei che nel finale entra in casa con quel sorriso meraviglioso. Soprattutto avendo visto il messaggio di Sherlock “Sai dove trovarmi” che invia a non si sa chi giusto qualche inquadratura prima. Ho pensato che sarebbe stato perfetto se la destinataria del messaggio fosse stata Molly e da lì la mia mente ha iniziato a vagare e ha preso il controllo delle mie dita.
Che dire, spero non vi abbia tediato troppo questa storiella  ma nel caso lo abbia fatto, non esitate a dirmelo!
Grazie e a presto
LS
  
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