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Autore: Cry_Amleto_    17/01/2017    0 recensioni
/Seguito di "Lost Time"/
[Stony!]
Tratto dalla fanfiction:
"Forse avrebbe vinto. O forse no.
Forse sarebbe sopravvissuto. O forse no.
Forse lo avrebbe salvato. O forse no.
L'unica cosa certa, è che aveva bisogno di rivedere colui che aveva perso in quel dannato disastro."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost'
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[Scream]

...Falling in the black 
Slipping through the cracks 
Falling to depths can I ever go back...
(...Precipito nell'oscurità 
Scivolo nelle fenditure 
Cado in un pozzo da cui non potrò mai risalire...)

Le palpebre gli si erano sollevate lentamente, poi si erano strizzate sotto la luce invadente delle lampade a neon. 
Bianche lenzuola avvolgevano il suo corpo coperto da una quadrettata tunica ospedaliera. 
Aveva cercato di alzarsi puntellandosi sui gomiti, per poi ricadere sfinito sul cuscino.
L'infermiera di turno, vedendolo vigile, gli aveva sorriso.

«Abbiamo vinto, Capitano» gli aveva detto.

A quel punto, aveva fatto scivolare lo sguardo più in là, sulle brandine degli altri Avengers posizionate poco distanti dalla propria. 
Nessuno era stato ferito gravemente ed erano riusciti a salvare il mondo ancora una volta.
Eppure sui volti dei suoi compagni non brillava quella luce che sapeva di vittoria, di felicità, di vita. Avevano sguardi cupi, le sopracciglia aggrottate e le espressioni affrante di chi ha perso più di quanto potesse vincere.

Un meschino presentimento aveva iniziato a farsi strada in lui. Un presentimento a cui non voleva dare ascolto,  nonostante stesse prendendo possesso di lui.
Sotto alla pressione di questo, era scattato a sedere, attirando l'attenzione della squadra che gli aveva rivolto cenni di saluto. Clint aveva persino cercato di fare una battuta su quanto rumorosamente russasse nel sonno il Capitano, ma il suo sorriso appariva tirato, fioco, forzato, fuori posto.
A quel punto, aveva posato nuovamente lo sguardo in quello degli altri Vendicatori. 
E si accorse che ne mancava uno.
Uno un po' arrogante, ammiccante, sfacciato, brillante.
Uno ambrato, dalle mille sfaccettature sfuggenti che aveva appena iniziato a cogliere.
Uno, la cui sola presenza calamitava gli altri sguardi.
Uno, che era diventato il centro di ogni suo pensiero.
Uno, che non c'era.

Un lamentoso, silenzioso, piccolo gemito si librò dalla sua gola stretta in una smorfia soffocante, mentre uno dei dolori più forti che aveva mai provato si faceva strada nel suo corpo, frantumando le ossa, squarciando gli organi, avvelenando il sangue.
Mosse piano le labbra tremanti ad articolare una domanda di cui già conosceva la risposta, gli occhi lucidi che facevano da specchio all'agonia che lentamente lo stava uccidendo dall'interno.

«Dov'è Tony?»

Poi l'oblio lo richiamò a sé, cancellando i suoi pensieri e i suoi ricordi.

~o~

Il freddo del braccio metallico, a contatto con la sua pelle nuda, lo fece rabbrividire. Nonostante questo, attirò il proprietario di quest'ultimo più vicino a sé, ancorandosi alle sue spalle e abbandonando il volto nell'incavo del suo collo. I capelli tenuti lunghi dell'altro, gli solleticarono piacevolmente le guance.

Erano passati tre anni.
Ancora non ci poteva credere che fosse passato tutto quel tempo da quel giorno.

Durante i primi sei mesi dalla scomparsa dell'inventore, si era chiuso in un mutismo carico di dolore. Le uniche parole che pronunciava erano dirette a F.R.I.D.A.Y., che Tony gli aveva lasciato in eredità, e solo quando era da solo con l'AI. In quel periodo, aveva persino sfiorato l'idea del suicidio, solo per potersi rincontrare così con l'inventore. Solo il pensiero di deludere, così facendo, Tony l'aveva tenuto a bada.

Poi un giorno, quasi casualmente, si era imbattuto in quelle mail che loro due si erano scambiati, prima dell'inizio della fine. Tony gli aveva lasciato delle coordinate, tramite le quasi avrebbe potuto trovare il Soldato d'Inverno.
Il Soldato d'Inverno. 
Bucky, il suo più caro amico.
Ricordava ancora con chiarezza il dolore che aveva provato quando l'aveva visto cadere da quel treno, un dolore che gli aveva scosso l'anima e che gli aveva fatto credere che non sarebbe più riuscito a sorridere.
Un dolore che solo l'inventore, in un modo a lui ancora estraneo, era riuscito a lenire. 
Poi però la perdita di Tony aveva riaperto quella ferita ricucita, l'aveva ingrandita ed infettata. 
Forse... Forse Bucky sarebbe riuscito a rimetterlo in sesto.
Era stato questo il suo pensiero quando aveva poi iniziato a cercarlo.
E infine l'aveva trovato, dietro il bancone di una caffetteria a Seattle. 
La riconciliazione era stata tenera, ed ancor più le loro parole quando si erano confidati l'uno con l'altro, parlando senza filtri di tutto ciò che era successo loro, dei loro dolori e dei loro desideri sopiti.
E poi... Poi fu come se quegli anni di lontananza si fossero annullati, come se fossero tornati i due ragazzini di Brooklyn che volevano arruolarsi nell'esercito per servire la propria patria. Due ragazzini che erano l'uno la famiglia dell'altro, che erano cresciuti insieme, che erano andati avanti insieme.
Il passo successivo, una volta ritrovatosi, era stato spontaneo, naturale, come se non potesse essere altrimenti.

E quando tutto sembrava essere finalmente giunto a conclusione, lo shock.
Tony era tornato. 
Quando l'aveva visto lì, ritto davanti alla porta della sua camera, aveva creduto in un'apparizione, poi in un miracolo. 
Solo dopo la fuga frettolosa dalla propria stanza da parte dell'inventore, la felicità di vederlo vivo si era tramutato in qualcos'altro dal retrogusto amaro. 
Colpevolezza.
Colpevolezza, perché Steve era andato avanti, perché lo aveva dimenticato, così come aveva dimenticato la promessa fatta all'altro. 
E non poteva tornare indietro.
Con Bucky, il Capitano aveva fatto finta di niente, come se fosse semplicemente felice di sapere che l'inventore, in qualche modo, fosse riuscito a tornare a casa. Steve se lo era ripetuto talmente tanto spesso da autoconvincersene. 
Ma le sue lotte interiori continuarono a non lasciargli tregua, specialmente al calar del sole, quando il Soldato si addormentava profondamente al suo fianco lasciandolo solo con i propri dilemmi.

Non avrebbe tradito Bucky, questa era la sua unica certezza.
Purtroppo, però, era ben consapevole delle reazioni del proprio corpo e del proprio cuore ogni volta che sentiva anche solo nominare Tony. Era pura chimica. Il cuore iniziava a battere più velocemente e negli occhi gli si accendeva una luce particolare, che non riusciva proprio a nascondersi.
Forse, ignorandolo totalmente, anche il suo corpo si sarebbe adattato alla sua scelta.

Mai, MAI si sarebbe aspettato quello che poi derivò da quel suo allontanamento.

Era tardo pomeriggio. Era appena uscito dalla doccia, cedendo il posto al Soldato, e si stava preparando per un uscita con quest'ultimo.
Poi, la voce di F.R.I.D.A.Y. che, allarmata, gli descriveva le intenzioni di Tony.
In seguito, la corsa sfrenata verso la villa dell'inventore.
E infine quella scena.

Il volto di Tony illuminato dal sole morente appariva disteso, rilassato, senza nessuna ruga a deturpargli il volto, come mai prima di allora. 
Delle leggere note blues stavano sfumando in una dolce conclusione, fino a tacere.
Le sue mani erano ferme, mentre impugnava il calcio della pistola, la canna poggiata alla tempia.
Vide come in un incubo, con le gambe che non riuscivano a muoversi, il dito dell'altro scivolare sul grilletto, pronto a far fuoco, e una singola lacrima rigargli la guancia ispida. 
Ed era stata forse quella lacrima a farlo uscire dalla trance in cui era caduto.

«Tony...!» l'urlo che gli sfuggì dalle labbra, sembrava il richiamo di una bestia difronte all'inesorabile distruzione della propria casa, della propria famiglia, della propria vita, da parte di un alto fuoco ruggente.

Si precipitò verso l'altro con gli occhi sbarrati, inchiodandolo alla parete e boccandogli le mani, da cui scivolarono l'arma e il bicchiere di liquore che impugnavano.   

«Non importa quante volte te lo dirò... NON SEI SOLO.» continuò, la voce ferma che mal celava il turbine di emozioni che gli si agitava sotto pelle.

Perché lo sapeva, lo sapeva il Capitano che la Solitudine era il problema.
Anche lui si era svegliato un giorno, in un mondo che non gli apparteneva e anche lui si era sentito solo e spaesato. 
Ma mai quanto doveva essersi sentito Tony. 
L'inventore si era ritrovato in quello che ERA il suo mondo, con tutte le persone che conosceva e i luoghi a cui apparteneva, ma tutti lo avevano sorpassato, erano andati avanti, lasciandolo da solo.
LUI l'aveva lasciato da solo.

Ma se la precedente scena l'aveva sconvolto, ancor di più lo fece lo sguardo dell'inventore.
Il Vuoto che prima aveva solo scorto in quegli occhi color miele, ora sembrava averlo inghiottito del tutto.
Era come se qualcuno gli avesse strappato l'anima, come se quello che stava davanti ai suoi occhi non fosse che un rimpiazzo del grande uomo che era Tony Stark.

Il senso di colpa lo afferrò per la gola, mentre lentamente quello sguardo privo di vita scivolava nel suo. 
Poi ci furono altre parole, sferzanti, accomodanti, ironiche, dolci, vive, morte. Ma, più di ogni altra cosa, ci furono gli sguardi.

Sguardi, uno cristallino, uno ambrato, che ballavano insieme un'incantevole danza di cui solo loro conoscevano i passi.
Sguardi che solo l'uno dentro l'altro assaporavano la sensazione di completezza.
Sguardi che si allontanavano, si combattevano, si rincorrevano.
Sguardi da cui non si poteva fuggire.
Sguardi che non potevano che essere dettati da ciò che più c'è di umano in ognuno di noi.
Sguardi, che annullarono tutte le distanze, che cancellarono tutte le menzogne dietro cui si nascondevano.
Sguardi, che non erano altro e che erano tutto.

Quando era tornato nella sua stanza alla Tower, scosso come non mai, a Bucky era bastato uno sguardo per capirlo. Le parole poi, erano scivolate fuori dalle sue labbra da sole, anche se non sarebbe mai riuscito a tradurre in poche lettere una seguita da un'altra tutto ciò che era successo.
Il Soldato era rimasto in silenzio, ad ascoltare attentamente le sue parole. Poi, senza un commento, lo aveva attirato a sé, in un abbraccio rassicurante come solo lui sapeva regalargli. 
In quei forti abbracci, Steve tornava ad essere il ragazzino pelle ed ossa di Brooklyn, quello che ha costantemente bisogno di essere protetto. 
In quegli abbracci, Steve si sentiva al sicuro come mai prima di allora.

Eppure... Eppure ricordava troppo chiaramente la sensazione delle proprie braccia intorno alle gracili spalle dell'inventore, quando lo aveva sostenuto da ubriaco. Ricordava troppo chiaramente la sensazione di benessere che provava quando quest'ultimo si rannicchiava contro di lui, come a volersi nascondere dal resto del mondo.
 

Erano questi i suoi pensieri, anche in quel momento, mentre stringeva il braccio meccanico dell'altro e l'alba lentamente rischiarava la stanza.

Un'altra notte insonne, come tante da quella sera in cui Tony Stark aveva tentato il suicidio. Per colpa sua.

Come ormai era diventato di routine, si scostò dolcemente dal Soldato, facendo attenzione a non svegliarlo, e si vestì con l'intenzione di dedicare alla corsa quelle prime ore del nuovo giorno.

Di solito, esitava per qualche secondo prima di sparire al di là della porta, di cui in quel momento stringeva la maniglia, per voltarsi indietro e restare per qualche attimo ad osservare la figura dormiente di Bucky, quel suo amico d'infanzia che, in fin dei conti, non era mai stato solo quello.
Ma non quella volta.  
Troppo distratto dai pensieri che gli vorticavano in testa, varcò velocemente l'uscio della porta, chiudendosela alle spalle.

E furono quei mancati attimi di esitazione, che Steve si sarebbe rammaricato più di ogni altra cosa.

Aveva fatto solo pochi passi, quando il rumore di un esplosione di vetri rimbombò per i corridoi.
Il Capitano spalancò la porta della propria camera giusto in tempo per vedere un folto gruppo di uomini con sulla divisa lo spiccante stemma dell'Hydra, volare al di là della parete-finestra rotta con sulle spalle il corpo privo di sensi del Soldato.

Immobilizzato sul posto, gli occhi sgranati e il volto cinereo, vide quegli uomini sparire, strappandogli, ancora, la propria famiglia.

E fu solo allora che iniziò ad urlare, urlare il proprio tormento, urlare una richiesta d'aiuto.
Urlare un nome, che tante volte si era trovato a sussurrare, inconsapevolmente, in sonno, a fior di labbra, quasi come se stesse esprimendo un desiderio.

Tony.

   
 
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