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Autore: Royalewithcheese    25/01/2017    2 recensioni
Ciao a todos, eccomi qui, approdata su questo bellissimo sito per mostrarvi il mio aborto. La storia l'ho scritta da tanto tempo, si tratta di qualcosa di ridicolo, forse banale, non scritto come vorrei e sicuramente pieno di errori, ma detto questo provate a fare un salto lo stesso, perchè ci tengo tanto a questa storia, e per qualche strano motivo ci tenevo a pubblicarla, quindi se non sapete cosa fare e decidete di dare un'occhiata mi fa molto piacere.
Si tratta di qualcosa che ho sempre immaginato, poi scritto, e che ora per vostra fortuna vi regalo, quindi... fate un salto sulla fiducia e siate clementi!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mirai!C-17, Mirai!Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La colpisco con tutta la forza che mi regala il rancore. La uccido, no, la distruggo. Quando la nuvola di polvere si dissolve, di lei non c’è più niente. Il mio cuore pulsa tanto da annebbiarmi gli occhi, pompa adrenalina fino a ogni estremità del mio corpo, è la bellezza della vendetta. Da quanto aspettavo questo giorno.
Mi volto. I suoi occhi tremano. È immobile, semplicemente immobile.
«Questo è per Gohan.» Il mio pugno scatta in avanti, non ho bisogno di impormelo, per la prima volta mi sento una persona violenta. Sono pronto a distruggere anche lui, avere la forza per farlo mi fa sentire onnipotente, invincibile, non è possibile fermarmi. Dalle mie mani scaturisce un fascio di luce assetato di morte, forse non lo sto facendo per Gohan, né per nessun altro, forse lo sto facendo per me stesso. No, io non sono come loro. Un secondo basta per fare in modo che il fascio non lo uccida.
Mia madre ha ragione, c’è chi si merita di morire, ma nessuno si merita di uccidere. Estraggo dalla tasca due paia di manette, rimango a fissarle per molti, lunghi minuti, tanto che sembrano scottare. Sono oggetti molto, molto speciali. Poi, un paio lo scaravento lontano, mi mordo la lingua mentre lo faccio, perché so che non ne ho più bisogno perché ho perso il controllo, ho distrutto quella ragazza, mi sono sentito una bestia. Ho già fatto molte, troppe cose brutte per permettermi di non considerare un’alternativa. Tengo strette le altre manette in un pugno, mentre mi avvicino. È disteso per terra, il sangue gli scorre a fiotti dal naso, bagnandogli le labbra e il mento. Non è svenuto, anche se ci prova. Tendo dal primo all’ultimo muscolo, non scapperà, non oggi, non più. Gli chiudo le manette intorno ai polsi, le sue braccia sono molli come la sconfitta. Come vorrei… gli tirerei un calcio, proprio sotto la mascella, forte da rompergli il collo. Sarebbe così… bello, poter fare giustizia. Ma la scelta che ho fatto è giustizia, significa essere forti, dovrò essere molto forte.
«Svegliati.» Gli colpisco un fianco con il piede, voglio che questa storia finisca il prima possibile. «Alzati.» Dolore. Un fortissimo dolore, proprio in mezzo alle gambe. Bastardo figlio di puttana. Grido e mi accascio a terra, mentre lui striscia lontano, prova ad alzarsi in piedi appoggiandosi alle macerie, e rido quando prova a volare. «Non puoi scappare.»
«Vaffanculo.» Sta di nuovo strisciando.
«Fossi in te risparmierei le forze.»
«Fottiti.» Non ho tempo da perdere con te. Mi basta schiacciare un bottoncino per farlo stramazzare a terra, tra i dolori della scossa, che dura troppo poco. In questo momento penso che mia madre sia un genio.
«Ascoltami stronzo, le manette che hai addosso ti impediscono di usare il ki, non puoi volare e non puoi scappare, fammi incazzare un’altra volta e giuro che ti folgoro. Sono più forte di te, ho ucciso tua sorella, non puoi fare niente.» Ha paura, sta morendo di paura. Ed è anche molto arrabbiato. Ma non fa niente, rimane fermo, composto, con lo sguardo fisso sul mio. Non devo cedere, non devo cedere. «Ti porterò nella città più vicina, verrai giudicato da un tribunale e condannato a morte.» Ride, sembra quasi uno spasmo. Non può permettersi, non può. Oltre a questo rimane immobile, ogni tanto tira su col naso, e prova a pulirsi dal sangue con la mano. Mi guarda, continua a fissarmi. Per un attimo mi sembra di essere io, quello ammanettato. So che sto mettendo a rischio la mia vita, so che tenterà di tutto, che non è umano. Devo ricordarmelo, è solo una macchina, sono passati pochi attimi e già mi sento impazzire. È una macchina, solo una macchina.
Gli porgo un fazzoletto, per il naso. Non c’è compassione nel mio gesto, ho solo fermato una visione disgustosa. Non è umano, ricordatelo Trunks.
 
 
 
Non è umano. Devo continuare a ripetermelo, ancora, e ancora. Mi sta facendo impazzire. Lo fa apposta, calcola tutto, ogni mossa, ogni sguardo, espressioni perfette in momenti perfette, è tutto finto, tutto. Lui non prova sentimenti, come avrebbe potuto fare quello che ha fatto se conoscesse la sofferenza, o l’amore, o il valore della vita? Non ha versato nemmeno una lacrima per sua sorella, non una singola lacrima. Io sì, invece. Era una ragazza, un tempo. e io l’ho distrutta, sono stato brutale, un assassino, no, una bestia. Ho perso il controllo di me stesso. E lui mi ha visto fare quella cosa orribile all’unica persona che aveva vicino e non ha urlato, non ha pianto. No, non è umano. Le cose che ha fatto, che hanno fatto, sono atroci. Lo porterò al cospetto della giustizia, ormai non manca molto, sono giorni che camminiamo. Forse ci sarebbe stato un modo più veloce. Hanno distrutto città intere, per questo ci stiamo mettendo tanto. forse è meglio, meglio aspettare. Guardo in alto, il cielo è sempre lo stesso, poi guardo di fronte a me, lui ha gli occhi chiusi, accasciato contro un albero. Non sta dormendo, fa sempre finta, e non si impegna per fingere bene. Forse ci prova, forse qualcosa gli impedisce di dormire. Io non potrei dormire sapendo di avere causato tanta sofferenza. Ma io sono umano, lui no. Finge però, finge bene. Mi sta facendo impazzire. Come quella volta che ha insistito tanto per farsi il bagno, e io gliel’ho permesso, diceva che non voleva morire puzzando. Io so perché l’ha fatto. Io ci ho provato, ma non ho potuto farne a meno, di guardarlo. Lui lo sapeva, lo sa, lo sa dall’inizio. Lo capisco da come mi guarda, da come sta zitto, da come sorride, quel sorriso appena accennato, quella piega nelle labbra che mi fa sentire debole, tanto debole. Lui non è umano. E poi, ci sono momenti in cui il sorriso sparisce. Attimi, sono solo attimi, ma sono talmente profondi che precipito, ci soffoco, ci affogo. Mettono i brividi. Io penso… chissà cosa c’è in quello sguardo, dietro quello sguardo, che lo rende talmente pieno da sembrare forte. Sono quelli i momenti in cui rischio di cedere. Ma poi mi ricordo, mi impongo di ricordare, che è solo finzione, solo pura e schifosa finzione. Vuole scappare, questo è tutto quello che vuole. È solo una bella bambola.
 
Mi ricordo quando ero nella mia stanza, da solo, prima di tutto. C’è un età, non so perché, in cui si comincia a coltivare una pianticella segreta, da soli, la notte. Non so perché, forse i ragazzi sentono il bisogno di conoscersi, forse di andare oltre. Mi ricordo quei momenti. Mi concentravo prima sulle mie mani, le esploravo, poi le braccia, sentivo la pelle rabbrividire contro la mia pelle. Poi alzavo la maglietta, e mi toccavo la pancia. In quei momenti pensavo che infondo ero un bel ragazzo, mi piaceva pensarlo. Mi piaceva ancora di più quando decidevo di spingermi oltre, e cercavo disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi, un’immagine, un’amica. Mi sentivo in colpa, perché intorno a me la gente soffriva, e non potevo permettermi momenti di debolezza, immaginavo mio padre guardarmi con disprezzo dall’alto, ma continuavo, non potevo farne a meno, e poi che male c’era? Pensavo a questa, o quella ragazza, ma non mi sforzavo neanche tanto, è stato sempre chiaro che non fa per me. Poi pensavo a questo, o quel ragazzo, ma non era ancora abbastanza, e il disprezzo per me stesso aumentava inutilmente. Fino a quando… “No, fermati Trunks, smettila, non devi, non farmi questo, per favore, non farlo!” Tutti pensieri inutili. Credo che fosse il gusto del proibito. Due occhi, due occhi azzurri, ghiacciati ma caldi. E poi sentivo le sue mani, e il suo respiro. Mi slacciavo i pantaloni, e immaginavo le cose più oscene. L’ho coltivata bene, la mia piantina segreta. Dentro quella stanza, al buio, lui, sembrava una creatura meravigliosa. È colpa mia, solo colpa mia, sono sempre stato più debole di quello che vorrei. Lui è un bel ragazzo, nessuno può dire di no. È colpa mia, sono un bambino, sono un frocetto, debole, ridicolo, disgustoso, osceno. Ricordo bene i brividi, il caldo, il disgusto che provavo per me stesso e la voglia di non pensarci. Tutto questo lui lo sa, non so come, ma lo sa, e da quando siamo partiti non ha fatto altro che farmelo sapere. È colpa mia, sono io il debole. È osceno, sono osceno. Non posso farne a meno. Forse è per questo che non l’ho ucciso. Rischia di farmi impazzire.
Non vedo l’ora che tutto questo sia finito.
 
Non mi sono nemmeno accorto di avere chiuso gli occhi. Forse mi stavo addormentando. Non devo pensare a queste cose, non mi fa bene. Domani arriveremo in città, fra pochi giorni sarà finito tutto, avrò fatto la cosa giusta, non mi sentirò più debole. Sollevo le palpebre, lentamente, abbastanza per vedere qualcosa che mi fa irrigidire i muscoli e fermare il cuore. Non devo preoccuparmi, ha solo aperto gli occhi, mi guarda fisso, come sempre.
«Non fai finta di dormire?» gli chiedo. Ecco che piega le labbra.
«Voglio una sigaretta.»
«Scordatelo.» Ha pure il coraggio di dire “voglio”, nella sua situazione. Come fa a non sentirsi umiliato? Ah già, non è umano.
«I bravi ragazzi non fumano?»
«Smettila.»
«Mi prude la schiena.»
«Ho detto smettila!»
«Non mi concedi un ultimo desiderio? Domani mi condanneranno a morte.» Ignoralo, ignoralo dannazione. «Non sei abbastanza nobile e giusto da concedermi di grattarmi la schiena prima di morire?» Lo so, lo so che hai paura, stai morendo di paura. Ma non riuscirai a convincermi a toglierti quelle manette. «Hai messo in ballo tutta questa storia, meglio fare le cose per bene, no?»
«Non ti toglierò quelle manette.» Sbuffa, facendo sollevare un ciuffo di capelli, che poi ritornano a penzolare davanti a quei suoi occhi ghiacciati, finti, finti come il vetro. «Non vedo l’ora di liberarmi di te.» Non so perché l’ho detto ad alta voce. Si morde il labbro, poi stacca il suo sguardo dal mio come non aveva mai fatto, per un attimo, solo un attimo, ha perso il controllo, e io ho visto qualcosa, qualcosa di debole. Lui se ne accorge, e ritorna a fissarmi, ma non mi guarda negli occhi, sta fingendo, guarda il mio mento. Tutti hanno paura di morire. Non so più quello che faccio, ad un tratto mi ritrovo a rovistare nella mia tasca in cerca del suo pacchetto di sigarette, e gliene porgo una. Lui riprova a sorridere, ma sento che il suo personaggio non regge più, non convince nemmeno lui. È finita. Gli porgo anche l’accendino, cercando di impormi di essere contento al pensiero che domani sarà tutto finito. La vendetta non è bella, l’ho provato sulla mia pelle, ma per qualche motivo continuo a sperarci. Spero ancora che una morte in più possa cancellare il dolore, invece che peggiorare le cose. Ma non si tratta solo di me, si tratta di giustizia, per questo sto facendo questo, devo essere forte come vorrebbe mio padre, anche se lui non capirebbe.
«Non sembri una persona soddisfatta.» dice, dopo aver sbuffato del fumo dalle narici.
«Che cosa te lo fa pensare?» Non dovresti nemmeno rivolgerli la parola, Trunks. Lui non risponde. «Credi che vedermi condannato a morte ti renderà felice?»
«Ne sono sicuro.»
«E allora perché non mi hai ucciso?» Non rispondo, tanto non capirebbe. «Credi che dopo sarà tutto più bello, non è vero? Fidati, non lo sarà. Io lo so.»
«Tu non sai niente.»
«Perché non mi hai ucciso?» Ti ho detto che non capiresti, cazzo!
«Perché non ti meriti di morire combattendo, ti meriti una condanna a morte.»
«Se mi condanneranno a morte.» Che cosa sta insinuando, adesso? È odioso come non faccia altro che lanciare frecciatine. Lo detesto. Non ha idea di quanto lo odio.
«Che cosa vuoi dire?»
«Non sarebbe interessante vedere come una persona sopravvive con del metallo nel cervello?» Sbuffa una risata, poi sembra che addenti la sua sigaretta. «Il mondo non è giusto, Trunks. Ma tu questo ancora non l’hai capito.»
«Ma io sì, io sono giusto.»
«Tu sei solo un idiota.» Trattengo la mia mano, la trattengo prima di colpirgli la faccia. Lui ha distrutto la mia vita, come si permette di parlarmi così? «Visto? Perché non mi colpisci? So che avresti voglia di farlo.» Non ti avvicinare, cazzo! «Perché non mi tiri un pugno? Uno bello forte, da fracassarmi il cranio. Non ti piacerebbe?» Smettila. «Io ho ucciso i tuoi amici, la tua famiglia, ne ho uccisi un sacco, cazzo, questo non basta per meritarmi un pugno?» Smettila. «Questo non basta per uccidermi, eh Trunks? Avanti, colpiscimi. Forza, fammi schizzare fuori il cranio! Mica sarebbe la prima volta, io non posso fare niente, puoi farla finita adesso, colpiscimi!» Smettila. «Ammazzami cazzo, ti sto chiedendo di ammazzarmi, non mi sembra chiedere troppo!»
«Finiscila!» Alla fine lo colpisco. Con la mano aperta, si è voltato dall’altra parte ma non l’ho nemmeno spostato. Ha perso il controllo.
«Tu non vuoi uccidermi?» Scuoto lentamente la testa. «Ma hai ucciso lei.»
«Come se ti importasse.»
«Giusto. Io sono una macchina, non provo sentimenti.»
«Non hai nemmeno pianto.»
«Non ci riesco più.» È patetico. Come avrebbe potuto fare quello che ha fatto? «Posso dirti una cosa? Tu non sei giusto, cerchi solo di essere forte, fai quello che ti fa stare meglio. Come faccio io. Solo che io non cerco di nasconderlo.»
«Io non sono come te.»
«Ah no? Immagina solo per un momento di avere perso tutto, di non ricordarti più un diavolo di niente, pensa al giorno più schifoso della tua vita, pensa di provare tutto quel dolore senza saperne il motivo. E poi, pensa che qualcuno ti dica “ehi, tu sei mio, fai quello che ti dico”, pensa di scoprire che tutto quello che ti è stato strappato non esiste più perché un moccioso chissà quanti anni fa ha giocato a fare l’eroe con i suoi amichetti. Immagina che tutti intorno a te ti chiamino cyborg, e ad un tratto non sei più umano, solo un giocattolo, un fottuto giocattolo. Bisogna aggrapparsi a qualcosa nella vita, non è così? Io mi sono aggrappato alla vendetta, come fai tu. Ho scoperto di avere dei poteri enormi, di essere forte, molto più forte di tutti quelli che mi chiamavano macchina, e a quel punto i giocattoli sono diventati loro, tutti loro. Tutti voi.»
«Stai cercando di giustificarti?»
«Non sto cercando di giustificarmi, ma di farti capire. So bene che quello che ho fatto è sbagliato, lo so molto bene, non credere che non me ne renda conto. Ma domani morirò o peggio, quindi è la mia ultima occasione per parlarne, no? Tutti ricorderanno te come il giustiziere che ha molti validi motivi per fare a pezzi la gente, e me come…» Lascia la frase in sospeso.
«Come una macchina.» Ha di nuovo staccato lo sguardo. Forse è sincero, oppure recita bene, troppo per chi non conosce emozioni. Comunque, anche se fosse sincero non cambierebbe niente.
«Sai perché non dormo? Una cosa me la ricordo, del prima, solo una. Mi ricordo l’operazione. Me la ricordo così bene, la vedo ogni notte. Sento ancora il dolore. E non parlo del dolore nel mio animo o cazzate simili, parlo di dolore fisico.» Sta tremando, tanto che fa cadere la sigaretta. Cerca di nascondere le mani, ma ormai me ne sono accorto. «E poi mi ricordo quando è toccato a mia sorella. Mi ricordo quanto gridava, lei…» Smette di parlare e stringe le labbra. Rimane così, fisso, immobile, per molti secondi.  Credo di avere capito solo adesso che cosa cercava di dirmi. Ma non cambierà niente. Vero che non cambierà niente, Trunks? «Forse è meglio che tu abbia ucciso lei, e non me.» dice alla fine, con una voce diversa.
«Direi che a nessuno dei due è andata troppo bene.» Provo a sorridere. Infondo, credo che abbia ragione, e questo mi spaventa. Forse è vero che non siamo diversi, forse al suo posto avrei fatto di peggio. O forse no. In ogni caso, per la prima volta lo sto guardando come un ragazzo, solo un ragazzo, che ha avuto a che fare con qualcosa più grande di lui, che non è in grado di comprendere, come me. È questo a spaventarmi veramente, il vago pensiero di avere sbagliato tutto, da moltissimi anni. Forse ho dato per scontate molte cose. Ma ognuno sceglie il proprio destino, tutti potrebbero fare di meglio. Stai facendo veramente la cosa giusta, Trunks?
«Mi daresti un’altra sigaretta?» La verità è che non ci sono altre soluzioni, deve andare così. Lo sappiamo tutti e due. Gli porgo la sigaretta, in quel momento sfioro la punta delle sue dita. Che strano. Stiamo viaggiando insieme da giorni, e non ci siamo mai sfiorati, nemmeno una volta. È stranissimo, è come se si fosse acceso qualcosa che doveva rimanere spento. Qualcosa che però mi piace. Per un momento, un solo momento, come sarebbe non doversi preoccupare di niente? Non avere nessun compito, nessuna missione, solo me stesso. Cosa farei, cosa vorrei veramente fare? Non mi importa, non mi importa più di niente, se in così poco tempo sono riuscito a dubitare di tutto, vuol dire che le mie certezze erano costruite male, su un terreno scivoloso, pronte a crollare da un momento all’altro. Il cyborg ha fatto centro, alla fine. «L’accendino?» Tiro fuori l’aggeggio dalla tasca e glielo passo, faccio in modo che le nostre mani si tocchino meglio. Lui se ne accorge, sa che l’ho fatto apposta. Qualcosa dentro di lui si accende. Forse, prima non pensava a scappare, ma adesso sa di avermi colpito. Sono uno stupido. E lui, lui mi guarda, i suoi occhi sono belli, e le sue labbra, il naso, le sopracciglia. Noto che ha qualche lentiggine, sarebbero invisibili da una distanza giusta, mi accorgo di quanto siamo vicini. Stringo i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nella carne, questo perché mi sta piacendo, perché sono un debole, sono osceno. Allungo l’altra mano fino a sfiorare la sua guancia, ma la ritraggo subito, come se scottasse. Ormai è chiaro, sono stato io a perdere il controllo questa volta. Ma non posso andare avanti così, questo viaggio mi tormenta da giorni. Sapevo che sarebbe successo, o forse lo speravo. Lui si avvicina ancora, sento il suo respiro, non deve fare altro che andare avanti.
«No.»
«Perché no?» Non lo so nemmeno io. Me lo sono dimenticato. Lui mi sfiora la mano chiusa a pugno, le nocche sono diventate completamente bianche. Prende il mio pugno fra le mani, mi costringe a stenderlo, e poi vo avvicina alle sue labbra. Ho già i brividi prima ancora che sfiorino la mia pelle, sento un fischio acuto e atroce nella mia testa, che si dissolve in fretta, per lasciarmi godere un lento, molto lento, abbandono. Quando prova a baciarmi sposto la testa, e mi bacia la guancia. I suoi capelli mi sfiorano la fronte.
«Perché lo stai facendo?»
«Perché voglio.» Anch’io lo voglio. È questa la verità, insopportabile. Mio padre sarebbe disgustato. Dischiudo la bocca, in un attimo diventa sua. Non avevo mai immaginato che un bacio potesse essere così. Mi lascio un attimo per capire, fa tutto lui, è come se per lui fosse un piacere immenso, come se stesse assaporando, mentre io sento sete, sento una sete tremenda che aumenta sempre di più, inizio a ricambiare il bacio, passo una mano fra i suoi capelli mentre le sue si insinuano sotto la mia maglietta. Anch’io voglio sentire il suo corpo, la sua pelle, ne ho bisogno, è un bisogno che non ho mai provato, è qualcosa che mi portavo dentro da anni, come se avessi deciso che è il momento di liberare il mio demone. E io mi lascio andare, non voglio più pensare, voglio fare quello che mi piace perché lo voglio. Lui mi bacia il collo, e le sue mani si fanno sempre più pericolose. È un vortice, ormai siamo andati oltre. Sento il freddo delle sue manette contro la mia pelle, poi sento la sua pelle sotto le mie mani. Non oppongo più nessuna resistenza, lascio che mi tocchi, mi aggrappo a queste sensazioni per poterle imprimere nella mia mente, sento il suo corpo sopra il mio, e poi, semplicemente, chiudo gli occhi.
 
Quando riprendo il controllo di me stesso, lui sta dormendo. Non finge, questa volta, respira profondamente, sembra quasi che stia sorridendo. Gli sposto un ciuffo di capelli che gli è caduto davanti alla faccia, senza pensarci troppo. Rimango a guardarlo per molto, moltissimo tempo. vorrei pensare, avrei tante cose a cui pensare. Ma non ci riesco. Non riesco a essere deluso, né arrabbiato, né felice. Questa sera ho vissuto forse l’esperienza più bella della mia vita, con la persona che odio di più al mondo. Non sono cose che capitano tutti i giorni, ho bisogno di un momento. Di certo non posso fare finta di niente. Si merita una condanna a morte. Ma io mi merito di condannarlo a morte? Potrebbe esserci mai qualcos’altro fra di noi oltre all’odio? No, credo di no. è stato un momento, solo un momento.
Non mi accorgo che sto cercando la chiave delle manette. Forse sono un codardo, anzi, lo sono di sicuro. Farà del male ancora, lo sai Trunks? No, io credo di no. e comunque, sono più forte di lui. Continua a crederlo, anche se ti ha appena sconfitto. Io credo che fosse sincero.
Non so quale parte di me stesso ascoltare, ma so che ormai non credo più in nessuna delle cose che mi hanno portato a essere qui, come potrei? L’unica cosa che posso fare è questa. Gli tolgo le manette, gli sfioro ancora una volta la fronte, poi mi allontano. Aspetto ancora, prima di decidere di alzarmi in volo, cercando di nascondere a me stesso il pensiero che mi piacerebbe tanto poterlo rivedere.
   
 
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