Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: paoletta76    25/01/2017    0 recensioni
La verità era che dopo Praga non riusciva più a dormire. Gli bastava chiudere gli occhi, e lei era lì. Non l'immagine strafottente uscita dal cappuccio dopo il modo non convenzionale in cui l'avevano invitata a bordo, non quella allegra dei rari momenti di pausa. E neppure quella triste con cui gli aveva raccontato di non aver mai avuto una famiglia che l'amasse.
Il sorriso di Skye non si apriva. E quelle labbra appena socchiuse colavano sangue.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grant Ward, Skye, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avengers Facility, alloggi. Tre mesi dopo
 
Passi decisi, non troppo veloci né lenti. In avvicinamento.
Stella impose alla compagna di stanza il silenzio ad indice teso contro le labbra. Claire si limitò a piegarle in un sorriso, senza muoversi dal letto in cui qualcun altro l’aveva portata, solo un paio d’ore prima.
 
Uno straccio. Si sentiva uno straccio, ogni volta. E sapeva per certo che l’effetto della trasfusione fosse lo stesso anche per la pazzoide che dormiva accanto a lei dopo l’ennesima missione finite a botte, spari ed effetti speciali stile-Shield.
Stella ci sembrava ormai completamente abituata. Al sangue che curava le persone a spese della propria energia, al rigenerarsi delle ferite, all’esito di quella che tecnicamente definivano terrigenesi e che a lei aveva invece solo rovinato la vita.
- Shh.. è qui.
- Non serve che ti agiti tanto.. se è Stark, ci porta la merenda; se è Sara, il disordine globale..
- Se è il nuovo direttore con gli Accordi di Sokovia da firmare?
- Oh, quello lo uccido io..
 
Stella non comprese la battuta, Claire voltò il viso verso la finestra e quel poco che riusciva a vedere di alberi e cielo. Non ricordava nulla, dell’ultima missione affrontata, fra la voce di Coulson che gridava e il proprio risvegliarsi in quel letto. Nulla di vissuto direttamente, almeno. Il resto, erano solo immagini di telegiornale e fotografie tese da Tony con le mani che tremavano appena. Li portava addosso anche lui, chiari e distinti, i segni della battaglia e della distruzione subita. Come ne riportava altri, ora che le mani erano leggermente più ferme nel reggere un vassoio e contemporaneamente tentare di aprire la porta con un piede:
- C’è qualcuno disposto a darmi una mano?
 
Stella lo raggiunse, sorridendo e chiedendogli come fosse andata. Lui le tese il vassoio, lasciandola illuminare alla vista di quei due cupcake, e rispose:
- Di merda.-, sollevando appena le spalle.
Sokovia letteralmente in frantumi, bombe in Nigeria e a Vienna, vittime dappertutto. Un sospiro, e Tony si sedette sul bordo del letto di Claire:
- Siamo.. siamo un disastro. Dovevamo operare come una fondazione benefica, salvare vite.. e invece tutto quello che riusciamo a fare è spazzarle via. La squadra è divisa, ci siamo massacrati gli uni con gli altri; e Steve continua a non capire che solo firmando possiamo legittimarci di nuovo. E fermandoci quando bisogna farlo.
- E riportando in vita i nemici.- Stella gli si appoggiò accanto, rinunciando per il momento al cupcake e facendosi grigia.
- Come sta?
- Chi?
- Wesley. Lui è ancora a New York.
- Non vi sentite? Doveva occuparsi-
- Della ricostruzione di mezza Tower, sì. Ma i contatti li tiene con mia moglie. Faccende immobiliari, sai. Conti, roba così. Io non me ne interesso più, e sinceramente al tuo compagno non sono mai stato troppo simpatico.
- Pepper come sta?
- Lei bene. Ha trovato un appartamento molto carino, sulla Fifth. Può controllare i lavori e portare avanti tutto il resto, asilo dei bambini incluso. Fortuna che ha Sif.
- Di Loki nessuna notizia?
- Beh.. suo padre non l’ha presa troppo bene, ma alla fine ha riconosciuto le motivazioni e s’è limitato a rinchiuderlo per cinquemila anni. No, scherzo: è già di nuovo al lavoro anche lui. Quello da medico, spero. Non aveva le mani ridotte benissimo, l’ultima volta che l’ho visto..
 
Ricordava di aver oltrepassato il salone d’ingresso, immerso in un silenzio a dir poco spettrale. E di aver lasciato cadere le componenti dell’armatura, più per non sentirne il rumore quasi assordante in quel nulla che per i danni che avevano subito.
Ricordava di aver salito quei piani infiniti di scale, circondato solo da piccole scintille ogni tanto. E di averli trovati tutti lì, umani e inumani, raccolti e stretti in un tremante abbraccio collettivo, nella camera di contenimento della stanza 6. Aveva teso una mano, tastando la struttura e trovandola solo un po’ abbrustolita. Aveva bussato ad uno dei vetri e ricevuto la risposta di Darcy. Le aveva fatto segno di OK, prima di quello di stai calma. E poi aveva aperto la porta raccomandando di restare tutti dov’erano.
 
Fra i cocci di vetro e i fili a penzoloni, aveva riconosciuto il nero della tuta di Sara. Le si era chinato accanto, il primo istinto era stato cercare i battiti lungo il collo. Presenti. Deboli, ma presenti. Un sospiro di sollievo, provando a spostarla a faccia in su e percependo un lamento.
- Ehi.. sono io.
- E’.. è finita? – aveva mormorato lei, voltandosi a fatica su un fianco, e percorrendo il perimetro in cerca di segni di vita.
- Sì.
- Lì c’è- cerca mio padre..
 
Aveva mosso i passi verso un angolo, trovando Coulson e poi i ciuffi disordinati dell’agente O’Neill. Lamenti, leggermente più deboli. Segno che anche loro, seppur ridotti in cocci, respiravano ancora.
Di Loki nessuna traccia distinta; l’unico corpo presente era poco più che un fagotto distante una decina di metri, lungo il corridoio. Nero, come bruciato, le spalle al soffitto. Aveva cercato in quella confusione di bruciature e brandelli di stoffa un sintomo di vita. Niente.
Aveva visto Sara scuotersi, sollevarsi quanto il dolore le consentiva, arrancare fino a lui e a quel corpo. Le aveva fatto cenno di no con la testa, l’aveva vista mordersi le labbra e cadere in ginocchio, piegando il viso a terra.
Quando l’aveva risollevato, gli occhi traboccavano lacrime.
 
E quel fagotto a terra aveva i tratti dell’agente Ward.
 
- Io sinceramente non ho ancora capito..- la voce di Stella lo riportò al presente come dopo un volo di sei piani – perché l’avete portato qui, insieme a noi? Perché il trattamento? Era il- il contenitore di una specie di mostro che abbiamo annientato ad un prezzo non indifferente, e.. e comunque era già morto.
- Come il tuo James.- fu la risposta, a labbra arricciate, di Tony – non mi è sembrato giusto, che tu sia l’unico mostriciattolo felice, qui dentro.
La ragazza sospirò, sollevandosi ed andando a raccogliere un cupcake:
- E adesso?
- Ha un bracciale, non uscirà dalla zona di contenimento finché non saremo certi che la cura abbia fatto effetto.
 
Avengers Facility, area contenimento
 
Aveva riaperto gli occhi e tutto intorno era grigio. Un grigio buono, chiaro. E si era ritrovato a raccogliere il respiro tutto insieme, quasi annaspando, come fosse stato sott’acqua per minuti. O ore, legato da pesanti catene. Il perimetro era grigio, ma non provava più quella sensazione di vuoto ad aprirsi sotto i piedi.
Eppure, se l’aspettava. Il vuoto, il cuore in gola.
Niente. Silenzio. No, forse non era completo silenzio; era lontanissimo, ma appariva come un cinguettio. E lo stormire di fronde. Chiudeva gli occhi, provava a concentrarsi ed ecco che compariva anche un passo. Cento, mille passi. Leggeri, come se il proprietario di quei passi non volesse farsi sentire.
E poi una porta che scorreva con un minuscolo –flush!-.
Il viso di Jemma. Sì, ecco. Conosceva quella ragazza, il suo nome era Jemma. Ne era sicuro.
Il cuore in gola ed un fortissimo senso di deja-vu.
La voce di Skye. Le dita sulla porta della cuccetta, il salottino del bus. La sua immagine felice sullo schermo e lo sguardo di Jemma. Piangeva.
E’ stata tutta colpa tua..
 
Di nuovo il bisogno improvviso di far entrare aria nei polmoni.
 
Allo scatto inaspettato di quel corpo, Jemma aveva fatto uno scatto indietro degno dei migliori giorni passati, rischiando di rovesciare in terra vassoi, bottiglie e quant’altro rimasto sul carrello delle emergenze.
- Oh, cielo..- destra sul cuore, aveva dovuto aspettare una buona manciata di secondi per prendere coscienza di quello che stava succedendo.
La cura aveva funzionato, anche questa volta.
E tre.
 
Prima di avvicinarsi a quel letto munito di sponde ed alle braccia legate del paziente, aveva cercato di ritrovare la propria freddezza da ormai veterana, ed estratto il mini StarkRecorder dalla tasca, attivandone lo schermo olografico e schiarendosi la voce:
- Quattro ottobre, ore sedici e trenta. Il soggetto tre è sveglio, in attesa di verificarne lo stato di coscienza. Somministrare 10 cc morfina e sospendere il trattamento plasmatico via endovena.
Aveva osservato le macchine muoversi, avanzare e poi ritrarsi, ed atteso l’esito dell’operazione per farsi leggermente più vicina.
 
Quegli occhi scuri la fissavano dal basso con un’ombra di terrore, mentre i tessuti muscolari ricostruiti del soggetto tre si irrigidivano.
- Bentornato, Agente Ward.
 
  
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