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Autore: AnyaTheThief    30/01/2017    1 recensioni
Si conclude con quest'ultima parte la saga di Crossed Lives. Finalmente potrete dare risposta alle domande che ancora erano rimaste aperte dai capitoli precedenti. In un viaggio tra vite passati e presenti, ecco l'ultimo moschettiere affrontare i fantasmi del XVII secolo in un mondo totalmente nuovo. Il suo primo incontro con la vita passata sarà qualcosa di inaspettato.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Athos, Porthos, Queen Anne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Non più tardi delle sette, Iris! Senza discussioni.”
“Ma papà!! Dai, è soltanto due volte l’anno, ti prego!”
“Senza discussioni!”
Iris mise il broncio. Gli occhi le si riempirono di lacrime. “Per fa--” fece per dire, quando sua madre la interruppe. 
“Vengo a prenderti alle sette.” sentenziò, con suo grande disappunto. “E poi possiamo stare ancora un po’, insieme.” aggiunse però. Victor scosse il capo con aria rassegnata, ma semi divertita, mentre Raquel gli fece spallucce sorridendo alla reazione della figlia che ora saltellava attorno allegra. 
“Grazie!! Grazie, grazie!! Prenderò il massimo nel compito di matematica, giuro!” le sue ultime parole svanirono tra la folla, mentre si allontanava verso i grandi tendoni colorati. 
“Quella tizia e suo figlio ancora non mi convincono, lo sai.” disse Victor pazientemente a sua moglie. Era un tipo pacato, non alzava mai la voce, ma non sapeva tenersi dentro quello che pensava. 
“Finiscila. Sono adorabili.” lo zittì Raquel. “Un po’ strani, ma gentili.” ammise, guardando Iris sparire tra la gente. Suo marito ancora fissava il vuoto pensieroso, mentre lei era già pronta a tornare verso la macchina. “Ha già tredici anni, Victor. Celia alla sua età usciva già con Rafael. Lasciala respirare.” tagliò corto.
“Jaaaaad, Jad, Jad!! Ooops!” fece Iris, entrando nel tendone della lettura delle carte come un tornado e realizzando troppo tardi che la madre del suo amico era con un cliente. “Mi spiace… Scusate...” disse a voce bassa. La donna, con una carta ancora sollevata a mezz’aria le sorrise e le fece un cenno con la testa verso il retro della tenda. “Vado… Vado, a dopo...” e si fiondò fuori di nuovo. Fece il giro della tenda e lì trovò il suo amico, sei mesi più grande dall’ultima volta che lo aveva visto.
“Dieci… Undici...” stava contando con gli occhi chiusi. Iris vide un bambino ritrarre velocemente la gamba per nascondersi meglio dietro ad un albero. Già da quando lui stesso aveva poco più di otto anni, il suo compito era sempre stato badare ai più piccoli, figli degli altri lavoratori del circo. Sorrise divertita e gli si avvicinò. “Dodici… Tredici...” si piazzò davanti a lui, scrutandolo per bene. “Quattordici… Quindici...” le sembrava che diventasse sempre più robusto, non ricordava avesse braccia così muscolose… “Sedici… Diciassette...” e c’era qualcosa di diverso anche nella forma del suo viso. “Diciotto...” Un attimo, era anche molto più alto! Oh no, l’avrebbe presa ancora più in giro… “Diciannove...” Quando si avvicinò ancora di più, notò l’ombra di una barba che gli punteggiava le guance. “Venti! Arrivo!” e non appena Jad tolse le mani da davanti agli occhi, Iris gridò: “BUH!”, facendolo sobbalzare con un sussulto. 
“Iris!” esclamò lui, sorridendo. Una cosa non era cambiata sin da quando era piccolo: il suo sguardo rassicurante. Lei gli si fiondò al collo. “Ciao!” 
Ancora un po’ sconvolto, ricambiò l’abbraccio. Poi la allontanò per squadrarla bene, ed infine decretò: “Sì, sei diventata ancora più bassa.” e rise forte, mentre lei gli faceva una smorfia. 
“E quella cosa sarebbe, allora? Scommetto che non ti crescerà una barba decente prima dei vent’anni!” e gli tirò fuori la lingua. Era ancora piuttosto infantile, nonostante il suo corpo stesse iniziando a svilupparsi in fretta. 
Ebbe comunque l’effetto desiderato, perché lui andò a toccarsi il viso con apprensione. “Ehi! Non essere impertinente, rispetta i più grandi.” 
“Non posso, se i più grandi fanno ancora scelte più stupide delle mie!” e cercò di tirargli fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca della camicia. Lui giocosamente le bloccò la mano all’altezza del  cuore, e per un attimo le sembrò di intravedere del cremisi sulla sua pelle bronzea. Ma poi sghignazzò: “fatti gli affari tuoi, bimba.” lasciandole andare la mano. “Andiamo. Ehi, ragazzi! Keivan è alla conta ora!” annunciò poi ai bambini ancora nascosti. Mentre si allontanavano sentirono Keivan uscire dal suo nascondiglio lamentandosi ampiamente. 
“Posso stare fino alle nove!” dichiarò lei orgogliosamente. 
“Allora farai in tempo a vedere lo spettacolo.”
“Mi fai fare un giro sulla moto prima?”




“Non se ne parla!” sbottò Porthos, la lettera nella mano tremante di rabbia. Una Milady incappucciata sorrideva enigmatica, come se l’ira del Moschettiere rientrasse perfettamente nel suo piano. “E mi sembrava di averti detto di non farti più vedere a Parigi.” aggiunse con aria interdetta. 
Lei continuava a sorridere, muta. Le rughe sul suo viso si erano fatte più marcate dall’ultima volta che l’aveva vista, ma Porthos capiva perché il suo amico fosse così pazzamente innamorato di lei; era ancora bellissima e il suo fascino ambiguo gli faceva provare emozioni contrastanti. 
Milady mosse un passo verso di lui, l’espressione immutata e serena. 
“Mi avevi detto di stare alla larga da Athos.” precisò lei. “Fallo per Josèphine.” le bastarono quelle tre parole per per far calare un velo di terrore negli occhi di Porthos, che indietreggiò di un passo. 
“Come lo sai? Cos--” farfugliò confuso, prima di esplodere in un urlo rabbioso. “Cosa le hai fatto?!” e tornare ad incombere su di lei, dall’alto della sua stazza. 
Milady si guardò attorno, temendo che qualcuno potesse averli sentiti; ma il vicolo era deserto e buio come prima. “Datti un contegno. Non ho interesse ad ucciderla.” sputò quelle parole come un boccone troppo amaro, squadrandolo con una smorfia critica. “Intendevo dire che posso aiutarla.”
Porthos scosse il capo incredulo. Non poteva essere vero. E se era vero, era una situazione di merda, perché non poteva chiedergli di scegliere tra Jo ed il suo migliore amico. Continuò a scuotere la testa in movimenti scattosi, incredulo. “Non puoi. Non ti credo.” 
“Posso provarci. Conosco un dottore.” 
Porthos fece uno sbuffo simile ad una risatina ironica. Con una mano si strofinò gli occhi, ed alzò l’altra per fermarla dall’aggiungere altro. “Ho debiti con metà dei dottori in città, e tutto quello che sono riusciti a fare è stato un salasso che l’ha quasi uccisa.”
“Ti assicuro che questo non utilizza metodi convenzionali. Porthos… Forse non è troppo tardi. Pensaci.” Milady gli voltò le spalle e fece per andarsene, ma lui non aveva ancora finito. 
“Perché?” chiese in tono esasperato. Lei si fermò, ma non si voltò a guardarlo. “Perché gli vuoi fare questo? Tornare ad essere l’amante di Louis… Ne hai davvero così tanto bisogno?” 
Porthos rimase senza una risposta, ma per quanto la conoscesse, la risposta a qualsiasi domanda sul perché delle sue azioni si poteva riassumere in “perché sono una grandissima stronza.” 
Si appoggiò al muro. Si sentiva svuotato da qualsiasi emozione, eppur pieno di dubbi. Si parlava di vite umane, e lui poteva avere il potere di decidere quale delle due distruggere.




“Hai perso qualcuno di recente?” Tabatha scopriva lentamente le carte sul tavolo, ma i suoi occhi verdi erano fissi sulla donna di fronte a sé. Sedeva nervosa stringendo la sua borsetta in grembo e fissava inquieta le figure sul tavolo. Annuì incerta, poi deglutì.
“Mia madre, sì.” rispose con voce roca. 
“Rilassati, Raquel.” la rassicurò la donna velata. “La rivedrai. La vita non finisce con la morte.” 
Raquel annuì di nuovo. Era una frase che le avevano ripetuto spesso, ma non ci aveva mai creduto veramente. Ora tutte le carte erano sul tavolo e Tabatha le guardava senza particolare interesse. Poi tornò a fissarla negli occhi. 
Il suo sguardo era così intenso che a Raquel parve stesse invadendo la sua privacy, leggendole nella mente. Non lo resse per più di qualche secondo. 
“Forse dovrei dare un’occhiata ad Iris.” farfugliò, cercando di alzarsi dai cuscini. 
“Resta.” disse Tabatha, con una voce profonda che quasi non sembrava la sua. “C’è qualcosa che devi sapere.” aggiunse, seria, continuando a scrutarla nell’anima con quegli occhi da tigre sfumati da un ombretto scuro. Raquel si pietrificò e tornò a sedersi di fronte a lei, alternando lo sguardo timoroso dalle carte alla mamma di Jad. 
“Qualcuno dal tuo passato ha bisogno di te.” lo sguardo di Tabatha si assottigliò, come se stesse cercando di vedere una figura indistinta negli occhi di Raquel. “Qualcuno che hai temuto e rispettato.”
“Chi?” domandò ora incuriosita la spagnola.
“Lo saprai a tempo debito. Quando ti chiamerà, dovrai partire per un viaggio.” 
Raquel si irrigidì di nuovo sul posto. 
“Ma… Non posso aiutarla ora? Questa persona…?”
“No. Ascolta: è importante che tu vada da lei, quando ti chiamerà.” disse Tabatha con convinzione. Raquel esitò; poi, un po’ perché ipnotizzata dagli occhi verdi, un po’ per concludere quell’imbarazzante teatrino, annuì. “Certo. Lo farò, certo.” 
“Mamma!!” Iris irruppe nella tenda con entusiasmo. “Oh, ma’, dovevi vederlo, dovevi esserci, è stato fantastico!!” 
Fece capolino un Jad molto più contenuto, ma sorridente. Si avvicinò a sua madre, che si alzò in piedi, gli prese le mani tra le sue e gli baciò la fronte. 
“Mi spiace, Jad, sarà per la prossima volta.” si scusò Raquel. 
“Io non so come fa! Era a dieci metri di altezza – dieci metri! Te lo immagini?” Iris era decisamente sovreccitata, saltellava ovunque e poi si mise a fare un’imitazione di un equilibrista sulla fune. “Dici che se mangi troppo la fune si può spezzare?” domandò poi al suo amico con aria ingenua.
“Di certo se ci sali te, dopo tutti quei popcorn...” la prese in giro lui. 
“Scemo! Non è vero, ma’, non ne ho mangiati tantissimi...” 
Raquel la guardò con aria rassegnata. 
“Solo due cartoni interi!” la provocò di nuovo Jad ridacchiando.
“Cretino! Vieni qua!” esplose lei, partendo al suo inseguimento fuori dal tendone. 
Le due donne, rimaste di nuovo sole, risero assieme. Raquel scosse il capo. 
“Non fa altro che parlare di lui tutto l’anno…” confessò, pensando fosse una cosa carina da dire; ma quando voltò lo sguardo verso Tabatha, notò che la sua espressione era cambiata. Una preoccupazione evidente segnava il suo viso solitamente rilassato. 
“Cosa? Ho- Ho detto qualcos--” balbettò Raquel, imbarazzata. 
La veggente scosse il capo, di nuovo tranquilla. “Iris è una ragazzina adorabile. Ma Jad non potrà mai essere l’amore della sua vita.”
Raquel non sapeva cosa rispondere. Non aveva mai pensato che potesse esserlo, ma quell’affermazione uscita dal nulla l’aveva spiazzata. 
“E’ una questione religiosa?” fu l’unica cosa che le venne in mente di chiedere. Ma Tabatha scosse la testa di nuovo. 
“Iris ritroverà l’amore che ha perso. Non c’è posto per Jad nel suo schema.” 
Raquel ora era visibilmente imbarazzata. Non sapeva più di cosa stessero parlando. Guardò fuori dalla tenda per evitare lo sguardo di Tabatha. 
Jad stava legando un palloncino azzurro al polso di Iris. Lei gli rivolse un grande sorriso e lo costrinse a chinarsi per farsi abbracciare. 
  
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