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Autore: Leonhard    01/02/2017    4 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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2. Spirito di sacrificio

 
La loro era stata una fuga in piena regola: una di quelle che si vedono solo nei film in bianco e nero, dove i colori sono lasciati alla fantasia, i treni sono a vapore e la sigaretta pizzicata tra le dita del maschi sono segno di signorilità. Le porte del treno si chiusero con un sibilo dietro di loro, ma fu solo quando furono in movimento che Judy si arrischiò a togliere l’impermeabile dalla pelliccia di Nick. Finalmente libera, la volpe si scollò il pelo con un piccolo verso stizzito e mosse qualche passo all’interno del vagone, guardandosi intorno cautamente

Missione compiuta: sarebbe prematuro fare un tuut-tuut della vittoria?

Judy salì sul primo sedile che trovò e guardò fuori; le grida erano talmente tante e talmente intense da passare anche il finestrino del treno. Non finì nemmeno di formulare il pensiero che dalla finestra di un palazzo fiorì la prima esplosione; Judy si accucciò dietro il sedile con un sussulto, senza riuscire tuttavia a distogliere lo sguardo; le urla si fecero più intense, mentre calcinacci e fogli si allontanavano dalle fiamme divampate dalla struttura.

Entrarono nel primo tunnel ed il palazzo in fiamme lasciò il posto ad un muro circondato dall’oscurità. La coniglietta si accasciò sul sedile con un sospiro sconfortato; lanciò uno sguardo a Nick, che la osservava con occhi sbarrati.

“Nick…” mormorò. “Tutto questo…è opera di Bellwether, vero?” mormorò.

Non so a che pensi ma smetti subito! Carotina!

Lei sorrise., allontanando quei pensieri: avrebbe avuto tutto il tempo per crogiolarsi nel rimorso per aver liberato la mente responsabile di tutto quello, ma in quel momento la massima priorità era mettere Nick al sicuro. E l’unico posto in cui poteva farlo era dai suoi.

“Con un po’ di fortuna, il vaccino non è arrivato dai miei” mormorò. “Saranno scettici e preoccupati, ma non farai loro paura. Spiegheremo tutto e vedrai che capiranno…”.

Vieni dalla Tana dei Conigli, giusto?

Il viaggio fu breve ma pregno di un silenzio che mai era esistito tra loro. Judy si rese conto di essere insolitamente silenziosa e si chiese se lo fosse sempre stata: nel loro ufficio, ora che ci pensava, era sempre lui a cominciare a parlare di un argomento a caso, del tutto insensato e fuori luogo ma da cui nasceva una chiacchierata che durava tutto il giorno e che spaziava per gli argomenti più assurdi al punto che alla fine della giornata si chiedevano come erano potuti passare dal parlare delle previsioni meteo alla data di uscita del nuovo Final Fantasy, passando per cose assurde e molto imbarazzanti come la stagione di accoppiamento delle volpi o di quanti conigli le avessero fatto l’occhiolino nell’ultima settimana.

Con lui si sentiva a suo agio e parlava e gli confidava cose che non avrebbe rivelato a nessun altro, nemmeno sotto la tortura dei grattini sulle guancie, cosa che la faceva andare in solluchero. Se poi era lui a farglieli…

È la nostra fermata

La coniglietta si riscosse e si lasciò cadere giù dal sedile. Fuori dalla porta del treno la campagna la accolse con la quiete e la pace che ricordava e di cui, sapeva, sia lei che Nick avevano bisogno. Poco lontano da loro, nascosti dal vagone, il vociare dei suoi fratelli la accolse prima delle loro figure. Tirò un respiro che assomigliava ad un sospiro e si volse verso Nick con un sorriso che pregò essere incoraggiante.

“Capiranno” ripeté. “Forza, andiamo”.

Va bene: sei tu il capo

Uscirono dalla carrozza e si allontanarono dalla linea gialla di delimitazione, poi si fermarono a fissare un grosso gruppo di conigli fermi accanto all’ingresso della stazione: saranno stati almeno un centinaio, tutti che li guardavano. La gioia che avrebbe dovuto trasparire dai loro occhi era nascosta dietro un velo di perplessità e Judy sospettò che Nick ne fosse la causa. La volpe drizzò le orecchie e rimase immobile a fissarli. Due conigli più grandi a capo del gruppo si avvicinarono, uno di loro fece cenno agli altri di non muoversi.

Chissà se quando non riesce a dormire si conta da solo…

Bonnie e Stu si avvicinarono guardinghi ai due, lanciando fugaci occhiate alla volpe alle spalle di Judy, stranamente a quattro zampe. Sospetto…

“Ciao Judy” salutò Bonnie con un sorriso sobrio. Stu non fu altrettanto posato.

“Ehi, Judy non Deludi!” salutò raggiante. Nick emise un singulto divertito, attirandosi un’occhiataccia dalla coniglietta.

“Non azzardarti a ricominciare a parlare proprio adesso” borbottò imbarazzata.

Coniglietta acuta…

“Allora è vero che hai lasciato la polizia” cominciò Stu. “Saggia decisione: con il caos in città non era sicuro per te rimanere a Zootropolis”.

“E voi come fate a…” mormorò Judy, cancellando parte del discorso che si era preparata mentalmente. Bonnie ridacchiò.

“Siamo campagnoli, non ottusi” replicò. “Gideon ha la connessione internet e ci ha informati; volevamo chiamarti, ma poi abbiamo ricevuto il tuo messaggio e siamo venuti direttamente a prenderti, tu e…?”. Indicò con lo sguardo Nick: stava studiando le bancarelle sotto la tettoia della stazione, senza capire il motivo per cui quegli scoiattoli avessero così tanta paura di lui se era seduto e fermo senza far nulla.

“Ah…si” mormorò Judy. “Lui è Nick: vi ho parlato di lui no?”.

“Certamente” rispose Stu, mettendo su un’aria accigliata. “Ma non ci avevi detto che era una volpe”. Questa volta fu turno di Judy ricevere un’occhiataccia da parte del suo ex collega. Gli restituì una fugace occhiata colpevole prima di tornare a rivolgersi ai suoi.

“Beh…sapete che il vaccino sta facendo questo effetto in città, no?” cominciò. “I predatori stanno perdendo l’uso della parola e la capacità di camminare su due zampe, ma non sono pericolosi”.

“Solo perché lui non lo sembra non vuol dire che non lo è” osservò Stu. “Insomma, davvero pensi che sia sicuro portare una volpe in questo stato in una contea popolata solo da conigli? Insomma, lui è

La nemica naturale per eccellenza dei conigli

un predatore e se ha subito l’effetto del vaccino cosa ti fa pensare che non potrebbe avere delle…ricadute ecco”. Judy guardò il padre smarrita, senza credere alle sue orecchie.

“Ma che stai dicendo?” commentò infine. “Lui è il mio collega più fidato…il mio più caro amico! Quando ho avuto bisogno di lui non si è fatto problemi ad aiutarmi e adesso che lui ha bisogno di me…di noi…”.

“Judy…” intervenne Bonnie. “Quello che tuo padre vuole dire è che non possiamo fidarci di una volpe se tutti i predatori che hanno respirato quel fumo blu si sono ridotti così”. Come ogni volta, Judy non seppe cosa rispondere alla madre: raramente apriva bocca per non appoggiare le parole del compagno, ma quando succedeva i suoi discorsi erano sempre così logici, così lineari e levigati che lei non trovava nessun appiglio a cui aggrapparsi. Rimase in silenzio, lasciandosi precipitare nel baratro della ragione. “Non si sanno se ci sono altri effetti collaterali: e se una mattina svegliandosi Nick sentisse il bisogno di ucciderci tutti?”.

“Non capiterà mai!” esclamò lei, ma sapeva che sua madre le avrebbe chiesto delle garanzie che lei non aveva. Poteva dare la sua parola, ma oltre a quella non aveva nulla. E le parole erano aria fritta davanti allo scenario che Bonnie ipotizzava e che Stu si aspettava.

“Nick mi ha salvato la vita…” mormorò. “E non lo lascerò solo. Se voi non vi fidate, lo capisco…ma devo tenerlo d’occhio oppure…”. S’interruppe, spostando lo sguardo su una piccola figura aggrappata ai pantaloni di Stu.

“Guarda papà!” esclamò la piccola coniglietta. “C’è un signor volpe!”. La vocetta era acuta e divertita, mentre i suoi grandi occhi marroncini erano ipnotizzati dalla folta coda di Nick. Lui la notò e la fissò per qualche istante prima di accorgersi dell’oggetto del suo interesse. Cominciò a sventolare la coda esibendo un sorrisetto divertito nel vedere l’espressione incantata della cucciola che seguiva ogni movimento.

“Ginny, torna dai tuoi fratelli” intimò Stu. “Potrebbe essere pericolosa”. L’espressione divertita della volpe si tramutò in un’occhiata stupita per poi essere invasa dallo sconforto. La coda si afflosciò nuovamente al suolo e si sollevò sulla quattro zampe, avviandosi verso le bancarelle con passo lento e ventre basso.

Cercare di articolare parole era una cosa che stranamente non riusciva a fare: era come se la sua lingua fosse paralizzata, certi movimenti gli erano interdetti, persino le sue zampe non lo reggevano e quel gesso che imperterrito gli imprigionava quella che fino al giorno prima aveva chiamato gamba non contribuiva a facilitargli la postura eretta.

Ma capiva. Capiva molto più di quello che diceva Stu Hopps: capiva quello che diceva e quello che intendeva, quello che non voleva e quello che si aspettava. Da Judy e da lui. E lui sapeva che doveva fare quello che aveva sempre fatto con chiunque avesse avuto l’ardire di volere a tutti i costi aver a che fare con lui per un tempo superiore all’acquisto di un ghiacciolo trafficato o ad una divisione dell’incasso quotidiano.

Doveva cambiare le carte in tavola ma a differenza del normale, avrebbe dovuto scegliere di far vincere qualcuno che non era lui. Si fermò davanti ad una bancarella ed allungò il collo sulla merce esposta: roba usata, da cinque dollari a voler fare i ladri, ma ciò che gli serviva era proprio lì a guardarlo con un luccichio che lo costrinse a prendersi qualche secondo per scacciare ricordi non solo dolorosi ma anche fuori luogo.

Ignorando completamente la palla di pelo tremante che con un po’ di fantasia era uno scoiattolo, si allungò sul tavolaccio e prese delicatamente la museruola tra i denti per poi voltarsi verso Stu ed avvicinarsi con movimenti lenti e orecchie basse.
Il coniglio lo scrutava come se non potesse credere ai suoi occhi, Bonnie si aggrappò ad una manica della sua camicia, mentre la piccola Ginny guardava Nick con occhi perplessi, senza capire appieno quello che stava succedendo. Preferì evitare di guardare l’espressione di Judy e si concentrò su Stu, che prese la museruola dalla sua come se fosse dentro un forno.

Il coniglio strinse nelle zampe la museruola: normalmente non ci avrebbe pensato due volte a schiacciarla contro il suo muso e salvare così tutta la sua famiglia, ma con quella volpe era diverso. Sapeva che per un predatore la museruola era tra le poche cose veramente umilianti della vita, ma quell’umiliazione gliel’aveva proposta lui.

In tal caso, quella sensazione che sentiva era giusta? Era giusto che fosse lui a sentirsi umiliato?

“Papà…” mormorò Judy accanto a lui, la voce pregna di una rabbia che nessuno dei presenti aveva mai sentito. “Non oserai mettergliela spero…”.

“Judy…” cominciò Bonnie, ma la coniglietta la interruppe con un’occhiataccia.

“Garantisco io per lui” disse. “Non voglio vederlo con quella cosa sul muso nemmeno…”. Nick guaì e lei si zittì immediatamente. Negli occhi della volpe lesse tutto: lesse che non gli piaceva, che sarebbe stato umiliante,che sarebbe tornato ad avere nove anni con una lampada puntata in faccia ed una divisa da Giovane Scout Ranger addosso, ma che andava bene così, che era la cosa giusta da fare, che lui si stava dimostrando forte perché voleva stare lì. Sapeva che lì sarebbe stato al sicuro. E sarebbe stato bene.

Non mostrare mai il tuo lato debole.

Si volse nuovamente verso Stu e premette delicatamente con il muso il ferro gelido della museruola. Sentendo un sordo dolore al petto, il coniglio gli passò i lacci di cuoio dietro la nuca.

“Fatto” disse, fissando la cinghia. Passò accanto all’orecchio di Nick e si fermò per qualche secondo di più. “Dammi un motivo per togliertela e ti giuro che la distruggerò con le mie stesse mani”.
 


 
Bogo rientrò nel suo ufficio e chiuse la porta, lasciando cadere sulla suo scrivania un plico di fogli, che andò a fare compagnia agli altri sette già presenti. Si sedette pesantemente e ne pescò uno, studiandolo con occhi annoiati.
 
PER UNA CITTA’ PIÙ’ SICURA VOTA BOGO.

Non era ancora arrivato in alto, ma aveva cominciato la scalata e l’aveva fatto esattamente come il suo vecchio avrebbe fatto. Sotto il manifesto una sua foto con indosso la divisa da poliziotto sobria, seria, quasi scocciata ma che dava sicurezza e fiducia; le stesse cose che lui avrebbe preventivamente dato all’animale che in meno di dieci secondi avrebbe bussato alla sua porta.

Scaduti i dieci secondi, l’ultimo pensiero che si concesse fu il ritornello di una canzone che aveva sentito per radio, nella macchina di suo padre.

Freddie Merfury cantava che lo spettacolo doveva continuare: il suo spettacolo sarebbe continuato in quel modo e a lui poteva anche andar bene. Sarebbe arrivato in alto.

Al suo invito ad entrare fece la sua comparsa un grosso lupo dall’aspetto minaccioso con un orecchio mezzo mangiato ed un grosso tatuaggio sull’avambraccio scoperto. Scoprì i denti in un sorriso che sembrò un ringhio.

“Buongiorno futuro sindaco Bogo” disse con voce bassa e rauca. “Voleva vedermi?”.
   
 
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