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Autore: Soff00    03/02/2017    1 recensioni
Nel pomeriggio di un'anonima giornata di pioggia, a Baker Street fa la sua comparsa un ospite inaspettato: Irene Adler.
Citando:
“Non hai risposto alla mia domanda.” le fece notare lui, lasciandosi cadere sul sofà.
“Pensavo ti irritasse l’ovvietà, Sherlock.” rispose Irene, alzandosi dalla poltrona e avanzando verso il consulente investigativo per adagiarsi sul bracciolo del mobile.
Genere: Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Note: Vorrei specificare che non sono solita fare fanfiction e che questa è la prima in assoluto che scrivo e, soprattutto, pubblico. Frutto di un immensurabile momento di noia e del vuoto provocato dalla vana attesa di un pullman destinato a far tardi, a seguire trovate il lavoro, tutto meno che eccelso, che propongo a voi, popolo di EFP.
Spero vi intrattenga (almeno un po’) quanto ha intrattenuto me scriverlo.
Grazie per l’attenzione e, se ne avete voglia, fatemi sapere che cosa ne pensate. Vi voglio bene. Ciao.



221B Baker Street, Londra. Mattino, ore 9 e 45. Le vie londinesi si trovavano ricoperte da una patina luccicante, frutto dell’imponente precipitazione di “Pioggia!” tuonò John, “Incessante. Da almeno quattro giorni filati. Incredibile”.
“Siamo a Londra John, non mi sembra così astruso il fattore pioggia.” aggiunse, di tutta risposta e senza distogliere lo sguardo dal cellulare, Sherlock.
“Potresti, almeno per una volta, assecondare le mie lamentele? Come fa la gente normale, sai.”
Alzando gli occhi al cielo, fece, con tono volutamente provocatorio, il detective: “Dannazione! Sta piovendo a Londra, città geograficamente propensa alle più varie precipitazioni! Sarà forse il giudizio universale?”
“Perché devi sempre essere così…”
“Così come?”
“Melodrammatico.”
“Sono una primadonna, no?” replicò Sherlock con un ghigno, afferrando la tazza di tè e sorseggiandone il contenuto.
“Decisamente.” confermò il dottore, assecondando l’amico con un sorriso complice. Sorriso che, però, portava con sé un po’ di amarezza nel ricordare quei tempi passati, il giorno del matrimonio precisamente. Mary.
“Rosie!”
“Come scusa?” rispose Sherlock all’esclamazione di John, spaesato.
“Rosie. Devo andare a riprenderla, mi sono accordato con Molly per le dieci, quasi mi passava di mente.”
“Oh sì, certo, Rosie.”
“Dopo il tè devo scappare.”
“Certo, dopo il tè.”
Il bussare della porta interruppe il discorso dei due.
Si fissarono per qualche istante, poi Sherlock alzò il sopracciglio, con sguardo interrogativo rivolto al compagno, il quale, con un sospiro avvilito replicò sarcasticamente: “Oh, non ti scomodare, apro io!”.
“Spero sia un caso, stavo quasi pensando di tornare alla cocaina.” commentò il consulente.
“Riderei se non sapessi fosse vero.” disse John, avviandosi verso la porta.
Nessun caso. Fece la sua entrata la signora Hudson: “Pensavo vi andassero dei biscotti, cari!”.
“Accetterei volentieri signora Hudson, ma devo essere da Molly tra meno di cinque minuti,” rispose John, “sono già in ritardo!”.
“Io invece accetto volentieri, senza condizionale.” intervenne Holmes.
“Ecco a te, Sherlock.” fece la signora Hudson, posando il vassoio sul tavolo.
“A proposito, dovresti dare una spolverata a questo posto Sherlock, è un vero porcile!” borbottò l’anziana, facendo per andarsene.

“Ah!”

La suoneria poco sobria di un noto cellulare fece calare un gelido clima di imbarazzo tra i presenti.

“Oh, Sherlock Holmes, che volgarità!” si lamentò la signora Hudson, uscendo dall’appartamento.
Watson scrutò l’amico per qualche secondo, portandosi le mani sui fianchi.
Sherlock, schiarendosi la gola, domandò: “Cosa?”.
“Seriamente?” rispose John, con tono divertito ma al contempo leggermente alterato.
“Seriamente cosa?”
“Oh, andiamo, sai benissimo di cosa parlo! Tu. Lei.”
“Non avevi l’imminente urgenza di andare a prendere Rosie, John?”
“Oh, al diavolo! Fai un po’ come ti pare,” fece John, infilandosi il giubbotto, “ci vediamo stasera”.
“Non vedo l’ora.”
La porta si chiuse.
Alcuni minuti di velato silenzio inglobarono la residenza del 221B.

“Ah!”

Ripartì la suoneria, sporcando l’immacolata assenza di rumore. Sherlock rimase impassibile, almeno apparentemente. Sprofondò nella solita poltrona e giunse le mani al mento. Gli occhi, però, cedevano alla tentazione di rivolgere sguardi veloci alla fonte della suoneria.  Cucina, microscopio, bunsen, cellulare. Poltrona di John, stecca di sigarette, tazza di tè, cellulare.
E di nuovo: “Ah!”.
Tre messaggi consecutivi? Strano.
“Al diavolo!” esclamò Sherlock, balzando dalla poltrona e apprestandosi a raggiungere l’apparecchio.
“Cosa vuoi, Irene?” bofonchiò tra sé e sé. Aprì i messaggi.

Sono a Londra. Ceniamo insieme?
-IA

Non ho molto tempo signor Holmes.
-IA

Penso verrò a chiederglielo di persona.
-IA

Il vuoto nello sguardo di Sherlock. Poi prese a digitare freneticamente.

Non ho fame.
-SH

“Ah!”
Replica immediata.

Io sì.
-IA

Sherlock fissò quell’ultimo messaggio per un tempo indeterminato. Sospirò.
Sigarette. Sentì quell’impulso irrefrenabile di fumare. Si infilò il capotto, agguantò le incriminate, l’accendino e si avviò per le scale. Aprì la porta. Ah, giusto, la pioggia. Indugiò per un attimo ma, successivamente, fregandosene, uscì a passo svelto alla ricerca di un cornicione sotto cui ripararsi. Accese una sigaretta e soffiò via i pensieri.

221B Baker Street, Londra. Pomeriggio, ore 15 e 30. Sherlock entrò nel condominio e salì le scale. La serratura dell’appartamento parve forzata. Allungò la mano verso la maniglia, intento a spingere e, infatti, l’ipotesi si rivelò fondata.
Lei: seduta sulla poltrona di Sherlock, capelli bagnati e una camicia decisamente troppo grande per la sua misura; rivolta a contemplare il detective.
“Ho fatto una doccia, spero non ti dispiaccia.” disse lei.
“Cosa ci fai qui?” replicò Sherlock, sfilandosi il cappotto zuppo e avviandosi verso l’altra poltrona.
“Ho anche preso in prestito un tua camicia.”
“Non hai risposto alla mia domanda.” le fece notare lui, lasciandosi cadere sul sofà.
“Pensavo ti irritasse l’ovvietà, Sherlock.” rispose Irene, alzandosi dalla poltrona e avanzando verso il consulente investigativo per adagiarsi sul bracciolo del mobile.
“Ceni con me, signor Holmes.” propose lei con fare seducente, tentando di comprimere lo spazio che li separava.
“Non ho fame, signorina Adler.” declinò Sherlock, fissandola negli occhi.
“L’appetito vien mangiando.”
“Non per me.” contestò lui.
“Potresti tentare, almeno” suggerì Irene, iniziando a giocherellare col colletto di lui.
“Già provato.” fece, sfiorandole il polso.
“Dovresti toglierti i vestiti, Sherlock, sei completamente bagnato.” notò lei, e ormai distavano pochi centimetri l’uno dall’altro.
“Anche tu lo sei, Irene.”
“Sì, completamente.”
Dopodiché schiacciò quel briciolo di distanza rimasta tra i loro volti e raggiunse le labbra di Sherlock.
Quel bacio venne ricambiato dopo pochi istanti, e diventò, pian piano, sempre più appassionato ed assetato, perdendo interamente la castità. Le mani di lui percorrevano delicatamente i fianchi di lei, quasi spaventate, accarezzandola e stringendola. Le mani esperte di lei scorrevano lungo il busto di lui, impegnate a sbottonargli strategicamente la camicia. Scivolarono sempre più giù, più giù, fino ad arrivare al cavallo dei pantaloni, dove iniziarono a sfilargli la cintura. Lì, Sherlock le afferrò le braccia, bloccandola.
“Non credo sia il caso.”
“Cosa c’è, Holmes? Vuoi dirmi che la scorsa volte non ti è piaciuto?” domandò Adler con tono provocatorio, baciandogli il collo.
“E’ stato uno sbaglio. Un atto incredibilmente impulsivo. Non da me.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
Senza aprir bocca, Sherlock deglutì, tentando di evitare lo sguardo della donna.
“Rilassati, Sherlock”, disse lei, portandogli una mano sul viso, mentre l’altra armeggiava abilmente con le sue parti basse. Sherlock si limitò ad inspirare profondamente, inclinando leggermente la testa all’indietro.  
“Lasciati andare.” aggiunse, baciandolo e riuscendo completamente nell’intento di slacciargli i pantaloni.
Raggiunto il suo scopo, prese Sherlock per mano e, delicatamente, lo trascinò in camera da letto. La porta si chiuse con un rumore secco.

221B Baker Street, Londra. Sera, ore 19 e 15. Con in braccio la bambina, John ritornò alla residenza. Salendo le scale, fece per aprire la porta dell’appartamento. Prima che riuscisse nell’atto, dall’uscio sbucò Irene Adler, intenta a sistemarsi i vestiti.
“Oh, salve dottor Watson.”
John, con un’espressione visibilmente persa, rispose: “Oh, emh, salve”.
La donna si precipitò giù dalle scale, mentre John entrò nell’abitazione.
“Sherlock..?” chiamò il medico, con voce un po’ incerta.
La porta si chiuse alle sue spalle.
 
   
 
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