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Autore: Mewfeuille    05/02/2017    2 recensioni
Quando senti chiaramente che vuoi scoprire il significato dei nomi, che vuoi comprendere la libertà, che vuoi indagare gli uomini e il mondo, che vuoi conoscere te stessa/o e gli altri, cosa fai di solito?
Pieno di azione, spunti di riflessione, effetti speciali, colpi di scena e personaggi bizzarri e stravaganti, Free Man Rhapsody ti riporta di fronte a questioni e interrogativi affrontati in maniera originale, coinvolgente e VIULENTAAAA, dove per VIULENTAAAA si intende che quattro cazzotti ci scappano e che un paio di volte la Terra rischierà di esplodere, ma vabè succede anche nelle storie fantasy normali, quindi passa in secondo piano.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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È sempre imbarazzante raccontare una storia in cui si è coinvolti, l'unica ragione per cui lo sto facendo è perchè sento che tacere ciò che sta avvenendo sarebbe un crimine, nei confronti di quanti credono nella nostra missione, ma anche nei confronti di chi ancora non sa.

Immaginate un mondo dove le chiacchiere hanno più importanza del contenuto, dove l'anima sembra una derivazione del corpo, dove l'ideale umano è l'indipendenza, la libertà. Un mondo di promesse abbastanza false e di persone abbastanza disilluse.
Un mondo dove gli uomini di potere non vengono riconosciuti come uomini, ma come dei, e gli uomini di strada neanche come uomini, ma come ratti.
Immaginate questo mondo, pulito e asettico, superiore rispetto al passato e sempre pronto a gridare futuro, dove tutto è più veloce, più elementare.
Lo vedete il germe del dubbio strisciare per le strade come un topo, entrare nelle fogne, forzare ogni pertugio, lasciare impronte sudicie e fetenti, a testimonianza del suo esistere?
E vedete anche la gente, piena di topi nei vestiti, nelle ventiquattrore, nelle trousse, negli zainetti, fingere che gli squittii siano il fischio del vento, i fori negli abiti usura, l'odore cattivo un'esalazione di fogna e nulla più?

I dubbi portano curiosità, ma il progresso ha già scoperto tutto, ci sono grandi lumi che hanno sancito come stanno le cose, quindi di cosa si può essere curiosi? L'uomo ha bisogno di assoluti, non di ricerche estenuanti, che possono durare ore e ore; l'uomo ha il diritto di avere tutto e subito, poiché si comporta bene, non danneggia la società, sta dalla parte della maggioranza, grida libertà, futuro, indipendenza.

I dubbi portano paura, ma l'uomo rifugge la paura, finge che non ci sia spazio per la paura.

Vedete come l'uomo ha paura della paura?

Spero che lo vediate, io l'ho sempre visto. Io facevo paura.
Penso che potrei far iniziare la storia quando avevo sei anni, cosa ne pensate?

A sei anni ero davvero una bella bambina, tutti i miei parenti mi volevano bene, anche lo zio Torquato, che pure detestava ogni sorta di bambino sotto i quarantacinque anni. Portavo gli stessi capelli neri che porto adesso, che incorniciavano un viso forse un po rotondetto, ma vabè tanto a sei anni puoi essere solo carina, non bella davvero.
Ero forse la più bassa della classe, non sapevo leggere e parlavo poco e troppo stentatamente per la mia età, ma d'altronde sapevo fare le facce buffe per far ridere i maestri e stavo sempre seduta composta, lo sguardo fisso.
Io indagavo.

Di notte ogni persona si crede al sicuro dagli sguardi altrui, di notte ciascuno torna sé stesso, convinto che nessuno possa testimoniare, ma non è così. Di notte, in silenzio e composta, senza rilasciare giudizi, con la sua faccia rotondetta e i suoi capelli neri ingioiellati e lunghissimi, tutto vede e tutto sa la Luna.
Così ero io, taciturna e osservatrice, ma non accusatoria, ero mossa da un'infinita bramosia di conoscenza.
Quando di notte non c'è la Luna, però, ogni uomo è costretto a scrutare nel buio, e il buio scruterà in lui.

Per quale ragione poi anche il mio nome fosse quello della Luna, non so se mi sarà dato saperlo, ma indagherò anche su quello, a tempo debito.
Fatto sta che la prima scuola che frequentai, a sei anni, si chiamava Leonardo da Vinci, e qui voglio chiudere le mie diversioni con un'ultima considerazione: quale valore possono avere i nomi, per le persone? Perchè io ero Selene, e l'istituto era Leonardo, e mio fratello era Angelo? Chissà...
Comunque, a febbraio vennero convocati a colloquio con l'insegnante i miei genitori, per chiarire alcuni dubbi. La maestra del “Leonardo” si chiamava Cassandra, e come Cassandra, ci profetizzò una sgradita notizia: “Sua figlia mi preoccupa”.
-Cioè, non è che mi preoccupi nel vero senso della parola, ma mi inquieta, o quantomeno mi insospettisce.
Ricordiamo che io ero nella stessa stanza, seduta sulle ginocchia di nostra madre, mentre Angelo, di appena quattro anni allora, era seduto per terra, a fianco della sedia su cui sedeva nostro padre (non avendo una tata disponibile, mio padre portava Angelo ovunque come un bagaglio a mano) e aveva un'aria sospettosa, per non dire inquieta, per non dire preoccupata. -Comunque sia sarò breve, sua figlia sa leggere a voce alta?.
Mia madre arrossì, mentre io rimanevo indifferente nel mio metro e due di autocontrollo.
-Non sa ancora leggere, ma sta imparando. Non le abbiamo fatto mancare gli stimoli, ma lei preferisce giocare con il fratellino o andare al parchetto con gli amici, ma in fin dei conti, ha sei anni, credo che sia normale.
La maestra sospirò e si mise un paio di occhiali da lettura (non so bene le dinamiche, ma la maestra portava ben tre paia di occhiali nella borsa: da lettura, da vista e “da sera”, nonostante dimostrasse una trentina d'anni sì e no), dopodiché aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un libro.
-Questo libro si intitola 'Il coniglietto Terry e il serpente furbacchione', è narrativa da infanzia, scritto anche a caratteri cubitali, Selene, tesoruccio, potresti iniziare a leggerlo?
Mi infilò in mano il libriccino, già aperto a pagina uno, nascondendo una certa impazienza.
-Avanti, leggi.- mi spronò.
Mi voltai verso mia madre, era spaesata, ma a sua volta mi suggerì:
-Leggi quello che riesci...
-C'è un coniglio bianco e un serpente... il coniglio ha un cappello verde, e il serpente ha una cravatta...
Fui bruscamente interrotta:
-No, no, no, piccolina, devi leggere le PAROLE, non guardare le immagini; - detto questo coprì le figure con la mano sinistra e ripeté: - dai, leggi.
Mi sforzai molto, posso giurarlo, cercai di dare voce a quelle formiche nere sul foglio, ma sembravano veramente morte e asettiche.
-U... n... p... o... l... q... - , non mi fu concesso di continuare, la maestra mi sfilò il libro di mano.
-Questo dovrebbe dimostrare i suoi, diciamo, limiti; niente di grave, ma ieri l'ho vista leggere un libro... - mi fissò nella vana speranza di cogliere qualche segno di stress, ma nulla - ...ero molto soddisfatta, poi mi sono avvicinata per leggere il titolo, ebbene... - altra occhiata sospettosa
- ...era “La fattoria degli animali”, di George Orwell...- ciò detto sfilò un altro libro dal cassetto e me lo porse, aperto a pagina uno.
-Ma una bambina di sei anni non può certo leggere Orwell, perché le chiede di farlo? - mia madre provò a tirarmi via il libro, ma io lo tenni ben stretto tra le mani.
-Il signor Jones, della Fattoria Padronale, serrò a chiave il pollaio... - cominciai; Angelo sembrava euforico, come se stesse facendo il tifo per me, affinché sconfiggessi la maestra, mia madre era stupita, mio padre incuriosito.
-D'altra parte, questo dimostra il contrario, o almeno così sembrerebbe, ma se io faccio così... - nel dirlo coprì di scatto con la mano il testo del libro.
-...per la notte, ma, ubriaco com'era, scordò di chiudere le finestrelle.
Angelo era ancora euforico (bello essere piccoli e stupidi e non capire quando qualcosa non va), mia madre molto meno.

-Adesso - la voce della maestra era colma di tronfio orgoglio per aver scoperto una tale particolarità -io spero seriamente di aver scoperto per miracolo una puffetta di sei anni che riesce a comprendere un intero libro di Orwell, e a MEMORIZZARLO tutto, pur avendolo preso in biblioteca da quattro giorni, però con i tempi che corrono ho paura che sia qualcos'altro...- qui si accigliò, abbassò tono di voce e proseguì -... specialmente perché gli altri bambini mi dicono di averla vista giocare con una farfalla...
-Cosa c'è di male in questo?- ormai mia madre era sulla difensiva più totale, ma una volta in gabbia non si scappa.
La sig.ra Cassandra si tolse gli occhiali e mi guardò negli occhi (e già, non mia madre, ma me), il suo sguardo era gelido e lapidario, anzi accusatorio.
-Non ci sono farfalle a febbraio, signora. Quantomeno non in questa città; le farfalle muoiono con il freddo intenso. Ora, posto che mi sembra chiaro che la nostra bella bambina sia “troppo speciale” per questa scuola, devo chiederle di trasferirla altrove, prima che insorgano spiacevoli ..hm.. malintesi.

Angelo ruppe la tensione gridando come un gatto inferocito:
-NON È VERO, SELENE NON DEVE ANDARE VIA, NON HA NIENTE DI SBAGLIATO!
Era una gran bella scena, un bambino di quattro anni, con le sopracciglia aggrottate, mentre strattonava la gamba dei pantaloni di papà, che gridava addosso ad una maestra di scuola che giocava a fare il bello e il cattivo tempo.
-Allora...- la maestra si sporse dalla scrivania e mi resi conto che fino ad allora probabilmente nemmeno si era accorta che ci fosse un bambino al di fuori del suo campo visivo – come mi spieghi che non sappia leggere un libro stupido come “Terry il coniglietto ritardato”, ma sappia a memoria un'intera opera di alta letteratura? E come spieghi quella farfalla maledetta che le gira intorno senza morire di freddo?
Il suo sorriso era d'acciaio, quello che si esibisce ai bambini “lenti” per dimostrare che tu sei un adulto e hai tutta la situazione sotto controllo, e che le loro “idee” sono instabili.
Angelo sembrava molto confuso adesso, e mi guardava come per chiedermi un suggerimento, mentre mio padre si alzava dalla sedia e rispondeva al suo posto
-Può essere che le piacciano le letture di un certo spessore.

Due ore dopo eravamo già formalmente degli sconosciuti per la scuola, che aveva già firmato tutti i moduli per cacciarmi via, alla faccia dell'interesse che il vero Leonardo da Vinci aveva per gli individui “particolari”.
Dopo Leonardo ci fu Erasmo da Rotterdam, poi Giordano Bruno, poi Edmondo de Amicis, poi ancora Petrarca, Torricelli, Voltaire (strenuo difensore della libertà di espressione, ma a quanto pare, non abbastanza), Fibonacci e già che c'eravamo, anche la Scuola Elementare Filippo Argenti (per capire quanto eravamo disperati, vi basti sapere che i miei stavano seriamente pensando di mandarmi dalle suorine presentandomi come “strumento della grazia divina”), quando finalmente mio padre prese la decisione finale.
Facendo il dottore, conosceva molte persone, e tra queste un estroso professore povero in canna, che quasi ogni settimana chiedeva ricette per qualcosa.
-Bisogna risparmiare! - era il suo cavallo di battaglia, il suo motto; a lui non interessava che io fossi strana: - La diversità è una ricchezza – diceva.

Fatto sta che iniziò a darci lezioni private a casa, da quando mio fratello aveva sette anni, e dunque io nove.
In quei tempi la storia degli “strani” aveva già preso un po' tutti, a causa delle notizie preoccupanti che vedevano Discendenti e crimine andare a braccetto come due piccioncini in luna di miele.
Lui non se ne preoccupava, alzava il dito indice, socchiudeva le palpebre e diceva sempre:
-Tutti gli uomini, sebbene nati liberi, si trovano prigionieri in catene- o ancora:
-Da potere nasce responsabilità- o, dopo vari bicchierini:
-La natura umana non comprende la sua trascendentalità e si rifugia nel positivismo per simulare una limitatezza calcolabile e comprensibile.

Lazzi a parte, da sobrio era molto ponderato e colto e ci svelò molti misteri del mondo, finché non raggiungemmo i livelli di terza e prima media, in poco più di tre anni.
Era molto soddisfatto di noi:
-Sono avanti, dottore, sono avanti: pensi a quei ragazzini che si rodono il fegato per sciropparsi formule spigolose e sonetti indigesti, convinti di essere chissà quanto superiori. Ebbene, loro sono più avanti!

Sembrava veramente realizzato quando qualcuno ascoltava le sue lezioni, e imparammo teoremi, assiomi, generi letterari, scuole di arti figurative, nomi e ruoli importanti, poesie ed eventi storici.
Con il fatto che anche gli amici di famiglia avevano iniziato a frequentarci più di rado, mi dedicai agli studi con interesse assoluto, innamorandomi perdutamente della letteratura e del disegno, mentre mio fratello si faceva (e spezzava) le ossa in palestra, praticando il kung fu.

Qui va aperta una parentesi: sembra che fosse particolarmente portato, poiché superava un esame ogni sei mesi circa, (che credo sia poco per quella disciplina) e imparava con entusiasmo tecniche di tutte le scuole. Unica eccezione il ba ji, che non riuscì mai a padroneggiare e che lo spedì in ospedale due volte in tre anni, ma nessuno è perfetto, in fin dei conti.

Fatto sta che, quando stavo per compiere i dodici, il professore, ho scordato di dire che si chiamava Ettore, trovò la maniglia del portone di casa sua sporca di sangue (d'agnello, si sarebbe poi scoperto) e le finestre di mezzo condominio sfasciate a sassate.
Sì, perché ormai si sapeva che lui era il mio insegnante, e io continuavo ad essere trattata come un terrorista con la giacca di C4, pericolosa da avvicinare, ma farmi del male trasversale non faceva sentire in colpa nessuno.

 

Sto andando un po' troppo di corsa, credo, per ora metabolizzate quanto vi ho già raccontato, così poi vi parlerò del Re delle fate e dei Discendenti più in genere.

 

-altri 4 utenti che commentano prima di sbloccare il capitolo 2-

   
 
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