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Autore: Lady Hime    06/02/2017    1 recensioni
Sherlock Holmes torna a Baker Street un venerdì di ottobre, in piena notte. Ha il setto nasale deviato e una interminabile fila di tagli ed escoriazioni lungo tutto il corpo, ma è vivo.
John è sulla porta che lo fissa, incredulo. Sherlock vorrebbe dirgli che non è pazzo, che lui è davvero lì, e che ha intenzione di restarci, ma quegli occhi lo bloccano.
Aveva considerato anche quella reazione (la più probabilmente, la più ovvia): la rabbia del soldato.
Lo hai deluso Sherlock.
Peggio, lo hai ferito.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Existences

Sherlock Holmes torna a Baker Street un venerdì di ottobre, in piena notte. Ha il setto nasale deviato e una interminabile fila di tagli ed escoriazioni lungo tutto il corpo, ma è vivo.
E' ancora un segreto, ma è questione di giorni, ore forse; tutto dipende da come Mycroft saprà gestire la situazione, ed è piuttosto bravo quando vuole.
L'appartamento puzza di chiuso ed uno spesso strato di polvere ricopre ogni cosa, proprio come ci si aspetta da un'abitazione sfitta da due anni. Nota subito però che (quasi) niente è stato spostato o buttato o portato via; qualcuno voleva che tutto rimanesse esattamente com'era sempre stato. Sente l'impellente voglia di sorridere, ma il viso gli duole ancora terribilmente.
Sherlock è (non troppo) segretamente entusiasta tutte le volte che pensa a John, non vede l'ora che arrivi il momento del loro rincontro per godersi ogni mutamento d'espressione dell'amico.
Lancia via il cappotto con un gesto secco e si siede sulla sua poltrona, agitato.
Vorrebbe un the, ma Mrs. Hudson non si trova nell'edificio ed il bar sotto casa è chiuso e tale rimarrà fino alla mattina.
Che noia. Potrebbe (dovrebbe) dormire, ma mesi e mesi a spostarsi da un continente all'altro gli hanno completamente sballato ogni fuso orario, e lui non era mai stato un amante del sonno. E' una perdita di tempo, rallenta. Ma che impegni ha, al momento?
Improvvisamente ha voglia di giocare a Cluedo, senza un vero perché.
Ed è fortunato, davvero fortunato, perché una porta si è aperta dalla cima delle scale ed un passo conosciuto, ma che non udiva da tempo immemore, si avvicina.
Sherlock vorrebbe scattare in piedi, ma quando accende la luce John è ormai sulla porta che lo fissa, incredulo. Vorrebbe dirgli che non è pazzo, che lui è davvero lì, e che ha intenzione di restarci, ma quegli occhi lo bloccano.
Aveva considerato anche questa reazione (la più probabilmente, la più ovvia): la rabbia del soldato.
Ciò che non aveva contato era quell'orribile senso di colpa che cresceva senza controllo dentro di lui, inghiottendosi ogni parola.
Lo hai deluso Sherlock.
Peggio, lo hai ferito.
"Tu".
Deglutisce, ma trova la forza di alzarsi, anche se non è più sicuro di voler guardare. John è livido di rabbia, e non in vena di soliloqui alla Sherlock Holmes.
"Tu".
"Io?".
E' tutto quello che può permettersi di pronunciare a quanto pare, perché l'altro lo ha buttato a terra e lo sovrasta completamente.
Avverte un fortissimo dolore alle ginocchia, alla schiena, al petto, alla faccia.
John lo sta picchiando. Ferocemente, per di più. Con rabbia (comprensibile).
Sherlock trattiene i gemiti, ma alla fine uno più alto degli altri gli sfugge e l'amico si blocca, tremando come se ne fosse rimasto scottato, e si allontana con il volto tra le mani.
"John..."
"Zitto".
Sherlock esegue, e tenta di rimettersi sulla poltrona. Il naso ha ripreso a sanguinare, ma il dolore generale lo distrae da quella deduzione e lo fa ricascare a terra.
John lo guarda, per nulla impietosito, ma alla fine cede e lo aiuta, perché è così che funziona tra loro.
Perché lui è quello umano e tiene troppo alle persone (anche a quelle che non sei lo meritano).
Ogni pugno gli ha sussurrato boriosamente "stronzo", ogni calcio "non hai idea di cosa mi hai fatto passare" ed ogni fitta adesso gli grida "te lo sei meritato", ma non una parola da John, che si è voltato e trascinato fino alla finestra.
Può immaginare quello che sta pensando, può ascoltare il tintinnio fastidioso di quel cervello (in parte) inutilizzato.
Come hai fatto a sopravvivere?
No, Sherlock, no, prova ancora.
Perché non me lo hai detto?
John stringe i pugni in modo compulsivo, si sta trattenendo dal riprenderlo a cazzotti, con enorme sforzo.
Come hai potuto?

"Una parola Sherlock, sarebbe bastata una parola per sapere che eri vivo".
"Io non potevo...".
"Chi altri lo sapeva?"
"M-"
"No, ripensandoci non dirmelo".
John si sporge verso di lui, lo osserva attento (occhi da medico, professionali); poi recupera da non si sa bene dove un pacco di ghiaccio istantaneo e glielo schiaffa sul naso.
"Tuo fratello sicuramente lo sapeva. Oh sì doveva esserne a conoscenza, chissà quanto si è divertito a vedermi crogiolare nel mio brodo".
"Pensavo non--" ma l'espressione furente di John lo azzittisce.
Sherlock ha l'improvviso istinto di nascondersi dietro la busta gelata che stringe tra le mani, come quando da bambino veniva rimbeccato per una marachella ed infossava lo sguardo lontano per non incontrare gli occhi di nessuno.
Era tornato. Che importanza poteva avere tutto il resto?
"Non dovevo nemmeno venire a Baker Street, ma Mrs. Hudson non c'era ed allora perché non approfittarne per raccogliere una po' della mia roba? (si è trasferito due anni fa, ma tante cose non ha mai avuto il coraggio di spostarle. Non ha nemmeno più parlato con Mrs. Hudson, la evita. Si sente in colpa per questo.) Sto andando avanti Sherlock, dopo due anni, e tu...adesso...Come puoi farmi questo, adesso?".
Quella frase, che rimane sospesa tra di loro per qualche istante, sancisce la fine della discussione. John batte in ritirata, furioso.
Sherlock rimane un secondo stordito invece, ma quando trova l'energia di alzarsi ed affacciarsi sulle scale, senza aver ben chiaro cosa dire o cosa fare, trova solo Mrs. Hudson, tutta stralunata in mezzo a tante valige, con la porta chiusa (sbattuta forte) alle sue spalle. John se l'è svignata troppo velocemente, senza dargli possibilità di replica.
Rimane immobile in cima alle scale, e la donna, dopo quelli che sembrano secoli, alza lo sguardo. Sbatte le palpebre più volte, alla vista inconfondibile del suo inquilino preferito. E morto, morto da due anni, ma sono inezie quelle.
Sherlock le sorride, illuminato dalla luce del mattino.
E lei urla, urla ed urla.


Il primo caso che Mycroft gli rifila è un imminente attacco terroristico.
"Massima priorità" ha esclamato, indugiando sulla porta. Sherlock nemmeno si è voltato, liquidandolo col cenno di una mano. E' di cattivo umore.
Sono venuti a fargli visita tutti, da quando la notizia è diventata di dominio pubblico; Molly, Lestrade, perfino Anderson, ma non John.
Sono passati dieci giorni e Sherlock sta ancora aspettando, ma del dottore non c'è alcuna traccia e la sua pazienza sta raggiungendo il limite. Ci sta impiegando troppo tempo a perdonarlo e non gli piace la solitudine. Non più.
Il telefono vibra, e la foto di Lord Moran appare sullo schermo; ha iniziato a muoversi, ma Sherlock non riesce proprio a districarsi tra tutte quelle fotografie. C'è qualcosa che non quadra, ma cosa?
Mrs. Hudson gli porge una tazza di the e gli sorride affabile. Non ha mai smesso, da quando è tornato.
Perché John non può fare lo stesso?
Scaccia quel pensiero con irritazione, mentre manda giù un sorso caldo.
Deve spicciarsi.
Potrebbe chiamare Molly, abbandonerebbe qualsiasi cadavere col quale è impegnata per correre da lui ed assecondare i suoi stupidi capricci.
Potrebbe farsi un giro a Scotland Yard, ma quando mai quel branco di incompetenti aveva sollecitato il suo cervello?
Potrebbe...uscire in strada e recuperare una dose, c'è una vecchia catapecchia poco lontana dove spacciano crack e tutto il resto.
Qualcosa (qualcuno) lo blocca.
John non approverebbe.
Ma John non c'è.
Lo so che potrebbe non perdonarmi.

La droga o la finta-morte?
Entrambe.
Suddetto John Hamish Watson varca la porta, indisturbato, mentre il detective è assorbito in quei pensieri.
Ha sempre avuto un tempismo particolare.
"John".
Il soldato accenna un saluto e cammina per il salotto, sfiorando la superficie della mensola: brulica di posta, ma Sherlock non ha aperto nessuna lettera. Ha dei fan, adesso, gente invasata che gli manda pagine e pagine di elogi che vorrebbero lusingarlo e che invece lo lasciano indifferente.
"E' un vero letamaio qui".
"Le pulizie non sono mai state il mio ambito di competenza".
John sbuffa, mastica un "lo so benissimo" e, finalmente, si volta verso di lui.
Sembra stanco, ma non arrabbiato.
"Come stai?" chiede, alludendo alle ferite (ma anche a tutto il resto).
"Oh...Mh. Si sta sgonfiando, il bernoccolo che mi hai procurato quando mi hai buttato a terra dico. E anche il naso sta meglio. Le gambe se la cavano, sono forti. Ho un sistema immunitario invidiabile, a quanto pare".
"Capisco. Bene, mi fa piacere".
"E tu?", ma John sul momento glissa la domanda, sedendosi sulla sua poltrona e chiudendo gli occhi per un lungo istante.
"Esattamente come se avessi scoperto che il mio migliore amico ha giocato a nascondino per due anni mentre io qui mi--aspetta, stai già lavorando?".
"Certo John" (quando mai riusciva a stare fermo lui?) "un caso di Mycroft. Un possibile attacco terroristico. Un agente ha dato la sua vita per queste informazioni ed io non riesco a venirne a capo".
"Lo conosco quello" dice John indicando l'unico scatto scampato al pennarello "E' un politico importante no?"
"Lord Moran, sì. Lavora per la Corea del Nord dal 1996".
John ammutolisce e Sherlock parla e parla e parla, come ai vecchi tempi. Ed alla fine il particolare tanto agognato (le carrozze John, le carrozze della metropolitana! Contale! Come ho fatto a non accorgermene prima? Sono un idiota!) si rivela in tutta la sua pienezza.
"Non è "una rete sotterranea" John. E' la rete sotterranea! Ci deve essere una bomba, una gigantesca bomba, là sotto! Andiamo!"
Sherlock si alza velocemente, ma se ne pente ancora più in fretta; la testa gli gira e le gambe gli tremano, tanto che John lo afferra per il bacino e si carica un po' del suo peso sul corpo.
"Sherlock no, sei ancora troppo provato. Lascia che sia Mycroft a preoccuparsene".
Il detective si cimenta nella sua migliore espressione da cane bastonato (non farmi questo John), ma il soldato lo spinge nuovamente sulla poltrona, irremovibile.
"Togliti la camicia, fammi controllare le ferite".
Sherlock trasale leggermente, ma alla fine si sfila l'indumento, con lenti e meccanici movimenti, e si lascia ammirare in tutta la sua disgrazia. Non deve essere un bello spettacolo, perfino suo fratello era trasalito quando lo aveva recuperato da quella base serba.
John non lo tocca, ma sfiora ogni sua ferita con gli occhi e Sherlock ne può avvertire il calore bruciante.
Passano almeno due minuti prima che il medico apra bocca, spezzando quel silenzio pesante.
"Quante volte?"
Sherlock finge di non capire, ma John non distoglie l'attenzione dal suo braccio destro, testardo.
Già.
I segni sul suo braccio.
I buchi.
"Non troppe, solo quando avevo bisogno di accelerare i miei processi mentali. Durante le missioni operative, di solito"
"Quella roba può ucciderti, te lo devo ricordare?"
"Ti assicuro che anche quei terroristi non scherzavano in merito".
John tenta di trattenersi dal ridere, ma Sherlock nota gli angoli della bocca incurvarsi all'insù ed improvvisamente anche lui ne ha una gran voglia. Come ai vecchi tempi.
"Raccontamele" sussurra John indicando le cicatrici, le escoriazioni, la ferita di proiettile pericolosamente vicina ad un polmone "Tutte" (e poi forse ti perdono).
Sherlock si fa passare il cellulare e manda un messaggio a suo fratello mentre il dottore va a prepararsi un the.
Ha tanto di cui parlare.


John non risponde repentinamente ai suoi messaggi e la cosa lo snerva. Non c'era stato verso di convincerlo a ritrasferirsi a Baker Street e così, quando Lestrade lo aveva supplicato di aiutarlo con un caso, John era chissà dove a fare chissà cosa.
Ha una donna, probabilmente. Forse gliene ha anche parlato, ma lui è disinteressato all'argomento.
L'ispettore tenta di affibbiagli ogni indagine da quando è tornato, anche le più banali (ma il livello di Scotland Yard si era abbassato così tanto in due anni?), così è quasi contento quando un caso da sette lo costringe ad uscire.
Mangia poco e dorme anche meno, ma sta meglio, ha riacquistato le forza necessarie per muoversi sul campo.
Nessuna corsa spericolata per gli anfratti di Londra (non ancora), anzi, è diventato quasi discreto, solo per disfarsi di tutti quei fastidiosissimi giornalisti che lo hanno perseguitato per giorni senza sosta. Non ha ancora rilasciato nessuna dichiarazione ufficiale in merito alla sua resurrezione, nonostante sia stato onnipresente su tutte le prime pagine dei giornali.
"Non fingere che non ti piaccia" lo aveva rimbeccato John giorni addietro mentre chiudeva le tende per nasconderli dai flash delle macchine fotografiche "non vedi l'ora di dire a tutti come hai fatto, come al solito", e Sherlock se l'era presa (in modo così infantile), tanto da sfuggire ad ogni reporter per provargli l'esatto contrario.
"Non mi interessa quello che pensa la gente"
Mi interessa quello che pensi tu (ma non lo aveva detto ad alta voce).
"Hai qualche idea?" chiede Lestrade, stufo del mutismo del detective.
"Sempre" lo liquida scocciato mentre sfoglia un tomo rovinato e (apparentemente) vecchio.
How I did it by Jack the ripper.
Ma per favore.
"Hai voglia di condividerle con me, per favore?".
"Riceverai mie notizie in giornata" sbuffa, scrollando le spalle.
"Non puoi dirmelo adesso e basta?".
Esibizionista, lo percula John nella sua testa.
Che starà combinando John? E' con quella donna? Si sarà accorto che gli obbiettivi dei giornalisti non li abbandonano mai?
 "No, prima devo andare a trovare un fan".
Lestrade lo guarda allibito, ma alla fine ci rinuncia, come al solito.
Sherlock prende un taxi per recarsi a casa, vuota ovviamente. Un slittata di fastidio lo coglie impreparato mentre afferra violino ed archetto, che alla fine posa stizzito senza suonare alcunché.
Per ripicca, medita, toglierà la sua poltrona da lì, anche se la stanza perderà il suo equilibrio.
Sarà una misura temporanea comunque, vuole solo infastidirlo un po'.
Sherlock Holmes, primo ed unico consulting detective della storia, che fa i dispetti.
Non se ne dispiace neanche un po'.
Il telefono vibra mentre prepara il bollitore.

Scusa, c'è un campo pessimo in ambulatorio.
Ho ricevuto solo ora il tuo messaggio.
Lo hai già risolto? - JW

Ovviamente. - SH

E' stato il maggiordomo? - JW

Non c'era nessun maggiordomo. - SH

Lo so Sherlock è un modo di dire.
Lascia perdere.
Ci vediamo domani. - JW

Perché?
Potrebbe non esserci nessun caso. - SH

Per una partitina a Cluedo - JW

Sherlock sorride, mentre si versa il the nella tazza preferita di John. 
Forse può funzionare anche così.


Le cose però non migliorano.
John dedica molto tempo a Mary ed al lavoro, e sempre più raramente si reca a Baker Street, o sulle scene del crimine in generale.
Quasi per controbilanciare Mycroft sta nuovamente invadendo la sua vita, senza disturbarsi a chiedergli il permesso.
Per completare il quadro Londra non gli regala nessun nuovo caso interessante (ingrata), solo schifose e piccole effrazioni che Lestrade ha anche il coraggio di sottoporgli, talvolta.
Nemmeno a dirlo, il suo umore è nero.
Ha ripreso a fumare, ma Mrs. Hudson non ha fatto una piega quando lo ha scoperto, anzi, gli aveva addirittura procurato un posacenere; forse il piede mozzato nel frigorifero era stato un chiaro deterrente a qualsiasi ramanzina.
Spegne il mozzicone ridotto all'osso sul pavimento e fa per accendersene un'altra, ma dei passi, alcuni familiari ed altri no, lo bloccano.
John nemmeno lo saluta, si lamenta istantaneamente dell'odore acre della stanza e corre ad aprire la finestra.
Non è solo.
La figura che si era bloccata sulla porta avanza di un passo, per nulla infastidita o in imbarazzo.
La tanto nominata Mary.
Sherlock le lancia un'occhiata di sottecchi; corti capelli biondi, enormi occhi azzurri (che lo scrutano curiosi) e corpo nella media, né magro né grasso (ma nessuna curva particolare o avvenenza evidente): in definitiva niente di eccezionale, per i comuni canoni estetici.
La donna tossicchia, per richiamare l'attenzione del fidanzato che non si è premurato di presentarli, che scatta verso di loro. Sembra felice (è felice).
"Ah...già. Mary, lui è Sherlock Holmes".
"Mary Mostran" dice lei quando si stringono la mano "Ho molto sentito parlare di lei".
"Spero positivamente".
"In modo strabiliante". Sembra sincera (è sincera).
Sherlock le sorride, è questo che richiede il protocollo sociale, no?
"Quindi, che combini?" domanda John mentre si leva la giacca ed attende che Mary lo imiti "Qualche caso interessante?"
"Niente di niente, è tutto molto noioso (senza di te)".
"Ed ecco spiegato il tuo redivivo vizio del fumo--hey, dov'è la mia poltrona?"
Sherlock fa spallucce "Tu te n'eri andato".
"Lieto di esserti mancato".
Lo squillo di un telefono li interrompe, e Mary (divertita) si apparta sul pianerottolo per rispondere alla chiamata.
John gli si avvicina velocemente e gli sussurra un "Cosa ne pensi?" senza perdere di vista l'uscio.
Già, cosa ne pensa lui di Mary?
Sicuramente l'infermiera part-time per cui John ha perso la testa è particolare, anche se non nell'aspetto; ha lasciato trasparire sicurezza ed un genuino interesse per ciò che la circonda (consulente investigativo compreso). Le piacciono i gatti, adora John e i suoi piccoli gesti romantici, ma è abbastanza disincantata dal mondo da non aspettarsi nulla di eccessivo dal soldato, se non stabilità ed affetto.  
"Sembra simpatica".
"E' una frase di circostanza?".
"Non lo sono tutte?"
"Sto parlando sul serio Sherlock". Il detective lancia un'ulteriore occhiata a Mary, che sta ridendo seduta sugli scalini.
Non ha una vera antipatia per la donna, anzi; è consapevole che dovrebbe provarne dal momento che è principalmente lei la causa che allontana John da Baker Street (e da ciò che rappresenta), tuttavia non crede che ne avesse la minima intenzione. Anzi, appariva eccitata ed incuriosita da quel lato un po' sconosciuto del fidanzato di cui ha letto nel blog, di quel John che combatte il crimine con Sherlock Holmes che lei non conosce.
Potenzialmente, Mary potrebbe essere la compagna perfetta.
"Non ho sufficienti dati per un'analisi completa, ma direi che è...accettabile".
"Immagino sia tutto quello che posso sperare di ottenere da te. Bene. Molto bene in effetti, perché voglio chiederle di sposarmi".
Il detective lo fissa, apparentemente calmo (John sembra deluso della reazione), ma dentro di lui c'è in atto un vero e proprio maremoto.
Quello, Sherlock, non lo aveva dedotto. Come avrebbe potuto?
E' sempre stato consapevole di quanto John traesse piacere nell'avere una relazione sentimentale, nel corso della loro convivenza gli aveva presentato numerose ragazze che lo soddisfacevano per più ragioni, ma nessuna era mai durata tanto. 
"Mi è stata molto vicino mentre...bhe, lo sai".
Durante il lutto, ovviamente.
Era stato merito suo se si erano innamorati, quindi; era stata colpa sua.
Ma davvero di colpa si poteva parlare?
Sherlock nota quanta serenità illumina il volto di John mentre prepara il the al rientro di Mary, quanto è felice mentre stringe il braccio della sua fidanzata (futura moglie, lei risponderà di sì) mentre lasciano l'appartamento.
E' giusto, anche se fa (male) paura l'idea che il medico non vivrà mai più con lui; che il loro duo presto muterà in un trio.
Fa (soffrire) strano.
Li osserva allontanarsi dalla finestra con cipiglio serio, trattenendo inconsciamente il respiro.
Il detective adora John Watson, ha amato completamente la sua presenza discreta ed i suoi rimproveri furenti ogni qual volta si cacciava in situazioni troppo pericolose (senza di lui) per anni; sono stati i ricordi dei pomeriggi frenetici per Londra, delle cene cinesi gustate alle due del mattino e dei Natali trascorsi insieme che hanno permesso a Sherlock di sopravvivere in giro per il mondo mentre scardinava la rete di Moriarty. John ha significato tutto ancora prima che si lanciasse giù dal Barts e fingesse la sua scomparsa, ma Sherlock ha sempre saputo cosa poteva dargli e che cosa, certamente, non era in grado di fare.
Non si è mai sentito in dovere di correggere nessuno, ma Sherlock Holmes è capace di amare (purtroppo), solo non nella maniera convenzionale in cui tutti si aspettano.
Mary invece sembra adatta a quel ruolo: amerà John (farà l'amore con lui, lo consolerà dagli incubi, lo bacerà sotto il vischio a Natale) ed invecchieranno insieme in una casetta in periferia; lui siederà lontano e si limiterà ad osservarli, a proteggerli se necessario.
E va bene così, dice una voce dentro di se.
Lui vuole che John sia felice, anche se (troppo) lontano da lui.
Tuttavia, la nicotina si rivela non essere più sufficiente in quel frangente.
Ha bisogno di qualcosa di più forte, più forte del 7%.
E' una coincidenza fortuita che di recente abbia creato un nuovo nascondiglio, così in bella vista che Mycroft non gli aveva dato peso (quando era venuto a curiosare l'ultima volta): è la trave nel corridoio che scricchiolava da anni. Sherlock l'ha staccata quasi completamente da terra un mattino che si annoiava, ed è riuscito ad infilarci cinque bustine bianche per ogni evenienza.
Mentre stringe la cintura dei pantaloni intorno al braccio ripensa all'ultima volta in cui ha compiuto quel suo piccolo riturale, e se non erra (non lo fai mai) era in Russia, soffocato sotto sei metri di neve per nascondersi. Aveva creduto di morire, ma poi il ricordo della terribile fantasia del maglione preferito di John lo aveva spinto a farsi forza, a sopravvivere.
L'ago freddo gli buca la vena e Sherlock chiude gli occhi. Il cuore gli batte fortissimo, ma rischia letteralmente di schizzargli fuori dal petto quando avverte la presenza di John nell'appartamento.
Ha il respiro affannoso e non ha notato niente, troppo intento ad accendere la televisione. "Lo hai visto questo?" chiede sconvolto, ma gli muore in gola qualsiasi battuta successiva, perché la siringa è ben visibile sul tappeto e la cintura ancora stretta al suo avambraccio.
La faccia di Moriarty invade il piccolo schermo ed un monocorde "Vi sono mancato?" riempie la stanza, ma tutto appare ovattato. Forse è la droga (stronzate).
Non è un problema tuo, vattene.
Ti prego vattene.
Ma il soldato non accoglie la sua tacita richiesta, non senza avergli prima spiegato cosa vuol dire "far incazzare di brutta maniera un soldato", gli urla addosso, agitato.
Gli estrapola con poca fatica dove sono le altre dosi e mentre ripulisce l'appartamento, trascina la sua poltrona rossa nella vecchia postazione, la giusta posizione.
Quella sera Sherlock origlia la chiamata a Mary (Sherlock, droga, poi ti spiego, ti amo) e l'urgenza di un'altra dose si fa intensa, ma la ignora quando l'amico gli porge una tazza di the.
E' furioso, ma non abbastanza da farlo crepare disidratato.
John non lascia Baker Street per le successive 48 ore, e Sherlock si scopre (segretamente) felice di ciò. 

Quando si sveglia, un leggero senso di torpore lo infastidisce.
Ha dormito più del solito e la luce del mattino filtra dalle persiane che non si ricorda di aver aperto. 
"John?".
Non ottiene alcuna risposta e la tentazione di rimanere lì, nel calore morbido delle coperte (fa freddo, è dicembre in fondo) è forte.
Tuttavia un rumore sommesso (sinistro) lo riscuote e lo costringe ad alzarsi, a lasciare la stanza.
Afferra dal comodino una pistola, una rivoltella elegante che suo fratello gli aveva regalato quando era uscito dal programma di disintossicazione per la prima volta, a vent'anni. Una vita intera fa.
"John?" chiama nuovamente, più forte.
"Sono qui". 
Si avvicina cautamente al salotto (evita la trave cigolante del pavimento), e la scena che scorge non lo sorprende. Non del tutto almeno: è uno dei possibili scenari che Sherlock aveva ipotizzato mentre percorreva scalzo il corridoio.
Jim Moriarty gli sorride. È vestito con un elegante completo blu scuro, ma ai piedi porta sneakers e sulla testa un capellino con visiera, con sopra un'enorme scritta "QUEEN" dorata.
È seduto sulla poltrona (la sua poltrona), una pistola in una mano (puntata su John) ed una sigaretta accesa nell'altra.
"Ciao bello". Gli scocca un occhiolino, ma lo sguardo di Sherlock scorre istantaneamente sul dito vicino al grilletto (che non sta fermo). Moriarty se ne accorge e il ghigno si estende ancora di più, le pupille si dilatano leggermente. 
"Non preoccuparti, non ho il morbo di Parkinson. Mio padre sì, sai? Mio fratello da bambino era convinto che si trattasse di una patologia ereditaria e che, crescendo, non sarebbe riuscito a guidare quei grossi treni che gli piacevano tanto". 
Moriarty non presta molta attenzione a John (la presa sull'arma è ferrea, ma il braccio è molle, la direzione imprecisata) che potrebbe disarmarlo facilmente vista la sua formazione militare. 
Deve esserci dell'altro. Nota il rigonfiamento sotto la camicia dell'amico 0,2 secondi più tardi; una bomba quindi. 
"Sono deluso. Pensavo ti saresti impegnato un po' di più".
"Naaaah. Adoro i vecchi classici. Ogni tanto, solo ogni tanto. Funzionano bene".
Sherlock sente fremere la rivoltella nella sua, di mano, ma non ha alcuna speranza di cavarsela in modo così pulito.
"Come puoi essere vivo".
Più che una domanda è un'affermazione, ma la sostanza non cambia.
Moriarty arriccia le labbra, e poi si abbandona completamente contro lo schienale.
"Oh ti prego no no no no, non parliamo di questo".
Ma è possibile che Mycroft non abbia posto sotto sorveglianza l'intero edificio? Come è riuscito l'uomo ad eluderla?
"Ci sono milioni di argomenti più interessanti!".
"Per esempio?"
"Per esempio Redbeard!". 
Una ferita lontana pulsa, alla pronuncia di quel nome. Come lo conosce?
Mycroft, probabilmente.
Sente la collera bussare alla porta, ma non ha tempo per quello ora, ha bisogno di rimanere lucido.
"Non mi va di parlarne".
Il consulente criminale spegne la sigaretta sul tappeto e si porta pollice ed indice alla radice del naso, come se stesse riflettendo sul da farsi (come una mamma che non ne può più dei capricci del figlio).
Dopo qualche istante si stira annoiato (il corpo si tende scoprendo completamente l'area del petto, ma lui non può sparargli) e si alza in piedi.
"Ok ok facciamo come vuoi tu allora. Parliamo di quello che vuoi tu. Giochiamo a "Come è riuscito Jimmy a sopravvivere?", va bene. Ti darò degli indizi come se fossimo in un vero programma televisivo Sherlock ", si guarda la punta della scarpe compiaciuto, felice della propria idea, "Eccoti il primo "non nel modo in cui hai fatto tu"".
Non è sufficiente, ma Moriarty sembra proprio entusiasta, come se gli avesse donato su un piatto d'argento la soluzione.
"Ti sei sparato in bocca. Mi fido di ciò che ho visto".
"Eppure eccomi qua".
Eppure eccolo lì. 
Lo scruta attentamente, ma niente pare anomalo: nessuna cicatrice visibile, o accenno di una qualsiasi patologia (presa ferma, sguardo lucido, postura corretta). 
Sherlock osserva John di sottecchi, e Moriarty accarezza il grilletto dolcemente, con attenzione.
"Puoi mhhh---" muove l'arma insieme alla mano, prima su di lui poi su John poi di nuovo su di lui e così via "---potete parlare tra di voi. Mi piace quando deduci con il tuo dottorino".
"Non c'è niente da dedurre".
"Secondo indizio allora? Non sei molto bravo in questo gioco Sherl".
Moriarty si tira su una manica, lentamente, accompagnando il gesto con un fischiettio. Ha un paio di buchi profondi sul braccio.
"Droga?" sibila John, ma Sherlock scuote la testa.
"Non avrebbe senso". 
"Odio gli aghi sapete? Preferisco il crack. E sapete cosa preferisco al crack? Il sesso" gli ammicca "sarei curioso delle espressioni che potresti regalare in preda ad un orgasmo. Magari non ti ammazzo".
"Dovrei sentirmi lusingato?". Moriarty carica la pistola mentre si morde un labbro, lezioso.
"Dovresti sbrigarti. Tic-toc Sherlock. E' un gioco a tempo questo. Dai la soluzione".
John chiude gli occhi, consapevole che lui non la conosce, la soluzione.
Lo ha notato dalla maniera spasmodica in cui tenta di guadagnare tempo? 
"Non tremi, non provi dolore, non sei ferito, non ti sei sparato in bocca. O meglio, lo hai fatto, ma non c'era nessun proiettile. Qualcuno (il tuo cane da guardia) ti ha colpito da lontano con una pallottola contenente solo sangue. Te ne hanno prelevato molto, per questo sono ancora visibili i segni" li indica "Non hai avuto bisogno di nessuna maschera, o via di fuga; sei rimasto sul tetto mentre io mi buttavo giù, così sei semplicemente sgusciato via in quel miasma di gente, appena ce n'è stata l'occasione".
Il criminale fa un piccolo "oh" con la bocca e piega la testa di lato, sorridendo. Sherlock percepisce l'adrenalina scorrergli nelle vene e la voglia cieca di picchiarlo a sangue.
John sta trattenendo il fiato, gli occhi fissi su di lui.
"Credi davvero a quello che hai appena detto?"
"Nemmeno ad una parola" risponde Sherlock scollando le spalle "Ma tanto valeva puntare".
Moriarty ride, sguaiatamente, come il cattivo di un cartone animato; si sta divertendo, lo stronzo.
"Ti darò una seconda possibilità Sherlock. Ed un terzo indizio, se farai il bravo".
Potrebbe azzardarsi a sparare, e sperare di disinnescare quella dannata bomba (ma il suo Mind Palace è piuttosto sprovvisto di materia a riguardo).
"Come hai fatto a sopravvivere?"
"Facile. Guardami. Lo sai già. Eppure non lo vedi, vero?". [1]
"Mi fido di ciò che vedo".
"Sherlock scappa" sussurra John all'improvviso, ma lui lo ignora, ovviamente.
Non permetterà che John sconti i suoi errori, non di nuovo.
Moriarty distende le labbra, di fronte all'immobilità del detective. Soddisfatto. 
Fa un mezzo inchino, e lancia via il capello, in modo teatrale.
"Dì la verità, si nota tanto? Pensavo di mettermi una bandana, come i rapper. Potrebbe starmi bene, potrei iniziare a parlare a ritmo".
L'enorme buco nel cranio di Moriarty lo fa arretrare di un passo, più per la sorpresa che per altro.
"Sono morto?" chiede mentre punta l'arma di fronte a se. Ha senso sparare ad un eco della sua memoria, a questo punto?
Spara; una due tre volte.
I proiettili lo trapassano, ma l'altro finge di esserne ferito, buttandosi sulle ginocchia e portandosi le braccia al petto. "Mi hai colpito, che cattivone".
"Sherlock svegliati" dice John "Svegliati ed andrà tutto bene".
Sta morendo davvero quindi. Il piano non è riuscito? La caduta gli è stata fatale e stanno cercando di rianimarlo in qualche modo?
"No no Sherlock, niente del genere. Non siamo mica in un film qui" Moriarty gli si avvicina e gli afferra la mano; sa che non è possibile, ma prova dolore per quella stretta. Non si ritrae, e l'altro si lecca le labbra a pochi centimetri dalla sua faccia.
"Ti aiuto io a dare la soluzione. Apri la manina" sussurra.
Dischiudendo il pugno Sherlock trova un proiettile lungo e appuntito sul suo palmo pallido, il terzo indizio probabilmente. Appartiene ad un Barrett M82, ne ha visti parecchi negli ultimi anni e riconoscerlo è facile.
Un fucile di precisione.
"Non ho mai abbandonato quel tetto, vero? Mi hanno ucciso, lassù" fissa quegli occhi folli, alla ricerca di non sa bene cosa "Hai dato l'ordine".
"Seb non sbaglia mai un colpo, gliene do atto" risponde il criminale; si arrampica sulla sua poltrona e si mordicchia un'unghia, assorto "ma vorresti dedurre per me come sarebbe possibile tutto questo" ed indica la stanza "se il tuo cervello è morto?
No no Sherlock, ti stai sbagliando, che delusione. Avrei dovuto capire che non ci saresti mai arrivato fin dall'inizio.
Ma tic-toc Sherlock, la soluzione è così chiara, vero Johnny-boy?".
Sherlock lancia un'occhiata a John, che è rimasto in piedi, ammutolito, le spalle incurvate e lo sguardo duro.
"Non ti sono mai piaciuti i finali tristi, non è vero? Sei così sentimentale, come può la gente dire che non possiedi un cuore?"
Mi fido di ciò che ho visto.
Come poteva John un mese addietro trovarsi a Baker Street alle quattro di notte se aveva riconsegnato le chiavi a Mrs. Hudson anni prima?
"Scommetto che da piccolo riscrivevi i finali delle favole per non far morire nessuno, vero? Tipo il lupo di cappuccetto rosso che non sbrana la nonna e vivono tutti felici a contenti..."
Come poteva John ignorare i suoi messaggi e non raggiungerlo sulle scene del crimine, apprensivo e curioso com'era?
"...oppure la strega di Biancaneve che spinta dal rimorso sveglia la bella principessa..."
John, il suo John, avrebbe chiamato Mycroft (non Mary, no) dopo averlo sorpreso a drogarsi nuovamente.
"Eri triste Sherlock, eri sconvolto. Così sconvolto che ti sei raccontato una storia migliore della verità". [2]
John chiude gli occhi e interrompe il contatto visivo.
Moriarty canticchia un motivetto sconosciuto (ma familiare) e piroetta per la stanza.
"Guardati intorno Sherlock", la figura si muove ed indica i batuffoli di polvere (nessuno ha mai ripulito) che lo circondano.
La tazza di John è sul tavolino accanto alla poltrona, vuota, sporca "Ci hai sempre bevuto te, qui dentro"; i giornali giacciono di qua e di là, ed i titoli sono un ricordo fastidioso che aveva accantonato (Il ritorno di Sherlock Holmes, il detective coinvolto nello scandalo "Moriarty". Unico sopravvissuto del mitico duo che spopolò il Web").
Cade sulla ginocchia, le mani gli tremano.
Mi fido di ciò che vedo.
"Sei sempre stato solo".
Non avrebbe mai dovuto.
"Sono giorni che non esci di casa Sherlocckkkk" Moriarty striscia le ultime consonanti del suo nome in modo odioso "Credo che tuo fratello verrà a farti una visitina presto. Non è mai stato capace di pensare agli affaracci suoi, vero? Ha un complesso del fratello maggiore che potrebbe far scuola, sinceramente".
Gli gira la testa, o è tutto il resto che non sta fermo?"
"Mi chiedo se farà in tempo".
La figura (irreale quindi) di Moriarty si inginocchia di fronte a lui, euforica; sono alla stessa altezza adesso. Osserva le sue dita sottili avvolgergli il collo e stringere, forte, ma non compie alcun movimento di protesta mentre l'aria gli viene negata.
Solo in quel momento, John (il finto John, quello di cui si era dimenticato) agisce, proprio come un vero soldato: si butta sul criminale, che rilascia la presa sorpreso, e lo blocca a terra.
"Sherlock devi svegliarti adesso".
La risata acuta di Moriarty gli riempie le orecchie ed una paura cieca lo scuote, all'improvviso.
Si alza barcollando (è decisamente la stanza a girare) e tenta di raggiungere la camera da letto; quando perde l'equilibrio si limita a trascinarcisi coi gomiti, con un enorme sforzo.
Camera sua è un guazzabuglio di scatoloni e di vestiti abbandonati a terra; in mezzo a quel miasma c'è lui, se stesso, il vero stesso.
E' nudo ed ha un'espressione stupidissima in faccia.
L'ago della siringa ancora nella vena.
"Sei in overdose Sherlock!" lo rimbecca Moriarty; lo osserva dal basso, ed ha un'espressione trionfante sul volto "Stai per tirare le cuoia. Adorerai essere morto tesoro, nessuno ti rompe mai le palle".
Sherlock allunga la mano verso di se (l'altro se), ma non è abbastanza vicino. Non succederebbe niente nemmeno se riuscisse a sfiorarlo probabilmente, eppure vorrebbe raggiungerlo, vorrebbe vedere se sta piangendo mentre sta morendo in mutande (ricordando John Watson).
John.
John che era morto per colpa sua.
"Tecnicamente è colpa mia, ma fai pure".
John che lo aveva visto suicidarsi, e che si era poi beccato una pallottola in fronte.
"Non deve essere stata una morte piacevole, in effetti".
John che aveva la voce malferma mentre lui recitava un falso addio nel tentativo di proteggerlo.
Inutilmente.
Avverte qualcosa spezzarsi, a quella realizzazione improvvisa.
Tutto inutile, era stato tutto inutile.
"Ti avevo detto che ti avrei bruciato il cuore Sherlock".
Manca il respiro (sta per esalare l'ultimo forse?) quando John preme il grilletto; tre spari sordi squarciano lo spazio e annientano Moriarty (o quel che è), che crolla accanto a lui.
"Di solito la gente non prova niente, non vede niente, prima di morire, ma tu sei Sherlock Holmes e dovevi far eccezione, ovviamente".
Ha un tono dolce, così dolce. Si accovaccia vicino a lui, calciando via il cadavere di Moriarty con espressione schifata.
"Sei proprio eccezionale eh?".
Sherlock capisce subito che se sopravvivrà, se sarà costretto ad andare avanti con la sua vita (a lui andrebbe bene anche rimanere lì), si pentirà per sempre di non aver posto quella domanda, quindi lo fa, semplicemente.
"Esiste qualcosa, di là? Finirò nello stesso posto in cui sei tu?".
Non ha mai creduto in niente del genere lui (è, no, era John, quello fantasioso), ma l'idea di un paradiso dove lui e John possano rincontrarsi lo farebbe star meglio "Puoi anche mentirmi, ma lo capirei subito".
L'amico sorride, mentre gli bacia la fronte.
"Devi proprio svegliarti adesso".


Lo hanno recuperato per un pelo; se avessero ritardato di un solo minuto probabilmente non ce l'avrebbe fatta.
È stata Mrs. Hudson a trovarlo, ovviamente; sempre lei ha chiamato i soccorsi, e poi suo fratello.
Mycroft, il suo personalissimo angelo custode, lo ha raggiunto subito, mollando a metà l'incontro col primo ministro (ma lui non può esserne a conoscenza). Quello che sa per certo è che la situazione doveva apparire tanto disperata da spingerlo a chiamare i loro genitori.
Sono infatti gli occhi di Millicent Holmes i primi che incontra quando è abbastanza cosciente da distinguere la sua figura dal resto: sono piegati dal dolore e della preoccupazione.
"Sherlock...".
C'è anche suo padre, ai piedi del letto, e probabilmente indossa lo stesso sguardo.
Vorrebbe sorridere, trasmettere un (falso) senso di sicurezza, ma non ne trova la forza.
Scopre che non riesce a trovare proprio niente, dentro di lui.
È vuoto. 
Chiude gli occhi e tutto tace.
Si risveglia un inquantificabile ammontare di ore più tardi, ed è solo.
Sta meglio, probabilmente gli hanno somministrato qualche calmante a base di benzodiazepine insieme al solito Naloxone.
Ogni overdose era stata differente (cause diverse), ma la sensazione di straniamento e di nausea del dopo era sempre la stessa. Vorrebbe andarsene, ma non glielo permetteranno; non subito almeno. Mycroft lo obbligherà a seguire un percorso di riabilitazione e si alleerà con suo padre, per costringerlo.
Sua madre non gli concederà appello, anzi, lo pregherà di tornare a stare da loro, per un po'.
Potrebbe accettare.
Londra non è stata clemente con lui (loro), negli ultimi anni. Potrebbe ricominciare con gli esperimenti nella sua vecchia camera, indisturbato (senza poter incolpare Mycroft per eventuali esplosioni, ma ci può lavorare su) ed aiutare suo padre con qualche lavoretto per un po'.
L'idea di quanta pace e tranquillità coloreranno quelle giornate dovrebbe dissuaderlo, ma è stanco, tanto stanco.
La terza volta che apre gli occhi, la città si sta svegliando; sente gli uccellini cantare fuori dalla finestra ed i carrelli della cucina che tintinnano per i corridoi. Ora di colazione (ma non per i drogati).
"Dormito bene, fratello caro?".
Mycroft appare da un punto imprecisato della stanza, ma probabilmente era sempre stato lì, solo che non se n'era accorto.
Non gli risponde nemmeno.
Suo fratello stringe forte il manico dell'ombrello e gli si avvicina, minaccioso.
E' arrabbiato.
"Dovresti smetterla di far preoccupare tutti perché non sei capace di gestire la tua vita Sherlock. Cresci, per cortesia".
Nonostante l'aspetto impeccabile, Sherlock riesce a notare un accenno di occhiaie sul volto di suo fratello, i residui di una merendina a lato della bocca e l'odore nauseabondo di caffé istantaneo. Deve aver vegliato su di lui tutta la notte (costretto dai genitori? Poco probabile).
"Vai a casa Mycroft" soffia sistemandosi sul cuscino.
Non sente niente.
"Mamma e papà insistono nel prendersi cura di te, non sarà facile convincerli a lasciare Londra" e sospira, annoiato, "Vorrebbero tornassi a casa con loro".
"Potrei farlo".
Mycroft non appare stupito, ma Sherlock nota un irrigidimento nella posa.
E' allarmato. Chissà perché poi. Attualmente non può proprio causar danno, stordito com'è da antidolorifici e Naloxone. [3]
"Molto bene" commenta a mo' di saluto, eppure quando è sulla porta si blocca, indeciso. Lo fissa prendere l'agenda mollemente, cercare la pagina designata e voltarsi verso di lui.
"Dimenticavo" (ma quando mai Mycroft Holmes dimentica qualcosa?) "La persona di cui hai richiesto informazioni. Mary Mostran è nata morta nell'ottobre del 1972 ed è sepolta nel cimitero di Chiswick".
E' consapevole che Mycroft si aspetta una reazione, una qualunque reazione a quella notizia, ma lui si limita a rimanere immobile, ad attendere la solitudine in silenzio.
Quando gli viene concessa, ha solo voglia di dormire.
Nota allora, mentre si gira sul fianco, un piccolo flaconcino marrone.
Nozizan.
Contro vomito, deliri ed allucinazioni.
Capiva sempre tutto suo fratello.
 

Gli è permesso lasciare la clinica solo pochi giorni prima di Natale; sua madre lo infila poco gentilmente in un taxi, borbottando verso il conducente l'indirizzo e gli si accoccola accanto, un enorme borsone al suo fianco.
Era stato impossibile prenotare un volo da Londra il 23 dicembre, così Millicent aveva deciso (imposto) la loro presenza al figlio maggiore, che possedeva una quantità di stanze esagerata (dal momento che era sempre solo, soprattutto).
Sherlock ferma il taxi sotto il 221 di Baker Street, ed i suoi genitori si mostrano riluttanti nel farlo andare da solo, ma lui ha bisogno di qualcosa da indossare per i giorni a seguire, del suo violino e di un po' di privacy soprattutto.
Mrs. Hudson lo intercetta all'ingresso e lo abbraccia, mescolando felicità alla sua espressione accigliata.
"Può per favore intrattenere i miei genitori un poco? Credo che tra un attimo scenderanno dal taxi e mi piacerebbe fare la valigia senza ascoltare mia madre cianciare di ordine e pulizia" chiede riluttante.
La donna gli lancia un occhiolino mentre lo supera e Sherlock pensa che non sarà mai abbastanza grato a quella donna di esistere.
Ritornare a casa non fa male. Non proprio.
Tutto è stato spolverato, lustrato e accatastato ordinatamente, c'è ancora un leggero odore di disinfettante nell'aria: suo fratello non si era fatto molti problemi nel ribaltare l'appartamento alla ricerca di cocaina e simili senza riferirgli.
Sarà rimasto deluso nel non aver trovato nulla?
Mentre si dirige in camera nota come l'asse di legno sia stata accuratamente riparata e scolla le spalle.
Sul suo letto una lunga pila di camicie e pantaloni, freschi freschi di lavanderia, troneggiano profumati, insieme ad un orologio, al violino ed a un pacchetto di sigarette.
Lancia tutto distrattamente in un borsone, ripone il violino nella custodia, e da un'ultima occhiata alla stanza, prima di andarsene.
Mrs. Hudson sta ancora amabilmente disquisendo coi suoi genitori quando Sherlock chiude la porta d'ingresso e lancia i bagagli nel retro del taxi.
Congeda tutti con un fermo "Prima devo fare una cosa prima" e blocca un taxi; Mrs. Hudson, che capisce tutto come nessuno, gli è sorprendentemente subito accanto.
E' proprio lei che detta l'indirizzo al tassista e che compra i fiori, dopo, quando giungono alla loro destinazione.
I cimiteri erano sempre piaciuti a Sherlock, ma non per quel che rappresentavano, no; era più per la quiete sinistra dell'ambiente e per le lapidi dalle forme armoniose e tondeggianti.
La lapide di John Hamish Watson, ex soldato in congedo e suo unico amico, è in marmo raffinato, bianco, con una croce stilizzata appena sopra il nome ed un mazzo di fiori bianchi ai suoi piedi. E' lì, è sempre stata lì, ma lui non aveva mai avuto il coraggio di vederla coi suoi occhi.
Mrs. Hudson lo affianca e gli stringe il braccio, senza piangere o proferire parola.
Rimangono così per un po', nel silenzio totalizzante, finché Sherlock non volta le spalle alla lapide e si allontana per richiamare un taxi.
Fa male.
Quanto la vettura accosta apre educatamente la portiera alla sua padrona di casa che si sporge dal finestrino e gli urla di tornare a casa presto prima di sparire dal suo raggio visivo.
Mrs. Hudson è ovviamente ancora la sua padrona di casa, e lo sarà per sempre; Sherlock ha deciso giorni addietro che non abbandonerà Londra, nonostante tutto.

Andrà avanti, certo che andrà avanti, ogni individuo è creato per sopravvivere: un passo alla volta percorrerà quelle strade conosciute e quei vicoli polverosi per proteggere quella città caotica.
Non potrebbe esser altrimenti.
Non lo ha ancora comunicato ai suoi genitori, che faranno sicuramente storie per poi cedere, come sempre; Mycroft probabilmente ne era già consapevole mentre assumeva una squadra di addetti alle pulizie per rimettere in sesto il 221B, prima ancora che lui stesso comprendesse che non c'era altro luogo dove volesse far ritorno.
Molly gli aveva sorriso quando glielo aveva rivelato, pochi giorni prima di essere dimesso dall'ospedale.
"Non avresti sopportato essere altrove. Non tu, non lo Sherlock Holmes che conosco io".
Ma lui non era più quel Sherlock Holmes.
Perché, alla fine, Moriarty c'era riuscito.
Gli aveva bruciato il cuore.

(e le sue ceneri riposavano indisturbate in un piccolo cimitero di Londra).

 

 

 

 

 

-

Io non ho idea di come siano uscite 13 pagine di Word, non scrivevo da così tanto tempo che la foga ha fatto il resto.
Ognuno di noi si è immaginato il ritorno di Sherlock, questa è la mia versione angst. Ho ripreso le battute di Eurus Holmes e le ho infilate nella bocca (bellissima bocca) di Moriarty [1] [2]; ci sono molti riferimenti alla terza e quarta stagione ovviamente, in tanti piccoli punti!
Il Naloxone [3] è un farmaco che si usa in caso di overdose (così Google mi ha rivelato).
Spero vi sia piaciuta, non siate troppo duri, era da tantissimo che non mi avventuravo in una long shot.
Cheers!

   
 
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