Baker
Street Baby
Londra sa essere
caotica, a volte.
John accarezzò quel pensiero dolcemente mentre osservava
quell'agglomerato
pulsante di civiltà dalla finestra del bar. Ne aveva viste
di tutti i colori,
in quegli ultimi sei anni, e niente era bello come l'agitarsi confuso
di una
città che si risveglia.
La cameriera gli portò il caffè, insieme ad un
inaspettato numero di telefono.
John se lo rigirò tra le mani parecchio, prima di alzarsi,
pagare, e recarsi a
lavoro con un sorriso stupidissimo sulla faccia.
Era un bel periodo, di quelli un po' calmi ed un po' monotoni che ci
vogliono, ogni
tanto, per poterli poi rimpiangere quando ti ritrovi ad inseguire un
omicida per
gli anfratti di Londra con Sherlock Holmes al tuo fianco.
Aveva instaurato, senza rendersene conto, una piacevole routine: si
alzava
presto, lasciava Rosie all'asilo, si concedeva un attimo per se in un
bar qualsiasi,
e poi, dopo la mattinata in ambulatorio, passeggiava fino a Baker
Street.
Rosie aveva iniziato a camminare e zompettava ovunque, impavida; la
scuola
materna la entusiasmava e, fortunatamente, le esauriva gran parte
dell'energia,
così farla addormentare era questione di pochi attimi e
tante coccole. Lui,
durante quelle settimana, passava il tempo a dispensare ricette mediche
per la
cura del raffreddore ed a visitare qualche vecchina stanca ed
ipocondriaca.
Sherlock invece, non avendo nessun grosso caso in ballo trascorreva le
sue
giornate ad insultare Lestrade per l'incompetenza di Scotland Yard "di
fronte all'ovvio" ed a condurre
esperimenti che spingevano sempre più spesso John a
disinfettare qualsiasi cosa
gli capitasse in mano.
Una piacevole calma, destinata inevitabilmente a finire, ma che
perdurava
tranquilla nell'indifferenza generale.
Abbandonò quel pezzetto di carta sull'asfalto freddo di
Londra: le cose
andavano bene così, semplicemente.
Non era nel suo destino avere una nuova storia d'amore, non che ne
potessero
esistere di belle, dopo Mary.
Accadde mentre mescolava il the. Era un piccolo rito che John adorava,
il tin-tin del cucchiaino che
abbandona la
tazza e viene dimenticato sul piattino.
Nella
vita ci
sono poche ore più piacevoli dell’ora dedicata
alla cerimonia del tè
pomeridiano, gli
aveva detto sua madre una volta, omettendo
candidamente che la stava platealmente copiando da un famoso scrittore
statunitense, e John aveva decisamente fatto sua quella piccola
filosofia.
Si apprestava a bere il primo sorso di bevanda calda quando la voce del
suo
migliore amico ruppe il silenzio, sicuramente
anomalo a Baker Street.
«Voglio un bambino».
Successe tutto nel giro di qualche secondo: John lasciò
andare la tazza per la
sorpresa, ma la sua personalissima educazione militare, segui
l'istinto e poi pensa, ebbe il sopravvento e la
riafferrò
poco prima di fare un gran casino. La depositò delicato a
terra e poi si girò
meccanicamente verso l'amico, con un'espressione sconvolta degna di
essere
fotografata.
Sherlock Holmes, 39 anni di genialità e tante
altre cose, se ne stava rattrappito come un ragno sulla sua
poltrona, e non
lo degnava del benché minimo sguardo.
«C-cosa?»
«Hai sentito, voglio un bambino. Uno di quei piccoli esseri
viventi che
crescono per nove mesi nel grembo materno e poi...bhe, escono»
«E questa da dove viene fuori?»
«Ci ho pensato, e voglio anche io un bambino, tutto qui.
Credo non mi
dispiaccia il pensiero di un erede che porti avanti il mio cognome ed i
miei
geni. Mycroft non ha la minima intenzione di sposarsi o cose simili,
quindi
credo spetti a me. Sono inoltre convinto che i miei genitori
gradirebbero un
nipotino da viziare, visto che-- John, mi stai ascoltando?».
Ma John lo sentiva appena, immerso nell'immagine tragicomica di
Sherlock alle
prese con un bambino. Non che il detective non si fosse rivelato
sorprendentemente responsabile quando l'influenza aveva steso John,
Molly e
Mrs. Hudson in un colpo solo e si era dovuto occupare interamente di
Rosie (ma non
di lui perché "Sei un medico e sei adulto" begli
amici che ti scegli John Watson, seriamente) per quattro
interi giorni, ma un conto era avere a che fare con un bambino un
centinaio di
ore ed un altro crescerlo finché lui (o lei, ma John non
riusciva ad immaginarselo
se non maschio, riccioli scuri e sorriso affilato) non si sente pronto
ad
abbandonare il nido.
Dio, già se lo vedeva, lunatico come Sherlock ed arrogante
come Mycroft. E
perché no, pazzo come Eurus.
Oh no, lui non poteva sopravvivere anche a quello.
A riscuoterlo dai suoi pensieri fu Sherlock, che ormai aveva smesso di
blaterare
e lo osservava, aspettandosi una qualsiasi reazione. John lo
accontentò con la
più scontata: il panico.
«Sherlock! I bambini hanno bisogno di cure continue, di
attenzioni, di una casa
sicura senza parti del colpo smembrate nel frigorifero...di mangiare in
modo
salutare e dormire un numero considerevole di ore. Un bambino non
è...un
esperimento!» aveva alzato il tono della voce? «Hai
pensato per un attimo alle
conseguenze sul tuo lavoro?».
«Sì, ci ho riflettuto attentamente. Credo potrei
fare una lunga pausa e
concentrarmi sui piccoli casi, quelli meno pericolosi,
finché non sarà
abbastanza grande da cavarsela da solo almeno».
«Sei...serio?», gli venne da ridere. Era lo shock,
probabilmente.
«Ovvio».
«E come vorresti procedere? Come pensi di farlo, un bambino?
Lo vuoi cercare
sotto un cavolo?».
Sherlock lo scrutò appena, per niente impressionato o
offeso. «Non devi
preoccuparti, so benissimo come agire».
«Benissimo! OTTIMO! Tutto risolto allora! POTEVI
PRESENTARMELA ALMENO!».
Sherlock era sul punto di replicare qualcosa, ma vennero interrotti da
una
raggiante Mrs. Hudson, salita per consegnare la posta al suo inquilino
preferito.
«Interrompo qualcosa?»
«No! Si figuri! Solo Sherlock che mi informa del suo futuro
figlio!».
Mrs. Hudson li guardò per un lungo istante prima di
ghignare, soddisfatta. «Oh,
è fantastico! Finalmente avete deciso di fare il grande
passo! Per qualsiasi
cosa, davvero qualsiasi, contate pure su di me! Sono così
eccitata!».
Sherlock si alzò per afferrare un'unica grande busta dalle
mani della padrona
di casa e sparì in cucina, con un sorriso fastidiosissimo
sulla faccia.
«Adotterete un bambino o pensate di procedere in altra
maniera? Ci sono un
sacco di tecniche moderne per queste cose...».
John le si avvicinò esasperato, scuotendo la testa.
«La prego Mrs. Hudson non
lo incoraggi. Ha deciso ieri che vuole un bambino, e Dio solo sa con
chi e per
quale motivo».
«E non ti ha detto niente? Sono decisioni importanti, che
comporteranno tanti
cambiamenti tra di voi. Già essere una coppia è
difficile...». John emise un
lungo flebile sospiro. No, non era il momento per ricordare, ancora di nuovo e per sempre, la sua
eterosessualità, c'erano questioni ben più
urgenti da risolvere.
«Utero in affitto» disse semplicemente Sherlock
sbucando dietro di loro per
sventolargli plichi indistinti di fogli. John capì al volo.
«Dio Sherlock è...tutto sbagliato»
esalò, osservando il profilo di una donna
che il detective gli aveva distrattamente messo in mano. Carina,
anonima, palpabile
madre di un piccolo Holmes.
«Non ti facevo così retrogrado».
John stava per sfoderare la carta "Per
l'amore del cielo ho una sorella lesbica", ma Mrs. Hudson lo
prese in
contropiede, incrociando le braccia. «Non ne capisco molto di
queste cose nuove,
ma sono sicura che lo sentirete vostro chiunque sia il padre
biologico!»
«Non è questo il probl--- Ma solo io mi rendo
conto di come sia assurda questa
situazione? Sherlock Holmes ed un bambino!» scandì
«Quello stesso Sherlock
Holmes che è capace di non mangiare per giorni e che risolve
crimini per
sballarsi. Presente? Si? O è cambiato qualcosa nell'ultimo
mese senza che io me
ne accorgessi?».
Sherlock aveva ripreso ad ignorarlo, troppo immerso nei suoi dannati
fogli, ma
Mrs. Hudson gli diede un'affettuosa pacca sulla spalla.
«E' proprio per questo che ci sei qui tu, caro» gli
disse sorridendo; poi
dileguò in fretta, senza attendere una sua reazione,
lasciandolo tutto da solo
ad affrontare la situazione.
«Sherlock...» tentò invano John.
Niente, nessuna reazione, forse era diventato invisibile e non se n'era
accorto.
«Sherlock ti prego». Questa volta il detective
alzò gli occhi verso di lui,
sembrava seccato. «Sei ancora qui?».
«Non mi muovo finché non mi dici che è
tutto uno scherzo».
«Non lo è John. E ora dovresti andare,
davvero».
«Non ci pensare neanche».
«John. Se vuoi possiamo parlare per ore della questione; tu
elencherai
moltissimi punti a sfavore della mia decisione e io altrettanti per
contraddire
la tua tesi, ma poi io agirò come voglio perché
è così che faccio sempre.
Inoltre vorrei ricordarti che oggi l'asilo di Rosie chiude prima per
permettere
ai bambini di vaccinarsi contro l'influenza e tu arriverai sicuramente
in
ritardo per via dei rallentamenti dovuti alla riasfaltatura della
strada.
Quindi davvero, vai».
John aprì la bocca, ma la richiuse subito per precipitarsi a
fermare un taxi,
che si ingorgò nel traffico dieci minuti più
avanti.
Il tempo di tirare fuori il telefono dalla tasca per chiamare l'asilo
che
quello vibrò.
Domani, 2 pm.
265 Green Lanes
Devo portare dello sperma?
Non è specificato da nessuna parte - SH
John chiuse gli occhi e fermò sul nascere
l'immagine di Sherlock Holmes che
si masturbava.
Decisamente no, non poteva sopravvivere anche a quello.