Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: unannosenzapioggia    07/02/2017    0 recensioni
I am lost for words / The silence burns so much it hurts
[derek hale x female!oc]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
salve lupetti :-)
sì, sono ancora viva, è solo colpa degli esami che non mi danno tempo ne tregua per fermarmi un po' e mettermi a scrivere
comunque, non voglio dilungarmi troppo, anche perchè questo capitolo è super duper lungo (spero di farmi almeno perdonare per la mia infinita assenza con questo), per cui vi lascio qui qualche chiarimento prima di passare al capitolo
  • il capitolo è ambientato due anni dopo la morte di Boyd ed Erica, per cui Emma e Derek hanno rispettivamente 19 e 25 anni
  • è un capitolo pieno di cose mielose e altamente diabetiche, ma è risaputo che questa storia avrà un happy ending perchè Derek Hale è prezioso e si merita solo gioie, per cui spero apprezziate comunque
  • nel caso vogliate immergervi meglio nella lettura vi lascio alcune canzoni che hanno ispirato la scrittura:dust & gold degli Arrows To Athens, let's hurt tonight dei OneRepublic, somebody to die for degli Hurts ered di Taylor Swift; è un capitolo che ho scritto in un arco di tempo molto lungo per cui le emozioni che si susseguono sono diverse e vanno in base anche all'umore che avevo io quando scrivevo
ne approfitto per ringraziarvi per aver letto, recensito e stellinato questa storia: grazie mille, sul serio!
vi ricordo che la storia è aggiornata regolarmente anche su Wattpad (link in bio)

spero di aver detto tutto, in caso abbiate domande non esitate a chiedere!
adesso vi lascio e vi auguro buona lettura!
un bacio,
Giulia

 


CAPITOLO DICIANNOVE: CAN YOU FEEL MY HEART
 
Il desiderio che aveva espresso in occasione del suo diciannovesimo compleanno, festeggiato nemmeno tre mesi prima, si era avverato più velocemente di quanto avesse pensato. Quei due anni, passati lontano da ciò che le aveva restituito un nome, un’identità e le aveva donato una famiglia ed un branco di amici, le erano serviti per fare spazio nella sua vita e capire cosa volesse davvero. I primi mesi erano stati i più duri e, ancora adesso, non ricordava quei tristissimi giorni con piacere: aveva pianto, era rimasta in silenzio ad osservare le gocce di pioggia scorrere pigre sul vetro della finestra della propria camera, oppure si era imbambolata a seguire le ombre degli oggetti che trovava per strada, illuminati dal sole. Quel periodo le era sembrato così lungo, infinito, eterno, che aveva sempre cercato di occupare la mente, di trovare qualcosa da fare pur di non fermarsi a pensare.
Non aveva mai risposto all’ultimo messaggio, arrivato da Beacon Hills: le parole di Isaac ed il suo invito al funerale di Boyd ed Erica ogni tanto le ritornavano in mente, provocandole una sensazione di forte senso di colpa, che però nel corso del tempo era andata attenuandosi, fino a scomparire del tutto. Adesso, passati un paio d’anni, se ripensava ai due amici morti, si sentiva in pace con se stessa. Non perché non gliene importasse niente o si sentisse sollevata per la loro assenza, ma semplicemente aveva imparato a convivere con quella perdita e con la consapevolezza di non essere la responsabile della loro morte. Tutto ciò era successo per opera del piano malsano di un uomo malato, assetato di vendetta, che aveva passato la vita a tramare e progettare qualsiasi tipo di tortura, per soddisfare se stesso e fare giustizia. Era per colpa di Deucalion se i due beta erano morti, era colpa sua se non aveva mai avuto l’occasione di conoscere i suoi veri genitori, se aveva dovuto lasciare Beacon Hills senza guardarsi indietro, se aveva dovuto scappare senza nemmeno lasciare una spiegazione a Derek. Le era mancato tanto in quei due anni, ma alla fine aveva imparato a convivere con la sua assenza: non aspettava più messaggi o telefonate, non collegava a lui canzoni che glielo ricordavano o che avevano ascoltato insieme, non si soffermava più a cercare i suoi occhi o la sua figura tra la gente, non aspettava più che le facesse visita nel bel mezzo della notte, entrando dalla finestra; non si allenava più con lui, non studiava più seduta comodamente sul divano mentre lui girovagava pigramente per il loft. Con il tempo, anche il ricordo di ciò che avevano vissuto insieme aveva cominciato a farsi più sbiadito, ma ciò che aveva sempre continuato a darle sicurezza, a permetterle di vivere la sua vita era stato il suo amore per lui. Nonostante la sua fuga improvvisa, aveva sempre saputo di aver fatto la cosa giusta: Derek aveva bisogno di un nuovo inizio, di essere al sicuro, di qualcuno che non mettesse a rischio la sua vita, di qualcuno che non lo contraddicesse continuamente, di qualcuno che lo amasse.
Lei l’aveva amato, e forse continuava a farlo, ma la sola idea di tornare indietro e pentirsi delle scelte fatte le faceva venire i brividi: era stato il suo primo amore, avrebbe sempre provato qualcosa per lui, ma preferiva saperlo al sicuro e solo, piuttosto che con lei ed in pericolo.
Nonostante questo, il ricordo di Derek, con il tempo, divenne più sopportabile: era piacevole ricordare i bei momenti passati insieme, ma era altrettanto gradevole farsi nuovi amici, uscire con qualche ragazzo senza che la cosa divenisse seria, divertirsi, studiare, tornare alla normalità, tornare a vivere di nuovo.
Emma era felice così, o almeno era quello che aveva sempre creduto in quei due anni.
Fu con questo stato d’animo che, subito dopo il diploma ed in occasione del suo compleanno, decise di tornare a casa dai propri genitori. Suo padre, alla fine, non si era mai trasferito perché non aveva rinunciato alla cattedra fissa di insegnante per tornare ad essere precario ed Emma era contenta per lui, ma le mancavano entrambi terribilmente e, una volta passata la tempesta che irrompeva violentemente nella sua testa, decise che fosse il momento di tornare alle origini.
Scrollò con disinvoltura la testa, ripiombando nella realtà. I suoi occhi fecero velocemente il giro della camera, senza che cercassero effettivamente qualcosa in particolare, per poi fermarsi di nuovo sulla dozzina di fogli appoggiati sulla scrivania. Giocherellò con la matita che aveva tra le mani per poi tornare a concentrarsi sulle parole stampate.
Durante l’ultimo anno di scuola, poco prima del diploma, aveva fatto domanda in alcuni college, senza avere un’idea precisa di dove andare. Adesso che era tornata, non voleva esser costretta di nuovo a partire, ma sapeva che a Beacon Hills nessuno avrebbe mai fondato un’università.
Delle tre domande inviate, aveva ricevuto risposta da parte di una soltanto, ma c’era ancora tempo per decidere e in quel momento, avrebbe solo pensato a godersi le ultime settimane di vacanza, prima di immergersi di nuovo nello studio.
Sbuffò per l’ennesima volta, appoggiando definitivamente la matita sul legno freddo della scrivania e si alzò: il sole tiepido di fine agosto era nascosto da qualche nuvolone scuro, ma nemmeno la pioggia l’avrebbe fermata dal fare una piccola sorpresa a Malia.
Da quando era tornata, circa un paio di giorni prima, non aveva fatto altro che pensare a lei. Sapeva che l’avrebbe trovata diversa, cambiata, ma, nonostante la lontananza, era rimasta l’unica migliore amica che avesse mai avuto in vita sua e aveva davvero voglia di passare un po’ di tempo con lei.
Si alzò, recuperando la borsa, appoggiata sul letto, scese velocemente le scale, afferrando le chiavi dell’auto ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Attraversò il vialetto di fronte a casa sua, salendo in auto e mettendo in moto. Aveva comprato quel mezzo un anno prima, grazie ad un piccolo anticipo donatole da sua nonna, in occasione del suo diciottesimo compleanno e ai soldi che aveva guadagnato lavorando come cameriera in un piccolo e tradizionale ristorante della città, durante i week-end. Non era la migliore auto in circolazione: era piccola, usata, grigia, ma aveva imparato sin da subito a renderla sua, a sentirsi a suo agio ogni volta accendesse il motore e allacciasse la cintura. Alla fine, era riuscita a trasformarla in qualcosa a cui non avrebbe mai rinunciato, un po’ come Stiles e la sua jeep azzurra. Sorrise al ricordo e si immise nella strada principale, diretta verso la casa di Malia.
Il sole stava ormai tramontando, nonostante i suoi ultimi raggi fossero oscurati dalle nubi: qualche goccia di pioggia si lasciò andare dal cielo, ricadendo pigra e solitaria sull’asfalto della strada, bagnandolo nel giro di pochi secondi.
Per qualche minuto, guidò tranquilla, senza alcun pensiero, canticchiando una delle tante canzoni che alla radio piaceva far passare in quell’ultimo periodo. In un secondo momento, lentamente, fu costretta a diminuire la velocità, fino a fermarsi completamente dietro ad una fila immensa di automobili e camion.
Sbuffò sonoramente, controllando l’orologio che portava al polso. Aveva programmato una visita veloce, in quanto avrebbe organizzato una vera e propria serata tra ragazze nel week-end, ma se la sua sosta si fosse prolungata, sarebbe stata costretta a tornare a casa, per arrivare in tempo per cena.
Passarono i minuti e allo stesso modo passò la pioggia: una luce rosata si alzò nel cielo, regalandole un bellissimo tramonto, nonostante le ultime nuvole rimaste continuassero a far capolino, sempre pronte a lasciarsi scappare qualche goccia d’acqua.
Gettò di nuovo un’occhiata all’orologio e si accorse che fosse passata mezz’ora: la sua auto non si era mossa di un millimetro ed ormai stanca di aspettare, decise di scendere per capire cosa stesse succedendo.
Si chiuse lo sportello alle spalle e s’incamminò verso la sorgente di quella fila infinita: quando si accorse di quanto fosse veramente lunga, decise di rinunciare e chiedere a qualcuno nei paraggi.
Si avvicinò ad un SUV grigio opaco, enorme e piuttosto alto, con i vetri oscurati ed il motore acceso. Emma inarcò un sopracciglio chiedendosi quanto male avrebbe fatto all’ambiente circostante e giunse alla conclusione che avrebbe potuto comprare un’auto del genere una persona piena di sé, con un ego smisurato ed altamente ambiziosa: il suo esatto contrario, insomma.
Scrollò le spalle, constatando di nuovo di non aver molto tempo, così si affrettò ad alzare una mano e bussare freneticamente al finestrino.
«Mi scusi» iniziò, ancora prima che questo avesse rivelato del tutto il proprietario dell’auto «Sa mica perché siamo bloccati- Derek?!»
Non poteva credere ai suoi occhi. Non riusciva a credere che Derek Hale fosse davvero seduto in quella specie di marchingegno distruttore dell’atmosfera e la stesse guardando con l’espressione più sorpresa e stupita che avesse mai visto in vita sua.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, senza riuscire a spiccicare parola. Azzardò un sorriso imbarazzato, poi spense il motore e scese dall’auto, appoggiandovisi una volta chiuso lo sportello.
«Emma…» la sua voce tremava lievemente, come se fosse emozionato, come se gli fosse appena accaduta la cosa più bella del mondo, come se la sua vita avesse di nuovo senso, avesse di nuovo recuperato il suo iniziale equilibrio. Si sentì sollevato, leggero, come purtroppo non si sentiva da molto tempo. Non credeva l’avrebbe mai più rivista, o almeno, non così presto «Cosa- Cosa ci fai qui?»
La ragazza sorrise, spostandosi i capelli dalle spalle, cercando di far finta di nulla. Sapeva di non poter fingere con lui: per quanto avesse dissimulato di sentirsi completamente a proprio agio in sua presenza, sapeva che anche l’aspetto più innocuo e piccolo della sua persona, come il battito cardiaco, l’avrebbe comunque tradita.
E Derek infatti se n’era accorto e aveva sorriso al ricordo di tutte quelle volte in cui aveva percepito quello che sentisse, semplicemente guardandola e ascoltandola. Però, aveva notato anche quanto fosse cambiata fisicamente, il che era inevitabile: era più alta, i capelli le scendevano più lunghi e luminosi sulle spalle e aveva il corpo di una donna, ma tornando a soffermarsi sul suo viso, il ragazzo potè constatare che quello non fosse cambiato affatto. Aveva sempre la stessa espressione da bambina, sempre gli stessi occhi grandi, azzurri come il mare e profondi come un dirupo; le stesse labbra piene e perfette per essere baciate ed il nasino all’insù. Erano passati due anni, ma Emma era sempre la stessa.
«Sono tornata» rispose infine la ragazza, catturando di nuovo la sua attenzione.
Sorrise, felice «Davvero? Quando?»
«Pochi giorni fa» riprese «Ho pensato di passare le mie ultime settimane qui prima di partire per il college»
Derek annuì, piacevolmente sollevato nel sentire che entrambe le loro vite stavano prendendo la piega giusta, anche senza la presenza dell’altro.
«Tu invece?» domandò Emma.
«Sempre lo stesso» rispose, alzando le spalle e facendola sorridere «Ho trovato un lavoro, ho imparato a cucinare, a sopportare Stiles-»
«Hai cambiato auto» lo interruppe.
«Ho ancora la camaro» affermò, fiero di se stesso.
«Ne hai due?!»
Derek scoppiò a ridere, come mai aveva fatto prima. Emma pensò che tutto quel tempo avesse fatto bene anche a lui: lo trovava cambiato, ovviamente, ma sembrava felice. E questo la riempiva di gioia, perché la sua fuga improvvisa aveva avuto effetto: entrambi si stavano realizzando in ciò che amavano davvero, senza necessariamente fare affidamento sull’altro.
«Mi avresti mai perdonato se l’avessi venduta?» scherzò.
Emma scosse la testa, nascondendo un sorrisino divertito «No, penso proprio di no»
Derek stava per replicare, quando i motori delle auto davanti a loro si riaccesero uno dietro l’altro: i due ragazzi si guardarono per qualche secondo, entrambi con la voglia di dire qualcosa, senza sapere veramente cosa. Avrebbero avuto così tanti argomenti di cui discutere e tanti aneddoti da raccontarsi, ma il solo guardarsi negli occhi senza potersi sfiorare era una tortura, che reprimeva ogni parola.
«Sarà meglio che vada prima che comincino a lamentarsi» parlò infine, Emma.
L’altro accennò un sorriso imbarazzato senza replicare, ma non appena la ragazza si allontanò di qualche passò, la recuperò, afferrandola per un braccio.
«Sto correndo troppo in fretta, lo so» disse «Ma ti andrebbe di uscire uno di questi giorni?»
La ragazza annuì «Certo»
Il volto di Derek si illuminò ed i suoi occhi verde petrolio si riempirono di gioia «Ti chiamo io: hai sempre lo stesso numero?»
«Sempre lo stesso numero» confermò.
 
Respirò profondamente, cercando di calmarsi. Perché avrebbe dovuto sentirsi nervosa? Quella era la casa di Malia ed era rimasta la stessa: portone color verde petrolio, portico dipinto di bianco e la solita sedia a dondolo nell’angolo più lontano. Ma lei, Emma, era sempre la stessa? Forse no, non lo era più, ma sapeva che il bene che voleva a quella ragazza non se n’era mai andato. Doveva soltanto continuare ad essere se stessa, bussare a quella porta e abbracciare una delle persone che più le erano mancate nei due anni appena passati.
Sospirò un’altra volta, facendosi finalmente coraggio: si sistemò la borsa sulla spalla e si strinse meglio nella giacca di jeans, per poi sollevare la mano e suonare il campanello.
Aspettò una manciata di secondi, in completo silenzio, con il fiato sospeso e la paura che si fosse dimenticata di lei; poi sentì dei passi veloci nell’ingresso ed infine la chiave girare nella toppa della porta.
«Emma?!» fu la prima cosa che riuscì a sentire, perché troppo impegnata a fissare la bellissima ragazza che aveva di fronte. Malia era cresciuta tantissimo, non aveva più diciassette anni e nemmeno quei capelli lunghi e giallastri che le ricadevano lungo le spalle. Adesso avevano un colorito dorato che le incorniciava il viso e faceva risaltare i suoi occhi da cerbiatta, color cioccolato. Era molto più alta di quanto ricordasse, ma l’espressione sorpresa sul suo viso era sempre la stessa «Emma, oddio, Emma! Che ci fai qui?»
La ragazza sorrise «Sono tornata e ho pensato di fare una sorpresa alla mia migliore amica!»
Malia fece un passo verso di lei, saltandole letteralmente addosso. Caddero entrambe per terra, scoppiando in una fragorosa risata e si abbracciarono, cercando di reprimere le lacrime.
«Forza, vieni dentro!» esclamò «Ci sono anche gli altri! Oddio, non riesco a crederci!»
Quelle parole la riempirono di gioia: si ricordava di lei e sembrava davvero felice di vederla. Afferrò la mano che le stava porgendo e lasciò che la trascinasse in casa, senza nemmeno curarsi di chiudere la porta. Si affrettarono, entrando in cucina, dove una dozzina di occhi – che conosceva molto bene – la puntarono curiosi.
«Guardate un po’ chi c’è qui!» esordì Malia, causando il caos generale.
Stiles ed Isaac si alzarono immediatamente, con un’espressione incredula stampata sul volto, andandole incontro per abbracciarla.
«Non posso credere che tu sia qui davvero!» disse Stiles.
«Quando sei tornata? Perché sei tornata? Cioè, voglio dire-» si intromise Isaac.
Emma non faceva altro che sorridere, mentre si godeva il suo momento, incastrata tra i due corpi, ormai massicci e molto più mascolini, dei suoi due amici, incapace di rispondere a qualsiasi domanda.
«Va bene, va bene, calma» esclamò Lydia «Facciamola sedere, così potrà raccontarci tutto»
Malia si mostrò d’accordo con l’amica e aggiunse subito una sedia, permettendo alla ragazza di sistemarsi, sedendosi tra Scott e Kira.
«Sono tornata pochi giorni fa» iniziò Emma «Visto che ho fatto domanda in qualche college della zona, ho pensato di fermarmi qui per un po’ prima di ripartire di nuovo»
«Dove hai spedito le domande?» s’informò Scott.
«All’Università di Sacramento, a quella di Berkeley e a San Francisco»
«Hai già ottenuto risposta?» indagò Stiles.
«Sì, per ora mi hanno preso solo a Sacramento» rispose Emma.
«Davvero?!» esclamò Malia «Anche a me hanno accettato la richiesta lì! Non posso crederci!»
Il gruppo scoppiò a ridere, mentre la ragazza non riusciva a capirne il motivo: forse li aveva divertiti il semplice fatto che fosse così entusiasta del ritorno dell’amica e del fatto che, probabilmente, avrebbero frequentato lo stesso college.
«Voi, invece?» riprese la ragazza «Come va?»
«Sempre la solita routine» rispose Lydia «Ci siamo diplomati, ci stiamo preparando per il futuro» gettò una veloce occhiata a Stiles «Insomma, chi più e chi meno»
«Che intendi dire?»
«Che ancora non ho idea di cosa fare nella vita» rispose atono Stiles, al posto suo.
Emma aggrottò le sopracciglia, sorpresa: aveva sempre pensato che quel ragazzo avrebbe potuto fare grandi cose nella vita. Avrebbe avuto tutte le capacità di lasciare quella piccola città soffocante e studiare qualsiasi cosa volesse o trovare il lavoro dei suoi sogni. Invece era seduto in quella minuscola cucina, a diciannove anni, con un groviglio di idee confuse in testa.
«Mai pensato di lavorare con tuo padre?» azzardò, allora.
Stiles a momenti si strozzò con l’acqua che stava bevendo «Sì, ma non fa per me: ho lasciato volentieri il mio posto a Derek»
Lydia fulminò il ragazzo con un’occhiataccia omicida, mentre Malia gli tirò un calcio talmente forte negli stinchi, che avrebbe ricordato per tutta la vita. Sapevano quanto fosse difficile per Derek parlare di Emma e quanto raramente facesse il suo nome, quindi – a logica – pensarono che fosse lo stesso per lei.
Ma l’intero gruppo si rese ben presto conto che l’espressione della ragazza non era cambiata di un centimetro e che, anzi, l’aver menzionato il nome di Derek non l’avesse sconvolta o irritata nemmeno un po’.
«Aspetta» esclamò Emma sorpresa, cercando di reprimere una risata. Il ragazzo le aveva detto di aver trovato un lavoro, ma non si sarebbe mai aspettata che fosse quello. Agente Derek Hale? Chi l’avrebbe mai detto «E’ un agente? Cioè, un vero agente? Mio dio, mi ha detto di aver trovato un lavoro, ma non credevo che-»
«Ti ha detto?» domandò sconcertata Malia. Aveva quasi spezzato la caviglia a Stiles, pensando di proteggerla da qualsiasi ricordo ed invece, non era servito a nulla.
Emma si massaggiò il collo, lievemente in imbarazzo «Sì… Uhm, noi ci siamo incontrati per caso ieri: io stavo venendo qui ma sono stata per quaranta minuti bloccata in fila e lui era nell’auto davanti alla mia, così…»
«Non posso crederci» parlò Stiles, sconvolto «E come ti è sembrato? Perché, sai, con noi è sempre il solito stronzo»
«Non so…?» si sforzò di pensare bene a cosa fosse accaduto e a quello che si erano detti «Mi è sembrato tranquillo, felice anche, in pace con se stesso» rispose «Mi ha anche chiesto di uscire»
«Cosa?!» esclamò Malia «Dev’essere proprio impazzito»
«No» rispose Lydia, guardando Emma e sorridendole dolcemente, come se avesse capito tutto «Sei tornata a casa ed il suo mondo ha ripreso a girare nel verso giusto»
 
Prendere o non prendere l’ombrello?
Emma guardò quell’antipatico oggetto che teneva tra le mani e lo appoggiò di nuovo a terra, pensando che no, non le sarebbe servito. Odiava la pioggia, soprattutto quando doveva uscire o fare qualcosa di importante: in quel caso, si trattava di entrambe le cose.
Afferrò la giacca di jeans e sperò che le bastasse: l’estate giungeva ormai a termine, ma le temperature ancora non si decidevano a scendere, per cui – nonostante le nuvole pronte a minacciare il cielo azzurro della California – era abbastanza fiduciosa nel fatto che non si sarebbe bagnata e non si sarebbe presa un bel raffreddore.
Si guardò di nuovo allo specchio, piegando la testa da un lato per vedersi da un’altra prospettiva: la gonna di jeans a vita alta le andava un po’ troppo larga e non la fasciava come avrebbe voluto e la maglietta bianca troppo stretta per i suoi gusti. L’unica cosa che avrebbe salvato erano i capelli: le ricadevano leggermente mossi sulle spalle, come sempre, ma quel giorno, non le dispiacevano per niente.
Si guardò ancora per qualche secondo, controllando di non aver applicato troppo trucco e di aver messo i suoi orecchini preferiti, poi alzò le spalle e ritornò alla realtà, recuperando la giacca di jeans e infilandosela una volta per tutte.
Afferrò la borsa, appoggiata per terra, vicino alla porta, ed il suo sguardo tornò di nuovo all’ombrello. Se lo avesse preso, non avrebbe piovuto e le avrebbe dato solo fastidio; se, invece, lo avesse lasciato a casa, sarebbe tornata bagnata fradicia.
Gettò un’occhiata al cielo, proprio fuori dalla finestra, sperando di trovarvi una risposta.
«Al diavolo!» esclamò tra sé e sé, gettando malamente l’oggetto a terra ed uscendo, chiudendosi la porta alle spalle.
Tanto per rimanere coerente alla sua decisione, decise di andare a piedi: il posto che aveva proposto Derek non era poi così lontano e aveva comunque bisogno di fare una passeggiata per schiarire le idee.
Stava avvenendo tutto così velocemente che non si era nemmeno fermata a pensare alle conseguenze delle sue azioni, di quelle azioni. Aveva accettato l’invito di Derek senza nemmeno rifletterci, senza nemmeno pensare a cosa avrebbe portato quell’uscita. Non aveva paura di lui, piuttosto era di se stessa che non si fidava.
Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevano parlato, avevano passato del tempo insieme e se a quel tempo, era sembrato semplice come bere un bicchier d’acqua, adesso sembrava complicato come scalare una montagna.
Non voleva dargli – e non voleva darsi – false speranze, ma sapeva di essere ancora innamorata di lui, e dopo tutto quello che aveva passato, le avrebbe spezzato il cuore sapere che lui fosse andato avanti, dimenticandola. Era vero: le era sembrato molto felice di rivederla, ma questo non significava che fosse ancora innamorato di lei. E se avesse trovato qualcun altro? Se avesse ritrovato la felicità, incontrando un’altra persona?
Per qualche secondo, quel pensiero la perseguitò come l’ombra delle sue gambe che il sole rifletteva sull’asfalto umido: non era quello che aveva sempre desiderato per lui? Che fosse felice senza di lei? E allora perché quel pensiero la rendeva gelosa?
Era inutile chiederselo, la risposta era molto semplice: per quanto avesse cercato di dimenticarlo e per quanto fosse forte la sua convinzione di avercela fatta, ancora amava Derek e, se qualcuno glielo avesse chiesto, lei avrebbe risposto di voler passare il resto della sua vita con lui.
Traendo qualche conclusione, mentre cercava di non finire nelle pozzanghere che si susseguivano sui marciapiedi, capì di dover vivere quella giornata prima di giudicare. Aveva paura, ma si sentiva felice e non poteva non considerare questo secondo aspetto. Non doveva fare niente di che: soltanto sedersi ad un tavolo, in un bar, ed ascoltarlo parlare per un paio d’ore. Soltanto dopo sarebbe stata in grado di giudicare.
Fu con questi pensieri che entrò nel locale dove avrebbe dovuto incontrarsi con Derek. Era davvero lontano dal suo stile: si sarebbe aspettata qualcosa di più triste e tetro ed invece l’iniziale torpore del bar la colpì piacevolmente, mettendola subito a proprio agio.
Il posto era piccolo, quindi era facile vedere immediatamente quante persone fossero sedute ai tavoli: infatti, notò subito la mano di Derek farle cenno di raggiungerlo.
Si sedette di fronte al ragazzo, serio come al suo solito.
«Agente Hale, eh?» esordì Emma, togliendosi la giacca e sorridendo divertita «Chi lo avrebbe mai detto»
«Sì…» rispose imbarazzato, mentre la guardava sistemarsi sulla sedia «E’ stato un fulmine a ciel sereno, ma avevo bisogno di una distrazione che mi tenesse occupato giorno e notte»
La ragazza accennò un sorriso «L’importante è che ti piaccia, no? E’ un po’ strano, a dir la verità, ma è un lavoro che ti si addice!»
«Oh sì, ho sempre sognato di dar la caccia ai criminali!» rispose ironicamente, scoppiando a ridere.
«Da quando fai battute così esplicitamente sarcastiche? Stiles ha fatto davvero un bel lavoro»
Derek stava per replicare con l’ennesima battuta, quando un cameriere si avvicinò al loro tavolo per prendere le ordinazioni. Ripensò per un secondo a quello che aveva detto Emma e si rese conto di quanto fossero cambiate le cose in quei due anni: i rapporti all’interno del suo branco si erano stretti e sviluppati così tanto che adesso non si riusciva più a distinguere chi fosse il leader e chi fossero i suoi seguaci. Erano un semplice gruppo di amici, che si fidavano l’uno dell’altro e a cui piaceva passare del tempo insieme. Forse, per lui, erano fin troppo giovani, ma non li avrebbe sostituiti per nessuna ragione al mondo.
«Per me, un caffè lungo» la voce di Emma lo riportò alla realtà.
Il cameriere le sorrise e poi si rivolse a Derek, colto lievemente di sorpresa perché troppo impegnato a guardare la ragazza «Oh, stessa cosa anche per me, grazie»
«Allora» riprese «Com’è lavorare con il padre di Stiles?»
«Molto meglio di passare interi pomeriggi con il figlio» rispose «Ed è molto più rilassante da quando sa»
«Sa? Cioè, sa che siete licantropi?» chiese sorpresa, abbassando immediatamente il tono della voce.
Derek annuì ed aspettò che il cameriere, comparso all’improvviso, appoggiasse le loro tazze di caffè e se ne andasse una volta per tutte, lasciandoli parlare. Sorseggiò un po’ della bevanda calda, godendosi il battito leggermente accelerato di Emma e gli occhi straboccanti di curiosità. Era sempre la solita.
«E perché lo sa?» riprese la ragazza.
«I gemelli non se ne sono mai andati, ma hanno perso il loro status di Alpha, per via della morte di Deucalion» iniziò Derek, cautamente. Sapeva quanto quell’argomento fosse delicato per entrambi, ma si sentiva comunque abbastanza forte da riuscirne a parlare. Anche Emma sembrava tranquilla, quindi proseguì «Diversamente ha fatto mio zio: se n’è andato come un codardo sconfitto, per poi ritornare qui circa un anno fa»
La ragazza spalancò gli occhi di fronte a quella notizia, mentre una strana sensazione di angoscia mista a paura stava prendendo il sopravvento. Non poteva credere che Peter Hale fosse di nuovo in città, per lo meno non adesso che le cose sembravano sistemate e lei, per prima, era pronta a iniziare un nuovo capitolo della sua vita. Non voleva vivere di nuovo quell’incubo.
«Ho detto qualcosa che non va?» il tono dolce con cui Derek aveva parlato la riportò alla realtà.
Scosse la testa «No… No, è solo che i ragazzi non mi hanno detto niente» parlò «Dove si trova adesso?»
«Sottoterra» la informò tranquillamente il ragazzo, notando comunque la sua espressione interrogativa «L’ho ucciso»
«Tu cosa?!» esclamò la ragazza, quasi strozzandosi con il caffè «Come? Perché?»
«Ti ricordi quando ti dissi che la forma che assumi riflette la persona che sei?» Emma annuì «Lui era capace di trasformarsi completamente in un vero e proprio mostro: per giorni, abbiamo assistito a decine di omicidi, senza capire chi fosse il colpevole. Poi abbiamo capito e l’unico modo per fermarlo era ucciderlo»
«Quindi, adesso…?»
Derek annuì compiaciuto «Sono io l’Alpha adesso, sì»
La ragazza deglutì rumorosamente, rimanendo in silenzio. Era sicura che il lupo seduto di fronte a lei sapesse esattamente cosa stesse pensando e sentendo, ma poteva anche capirlo da sola. Non si sarebbe mai aspettata una notizia del genere. Cosa significava che Derek fosse diventato Alpha? Che fosse più forte o cattivo rispetto ad un normalissimo Beta? Oppure che sapesse trasformarsi completamente in un lupo? Milioni di domande le stavano affollando la mente, ma era sicura soltanto di una cosa: Deucalion ed il suo branco avevano disturbato le sue notti, provocandole incubi terrorizzanti per un anno intero, ma la stessa paura che aveva avuto per loro adesso si era trasformata in pura ammirazione per Derek. Avrebbe dovuto esserne spaventata, ma in realtà si sentiva più a suo agio di quanto avesse creduto.
«Che c’è?» esclamò il ragazzo, riportandola alla realtà. Sorrise malizioso e si avvicinò pericolosamente al suo viso «Paura?»
«Ho affrontato un branco di lupi mannari con istinti omicidi» rispose Emma a tono, avvicinandosi a sua volta «Posso gestire un solo Alpha, tranquillo»
«Ammirevole» ammise il ragazzo, tornado al suo posto. Terminò il caffè e appoggiò la tazza sul tavolo.
«Cretino» scherzò Emma, scuotendo la testa.
«Però, almeno, in tutta questa storia, qualcosa di bello c’è» affermò, guardandola in quei suoi occhi pieni di dubbi e domande. La ragazza rimase in silenzio e aspettò che continuasse «Sei tornata a casa»
 
Avevano parlato per ore, più di quanto entrambi avessero sperato. Gli aneddoti da raccontare non erano mancati: Emma era partita dall’inizio, parlando della nuova scuola, degli amici con cui aveva stretto amicizia, dei ragazzi con cui era uscita – e qui, aveva notato con assoluta soddisfazione, l’espressione irritata e gelosa stampata sul volto di Derek – e della festa che i suoi genitori e sua nonna avevano organizzato per il suo diploma. Dall’altra parte, il ragazzo le aveva raccontato cose che lei già sapeva, ma che le erano mancate terribilmente: le giornate passate ad allenarsi, a trovare un modo per zittire Stiles o convincere Scott ed Isaac a non prendersela giorno e notte con i gemelli; le raccontò di come fossero diventati parte del branco e di quanto fosse stato difficile per lui perdonarli e considerarli parte della famiglia.
Stavano ancora parlando quando ormai a tardi pomeriggio, il proprietario del bar chiese loro gentilmente di andarsene: quel giorno avrebbe chiuso prima per avere la serata libera.
«Sarà meglio andare prima che ci chiudano qua dentro» disse infine Derek, alzandosi.
Emma annuì d’accordo, facendo la stessa cosa: infilarono le giacche e una volta fuori dal locale, si accorsero che stesse piovendo a dirotto.
La ragazza roteò gli occhi, maledicendosi per l’ennesima volta per non aver preso la giusta decisione: non solo non aveva l’ombrello, ma nemmeno l’auto per tornare a casa. Già poteva vedersi sotto le coperte con la febbre a quaranta.
«Dimmi che hai l’ombrello» si lamentò Derek, sgomento di fronte alla potenza con cui stesse cadendo la pioggia.
Emma scosse la testa, ormai rassegnata «Tu, piuttosto, dimmi che hai parcheggiato l’auto qui vicino»
Il ragazzo si voltò lentamente verso di lei, con l’espressione più divertita che lei avesse mai visto: che c’era di così spiritoso in quella situazione? «Sono venuto a piedi»
Non poteva credere a quelle parole: qualsiasi cosa guardasse intorno a sé era bagnata fradicia ed il suo sconcerto aumentò, prendendo il sopravvento, quando si rese conto che ben presto lo sarebbe stata anche lei. Scosse la testa, accennando un sorriso che univa divertimento ed incredulità: si poteva essere così sfortunati? Quel sorriso ben presto divenne una risata fragorosa, che contagiò anche il ragazzo, fino a che si ritrovarono entrambi appoggiati alla parete grigia e umida dell’edificio, piegati in avanti con le mani appoggiate sulle ginocchia, a sbellicarsi fino a non avere più aria nei polmoni.
«Senti» la richiamò Derek, cercando di riprendere fiato dopo qualche minuto. Emma appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi, mentre sentiva i capelli farsi sempre più bagnati «Che ne dici di fare una corsa fino al loft? Possiamo asciugarci e poi ti accompagno a casa»
Non si aspettava una proposta del genere. Era uscita di casa, quel pomeriggio, con un milione di possibili modi in cui quell’appuntamento sarebbe potuto andare, ma non si era immaginata una cosa del genere, una richiesta di quel tipo.
Sapeva che fosse rischioso entrare di nuovo nel loft: era un po’ come rientrare nella tana del lupo. Solo a pensare a tutto ciò che avevano passato e vissuto lì dentro, le venivano i brividi: tutti i ricordi, belli o brutti che fossero, avevano posto lì le loro radici ed erano cresciuti, regalandole il periodo più bello ed intenso della sua vita. Non sapeva nemmeno lei se fosse pronta o meno a rivedere quell’enorme tavolo di legno sotto la finestra o la grande sala verdastra in cui si era allenata, in cui aveva baciato Derek e gli aveva urlato contro di tutto; in cui aveva studiato con Stiles e Lydia discutendo del suo primo bacio; in cui aveva mangiato una pizza, aveva perso il controllo e quasi bruciato Isaac; in cui aveva saputo del rapimento di Boyd ed Erica.
A quel pensiero, chiuse di scatto gli occhi, cercando di eliminare quell’ultima immagine dalla sua mente.
Non poteva tornare a casa a piedi, non poteva chiamare nessuno del branco perché non sapevano che fosse lì e non poteva nemmeno chiedere a suoi genitori di venirla a prendere, per tornare a casa.
Andare al loft era l’unica possibilità che aveva. Non che le dispiacesse, perché passare del tempo con Derek era sempre stata una sua priorità, un modo per ricordarsi quali fossero le cose importanti della vita: quel ragazzo era costantemente una boccata d’aria fresca. Però aveva paura di varcare la soglia della porta e ritrovarsi di fronte a tutti quei demoni ed incubi che aveva cercato di soffocare nei due anni precedenti. Questo la spaventava.
Respirò profondamente, accennando un sorriso «Va bene, andiamo»
 
Tutto era rimasto esattamente come lo ricordava: salirono le scale umide, superando ogni piano del condominio, fino a fermarsi ansimanti di fronte al portone del loft. Derek estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca posteriore dei jeans gocciolanti ed aprì, con le mani che gli tremavano ed il cuore che gli batteva nel petto senza un motivo preciso. Era così strano e surreale avere di nuovo Emma in casa sua: l’ultima volta che era stata lì era stata l’ultima volta che l’aveva vista. Aveva passato così tante nottate sveglio, a fissare il soffitto, sperando che tornasse, che bussasse a quella porta e gli dicesse che sarebbe andato tutto bene. Aveva trascorso le sue giornate immerso nelle scartoffie riguardanti casi di omicidio, nel piccolo abitacolo dell’ufficio che gli era stato assegnato, cercando di non pensare, di concentrarsi su qualcosa di estraneo, che non lo toccava nel profondo, che lo rendeva indifferente ed apatico. Solo così, era riuscito a sopravvivere e a riprendersi completamente.
Entrò spedito, seguito da Emma rimasta in rigoroso silenzio. Poteva sentire il suo cuore esploderle nel petto e, se si fosse concentrato abbastanza, avrebbe potuto udire persino le rotelle del suo cervello girare freneticamente e le domande incastrarsi ai dubbi che offuscavano la sua mente. La conosceva così bene, era un libro così aperto per lui che per un momento ebbe paura. Non sapeva in che direzione avessero ripreso a muoversi, ora che si erano ritrovati, ma era la sua ancora, il suo punto di riferimento, il faro che lo riportava a casa, al sicuro, ogni sera: non poteva perderla di nuovo.
Ripiombò nella realtà, quando sentì la ragazza battere i denti per il troppo freddo: si fermò al centro della stanza, guardandola finalmente negli occhi. Aveva paura di trovarci così tanti brutti ricordi ed incubi, che non riusciva nemmeno a respirare, ma quando incontrò uno sguardo puramente innocente e semplicemente curioso, fu costretto a ricredersi.
«Vado a prenderti degli asciugamani» le disse, avviandosi verso la scala a chiocciola.
Quando si ritrovò da sola, si guardò intorno, costatando che tutto fosse rimasto al proprio posto. Se avesse guardato attentamente, probabilmente avrebbe ritrovato la piegatura che la sua testa aveva lasciato sul cuscino del divano o le zone del pavimento bruciate dalla sua acqua bollente, per colpa della Rusalki. Sembrava che il tempo, in quelle stanze, si fosse fermato, ma avesse ripreso a scorrere nell’instante in cui, erano entrati lì dentro insieme. Era come se la finestra dai vetri ingialliti, il tavolo a cui si era appoggiata, il divano di un colore alquanto discutibile stessero aspettando soltanto loro.
Voltò lo sguardo verso le scale, quando sentì i passi pesanti di Derek scendere dal piano di sopra e avvicinarsi a lei.
«Ecco gli asciugamani» disse lievemente imbarazzato, passandoglieli «Ti ho portato anche qualcosa da mettere che fosse asciutto» abbozzò un sorriso «Torno subito, vado a cambiarmi»
Rimase in silenzio, guardandolo sparire di nuovo nel buio. Scrollò le spalle, appoggiando il tutto sul tavolo. Afferrò l’asciugamano, tamponandosi i capelli – sperava che almeno la smettessero di gocciolare – per poi passare al collo, alle spalle e alle braccia. La maglietta che aveva indosso era completamente bagnata e allo stesso modo le scarpe, che avevano incontrato più pozzanghere lungo la strada che marciapiedi asciutti. Le sfilò, lasciandole vicino alla gamba del tavolo. L’unica che si salvava era la gonna di jeans: era umida, ma poteva andare. Alla fine, l’estate non era ancora finita e, nonostante l’acqua, le temperature continuavano ad essere alte, quindi sarebbe sopravvissuta al raffreddore.
Si sfilò la propria maglietta per indossare quella decisamente familiare del ragazzo. Quando alzò lo sguardo, fu catturata dagli occhi di Derek, che la fissavano attentamente.
«Perché mi guardi così?» chiese, accennando un sorriso.
«Quella maglia…» iniziò, fissandola, immerso nei ricordi. Ripiombò nella realtà ed i suoi occhi verdi incontrarono di nuovo quelli azzurri di Emma «L’ultima volta che l’hai indossata è stato quando mi hai chiesto di fare l’amore con te»
Emma arrossì fino alla punta delle orecchie e, incapace di reggere il suo sguardo, abbassò la testa e per un momento le sue scarpe umide divennero molto più interessanti. Le faceva piacere che ricordasse, ma non poteva uscirsene con una frase del genere in quel momento: troppe cose erano cambiate, loro due per primi, e per quanto lo desiderasse, non credeva che tutto potesse tornare come lo era stato. Per alcuni versi, forse, lo sperava, ma per altri no: quell’anno passato a Beacon Hills era un capitolo chiuso, ma anche Derek Hale? Lo era anche lui?
Scosse la testa, senza tornare a guardarlo: s’incamminò verso il divano, per recuperare la borsa «E’ meglio se mi accompagni a casa»
«Emma, mi dispiace» sbuffò il ragazzo «Avrei dovuto starmene zitto»
Per qualche secondo, sentì i suoi passi seguirla, poi il silenzio. Si era fermato, perché si era reso conto di aver fatto un passo più lungo della gamba, di aver parlato troppo e sbagliato di nuovo. Scrollò le spalle, facendo finta di non averlo sentito, e salì i tre scalini che conducevano al portone. Appoggiò la mano sulla maniglia, pronta ad aprire ed andarsene, ma si fermò.
Chi era lei per dire che Derek avesse osato troppo, avesse commesso l’ennesimo errore? E soprattutto, dopo tutto quello che avevano passato e la sofferenza che avevano vissuto, con che coraggio gli voltava le spalle di nuovo, per scappare un’altra volta, perché troppo spaventata dalle conseguenze? Non sapeva cosa provasse per lui in quel momento, dopo due anni senza vederlo, né sentirlo, ma qualcosa c’era. Era sempre presente quel filo invisibile a tenerli uniti, a non permetter loro di dividersi o perdersi di vista. La loro vita, sin dalla nascita, si era basata su tutta una serie di episodi e circostanze che li avevano portati a ritrovarsi. Capì che, per quanto avesse cercato di scappare, di ignorare i propri sentimenti per lui, sarebbe sempre tornata indietro, avrebbe sempre ritrovato ciò che la faceva sentire veramente viva.
Sospirò, maledicendosi sin da subito per quello che avrebbe fatto, e – senza nemmeno accorgersene – fece dietro front, tornando verso di lui, ponendo velocemente un piede di fronte all’altro, fino a che non fu ad un passo dal suo corpo.
Si guardarono, scrutarono per un tempo che sembrò infinito, come se fossero sconosciuti, come se avessero bisogno di conoscersi e di scavare l’uno nel passato dell’altro. Per la prima volta, Emma riuscì a sentire il battito accelerato del cuore del ragazzo, il suo sguardo confuso ed impaurito; per la prima volta, lo vide incespicare nel buio, lo vide reagire da umano che ammette e riconosce i propri difetti e le proprie insicurezze.
Ma nel momento in cui si allungò verso di lui, avvicinandosi al suo corpo, Derek reagì prontamente, prendendole il viso tra le mani per baciarla. Le loro labbra si incontrarono ed incollarono in un bacio che mozzò il fiato nei polmoni ad entrambi: a nessuno dei due importava, perché era ciò che avevano sperato, sognato, agognato per tutto quel tempo. Era l’unico modo per tornare a respirare di nuovo. Le mani di Emma cercarono il corpo del ragazzo, stringendo i pugni intorno alla maglietta, con la paura che quel momento terminasse troppo presto, fosse solo un sogno da cui non voleva assolutamente svegliarsi. Aveva bisogno di appigliarsi al suo corpo, al suo respiro alterato, a quelle labbra morsicate dolcemente dai suoi denti e alla scarica di adrenalina che percorse improvvisamente il suo corpo come una forte scossa elettrica. Non poteva svegliarsi. Non ora, almeno.
Ripiombò nella realtà, quando sentì le braccia di Derek circondarle i fianchi per sollevarla e metterla seduta sul tavolo. Incastrò il proprio corpo tra le sue gambe, nonostante la gonna stretta, mentre sentiva il respiro caldo e ansimante sulla sua pelle. Si intrufolò al di sotto della sua maglietta – con l’intenzione di togliergliela – mentre le sue labbra scendevano lente lungo il collo di Emma, facendola sorridere. Proprio sul più bello, però, la ragazza lo fermò.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiese con il fiato corto.
Emma abbassò lo sguardo sulle mani del ragazzo appoggiate sulle proprie gambe «Sicuro di volerlo fare?»
Derek aggrottò la fronte dubbioso: per un attimo, un’ondata di panico lo invase, togliendogli il fiato. Stava succedendo tutto così velocemente che non si era nemmeno fermato a pensare che Emma avrebbe potuto avere un fidanzato – qualcun altro da baciare, da amare e che adesso stava tradendo.
«Certo» rispose comunque, impaurito più che mai «Perché?»
Emma sorrise, percorrendo il colletto della maglietta del ragazzo, con un dito «L’ultima volta che ci siamo trovati in questa situazione, ti sei tirato indietro, per cui… Non dobbiamo farlo per forza, lo sai»
Si rilassò immediatamente, accarezzandole una guancia «Avevo paura e non sapevo quello che volevo. Adesso lo so e voglio farlo»
L’aiutò a scendere dalla superficie fredda e ruvida del tavolo, prendendola per mano: s’incamminarono su per le scale ed una volta arrivati in cima, si ritrovarono direttamente in camera di Derek. Quella casa non aveva molte pareti divisorie: tutto era accatastato con senso e precisione, quasi geometrica, in quelle uniche due stanze, una al piano terra e l’altra al piano di sopra.
La mano del ragazzo la tirò verso il letto e lo guardò sedersi, per poi incrociare i suoi occhi che la scrutavano dal basso. La incastrò tra le sue ginocchia, mentre le sue dita raggiunsero impazienti i bottoni della gonna, aprendoli una alla volta: ciò che rimase furono le gambe pallide, ma estremamente invitanti di Emma.
Sorrise, togliendosi la maglietta, per poi accoglierla sulle sue gambe muscolose.
La ragazza sorrise, stringendosi al suo corpo ed avvicinandosi per baciarlo di nuovo: deviò, però, il percorso, appoggiando le labbra sulla sua mascella per poi scendere lentamente lungo il collo e riempirlo di baci.
Sentì il corpo di Derek irrigidirsi sotto al suo tocco, ricordando immediatamente quante volte le avesse espressamente detto di non farlo, in quanto ogni bacio sul collo diventava sempre più difficile da sopportare. Le labbra morbide di Emma lo facevano andare letteralmente fuori di testa, per non parlare dei piccoli morsi che la ragazza prese a lasciargli sulla pelle ruvida per via della barba. L’afferrò per i fianchi, chiudendo gli occhi, cercando di controllarsi. Il semplice ed abituale fatto di essere un licantropo non lo stava per niente aiutando: più Emma lo stuzzicava con la sua innocenza, più era complicato per lui rimanere lucido e razionale, mantenere il controllo senza prendere in mano la situazione ed arrivare immediatamente al dunque. Aveva aspettato e sognato quel momento così tanto, che non poteva lasciarselo scappare: doveva viverlo fino in fondo, doveva goderselo il più possibile.
Si lasciò scappare un lamento e sentì il sorriso di Emma contro la sua pelle sensibile e arrossata dai baci. Sentiva i loro cuori battere veloci ed eccitati eppure l’unica cosa che poteva fare era sorridere come un cretino, perché gli sembrava di avere di nuovo vent’anni e che niente fosse cambiato.
«Emma…» si lamentò, aumentando la presa sui suoi fianchi. La ragazza tornò a guardarlo negli occhi, con un’espressione divertita, stampata sul volto. Alzò un sopracciglio, come se non sapesse cosa stesse succedendo «I morsi no, lo sai-»
La ragazza si avvicinò a lui, accostando le labbra al suo orecchio «Il morso è un dono, Derek Hale»
Si allontanò quel poco da lei per guardarla in faccia «Seriamente? Adesso mi citi?»
Emma scoppiò a ridere, appoggiando la testa contro la sua spalla. Derek sorrise, scuotendo la testa e l’abbracciò.
Voleva che quel momento fosse così: che non fosse troppo imbarazzante o troppo serio, che fosse plasmato su quello che loro stessi erano e sui loro desideri e sentimenti; che fosse un momento felice e scherzoso che avrebbero ricordato per sempre, a prescindere da quello che sarebbe stato il futuro.
«Che c’è?» chiese il ragazzo, sorpreso, quando Emma tornò a guardarlo. L’espressione sul suo viso era seria.
«Voglio vedere gli occhi» rispose, accennando un sorriso.
Derek ricordò di nuovo la prima volta che gli aveva fatto una richiesta del genere. Poteva ancora vedere lo sguardo confuso, impaurito e curioso di una ragazzina di diciassette anni, appena entrata in un mondo che non le apparteneva; poteva sentire ancora il battito impazzito del suo cuore e lo stupore del suo sguardo blu quando le aveva mostrato i segreti di quei due occhi azzurri e brillanti come il mare, quando le aveva raccontato la storia dietro quel colore e quando Emma lo aveva spinto a non aver paura del suo passato.
E adesso, dopo due anni, gli chiedeva la stessa cosa, però tutto era cambiato. Lo sguardo della ragazza era solo pieno di desiderio di conoscere e specchiarsi in un colore che, se fino a poco tempo prima percepiva come un pericolo, adesso era sinonimo di sicurezza.
Fece un respiro profondo, chiudendo gli occhi, per riaprirli qualche secondo dopo e lasciare che la bocca di Emma si aprisse, colma di stupore, di fronte a quel rosso fuoco.
Rosso come la frustrazione, come la rabbia e la gelosia; rosso come la passione, il calore, come la vivacità; rosso come l’innamorarsi e l’aver il cuore spezzato; rosso come l’amore.
«Paura?» le chiese, dolcemente. Avrebbe preferito scherzare e prenderla in giro per come il suo cuore si era letteralmente fermato alla vista dei suoi occhi, ma sentiva di non essere nella giusta posizione. Aveva così voglia di stringerla tra le sue braccia, che non c’era tempo per gli scherzi.
Emma sorrise, scuotendo la testa e lo baciò di nuovo. Derek si spostò lentamente verso il centro del letto, senza interrompere il contatto, capovolgendo le posizioni. Lasciò le labbra della ragazza, per scendere lungo il collo, tempestandola di baci umidi, che le solleticavano la pelle. Una volta arrivato alla cucitura della maglietta, vide Emma afferrarne i lembi per toglierla, ma la fermò.
«Tienila» sussurrò «Vedertela indosso mi fa sentire a casa»
Abbandonò le sue iniziali intenzioni e si preoccupò di aiutarlo a sfilare i jeans, che gettò ai piedi del letto. In un momento, si liberarono di quei pochi abiti rimasti e rabbrividirono quando i loro corpi entrarono in contatto per la prima volta, incastrandosi come due pezzi di un puzzle, che finalmente poteva essere concluso. Era come se avessero trovato le risposte a tutte le domande rimaste in sospeso in quei due anni, come se avessero risolto un cruciverba che fino a qualche secondo prima sembrava infattibile, senza soluzione logica; come se stessero guidando un’auto da corsa su una strada a fondo chiuso, più veloce del vento e più passionale di un peccato; era come conoscere così bene qualcosa di cui in realtà non si sapeva nulla; era come se l’ultimo petalo di una rosa rossa si fosse staccato e quello che non si vedeva o che appariva nascosto, si fosse rivelato in una certezza assoluta e meravigliosa.
C’era qualcosa nella loro unione che era così scontata come il sole che sorge ad Oriente e così vecchia come il tempo, ma che racchiudeva qualcosa di speciale per entrambi. Era quello che avevano sognato in quegli anni: il poter essere felici insieme, la possibilità di aiutare quel filo che, durante gli anni, li aveva uniti e tenuti legati indissolubilmente, anche contro la loro volontà. Consisteva tutto nell’annodarlo ancora di più, nel renderlo più forte, nell’aggiungere pezzi che portassero verso nuove esperienze e sentimenti; nel legarlo ai loro polsi e non lasciare che niente e nessuno lo tagliasse.
Fu in quel preciso istante, quando Derek potè percepire quanto si sentisse bene ad appartenere in tutto e per tutto ad Emma, che capì che ne era valsa la pena.
Tutto quel dolore, tutte quelle perdite, quei litigi, quelle incomprensioni, quelle lacrime ed il male che – anche inconsapevolmente – si erano fatti li avevano portati a quel momento, alla consapevolezza che fossero fatti l’uno per l’altro.
Era una stupida leggenda appartenente al mondo animale a cui il ragazzo non aveva mai creduto. L’aveva sempre ritenuta una cosa stupida, falsa e senza senso, ma quando guardò Emma sdraiata vicino a lui, sotto le lenzuola, con le guance arrossate, gli occhi lucidi e felici, capì che quel mito fosse la semplice e pura verità.
L’aveva sentito. Quell’inspiegabile desiderio di starle vicino, di sapere qualsiasi cosa la riguardasse – bella o brutta che fosse; quella sensazione strana di fiducia, di felicità e meritata giustizia che si insinuava come un torrente in piena nelle sue vene e raggiungeva cuore e cervello; quella consapevolezza di aver trovato la persona giusta in mezzo a milioni di altri esseri umani. Emma era la persona con cui voleva passare il resto della sua vita e questa volta non l’avrebbe lasciata andare tanto facilmente.
Le dita affusolate e pallide di Emma disegnavano dei cerchi immaginari sul petto di Derek. Intorno a loro, regnava il silenzio più assoluto. Non che dispiacesse loro, era sempre stata una loro caratteristica comune quella di non avere via di mezzo tra lo starsene semplicemente in silenzio a guardarsi e l’urlarsi contro fino a perdere la voce.
La pioggia si era finalmente calmata e i nuvoloni neri stavano lasciando spazio ad un pallido sole, ormai sulla via del ritorno a casa. La luna poteva essere vista in lontananza tra un batuffolo biancastro e l’altro, ma ancora era ben lontana dall’essere la padrona del cielo.
«Mi dispiace»
Derek alzò la testa dal cuscino e la guardò. Gli occhi della ragazza erano seri e persi in qualche ricordo lontano. Sembravano tristi e pieni di rammarico «Per cosa?»
«Per essere scappata» rispose, abbassando lo sguardo «Per averti lasciato senza una spiegazione, per aver pensato solo a me stessa e per non essermi nemmeno fatta vedere per il funerale di Boyd ed Erica, ma io… Non ce l’ho fatta» sospirò, deglutendo e rimandando indietro le lacrime «Dovresti odiarmi»
«Sei incredibile» si lamentò Derek, scherzando «Pretendi che io ti odi dopo aver fatto l’amore con te? Hai proprio un bel coraggio»
La ragazza aggrottò le sopracciglia e si allontanò da lui, mettendosi seduta «Non sei arrabbiato? Perché?»
Il ragazzo sospirò «Ammetto che i primi tempi siano stati… Difficili» iniziò «Non è che fossi furioso con te, semplicemente non riuscivo a credere che tu te ne fossi andata veramente, ma poi con il tempo, ho capito perché lo avessi fatto»
«Volevo solo-» lo interruppe Emma «Sei quasi morto per colpa mia, Derek: era il minimo che potessi fare»
«Lo so» affermò lui, intrecciando le proprie dita a quelle della ragazza «Volevi che fossimo entrambi al sicuro e per farlo, avremmo dovuto vivere separati»
Emma alzò gli occhi su di lui, sorridendo divertita. Quella frase racchiudeva i due anni appena passati. Aveva sognato così tanto di tornare a Beacon Hills, che aveva finito per convincersi che forse la decisione di andarsene non era stata la più giusta, ma soprattutto che avrebbe preferito rinunciare a tutta la sicurezza del mondo, pur di non doversi allontanare nemmeno di un passo dal loft del ragazzo. Gli si avvicinò, facendo incontrare le loro labbra in un bacio tranquillo, per poi tornare a guardarlo negli occhi.
«Preferirei mille volte vivere nel pericolo perenne, pur di non dover rinunciare a te»
Derek sorrise «Finalmente, siamo d’accordo su qualcosa» ammise «Ti va una doccia e poi ti porto a casa?»
 
Il piccolo bagno era talmente pregno di vapore che Emma non riusciva nemmeno a vedere i propri piedi. Era avvolta in un accappatoio blu, seduta sul marmo caldo, proprio vicino al lavandino, con le spalle allo specchio. Il ragazzo uscì dalla doccia, avvolgendosi un asciugamano alla vita e afferrandone un altro per passarselo velocemente sul corpo e tra i capelli. Con una mano, Derek spannò lo specchio, permettendo ad entrambi di potersi vedere riflessi su quella superficie luminosa e costellata da una miriade di gocce d’acqua. Si intrufolò tra le gambe della ragazza, senza staccare i propri occhi dai suoi: voleva che quell’immagine e quel momento così felice rimanessero per sempre impressi nella sua mente; che gli occhi azzurri e brillanti di Emma continuassero a splendere per sempre nei suoi ricordi; voleva esser capace di sentire il proprio cuore battergli nel petto per il resto della sua vita; voleva che quel sentimento, quell’emozione, quell’adrenalina gli scorressero nel corpo fino a quando avrebbe avuto respiro. Voleva solo sapere cosa si provasse ad essere felici.
Inclinò lievemente la testa, appoggiando le sue labbra su quelle della ragazza, che ricambiò immediatamente il bacio, intensificando il contatto e appoggiando le proprie mani sui fianchi di Derek, per sentirlo più vicino, più suo. Se avesse saputo che il suo pomeriggio sarebbe andato in quel modo, probabilmente non sarebbe nemmeno uscita di casa. Avrebbe avuto paura di soffrire di nuovo, di doversi illudere di essere davvero felice, e di terrore continuava comunque ad averne, ma in quel momento, tutto sembrava diverso. Erano passati due anni e, con loro, tutti i possibili pericoli: non c’erano più Deucalion e la sua sete di vendetta, non c’era più la Rusalki, non c’erano più gli incubi. Erano sopravvissuti a tutto quella sofferenza e forse, nonostante ignorassero quello che sarebbe stato il loro futuro, si meritavano un po’ di tranquillità.
Emma ripiombò nella realtà, quando il ragazzo interruppe il bacio, all’improvviso, senza una qualche spiegazione precisa. Lo vide fissare un punto di fronte a sé, con gli occhi immobili ed il corpo rigido. Ormai lo conosceva abbastanza da poter capire che avesse percepito qualcosa di strano, qualcosa a cui nemmeno lui sapesse dare una spiegazione. Decise di non intervenire e lasciò che ascoltasse qualsiasi cosa stesse udendo.
Tirò un sospiro di sollievo, quando lo vide rilassarsi e sbuffare, profondamente infastidito. Scosse la testa, massaggiandosi il collo, e alzò gli occhi al cielo.
«Che succede?» chiese quindi la ragazza, tamponandosi i capelli ormai quasi asciutti.
«Mi ero dimenticato di aver invitato i ragazzi qui per cena» rispose «Li ho appena sentiti scendere dalla jeep di Stiles. Se mi dai un secondo, li mando via»
«No» lo fermò Emma «Ho voglia di passare una serata tutti insieme»
«Sicura?»
«Sì, tranquillo»
Derek le sorrise riconoscente, prendendola per mano e aiutandola a rimettersi in piedi.
«E’ bello riaverti nel branco» fu l’ultima cosa che le disse, prima di schioccarle un bacio su una guancia e scendere al piano di sotto per accogliere gli altri.
Il resto del branco entrò nel loft senza aspettare che il padrone di casa aprisse loro la porta. Piombarono all’interno in gruppo, portando una decina di cartoni di pizza ed una voglia matta di fare baldoria fino a tardi.
«Secondo te si accorgeranno che abbiamo…? Insomma hai capito» sussurrò Emma, facendo sorridere Derek, mentre si sedeva vicino a lei sul divano, in attesa che tutti gli altri si mettessero comodi. Alla fine, erano tutti licantropi: si sarebbero accorti anche della polvere invisibile che aleggiava nella stanza, sopra le loro teste e tra i loro corpi.
«Ma no, figurati» rispose lui «Si sono a malapena accorti di te, seduta esageratamente vicino a me»
La ragazza non replicò, ma tornò a guardare gli altri mettersi comodi. Stava per alzarsi per salutare l’intero branco, quando notò gli occhi di Malia e Scott fissarla in modo a dir poco insistente e imbarazzante.
«Avete fatto sesso voi due?» domandò Scott, senza mezze misure.
Nella stanza, calò il silenzio. Qualsiasi cosa gli altri stessero facendo fu interrotta e nel giro di qualche secondo, gli occhi felini di tutto il branco erano puntati sulle due figure imbarazzate sedute sul divano. I due ragazzi si guardarono per qualche secondo cercando di trovare la risposta più giusta a quella domanda, ma tutto ciò che ne risultò furono parole sconnesse ed opposte.
«No, secondo te?!» esclamò Emma, con tono ovvio, arrossendo però fino alla punta delle orecchie.
«Sì, invece» fu la risposta del ragazzo, che marcò volontariamente l’ultima parola.
Scott aggrottò le sopracciglia, senza capire, ma prima ancora che potesse replicare, fu Stiles a prendere in mano la situazione «Allora, sì o no? Vi prego, diteci la verità e passiamo oltre – omettendo i particolari, magari»
Tutto ciò che ottenne fu un ringhio ed un’occhiata rossa come il fuoco da parte di Derek.
«Sì, sì, va bene, l’abbiamo fatto, contenti?» disse Emma «Adesso possiamo andare oltre?»
«Sono davvero felice per voi» le confessò Malia, sorridendole dolcemente, mentre il campanello suonava.
Isaac si avviò ad aprire, lasciando che i gemelli ed un nuovo componente del branco entrassero dentro.
«Scusate il ritardo!» esclamò Ethan «Dovevo fare benzina!»
«Aiden!» esclamò la ragazza, correndo verso di lui e saltandogli letteralmente addosso per abbracciarlo.
«Emma?!» disse lui, sorpreso, ma sfoderando il migliore dei suoi sorrisi «Che ci fai qui?»
«Sai com’è, sono tornata»
«Ne sono felice, mi sei mancata» rispose, poi indicò il nuovo membro «A proposito, lui è Liam»
Si voltarono entrambi verso un ragazzo di circa sedici anni, biondo, con gli occhi chiari ed un viso dolce. Indossava la divisa della squadra di lacrosse e se ne stava in piedi, leggermente dietro ai gemelli, in silenzio, come se avesse paura di dire o fare qualcosa di sbagliato. Ad Emma piacque sin da quel momento: le ricordava tanto lei stessa a sedici anni, prima ancora che conoscesse Derek e le fece talmente tanta tenerezza che per un momento, pensò di abbracciarlo. Non lo fece solo per paura di spaventarlo ulteriormente.
«Ciao, io sono Emma» si presentò, alla fine, stringendogli la mano e costringendolo a guardarla negli occhi.
«Liam, piacere» rispose lui timidamente, incontrando lo sguardo azzurro e magnetico della ragazza, alla quale dovette rinunciare con dispiacere. Quegli occhi lo avevano stregato così tanto nel profondo, nel giro di un secondo, che arrossì fino alla punta delle orecchie, accorgendosi di essersi preso una bella cotta per lei. Era bella, aveva una pelle chiara, diafana e due occhi che facevano invidia al più azzurro dei mari, eppure era assolutamente irraggiungibile.
Emma stava per replicare, con qualche solita domanda di routine, quando sentì un ringhio frustrato alle sue spalle. Lasciò perdere Liam, per tornare da un Derek alquanto irritato e scontroso: l’espressione che aveva dipinto sul volto parlava per lui, ma la cosa peggiore è che lei lo trovasse ancora più carino così.
«Che c’è?» gli chiese, fingendosi infastidita dal suo comportamento. Derek ringhiò di nuovo: sembrava un bambino privato delle caramelle e la ragazza dovette reprimere un sorriso «Allora?»
«Haunacottaperte» borbottò lui, velocemente.
Emma capì, ma decise di divertirsi un po’ «Come scusa? Non ho capito»
«Ha una cotta per te» sussurrò, più lentamente.
«Continuo a non capire» insistette, incrociando le braccia al petto ed irritandolo ancora di più.
«Ha. Una. Cotta. Per Te.» ringhiò Derek a denti stretti, facendola sorridere.
«Sei geloso?» chiese, divertita.
«Da morire» ammise il ragazzo.
Emma gli si avvicinò, circondando i suoi fianchi con le proprie braccia e appoggiando il proprio mento sul suo addome, in modo da poterlo guardare negli occhi «Ha sedici anni, gli passerà» lo consolò «E comunque, io ho una cotta per te, quindi non vedo il problema»
«Una cotta? Solo una cotta?» esclamò, facendo il finto offeso «Io non ho una cotta per te»
«Ah, no?» chiese Emma, aggrottando la fronte.
«Io ti amo» confessò.
Quella era la prima volta che glielo diceva chiaro e tondo, senza filtri e senza ripensamenti: la prima di una lunga serie.


 

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: unannosenzapioggia