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Autore: Juu_Nana    02/06/2009    5 recensioni
- Allora? - Near scorse il volto chiaro di Mello comparire tra i due fogli che aveva aperto, quasi a farne il sipario del suo ennesimo trionfo.
- Dimmi, chi ha preso il voto più alto? -
- Tu, Mello - si costrinse a sputare fuori la povera vittima. - ...come al solito -
***
In un lampo, l’espressione cupa gli si cancellò dal viso, e un sorriso infantile gli si formò rapido in volto. Aveva visto una di quelle poche cose che rendevano la sua esistenza sopportabile. Near prese ad agitare la mano sopra la testa, urlando un saluto.
- Ciao Matt! -
Se Mello avesse il tanto sospirato primo posto, se Near avesse nonostante tutto qualcosa in più.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Matt, Mello, Near
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Salve, gente... dopo tre mesi quasi che ho iniziato questa shot sono finalmente riuscita a finire, che lavoraccio. C'è poco da dire, i personaggi sono un po' OOC (un po' tanto, temo), ma solo perchè cambiando ciò che gli è successo, sono cambiati anche i loro caratteri.
Buona lettura a tutti, fatemi sapere che ne pensate ^^

We're friends. Not Foes.



- Potete ritirare i vostri compiti ragazzi, ve li ho messi in ordine alfabetico. Ci vediamo domani - serio e professionale, l’insegnante di matematica si alzò, prese la giacca appoggiata all’attaccapanni accanto alla porta e uscì compostamente dalla stanza, un attimo prima che una decina di ragazzini di età disparate si alzasse in piedi e corresse eccitata a vedere il proprio voto e quello degli altri.
Tutti tranne uno.
Lui rimase seduto al suo posto, con gli occhi bassi.
“Aspetta solo un po’” si diceva.
“Il tempo che gli altri se ne vadano, cosicché possa vedere il tuo voto in santa pace”
E aspettava, aspettava che quelle testoline colorate si disperdessero e gli lasciassero prendere il suo lavoro con più calma. Ancora un attimo, che Linda se ne tornasse al posto, tutta contenta del proprio 7, ancora un secondo, mentre quelle oche ultime arrivate tornavano a posto senza smettere un secondo di parlare.
Ancora un pochino, per consentire alle mani di torcersi ancora un po’, ancora un secondo prima che quelle dannate gambe smettessero di tremare.
Tutte scuse.
La verità era che non aveva il coraggio di andare. Non aveva la forza morale di andare a vedere se quel dannato + fosse stato messo accanto al suo 10 o se a quello di... di quell’altro.
Era teso, teso e nervoso, lo si vedeva da quei dentini aguzzi incidere il labbro inferiore, sebbene si sforzasse con tutte le forze di rimanere impassibile.
Perché per una volta voleva essere lui, lui ad andare a sventolargli in faccia quel dannato 10+.
Ce l’aveva fatta, almeno quella volta?
Ce l’aveva finalmente fatta?
Dio, doveva trovare il coraggio di andare!
In sé, il fatto che battere il suo voto avrebbe significato diventare il primo della scuola almeno fino al compito successivo, non gli importava granché, anzi per niente.
Ciò a cui lui puntava era non dargli la soddisfazione di poter ogni volta...
SBAM
Il bambino sobbalzò leggermente, vedendo due mani abbattersi con violenza sul suo banco.
Stupito, alzò lentamente il capo fino a incontrare due occhi grandi, sottili, chiarissimi.
- Ehilà - salutò beffardo il loro proprietario.
Forse il tono decisamente troppo allegro, forse la solita baldanza o forse solo la sua presenza di fronte a lui incrinarono considerevolmente la sua fiducia in un buon risultato.
- Come te la passi? Accidenti, sembri sempre così mogio -
Se non fosse stato per quel ghigno che gli andava da un orecchio all’altro e quel tono strafottente e palesemente falso, il bambino avrebbe anche potuto pensare che si stava davvero interessando alla sua salute.
Rassegnato, scostò lo sguardo, sentendo rompere senza la minima pietà quella sottile speranza che custodiva disperatamente nel petto da quasi tre giorni.
- Indovina un po’ pidocchio. Sei secondo di nuovo! - esclamò a questo punto il nuovo arrivato, sbattendogli trionfante a tre centimetri netti dal naso un foglio, infittito da una scrittura ordinata.
A margine, in alto a destra, spiccava un 10, accanto al suo nome scritto in piccolo, Near.
Ebbe a malapena il tempo di scorgere quei quasi inesistenti tratti rossi situati sotto una parola o due, che, accanto alla sua verifica se ne affiancò un'altra, dove invece campeggiava un 10+ cerchiato di rosso. Accanto, scritto a spigolosi caratteri neri, il nome di Mello.
Con rammarico, il piccolo albino dovette riconoscere che tra quelle parole che andavano su e giù tra le righe, non c’era nulla di inesatto, nulla di incompleto.
Al giovane scappò un sospiro mesto e abbassò gli occhi, mentre un senso di amarezza e profonda frustrazione spazzavano via quel poco che restava delle sue speranze infrante, quasi come una mano che scosta dal disegno i resti della cancellatura.
Aveva fallito di nuovo, accidenti.
- Allora? - rialzandoli leggermente, Near scorse il volto chiaro di Mello comparire tra i due fogli che aveva aperto, quasi a farne il sipario del suo ennesimo trionfo.
Al piccolo biondo non sfuggì la sua espressione sconfitta e gongolando malignamente chiese
- Dimmi, chi ha preso il voto più alto? -
- Tu, Mello - si costrinse a sputare fuori la povera vittima.
- ...come al solito -
- Eeesatto! Bravo moccioso - con un ghigno perfido il biondino raccolse i due fogli in un’unica mano e passò un paio di volte l’altra nella ricciuta chioma bianca del compagno, prima di alzarsi in piedi e poggiare i compiti sulla cattedra, in cima alla pila degli altri, già consegnati dai compagni appena usciti in giardino.
- Non ti è andata poi tanto male pidocchio, non fare l’afflitto in questo modo, su - disse, avviandosi poi verso l’uscita in cui erano già spariti tutti.
- Potrai comunque riprovare la prossima volta. Per quanto inutile possa essere - concluse, ficcandosi una mano in tasca e sventolando leggermente l’altra a mo’ di saluto, senza voltarsi.
- Che spudorato - mormorò frustrato Near rimasto solo, passandosi entrambe le mani tra i capelli lanosi, laddove le dita di Mello avevano osato passare rendendoli addirittura più scompigliati del solito.
Ma doveva per forza pavoneggiarsi così quel galletto orgoglioso?
Certo che era davvero di buon umore quel giorno...
Lo aveva chiamato solo “pidocchio” e “moccioso”, era un evento.
Di solito il repertorio comprendeva sempre almeno un “mammoletta” o “nanetto” o roba del genere.
Rinunciando per la millesima volta a comprendere la mente decisamente troppo contorta di quello strano ragazzo, Near si alzò in piedi.
Avrebbe tanto voluto finalmente riceverle lui un + accanto al suo 10, che se anche gli fosse costato il naso, almeno gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere Mello umiliato, anche solo per una volta.
Ma non era mai successo.
I 10+ di Mello ormai non si contavano più.
E se anche al biondino sfuggiva per caso una sbavatura che avrebbe potuto garantire almeno il pareggio, di sicuro quel minuscolo errore lo avrebbe fatto anche lui, insieme a qualche altro errore in più.
Era così da due anni ormai, ma la delusione era forte ogni volta.
Con il morale decisamente sotto i tacchi, Near si diresse a stancamente verso la porta.
Strascicando i piedi, si fermò un attimo a fissare quella ordinata pila di fogli, sul primo dei quali risaltava quel dannato 10+.
Era una bela giornata di metà aprile, un sole caldo illuminava il cielo ed entrava tra gli spiragli delle veneziane abbassate, che avevano in parte protetto gli alunni che studiavano nella stanza per il tempo della lezione.
Alcuni dei raggi filtravano infatti tra le fessure e uno di questi illuminava perfettamente il cumulo, lasciando invece lui nell’ombra.
E quel dannato voto rosso sembrava quasi prendersi gioco di lui.
Colto da un moto di stizza, Near strinse i denti e con un gemito strozzato tirò una manata alle verifiche, facendole cadere e sparpagliare sul pavimento.
L’idea di raccoglierle non lo sfiorò nemmeno.
Andò invece alla finestra, tirò su la veneziana e aprì la finestra scorrevole.
Le urla di gioco che si sentivano già da prima, anche se flebili, si fecero molto più forti quando quella barriera di vetro venne rimossa.
“Al massimo si può incolpare il vento” pensò l’albino senza emozione, buttando l’occhio tra tutti quei bambini lì sotto, decisamente poco gioioso all’idea di raggiungerli.
Avrebbe certamente preferito mettersi a comporre i suoi puzzle bianchi, almeno lo aiutavano a rilassarsi e non pensare al suo spinoso, biondo problema.
Di sicuro poi, lui era in mezzo a quella confusione, e proprio non aveva voglia di subire i suoi scherni e i suoi scherzi di cattivo gusto.
Poi però scorse qualcuno.
In un lampo, l’espressione cupa gli si cancellò dal viso, e un sorriso infantile gli si formò rapido in volto. Aveva visto una di quelle poche cose che rendevano la sua esistenza sopportabile.
Un bambino un po’ più grande, dalla pelle chiara e da folti e arruffati capelli rossi, se ne stava placidamente appollaiato su un grosso ramo tra i più alti di un albero carico di gemme e foglie, con una gamba penzoloni. Gli occhi verdi e attenti, scattavano di qua e di là, seguendo un combattimento virtuale all’ultimo sangue sul piccolo schermo di un game-boy advance sp.
Near prese ad agitare la mano sopra la testa, urlando un saluto.
- Ciao Matt! -
Il ragazzino rosso, alzò un attimo gli occhi dal gioco, per salutare il piccolo albino, prima di invitarlo a raggiungerlo con un ampio gesto della mano, poi si rituffò nel suo mondo.
Near non ci pensò due volte a ritrarsi dalla finestra e a fiondarsi verso il corridoio.
Matt era probabilmente l’unico amico vero che avesse lì dentro.
Non ricordava di preciso da quanto fosse così, lo erano e basta.
Lui lo adorava.
Era sempre così sicuro e spavaldo, travolgente e sorridente.
Non si faceva mai spaventare da niente e spesso riusciva a farlo ridere semplicemente parlandogli del tempo.
Sì, lo adorava.
Giunto all’uscita, si afferrò al bordo della porta per non rallentare e si mise a correre per il corridoio, cercando di arrivare all' uscita il prima possibile.
Aprì velocemente la porta a vetri che dava accesso all’immenso e curato giardino della Wammy House, rimanendo un attimo abbagliato dalla fortissima luce pomeridiana, ma si riscosse subito e ricominciò a correre laddove Matt lo stava aspettando.
- Matt! - chiamò di nuovo il suo nome quando riuscì a scorgerlo mentre scendeva dall’albero dov’era accoccolato prima, la console portatile stretta tra i denti per avere le mani libere.
Gli rivolse un’occhiata con quegli occhi smeraldini, prima di sorridergli e lasciarsi cadere a terra, per poi prendere il game boy e infilarlo nella tasca posteriore dei pantaloni.
- Ehilà Near, come va? - chiese tranquillo muovendo pochi passi verso di lui mentre l’albino si fermava e prendeva a respirare pesantemente, con un sorriso in faccia.
Sorriso che si attenuò vistosamente ricordando l’episodio di poco prima.
- È successo qualcosa? - chiese il rosso con un tono sfumato di preoccupazione alla vista della reazione di Near.
- Nulla... Nulla di grave - mormorò impacciato l’altro bambino, non riuscendo più a fissare negli occhi l’amico. Matt parve riflettere un attimo.
- Ti ha battuto di nuovo, il vermiciattolo, vero? -
Il bambino bianco incassò la testa nelle spalle, sentendosi scoperto.
- Sì, mi dispiace tanto - sussurrò abbattuto strisciando per terra uno dei piedini nudi.
- Ti avevo promesso che in questo compito avrei preso un voto più alto del suo -
Ma non fu una frase irritata o delusa quella che lo raggiunse, ma solo una risata divertita.
Near lo fissò basito con quegli occhioni neri sfumati di verde, mentre Matt continuava a ridere come se avesse raccontato chissà quale divertentissima barzelletta.
- Ma per cosa ti dispiaci, cretino? Dovrei essere io a dispiacermi per te che ti è andata male, piuttosto -
Un pallido sorrisino imbarazzato comparve sul faccino infantile del bambino bianco.
- E dimmi, quanto hai preso meno di lui, scusa? - chiese il rosso quando si fu calmato.
- Beh, lui ha preso 10+, io quel più non sono riuscito ad averlo - rispose l’altro, con tono più sereno, come se quella marginale differenza tra i voti che fino a quel momento gli era parsa un abisso all’improvviso si fosse ridotta a poco meno di un gradino.
- E allora di cosa ti lamenti? Io normalmente se prendo 8 mi va bene - ridacchiò Matt intrecciando le mani dietro la nuca per poi girarsi e avviarsi verso un’altra area del giardino.
Near gli trotterellerò dietro, sentendosi più leggero.
Matt riusciva sempre a semplificare qualunque cosa, rendeva quei problemi che a lui parevano insormontabili niente più che stupidate su cui ridere sopra.
E poi era sveglio e intelligente. Diceva sempre che il 7 gli bastava, e che l’8 andava preso solo una volta ogni tanto. Ma tutti, dagli studenti agli insegnanti affermavano che avrebbe anche potuto prendere costantemente 9, e senza nemmeno sforzarsi troppo.
Ma al rosso non importava eccellere, diceva che prendendo sempre voti alti alla fine avrebbe perso il gusto nel prenderli e sarebbero diventati solo abitudine. L’albino si era ripromesso di fare anche lui così, una volta battuto Mello almeno una volta.
E li avrebbero messi assieme nella terza classe, dove studiavano quelli che come Matt non riuscivano a mantenere l’8 stabile.
Sarebbe stato perfetto.

***

Si accoccolarono all’ombra di un ombroso pioppo, nella fetta di giardino dietro la Wammy’s House, dove giocava a calcio un nutrito gruppo di ragazzi. Una volta sistemati per bene, con le schiene contro il tronco di quell’albero decennale, Matt iniziò a raccontare di come in classe fosse riuscito a bersagliare per tutta l’ora l’insegnante di psicologia criminale con una cerbottana artigianale e palline di carta, il tutto senza farsi beccare, tra le risate generali ogni volta che l’insegnante di mezza età faceva scattare la testa di qua e di là in cerca del colpevole ogni volta che un proiettile lo raggiungeva sulla nuca.
Lo raccontò con una tale enfasi che alla fine del racconto Near stava piangendo dal ridere tenendosi la pancia senza riuscire a fermarsi.
- Domani conto di riuscire a farlo anche con quella farlocca della prof di informa... -
Near interruppe di colpo la crisi di ilarità, una volta scorto il motivo della pausa dell’amico.
A torreggiare su di loro con un’aria pensierosa c’era infatti Mello, a piedi scalzi come al solito e con un pallone da calcio sotto il braccio.
L’albino fiutò subito un guaio in arrivo.
Quando il biondo aveva quell’espressione, o stava meditando sul picchiare o no qualcuno, su quale scherzo giocare o... se stava per pretendere qualcosa. Era solo da vedere di quale delle tre opzioni si trattava quella volta.
- Ehi tu - disse con tono perentorio rivolto a Matt che lo stava fissando storto.
- Ho sentito che a calcio non fai tanto schifo. Vieni a giocare e sostituisci quella schiappa che mi ritrovo per centrocampista - ordinò, indicando un ragazzino alto e smunto con gli occhiali che sembrò quasi venire trafitto da quel dito, dalla faccia che fece.
Near spostò lo sguardo, da Mello all’amico, con un’occhiata incerta.
Se fosse andato lui sarebbe rimasto solo, ma se non avesse obbedito il biondo sarebbe stato tranquillamente capace di riempirlo di botte.
L’irlandese incrociò un attimo gli occhi dell’albino, ma l’occhiata che Near vi lesse non gli piacque per niente, anzi aumentò la sua inquietudine.
- Non ci tengo affatto a giocare a calcio in questo momento, grazie - rispose sottolineando l’ultima parola con un certo sarcasmo.
Il biondo non lo colse, o più probabilmente fece finta di non coglierlo.
- Dai, cammina. Non mi dirai mica che preferisci rimanere qui ad ammuffire con questa ameba - ribattè, con un tono così canzonatorio che Near si sentì avvampare.
- Quello che penso o faccio non ti riguarda minimamente, e comunque sì, preferisco decisamente passare il mio tempo a parlare con Near, non ameba come lo hai chiamato tu, piuttosto che correre dietro a un pallone con questo caldo assieme un fighetto spaccone come te -
Cadde un silenzio gelido su chiunque avesse sentito le parole di Matt, alcuni si alzarono in piedi e preferirono affrettarsi ad andarsene.
Near vide Mello irrigidirsi, vide la mano libera stringersi a pugno e i suoi occhi di ghiaccio bruciare di rabbia. Aveva un pressante desiderio di afferrare l’amico e di trascinarselo dietro correndo a rotta di collo, ma rimase impalato al suo posto, irrigidito dalla paura.
- Come mi hai chiamato? - sibilò il biondo, furente.
- Hai sentito benissimo - soffiò Matt con lo stesso tono minaccioso, alzandosi lentamente in piedi.
Il tedesco lasciò cadere la palla che ancora reggeva e la allontanò con un calcio ben piazzato.
- Ti  concedo cinque secondi per metterti a correre - scandì con tono terribile, iniziando a far scroccare le nocche.
Non ebbe però praticamente il tempo di finire.
Un pugno lo raggiunse sul naso prima che se ne rendesse conto, facendolo barcollare indietro di qualche passo.
- Risparmiati la cerimonia, galletto - lo stuzzicò Matt ritirando il braccio con cui lo aveva colpito.
Mello lo fissò con gli occhi che saettavano lampi per un secondo scarso prima di avventarsi addosso all’avversario con un ruggito rabbioso.
Al bambino bianco, inchiodato al suo posto sotto l’albero, la scena parve svolgersi al rallentatore, Matt che cadeva, travolto, che sbatteva per terra con un gemito strozzato e poi il pugno del biondo che lo aveva raggiunto in pieno viso, facendo volare gli occhiali da aviatore che portava sulla fronte.
Poi un altro colpo e un altro, mentre l’amico cercava di liberarsi spingendo via Mello con la mano che questi non riusciva a bloccargli.
Riuscì a tirargli un calcio in mezzo agli inguini e il tedesco urlò, un secondo prima di ricevere un altro colpo e venire definitivamente respinto. Un secondo dopo, la situazione era invertita e fu del biondo la posizione di svantaggio.
Una piccola folla di spettatori si raccolse ben presto intorno ai due combattenti, incitando ora questo, ora quello, in base a chi sembrava stesse vincendo.
Appena era riuscito a riprendersi dal suo torpore, Near si era rialzato e si era affrettato a raccogliere gli occhialoni dell’amico, che ora stringeva in mano.
Avrebbe voluto potergli dare una mano, era lampante che non avrebbe retto a lungo contro un avversario come Mello, ma aveva paura di essergli solamente un intralcio, vista la sua poca dimestichezza nel menare le mani e della furia selvaggia del nemico, rabbioso per il tono e le parole strafottenti con cui quel microbo aveva osato rivolgersi a lui. Si odiò una volta in più per questo.
- Allora, pidocchio... ne hai avute abbastanza? - chiese di lì a poco il giovane tedesco passando il dorso di una mano sulla bocca, a cancellare il sangue che era colato dal naso e dalle labbra.
Matt era crollato a terra, dolorante, con la faccia gonfia e senza più avere nemmeno la forza di respirare senza che gli facesse male qualcosa. Trovò comunque la forza di sollevare stoicamente la testa e mormorare
- Non mi hai fatto nemmeno il solletico -
La bocca gli venne chiusa da un pesante destro dritto sui denti.
- Ma davvero? - lo apostrofò Mello risollevandosi in piedi, con il fiato pesante. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quel tipo era forte. Era da un pezzo che ci voleva tanto a finire una scazzottata.
- Allora suppongo non ti dia troppo fastidio se ti faccio ancora un po’ di solletico, no? - e accompagnò la frase con un pesante calcio sullo stomaco, facendo urlare di dolore la vittima.
Fu allora che Near non ci aveva visto più e si era staccato dalla folla urlando e aveva a malapena dato il tempo al biondo di voltare sorpreso gli occhi prima di travolgerlo con una potente spallata, che lo mandò lungo disteso per terra.
Sbigottito, Mello aveva rialzato la testa, aveva fissato quegli occhi brillanti di determinata furia di Near, con i pugni levati e le gambe divaricate tra lui e l’amico e Matt, disteso poco più indietro, che lo fissava con odio.
E trovò in quella scena un qualcosa di estremamente, incredibilmente sbagliato.
Vide tutto fuori posto, sentì che non era così che doveva essere.
E percepì un risucchio a livello dello stomaco, la sensazione di venire catapultati al di là dello spazio e del tempo.

***

- Che?!!-
Con uno scatto, Mello si levò a sedere di soprassalto, strappato brutalmente al suo sonno.
Dimenticandosi completamente di quella mensola dannatamente troppo bassa su cui tutte le volte...
- Ahio! -
... finiva con sbattere contro.
Il biondino prese a massaggiare freneticamente la tempia sinistra, mentre due lacrimucce di dolore spuntavano a lato degli occhi.
Confuso e frastornato, girò la testa di qua e di là, realizzando che era in un letto, il letto che si era portato dall’appartamento dove viveva a New York, lo stesso letto in cui si era addormentato la sera prima.
Tutti i tasselli della sua mente agitata si riassemblarono e tornarono al loro posto, man mano che il silenzio notturno gli penetrava nelle orecchie ed egli tornava alla realtà.
- Era solo un sogno? - si chiese, quasi non riuscendo a credere che fosse tornato tutto alla normalità.
“Un incubo” si corresse un momento dopo, mentre quella stanza gli appariva all’improvviso così fredda, vuota e muta.
Scostò con un gesto le coperte già spiegazzate dai e poggiò i piedi nudi sul pavimento di legno.
Rischiando di inciampare un paio di volte nei pantaloni di un pigiama troppo lungo, si diresse verso la porta della stanza guidato da un fascio di luna lunare che inondava la stanza, per poi aprirla e dirigersi quatto quatto lungo il corridoio buio, con la carta da parati scrostata e sporca.
“Uno, due, tre...”
Mello contava, passando davanti a decine di porte scure, talvolta smangiate dai tarli, talvolta senza maniglia, talvolta completamente divelte.
Alloggiavano impunemente in quella fabbrica di giocattoli abbandonata da quasi una settimana, ed era stato decisamente uno dei posti migliori in cui erano capitati.
Era bastato introdurre i due letti e poche cose e voilà, ecco pronto il loro rifugio temporaneo.
Ma perché quel citrullo aveva dovuto proprio scegliersi una stanza così lontana?
“E diciassette” si disse il biondino, giungendo finalmente a destinazione.
Non bussò, non chiese se poteva entrare, semplicemente spalancò la porta e si diresse senza indugiare verso quel letto dove serenamente, saporitamente ronfava placido un ragazzo più o meno suo coetaneo, assolutamente ignaro dell’attentato senza pietà ai suoi sogni che sarebbe avvenuto di lì a pochi istanti.
- Matt! -
La luce posta sul comodino si accese praticamente in faccia al malcapitato che vide il suo mondo onirico sbriciolarsi sotto i toni di una voce troppo alta per le quattro del mattino e che aprì gli occhi decisamente di malavoglia, mettendo a fuoco la faccia agitata del suo capo indiscusso.
- Mello...? Cosa... cosa succede? Un incendio? Un terremoto? In realtà Roger ha un gemello malvagio che sta cercando di ucciderci? - mormorò il rosso con la voce impastata dal sonno.
- Ma cosa vai blaterando?! Non crederai mai cosa ho sognato poco fa! -
- ... un’invasione di cavallette radioattive? -
- Sta zitto e ascoltami! -

***

- Poi mi sono risvegliato nel mio letto, e mi sono ehm... schiantato di nuovo contro la mensola -
Concluse Mello, passandosi la mano sul punto colpito, che ancora gli faceva un po’ male.
Matt, che per ascoltare il racconto si era seduto sul letto a gambe incrociate e che aveva ascoltato con gli occhi socchiusi per tutto il tempo, chiaro segnale che avrebbe volentieri rimandato il tutto di qualche ora, accolse il finale con un misto tra sollievo e delusione.
- E io che speravo ti fosse apparso in sogno il modo di finire Devil May Cry V...(*) - sospirò grattandosi la testa.
- È tutto quello che hai da dire?! Ti ho sognato che eri tutto pappa e ciccia con il nanetto e tu mi vieni a tirare fuori i videogiochi! - si lagnò Mello, che si era invece seduto su uno dei sostegni del letto.
- Beh, il mio cuore di giocatore piange sapendo una così valida promessa come te buttare via il suo cervello dietro a casi da investigatore privato... Ahia! - l’ultima esclamazione fu dovuta al sonoro pugno che l’amico gli aveva inferto sulla nuca.
- Tu non capisci! Io ero finalmente il primo eppure andava tutto da schifo lo stesso! -
- Io capisco solo che sono le quattro e mezzo del mattino e sei venuto nella mia stanza a piagnucolare come quando avevi undici anni - rispose Matt massaggiandosi il piccolo bernoccolo che era spuntato.
- Dodici, prego -
- ... vantatene, mi raccomando -
- Non è questo il punto! - strepitò Mello, irritato più che mai dall’apatico comportamento del rosso, sporgendosi per afferrarlo per il bavero del pigiama verde bottiglia e portarselo vicino alla faccia.
- Datti una controllata Mello, che le fungirl si mettono in testa strane idee... - protestò leggermente Matt, comunque imperturbabile.
- La pianti di ignorarmi così?! - gli ringhiò contro quello. L’altro alzò un attimo gli occhi al cielo, prima di afferrare i polsi del biondo e liberarsi gentilmente dalla stretta.
- Non è da te farsi atterrire in questo modo da immagini oniriche prodotte dal nostro cervello provocate da nostri pensieri o paure - filosofeggiò, afferrando Mello per le spalle e costringendolo ad alzarsi dal suo letto.
- Ma non era una paura quella! Avevo finalmente realizzato il sogno di essere primo! Solo che tu non eri il mio braccio destro e io ero uno spocchioso mocciosetto! - protestò il più grande, mentre veniva suo malgrado trascinato galantemente verso l’uscita.
- Dunque, io problemi non ne vedo, hai solo bisogno di pensarci su, convincerti che non era reale e che non era assolutamente niente - frattanto erano arrivati alla porta.
- Ma... - e qui Matt spalancò la porta - ...lo farai da solo e non porterai via altro tempo prezioso al mio meritato sonno -
Poi Mello si vede spinto fuori dalla stanza un istante prima che la porta si chiudesse e che la serratura scattasse.
- Buonanotte - sentì dire dall’amico.
-...Matt? Matt! Apri la porta! -
L’altro non si degnò nemmeno di rispondere, Mello sentì solo passi, frusciare di coperte e poi silenzio.
- Apri, dannato! Non puoi liquidarmi così! - strillò afferrando la maniglia e girandola due, tre volte, senza ovviamente il minimo risultato.
- Matt! - tirò un pugno alla porta, ottenendo come unico risultato un dolore tremendo alla mano.
Iniziò a realizzare il perché il rosso aveva scelto quella stanza... doveva avere una porta resistente.
- Facciamo i conti domattina! - si arrese, prima di girare i tacchi e prendere a camminare verso camera sua.
Non capiva perché era andato nella stanza dell’altro ragazzo.
Non riusciva proprio a capire perché quel dannato sogno lo perseguitasse così.
Vedere davanti agli occhi il suo migliore amico sfidarlo apertamente e venire riempito di pugni da lui stesso cercando di salvare il rivale di sempre gli era rimasta vivida in testa.
Anzi, mentre i passi dei suoi piedi ormai ghiacciati si sentivano per il corridoio vuoto, iniziava a pensare che prima di tutto quell’immagine gli aveva messo addosso un fastidio incredibile.
Perché Matt era... era suo.
No, così suona ambiguo...
Era una sua proprietà.
Suona ambiguo lo stesso, ma già meglio...
Quel maniaco dei videogames era esclusivamente il suo braccio destro, di nessun altro.
Era Mello che salvava Matt da altri che lo picchiavo.
Matt non correva il rischio di ricevere un occhio viola da Mello.
Non esisteva.
Mello era amico di Matt.
Matt era amico di Mello.
Non di Near.
Nossignore.
Quindi, era andato a cercarlo raggiungendolo in camera sua solo per sincerarsi che fosse effettivamente con lui, che lo stava aiutando come poteva a portare avanti quella battaglia mortale, che non lo aveva lasciato solo.
Però alla fine quell’altro aveva anche ragione, non poteva farsi inquietare così da visione dettate dal subconscio.
Fu dandosi dello stupido che tornò da dov’era venuto, grattandosi leggermente dietro l’orecchio mentre apriva la porta.
“È stato solo un sogno” si disse il biondo coricandosi.
“No, un incubo”  pian piano le sue palpebre si abbassarono, ricordandogli che Matt non aveva avuto tutti i torti a cacciarlo via.
“L’incubo peggiore che abbia mai fatto”
Perché quel ragazzo pallido dai capelli rossi era alla fine l’unica certezza che aveva.
Perché quella dannata vita si era prodigata a donargli cose preziose solo per divertirsi a togliergliele.
Gli aveva dato dei genitori, per poi lasciarlo orfano per la strada.
Gli aveva dato una casa, facendogli poi capire che in realtà era una prigione.
Lo aveva fatto eccellere, solo per potersi svagare a mettere uno gnomo albino dritto sulla sua strada.
E grazie a quel maledetto gli era stato strappato via quel poco che ormai gli rimaneva: l’orgoglio, la fiducia in se stesso, il suo primo posto nella scala sociale.
Ma lui no.
Matt non gli lo aveva portato via questa, dannata esistenza, destino o comunque lo si volesse chiamare.
Non glielo aveva permesso.
E non lo avrebbe mai fatto.
Mai.
Questa era l’unica certezza che aveva.



*Non è ancora uscito il V purtroppo, ho solo ipotizzato che per il 2010 ci sia.
  
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