Be careful making wishes in the dark
~ Can’t be sure when they hit
their mark ~
06. I don't wanna break these chains
Da quando aveva felicemente – per lui, un po’ meno
per il padre – lasciato l’Accademia Militare ed era
ufficialmente ritornato al liceo, Kentin si era trovato coinvolto quasi
ogni giorno in diverse attività, a volte anche abbastanza
originali. Ce n’era per tutti i gusti e, per fortuna, non ci
si annoiava mai… Poteva dire di averne vissute di ogni e il
peggio era stato finire tra i boccoli biondi e le labbra venefiche di
chi non avrebbe mai immaginato; ma quello rientrava come un fuori onda
durante le riprese del programma di punta, un taglio eliminato senza
neanche passare dal cestino.
Non si era perciò scomposto alla notizia della presenza a
scuola di un certo Dake, nipote del professore Boris. Muscolatura,
abbronzatura e tatuaggi a parte, era stato piuttosto semplice
inquadrarlo, tanto più che Rosalya gli aveva dato il
benvenuto storcendo il naso e commentando acidamente su quanto avessero
sentito la sua mancanza… Quasi quasi iniziava a piacergli
Castiel, soprattutto quando gli fu chiaro come andasse dietro a tutte,
a lei che lo snobbava al pari dell’amica.
Almeno non era l’unico ad essere stato scaricato, si era
trovato a pensare con una punta di amarezza.
Difficile riprendersi e dimenticare in fretta, quando il tempo
trascorso a crogiolarsi in quel sentimento non corrisposto era tanto,
troppo. Faceva di certo meno male e qualche battuta era riuscito a
scambiarla, anche se nel profondo aveva ormai capito che le cose non
potevano tornare come prima – non ancora, almeno.
Tuttavia, la sua attenzione aveva decretato un’altra vittima,
una frivola preda che aveva ridacchiato giuliva alle battute del
palestrato australiano per tutto il giorno.
«Ti piacciono proprio i cretini».
Non era affatto difficile incontrarsi, dato che frequentavano le stesse
lezioni e la scuola non era certo un labirinto di corridoi e aule,
né trovarsi in posti fuori da occhi indiscreti e ad orari
difficilmente favoriti dagli altri studenti.
Ambra sussultò, sorpresa nel riconoscere la sua voce: non
l’aveva più cercata, né lei era tornata
a infastidirlo. L’ignoranza reciproca aveva regnato tutto
quel tempo, senza bisogno che fingessero.
«Cos’è? Ti sei già stancata
di Castiel?» le soffiò nell’orecchio,
abbassandosi appena – quando le si era avvicinato
così tanto? «Mi era parso di capire che
fossi… innamorata?»
«Hai capito male» replicò, tagliente,
ignorando il brivido che le aveva suscitato quel tono minaccioso e
intimo allo stesso tempo, il suo fiato caldo aveva mosso le onde
bionde, arrivando dritto al collo scoperto.
«Sei sempre stata tu quella disperata, Ambra».
Kentin avvolse le sue piccole spalle con entrambe le mani.
«Quella che vuole tutta l’attenzione. Quella
capricciosa che non ha altro modo in cui sfogare la sua
frustrazione».
Ambra si mangiò un sorriso compiaciuto: le aveva servito la
scappatoia su un vassoio d’argento. «Eppure non ti
è spiaciuto questo… modo. Sbaglio?»
Percepì l’irrigidirsi del suo corpo tramite la
fermezza della sua stretta: aveva fatto centro.
«Pare proprio che, qui, qualcuno sia ge-lo-so»
cantilenò, schioccando la lingua.
Kentin la lasciò andare, scottato.
«Guardati allo specchio» sbottò lei,
voltandosi per fronteggiarlo. «Ti sorprenderebbe il
riflesso».
Il ragazzo le lanciò uno sguardo di fuoco. Strinse le mani a
pugno e i denti per non urlare – contro di lei o se stesso?
«Credi forse di conoscermi?!» berciò.
Gli puntò l’indice contro. «Tu stai
ancora soffrendo per quella… quella-ah!»
sospirò, esasperata, lanciando le braccia e gli occhi al
soffitto.
«Oh, come se per te fosse diverso! Andiamo, Ambra: sei
patetica!»
«Patetica, io?» Rise con finto sarcasmo.
«Non venirmi a fare la morale! Adesso, poi!»
Incrociò le braccia al petto, aggrottando la fronte.
Kentin fece per replicare, quando scosse la testa, sconfitto:
perché l’aveva cercata? Perché stava
perdendo tempo in inutili schermaglie?
«Avrei preferito vederti con Castiel, piuttosto che con
quell’imbecille, ma…» Scosse nuovamente
la testa, come a cacciare insidiosi pensieri. «Be’,
chi sono io per dirti questo? Non siamo mai stati amici, non
c’è stato mai niente».
«Infatti» concordò lei, distogliendo lo
sguardo dai suoi accusatori occhi verdi. «Fatti una vita,
quattrocchi».
Sentendo quel soprannome poco lusinghiero, Kentin emise uno sbuffo
divertito per la prima volta da quando era cominciata tutta
quell’assurda storia – incredibile!
«È così che mi vedi?»
Ambra scrollò le spalle e non lo degnò di
risposta.
Pareva una bambina, così, con quel broncio: ironicamente,
non faceva che mettere più in mostra
quell’insicurezza di cui era vittima. Avvicinandosi, le
passò il dorso della mano su una sua guancia calda e subito
si ritrovò scrutato dai suoi occhi azzurri e sgranati,
stupiti da quella mossa – e, a un’analisi
più approfondita, forse anche impauriti.
«La verità è che non riesco ad
odiarti» ammise con un piccolo sorriso stanco.
«Proprio non riesco» sospirò.
«Per te sarò anche soltanto lo stupido
quattrocchi, ma guardare come ti affanni a cercare quel qualcosa
che-», s’interruppe impensierito. «Potrei
esserci io nei tuoi panni, ma anche tu nei miei».
Appoggiò l’intero palmo sul suo viso e lei vi si
premette contro, con una naturalezza che lo disarmò
– forse era stato soltanto un gesto inconscio.
Ambra chiuse gli occhi, sopraffatta da un’emozione che le
scaldò il petto e le gote. «Vattene,
Kentin» riuscì a intimargli, respingendo il nodo
alla gola. «Non cercarmi più, ti prego».
Era la prima volta che implorava e usava il suo nome.
Lei.
Ambra.
E Kentin l’accontentò.
Ci risentiamo settimana prossima con l’ultimo capitolo (non so se vedrete cambiato anche il rating, ma tranquilli che non sarà rosso) e i saluti finali ;)
Mille grazie di tutto cuore a chi continua a sopportarmi!! ♥