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Autore: esmoi_pride    15/02/2017    2 recensioni
Questa è la mia one-shot romantica di San Valentino!
La one-shot ha come protagonisti Ra'shak e Valentino, un drow e un mezz'elfo, rispettivamente Comandante e Consigliere dell'Imperatore del Gran Regno di Saab, che fanno parte della mia storia "Storie di Saab". Non è semplice per Ra'shak abituarsi alle usanze del mondo-di-sopra, e nella festa di Shelyn, la dea dell'amore, spesso ha solo voglia di uccidere qualcuno. Ma Ra'shak non ha solo il suo passato di drow con cui fare i conti: ha anche un... fidanzato.
Genere: Fantasy, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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Era la festa di Shelyn, la dea dell’amore.
 
Questo Ra’shak lo sapeva bene.
 
Lui, che aveva adorato Araushnee – meglio conosciuta come Lolth, la dea del male – per tutta la sua vita fino all’incontro con Valentino, era nuovo alle festività del mondo-di-sopra.
 
Le divinità adorate dalle creature del sottosuolo erano meschine, malvage, deformi, vendicative e non c’era spazio, nella comunità dei drow, per qualcosa di lontanamente simile a una festività dell’amore.
 
Non era la prima volta che Ra’shak assisteva a questa festività. Già prima di giungere a Saab e di stanziarvisi aveva osservato il fenomeno nei diversi luoghi in cui lui e Valentino avevano sostato, in fuga dai drow di Charvellraughaust: gli amanti si tenevano pubblicamente per mano e passeggiavano per le strade più grandi e affollate delle città. Cenavano fuori, a lume di candela, assoldavano menestrelli per intonare loro canzoni, organizzavano dimostrazioni d’amore.
 
Ra’shak ne era altamente raccapricciato, ma era comprensibile. Il mondo-di-sopra, per i drow, era davvero folle. Nel mondo sotterraneo le emozioni positive erano limitate, l’amore blasfemo, e le dimostrazioni affettive umilianti e schernite pubblicamente. Non ci si poteva sognare di girare per le strade tenendosi per mano, né lo si voleva fare: sarebbe stata una deplorevole dimostrazione di mancanza di rispetto verso se stessi, dimostrarsi così deboli e afferrati da sentimenti sciocchi e ingenui. Ra’shak aveva vissuto così tutta la sua vita, e come per ogni altra cosa del mondo-di-sopra che aveva dovuto apprendere, anche imparare a comprendere le manifestazioni d’amore era stato estremamente difficile per lui se non la più ardua. Inizialmente lanciava sguardi di profondo disprezzo a chiunque dimostrasse, in pubblico, un atteggiamento affettuoso con qualcun altro. Con il tempo aveva imparato a non sentirsi offeso da quei comportamenti, finché non li ha tollerati, imponendosi di stare zitto e mordersi il labbro inferiore prima di sparare qualche chiara offesa verso Shelyn. Se questo riguardava gli estranei, ancora peggiore era la situazione quando si trovava con Valentino. Tenersi per mano era una prospettiva folle. Non avrebbe mai, e poi mai, tenuto pubblicamente per mano Valentino, ancor meno dimostrargli affetto in pubblico. Baciarlo era fuori questione. Quello che lui si concesse di dargli, quando i due non erano soli, ad un certo punto della loro relazione, fu il suo sguardo apprensivo che lo fissava e un ammorbidimento del tono di voce. Con il tempo il tono di voce di Ra’shak si ammorbidiva naturalmente quando si rivolgeva a Valentino, come dimostrazione del fatto che le usanze del mondo-di-sopra stavano iniziando a influenzarlo, dopo qualche anno di vita di superficie. Ma era ancora dura avere a che fare con Ra’shak in pubblico. A volte era stressante. E mai come nel giorno della festa di Shelyn era tanto difficile.
 
Ra’shak osservava il lucore delle spade che tratteneva nelle mani. Inclinandole in un’angolazione precisa erano capaci di riflettere la luce del mattino che affiorava alle sue spalle da alcune finestre della caserma. Mentre le guardava luccicare i suoi pensieri erano persi in tutt’altre questioni e rendevano il suo sguardo impensierito.
 
“Cosa hai, uh?” Esclamò la voce chiara di Soldato. Se non si fosse trattato del suo vice, Ra’shak lo avrebbe probabilmente sfregiato per essersi rivolto a lui con tale informalità. Ma Soldato era così: impetuoso, pieno di energia, estroverso. Ra’shak si risvegliò dai suoi pensieri alzando il viso scuro verso la parete di fronte a sé, davanti al tavolo dell’armeria, con le palpebre che sbattevano per la confusione dell’istante. Soldato si avvicinò al jaluk e batté una forte pacca sulla sua spalla. Gli esseri umani come Soldato erano più forti, fisicamente, dei drow, ma Ra’shak era un drow robusto e accusò l’impatto con un semplice, quasi impercettibile sussulto.
 
“Con questo sguardo posso solo indovinare a cosa tu stia pensando.” Ra’shak poté capire, dal suono della voce, che Soldato dovesse avere le labbra dischiuse in un divertito ghigno goliardico dei suoi. Tenne le palpebre abbassate sulle spade che aveva nelle mani; le posò sul tavolo. “Di cosa si tratterebbe?” Chiese la sua voce bassa, roca, graffiante, racchiusa in un tono riservato. “Oh, di stasera.” Rispose lui. Ra’shak si voltò per vedere la sua faccia di merda, sulla quale aveva intenzione, il più presto possibile, di sputare. “La festa. La cena romantica. Le candele. Stai pensando a dove portarlo.” Il rumore improvviso con cui la sedia di Ra’shak si smosse all’indietro, quasi cadendo, nel suo alzarsi, fece sussultare Soldato che indietreggiò “Non porto nessuno da nessuna parte.” La replica di Ra’shak affiorò dalle sue labbra altrettanto intransigente. Soldato, interdetto, sbatté le palpebre “Non c’è niente di male-” “Queste sciocchezze da gente-di-sopra… tenetevele per voi.” Gli occhi rosso rubino di Ra’shak incontrarono quelli nocciola dell’uomo e vi si inchiodarono, fermi come Occhi Arcani evocati da un mago. Soldato si sentì disarmato davanti alla reazione del drow. Ra’shak si assicurò che il messaggio fosse chiaro prima di distogliere finalmente lo sguardo dal suo e smuoversi dai pressi del tavolo, per avviarsi oltre la figura dell’uomo. Dopo poco, Soldato si voltò di nuovo verso di lui. “Ra’shak.” Lo chiamò. Il jaluk esitò prima di voltarsi verso di lui, con la stessa espressione marziale di prima. “Io porterò la mia donna a cena, stasera.” Soldato aveva un tono sicuro, così come la sua postura. Un motivo molto chiaro a Ra’shak per cui lui fosse il suo vice era la determinazione dell’uomo, tipica della sua razza, che sembrava racchiusa tutta in quello sciocco umano idealista e ambizioso. “E lei sarà felice della mia dimostrazione di amore per lei. Le ricorderò quanto la amo, e lei mi ricorderà quanto ama me.” Ra’shak trattenne gli occhi nei suoi. Fece un passo avanti, dopo un momento. “Valentino non ha bisogno di certe dimostrazioni.” Replicò fermo, ma calmo. Soldato sbuffò dalle narici e sorrise beffardo. “E’ quello che pensi tu, Rash. Tutti hanno bisogno di dimostrazioni d’amore.” Con un cenno del mento indicò proprio lui “… anche tu.” Ra’shak si fermò a riflettere, perplesso, sull’osservazione dell’uomo. Lui si afferrò la cintura della divisa, e con l’arietta spensierata che Ra’shak un giorno gli avrebbe presto levato di dosso riempiendolo di pugni, si voltò per incamminarsi lungo la caserma.
 
Ra’shak doveva consegnare un messaggio importante all’Imperatore, ma non erano questi i suoi pensieri mentre saliva le scale d’oro del palazzo e svoltava per il secondo piano, immettendosi nell’ampio labirinto di chiostri e porticati illuminati dalla luce del sole. Cercò accuratamente di evitare i raggi diretti, in un modo automatico, perché era sovrappensiero. Non riusciva a smettere di ripensare a quella discussione, alla festa di Shelyn. In fondo non era il caso che Ra’shak continuasse a comportarsi come una creatura sotterranea, ormai avendo abbracciato il mondo-di-sopra con i suoi difetti e abomini. In fondo, era anche per questo che lui era lì. Si era innamorato del profumo dell’erba, del rumore dei ruscelli cristallini, del suono del vento tra le foglie e del profumo dei fiori. Ed era stato Valentino a fargli scoprire tutto questo – a fargli scoprire quanto amasse quel mondo, in realtà. Nonostante le maledette persone che lo abitavano, e le sciocche usanze. Non che fosse più fedele ad Araushnee o agli altri dei del sottosuolo: non sarebbe stato più coerente. Ra’shak aveva abbandonato quella strada. Si rese conto, mentre attraversava il portico del Chiostro di Sangue, che se prima lui aveva un suo ruolo ben definito come adoratore di Araushnee e combattente dell’Ilharess, oggi era un nessuno, un grigiore indefinito, incapace di schierarsi da una parte o dall’altra, dal bene o dal male. Il suo disprezzo non era abbastanza per relegarlo tra i malvagi. La sua gentilezza era macchiata da detto disprezzo e gli impediva di essere annoverato tra gli illuminati. Quando giunse alla porta dell’Imperatore si accorse che quei pensieri dovevano averlo impensierito molto, perché sentì che un grave cipiglio ne aveva contratto le sopracciglia e incupito lo sguardo quando rilassò l’espressione per concentrarsi sul suo compito. Bussò alla porta.
 
“Oh!” Esclamò la voce di Azul dall’interno. “Ohohoh!” La sua risata soffocata giunse alle orecchie del jaluk, che assottigliò le palpebre interrogativo. La porta si aprì, e Ra’shak indietreggiò per porsi in una postura formale ma vedere la persona che era alla porta ne turbò la compostezza in un’espressione di sincera sorpresa. Valentino, sorridente, teneva la maniglia della porta dall’altro lato e con movenze del tutto informali spostava il peso da un piede all’altro. Il suo sorriso radioso e gli occhi socchiusi dal piacere lasciarono per un momento Ra’shak senza fiato, anche se lui non lo avrebbe mai ammesso e in quel momento non lo dette affatto a vedere. Valentino spense appena quella gioia nel riconoscerlo, ricomponendosi “Oh, Ra’shak.” “Sì.” Replicò lui nel tono più fermo possibile, schiarendosi subito dopo la voce. Spiò oltre il ragazzo e vide il motivo di tante risate. Azul si trovava seduto davanti al comodino con lo specchio, si pettinava i capelli, e Imesah, dietro di lui, faceva di tutto per dargli fastidio, impegnandogli i capelli lisci e morbidi in trecce grigie o pettinandogli con le mani i capelli della fronte all’indietro, per poi fargli piegare la testa e baciarlo da sopra, ad occhi chiusi, in un’espressione serena. Questo zittì l’Imperatore, che si prese il suo tempo per godere, compiaciuto, del bacio inaspettato. Ra’shak dovette essersi fermato a fissarli troppo a lungo perché Valentino, interrogativo, lanciò un’occhiata dietro di sé prima di guardare lui e sbattere le palpebre dei grandi occhi azzurri. “Ra’shak?” Ra’shak tornò subito su di lui, con la velocità di chi è stato colto con le mani nel sacco. A rendere chiara la sua vergogna, un accenno di rossore sugli zigomi pronunciati del guerriero. “Sto disturbando. Tornerò più tardi.” Disse e si voltò, riprendendo la strada che aveva appena finito di percorrere. Non diede tempo a Valentino di replicare, svanendo in pochissimo tempo dalla circolazione.
 
Valentino posò i pesanti tomi sulla scrivania del suo studio, con un sospiro. La giornata lavorativa era finita per oggi: fortunatamente la festività di quella giornata permetteva ai lavoratori di corte di prendersi molto più tempo per sé. Il ragazzo lanciò un’occhiata fuori dalla finestra, cercando di indovinare l’orario dall’angolatura dei raggi solari. Era stata una giornata così impegnativa che non aveva idea di che ore fossero, avendo camminato avanti e indietro, redatto documenti, letto tomi, istruito sottoposti dalla mattina presto fino ad allora senza alcuna sosta. Si sedette sullo scranno e diede un’occhiata al calendario che aveva in bella vista sulla scrivania. Le parole “festa di Shelyn” erano scritte, in piccolo, sotto la data. Valentino socchiuse piano gli occhi in una silenziosa rassegnazione. Era un giorno come un altro per lui. Amare una creatura difficile come Ra’shak aveva le sue piccole conseguenze. Come la mancanza di dimostrazione di affetto quando si trovavano insieme con altre persone, dunque per la maggior parte del tempo. I drow avevano una loro intimità solo nella camera da letto – Ra’shak gliel’aveva spiegato bene. Era per questo che Ra’shak si dimostrava così adorabile, e passionale, solo lì. Valentino, con il tempo, gli aveva insegnato a farlo anche in altri luoghi, quando erano convinti di essere soli. Sbuffando via aria dal naso, il mezz’elfo si riprese subito e si alzò dallo scranno, spingendosi su con le braccia, per avviarsi fuori dallo studio. Con un movimento fluido sulla serratura chiuse a chiave la stanza e si avviò presso la sua stanza. Lo stesso movimento della mano fece scattare quella serratura, ma quando Valentino abbassò la maniglia si rese conto che la porta non si smosse. Doveva averla chiusa a chiave. Questo significava solo una cosa: che prima la porta era aperta. Valentino sgranò leggermente gli occhi e riaprendo la porta entrò nella stanza, un poco allarmato. Alla destra della porta si trovava il letto, mentre alla sinistra la scrivania aderente alla parete, sul cui scranno, che rivolgeva le spalle alla porta, era seduto qualcuno. I lunghi capelli bianchi e le spalle scure rivelarono a Valentino che si trattava di Ra’shak. Mentre un lieve moto di ansia lo abbandonava, un più forte moto di panico afferrò il cuore del mezz’elfo e ne accelerò il battito, agitandolo. Ra’shak sapeva essere inquietante quando voleva. Non erano passati ancora abbastanza anni dall’ultima volta che la sua figura era risultata minacciosa per il mezz’elfo, e vi assicuro che vedere un jaluk introdottosi furtivamente nella propria stanza non era mai, MAI una sensazione piacevole.
 
Questo, Ra’shak doveva averlo dimenticato. Voltò il capo verso il biondo e lo inclinò nel trovarlo; si smosse dallo scranno con la fluidità tipica della sua razza per sollevarsi da esso e scostarsene.
 
“… Ra’shak…” Mugugnò Valentino, lasciando trasparire con evidenza, dal tono di voce, lo spiazzamento che provava, e la lieve inquietudine. Ra’shak non sapeva rendersi meno inquietante, e quell’occasione ne era la prova. Accennò con viso e mano a un fiore, che aveva lasciato sulla scrivania del ragazzo. Il cuore del mago si strinse in una morsa dolorosa, quando doveva essere scaldata dalla dolcezza. Perché quel fiore? Non era da Ra’shak. Quel comportamento strano iniziava a dargli i brividi. Il jaluk tornò a guardarlo: stava analizzando la sua espressione, cercava di capire se gli era piaciuto il gesto. Ovviamente chiederglielo sarebbe stato da deboli, perché avrebbe rivelato quanto lui ci tenesse. E si rese conto che il fiore sulla sua scrivania lo aveva solo agitato di più. Prese un respiro che gli sollevò il petto. Voleva dirgli che aveva pensato a lui, e ai primi giorni passati insieme, e che Valentino gli ricordava spesso il profumo dei fiori, perché non l’aveva mai sentito prima di vederlo, e quando lo aveva sentito aveva scoperto che quel profumo gli piaceva immensamente, e quando si trovava con Valentino quel profumo c’era sempre, e così, ogni volta che sentiva il profumo di un fiore, pensava a lui irrimediabilmente, e si innamorava di nuovo come la prima volta in cui si era reso conto di amarlo.
 
Ma non glielo disse, e lasciò che un silenzio imbarazzante calasse nella stanza. Quel silenzio imbarazzante rese Ra’shak ancora più imbarazzato – sì, era convinto che fosse il momento ideale per fingere di avere qualcosa di meglio da fare e andarsene via il più velocemente possibile. Iniziò a sentire il cuore battere più forte dall’agitazione, e questo non andava affatto bene: non poteva permettersi di perdere il controllo dei propri sentimenti, lo avrebbe reso debole. Ma inspirò ancora, e cercò di calmare il battito.
 
“Cosa fai?”
 
“I-Io!?” Replicò Valentino, corrugando la fronte in un’espressione di preoccupazione. Fece un passo indietro, verso la porta. Ra’shak fece un passo avanti, nel tentativo di riprendere la vicinanza di prima.
 
“Oggi. Cosa fai oggi.”
 
Valentino esitò, sbattendo le palpebre, perplesso. Abbassò le braccia, prima sospese per aria come in una vaga posizione di difesa. Lanciò un’occhiata alla porta e deglutì, tornando su di lui.
 
“… niente.” Borbottò la voce acuita dall’insicurezza. Ra’shak incrociò il suo sguardo con il proprio, quasi inespressivo sul bel viso scuro, poi annuì.
 
“Cambiati. Per uscire.” Si incamminò verso di lui per superarlo e sparire oltre la porta. La richiuse dietro di sé, ma era chiaro che era rimasto dietro di essa in attesa che Valentino si cambiasse. Il mezz’elfo sbatté le palpebre, agitato e sconvolto. Cosa diavolo stava succedendo? Si trattava forse di… della festa? No! Valentino non doveva lasciarsi andare a certe fantasticherie. Erano quantomeno irrealizzabili, e ipotizzare un simile scenario gli avrebbe solo portato una delusione una volta scoperte le reali motivazioni del jaluk. Esalò un sospiro stressato e decise, comunque, di indossare vestiti informali ed eleganti. ‘Vestirsi per uscire’ aveva detto Ra’shak. Bene. E lui si sarebbe messo i vestiti per uscire.
 
Quando riaprì la porta, Ra’shak lo aspettava davanti ad essa come aveva sospettato. Lo vide sbattere le palpebre dalla sorpresa mentre lo scrutava. Valentino serrò le labbra in una smorfia che cercava di trattenere le parole, ma non riuscì. Finirono per sfuggirgli di bocca.
 
“… ti piace?”
 
“Sì.” Replicò Ra’shak, senza esitazione. Come se avesse voluto dirglielo, da subito, e la domanda di Valentino gliel’avesse fatto cavare fuori. Il biondo sentì le guance scaldarsi, e capì di essere arrossito. Deglutì e abbasso lo sguardo, ma vide con la coda dell’occhio Ra’shak avvicinarglisi. Così rialzò gli occhi in quelli del jaluk, che si erano colorati di una sfumatura più calda.
 
“Vuoi venire alla festa con me?”
 
Valentino sbarrò gli occhi alla richiesta inaspettata, poi obiettò:
 
“… mi hai fatto vestire! Prima di chiedermelo!”
 
Ra’shak, interdetto, indietreggiò col capo.
 
“Prima devi chiedermi di uscire, e Poi devi dirmi di cambiarmi! È il contrario!” Esclamò, sconvolto.
 
Ra’shak sbatté le palpebre, impreparato. Arrossì. Non sapeva cosa dire. Dopo poco borbottò un impacciato:
 
“… scusami.”
 
Era mortificato. Valentino guardò la sua faccia addolcita dall’ingenuità, così diversa dal solito. Si sentì un frusciò di abiti. Una lavoratrice della corte stava passando per il porticato, e lanciò loro un’occhiata. Sembrava incuriosita della scena a cui stava assistendo. Ra’shak la fissò e continuò a guardarla per un poco mentre lei si allontanava. Aveva la stessa faccia impacciata di poco fa.
 
“Sì, comunque.”
 
Il jaluk tornò su Valentino nel sentire la sua replica.
 
“Sì, voglio venire con te alla festa.” Chiarì il ragazzo, guardando bene Ra’shak negli occhi. Ra’shak, nel ricevere la sua replica, sollevò il mento e indietreggiò di mezzo passo. Poi annuì.
 
“Va bene. Allora andiamo.”
 
“Sì.”
 
Ra’shak guardò il braccio del biondo e deglutì – il pomo d’Adamo fece una danza su e giù incastonato tra i muscoli del collo. Poi si avvicinò ulteriormente al ragazzo. Quella era una vicinanza intima, che era raro azzardare in un luogo pubblico come quello. Alzò la mano, e prese il braccio di lui. Se lo portò sotto il proprio. Valentino vide il gesto e quando alzò gli occhi sulla faccia del drow poté vedere che era completamente arrossito e che evitava il suo sguardo in un modo estremamente tenero. Sorrise, e cercò di sottrarsi a quella presa.
 
“Ra’shak, non dobbiamo farlo per forza…”
 
Ma Ra’shak insistette, trattenendolo con l’altra mano. Allora lo fissò negli occhi.
 
“-No.” Si cavò da solo quella replica di bocca, con difficoltà. E proseguì.
 
“No, voglio…”
 
Serrò le labbra e corrugò la fronte. Era chiaro che stesse faticando. Molto. In qualsiasi cosa in quel momento. Valentino rimase zitto a scrutare nei suoi occhi, lasciò che si prendesse il suo tempo.
 
“Ti amo.”
 
Il ragazzo sgranò gli occhi. Ra’shak chinò il capo e distolse lo sguardo, e i capelli bianchi finirono per coprirgli il volto come lui sperava. Poi scostò quelli dal lato destro con la medesima mano, in un gesto distratto, per tornare a guardare il mezz’elfo.
 
“Mi dispiace.”
 
Valentino strinse la presa sul braccio di Ra’shak. Non se ne accorse neanche. Corrugò le sopracciglia in un’espressione commossa, quasi dispiaciuta, ma di nuovo non disse proprio niente. Ra’shak attese che il suo cuore smettesse di galoppare. Prendeva profondi respiri per calmarlo senza che Valentino se ne accorgesse troppo.
 
“So che è difficile avere a che fare con me. Anche io vorrei… vorrei che fossimo felici. Come…” esitò. “Come gli altri.” Valentino fu preso da un sospiro e sembrò volerlo interrompere, ma Ra’shak inchiodò gli occhi nei suoi e gli ordinò di starsi zitto. “Odio tutto questo.” Ammise. Sentì un grosso peso scivolargli via da cuore. Le parole che disse dopo furono molto più semplici da pronunciare. “Odio dovermi sentire inappropriato. Odio sentire gli sguardi degli altri addosso. Odio dovermi sempre chiedere qual è il comportamento che mi si addice. Odio sentire che quello che provo è sbagliato. E più di ogni altra cosa odio la vergogna che provo verso me stesso per tutto ciò che sono.”
 
Valentino serrò le labbra, affranto, e gli si chiuse la gola.
 
“Ma ti amo, e… per una volta vorrei concentrarmi su questo. Sembra qualcosa di buono. A dire la verità, sembra l’unica cosa giusta.”
 
Ra’shak sentì un guaito uscire dalle labbra di Valentino, che non sopportando più si gettò contro il corpo del drow e nascose la faccia contro il suo petto, afferrandogli il bicipite con la mano libera, per piangergli addosso, improvvisamente scosso dai singhiozzi. Ra’shak, che aveva imparato a ripudiare le lacrime fin dalla tenera età, sgranò gli occhi sconvolto a quella reazione e andò nel panico, cercando di capire, disperato, cosa avrebbe dovuto fare. Mentre il mezz’elfo gli rigava la maglia di seta di lacrime e si stringeva addosso a lui discinto, Ra’shak avvolse il proprio braccio libero attorno ai suoi fianchi e lo strinse, attirandolo a sé. Sentì i piacevoli fianchi stretti del ragazzo aderire giusti al suo corpo, e percepì il rassicurante calore dell’altro addosso. Inspirando senza pensarci, il profumo naturale del ragazzo si insinuò nelle sue narici e gli fece socchiudere gli occhi per un momento, rilassandone il corpo.
 
Valentino, dopo quel lungo momento in cui aveva perso il controllo di se stesso, riuscì a ricomporsi, si asciugò le lacrime con i dorsi delle mani chiare e affusolate e tirò su col naso.
 
“Dove mi porti?” chiese, alzando gli occhi arrossati sull’uomo. Aveva ancora le guance inamidate, e a tratti tratteneva i singulti, i resti del pianto. Ra’shak sollevò una mano per accogliervi il viso liscio del ragazzo e pettinargli all’indietro i capelli biondi in un gesto dolce.
 
“Ti porto in piazza.”
 
Valentino corrugò la fronte, apprensivo.
 
“Dove ci vedono tutti?”
 
“Dove ci vedono tutti.” Ripeté Ra’shak, e chinò appena il viso per posare le morbide labbra sulla fronte del fidanzato.
 
“Sei sicuro, Rash?”
 
“Sono sicuro.” Scese un poco più giù, dove poté trovare le labbra umide del ragazzo. Ad occhi chiusi, premette le proprie sulle sue. Sentì il viso del mezz’elfo piegarsi verso il suo e aderire in un gesto che prese intensità, fino a divenire quasi opprimente. Ma si lasciò opprimere dal suo bacio, inamovibile, con la mano scura che gli accarezzava la mascella.
 
Un fruscio familiare di abiti colse le sue orecchie appuntite, che si drizzarono. Ma lui rimase fermo. Fu la lavoratrice di corte, di nuovo, a torcere il collo verso di loro e a trattenere lo sguardo, un po’ sconvolta, su quella visione finché non fu così lontana da dover svoltare. Solo allora Ra’shak si staccò, guardando il viso di Valentino che tirò su col naso un’altra volta e si asciugò il moccolo con il dorso della mano, per poi deglutire.
 
“Sì, allora.” Si ricompose in poco tempo. “Andiamo.” Stavolta prese il braccio di Ra’shak con sicurezza, tenendoglisi vicino. Ra’shak lo assecondò, con timido imbarazzo sul volto. Potevano farlo mille volte, quell’espressione non sarebbe mai scomparsa dal viso del drow. Iniziarono a muovere i primi passi insieme lungo il porticato, poi Valentino, in uno slancio di felicità, si strinse addosso al muscoloso bicipite del suo fidanzato e urlò un verso eccitato. Ra’shak lanciò un’occhiata evasiva dall’altra parte, ma non riuscì a trattenere un sorriso intenerito, che si distese poi sul suo volto sciogliendogli i muscoli della faccia. Colse quella sensazione e decise che era una sensazione piacevole. Si promise di provarla più spesso, d’ora in poi.
   
 
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