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Autore: Eneri_Mess    20/02/2017    0 recensioni
« Qual è il vostro problema? Credete che Shirogane manchi solo a voi!? » li accusò.
Il moretto corrugò la fronte, non capendo perché fosse stato accomunato all’altro; non stava realmente seguendo quel battibecco, non era dell’umore quel giorno. Era andato in caffetteria e si era messo al solito posto solo per abitudine. Era uno dei luoghi migliori dove osservare la piana esterna… e sperare di cogliere qualche segno di ritorno.
[Pre-Voltron]
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Garrison Hunk, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Per il Cow-t, quarta settimana, missione di crisi (yay)! 
Prompt: Vuoto
N° parole: 1264

Avvertimenti: pre-canon, sorta di missing moment! *love* Senza pretese, solo accenni ~


 

La caffetteria era piena. Non c’erano posti liberi e in molti stanziavano in piedi a chiacchierare intorno a tavoli già sovraffollati. A metà pomeriggio l’ambiente era sempre movimentato, ma quel giorno stava piovendo a dirotto e i simulatori non offrivano svaghi essendo in manutenzione. Per i cadetti della Galaxy Garrison l’unica alternativa ai dormitori era quella di radunarsi lì e passare il tempo tra chiacchiere, caffé latte o tè e magari una mano a carte.

Nonostante ovunque fosse pieno e anche di più, nessuno si azzardò a sedersi al tavolo di Keith Kogane. Una sedia era rimasta vuota davanti a lui e sembrava che tale dovesse rimanere; almeno, dallo sguardo che il ragazzo moro lanciava - o era meglio dire, con cui trafiggeva - chiunque si azzardasse a toccarla, questo era ciò che da diversi giorni si intuiva. E dato che si parlava di Kogane, in quel momento il pilota più formidabile all’interno dell’Accademia, nessuno aveva voglia di attaccare briga. O bottone. Nemmeno quel pomeriggio in cui dava l’idea che nulla gli importasse e la mente fosse totalmente altrove.

Non erano mancati i bisbigli, le congetture, le prese di posizione sull’accaduto. Si trattava di una perdita che aveva un po’ colpito tutti, e quel tutti, dagli studenti agli insegnanti alle alte sfere, si erano espressi in cordoglio e sincero dispiacere. E sempre quel tutti si erano già rassegnati: era passato più di un mese dall’interruzione delle comunicazioni con la Missione Kerberos e sembrava impensabile sprecarsi ulteriormente in previsioni promettenti o positive.

Nonostante fosse stato un duro colpo per l’Accademia, quello che sembrava non aver ancora metabolizzato l’accaduto rimaneva Keith, come la sedia intoccata davanti a lui continuava a suggerire.

Il ragazzo aveva lo sguardo perso oltre le vetrate della caffetteria, fisso sui nuvoloni del temporale, quando qualcuno prese con le mani la sedia non occupata e fece per spostarla.

Dal tavolo di fianco, un cadetto di spalle reagì al gesto prima di lui, allungando il piede e bloccando il tentativo di furto.

« No, no, no, no » esordì nel cicaleccio consistente, senza che qualcuno lì intorno prestasse attenzione a quel che stava succedendo. « Mollala amico. Quel posto è occupato »

« McClain scherzi? È una sedia! Non comincerai anche tu con questa storia » inveì l’altro. Strattonò lo schienale verso di sé, ma Lance non demorse, opponendosi anche con una mano. I due si scambiarono uno sguardo poco amichevole.

Allo stesso tavolo del brunetto, Hunk cercò di articolare un discorsetto di armistizio, ma nessuno gli prestò ascolto.

« Se vuoi stare comodo, arriva prima la prossima volta e trovati il tuo posto. Questa sedia lasciala dov’è »

Lance si convinse che fu per le proprie parole che il compagno mollò la seduta, forse con troppa enfasi, tanto che lo stridore ridusse le chiacchiere e attirò più di uno sguardo. Keith rimase a osservare la scena, ma non lasciò trapelare l’intenzione di intervenire, nonostante il giovane che aveva cercato di prendere la sedia di Shiro guardò male anche lui, di seguito a Lance.

« Qual è il vostro problema? Credete che Shirogane manchi solo a voi!? » li accusò.

Il moretto corrugò la fronte, non capendo perché fosse stato accomunato all’altro; non stava realmente seguendo quel battibecco, non era dell’umore quel giorno. Era andato in caffetteria e si era messo al solito posto solo per abitudine. Era uno dei luoghi migliori dove osservare la piana esterna… e sperare di cogliere qualche segno di ritorno.

Al contrario quel McClain, dopo avergli lanciato un’occhiata sottile e indagatrice da sopra la spalla, incrociò le braccia al petto e non si fece remore a rispondere.

« Evidentemente sì »

« Cristo McClain! È una sedia, non il suo mausoleo! »

« Be’ tu lasciala comunque lì. Non rimarrà vuota ancora a lungo! »

La platea intorno a loro si era completamente azzittita e gli occhi erano tutti interessati all’evolversi della loro diatriba. Lance alzò il mento a sottolineare le sue convinzioni, nonostante si strinse di più nelle braccia incrociate. La pioggia sui vetri non dava tregua all’atmosfera piombata nel silenzio.

Il compagno con cui aveva attaccato briga lo guardò come fosse l’ultimo dei visionari o un povero cucciolo abbandonato.

« Quelli della Missione Kerberos non torneranno Lance, vedi di svegliarti. Qualcosa è andato storto, è brutto da immaginare, ma dobbiamo farcene una ragione! » ma lo disse senza alcun sentimento nel tono, solo l’arroganza di far capire all’altro che il suo punto di vista era pura illusione. « Shirogane era il migliore, ma un conto sono i simulatori, un altro la realtà! E la sua astronave forse si è schiantata! »

Il fiato fu trattenuto dai cadetti della Garrison presenti permettendo a quell’ultima frase di riecheggiare tra le pareti della caffetteria, come una granata che per troppo tempo si erano passati a vicenda, senza che nessuno avesse il coraggio di sganciarla.

Le dita di Lance erano piantate nelle proprie braccia, sgualcendo la divisa, e le sue gambe erano tese, ma di nuovo sul suo volto fece capolino solo una convinzione ostentata, irritata.

« La tua bocca spara un sacco di stronzate lo sai? La puzza è nauseante »

« Okkey Lance, lascia perdere, non mi sembra il caso di provocarlo ancora » lo interruppe Hunk, tentando di frapporsi tra i due allungandosi sulla sedia e agitando le braccia in un gesto di tregua. « Amici come prima e lasciamo Shiro fuori da tutto questo »

« Questo idiota sta insultando il mio eroe! » protestò l’altro, sbuffandogli contro e puntando l’indice al petto del cadetto in questione. Un attimo dopo, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante, si avvitò sulla sedia per guardare finalmente Keith ancora seduto alle sue spalle. « Pure tu potresti dire qualcosa! »

Se i bisbigli erano ripresi pochi momenti prima, si dissolsero di nuovo nell’attesa di sentire l’ultimo interpellato, la persona più vicina a Takashi Shirogane, dare finalmente corpo a una risposta. Tutti lì non aspettavano altro che una sua opinione, o forse più probabilmente una qualche reazione più personale su cui rimarcare le congetture di quanto successo alla Missione Kerberos.

Keith registrò a malapena la voce di Lance, oltre che la sua persona in generale. Lo stesso per il tipo che aveva spostato la sedia di Shiro. Shiro che non si sedeva  lì da troppo tempo. Non si sentiva neanche più arrabbiato verso ignoti, o verso quelle bocche che parlavano e parlavano e cercavano di venire a capo di una verità che solo lo stesso Takashi avrebbe potuto spiegare. Ma non era lì presente, a riempire il solito posto, a prendersi una pausa o a esprimere il nervosismo per l’incarico più importante della sua giovane carriera.

Un’opportunità, un’esperienza, un viaggio. Lo avevano definito in vari modi nei giorni precedenti al lancio. Entrambi eccitati all’idea, in maniera impacciata ma con il sorriso di chi realizza un’aspettativa rimasta nel cassetto troppo a lungo. Kogane era solo dispiaciuto di non avere ancora tutte le qualifiche per poterlo seguire e vivere quell’avventura insieme a lui.

Per quando sarò tornato mi avrai già superato, e mi toccherà migliorarmi ancora, era stata la risposta di Shiro, gli occhi brillanti e pieni di un futuro che sembrava così tangibile da quanto ci credeva.  

In quel momento, sentendosi addosso gli sguardi di tutti quei perfetti sconosciuti affamati di pettegolezzi, Keith avvertì lo stomaco rovesciarsi. Aveva bisogno di aria e non di starsene lì piantato a sentire scaramucce sul destino di quello che per lui era prima di tutto un pezzo della propria famiglia.

Si alzò e si diresse fuori dalla caffetteria, lasciano vuoto anche il proprio posto.

 
   
 
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