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Autore: darkrin    28/02/2017    3 recensioni
Iniziare a dormire insieme è, per loro, un processo lento ed ineluttabile come l’erosione di una roccia da parte dell’acqua che cade goccia a goccia a goccia e vi scava cunicoli che diventano fiumi, come il vuotarsi dei calici di Lum dopo una vittoria contro le forze dell’Impero, come corpi che si avvicinano per far fronte alla neve di Hoth.
È naturale, ma è anche un lavoro di compromesso: è imparare ad avvolgersi intorno a Jyn, che dorme stretta su sé stessa al centro della singola brandina che hanno conquistato a Echo Base; è imparare ad occupare tutti gli angoli che lei lascia liberi.
(Cassian/Jyn e il dormire insieme | due momenti e due intermezzi | what if nessuno muore)
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cassian Andor, Jyn Erso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: 
- penso fossero secoli che non scrivevo una cosa così frammentaria e non sono convinta che mi soddisfi del tutto, ma non penso che migliorerebbe continuando a guardarla con astio e cambiando virgole e articoli, quindi basta, eccola, addio; 
- ambientata in un universo in cui SPOILER tutti sopravvivono a Scarif. 
- Galaan esiste davvero nell'universo di SW, che sia mai stato un luogo d'interesse per l'Alleanza e che lo sia stato in quel periodo è però per me un mistero; 
- secondo wookiepedia: Lum was an alcoholic beverage served at the Zero Angle, a bar located in the Imperial Bright Jewel Oversector Flight Base on the moon Axxila III. Shortly after the Battle of Yavin, Arutr Essada, a TIE fighter pilots in the Imperial Army's Nashtah Squadron, drank lum while at the bar. Essada's squadmate Huck Trompo spilt the pilot's lum while gesturing
- Il titolo è un verso di Pezzi di Vetro di F. De Gregori ⇨ che potete sentire qui
- QUI trovate un aesthetic su questa storia fatto quando di questa storia esisteva solo la prima riga;
- NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi errore, strafalcione, svista. 

 
era acqua corrente un po’ di tempo fa
 
 
 
Quando dorme – quando il calore della sabbia e del sole, quando le immagini di persone che cadono e non riemergono dalla polvere, di navi da carico che esplodono, di spiagge che bruciano le concedono di chiudere gli occhi per un periodo più lungo di pochi, agonizzanti istanti – Jyn lo fa avvolta su se stessa come un gomitolo, come una sciarpa di lana intorno al collo. Rivolge la schiena verso un angolo della stanza in cui si trova e stringe le braccia davanti al volto, facendo ben attenzione ad addormentarsi in una posizione che lasci facilmente accessibile il blaster che tiene sempre legato alla gamba.
Sembra farsi più piccola, quando dorme, come se dell’incendio che le anima sempre lo sguardo ne rimanessero solo le braci.
- Jyn. –
Cassian conosce il valore del sonno, di quel poco che si concede tra una missione e una riunione, tra un incubo e un ricordo, e non la chiamerebbero se non fosse necessario. Se non fossero in prossimità delle lune di Galaan, su cui sono stati mandati per quella che è ufficialmente e, nonostante lo sconcerto di Jyn (- Non manderebbero te se fosse così semplice. - - Perché no? - - Perché non ha senso. - ), una missione di ricognizione. Cassian riconosce i limiti dei passi incerti delle sue gambe, della sua schiena ancora percorsa da fitte dolorose quando compie movimenti troppo rapidi e troppo ampi e non condivide la stessa certezza della sua compagna di viaggio. Non condivide le certezze di Jyn su un sacco di cose.
Poco dopo la partenza da Yavin IV, Jyn si è rannicchiata, borbottando sottovoce contro l’addestramento e le nuove reclute che non sanno neanche sparare, per dormire in una delle scomode brandine d’ordinanza, seminascosta dalla giacca che si è stesa addosso come una coperta.
- Jyn - la chiama di nuovo, avvicinando impercettibilmente le dita alla spalla della ragazza.
L’ultima lettera del suo nome non fa in tempo a lasciargli la punta della lingua, che Cassian si trova di fronte agli occhi la canna del blaster che Jyn gli ha rubato mesi prima.
- Sono io – mormora, allontanando lentamente la mano con cui stava per toccarla e sollevandola in segno di resa.
Gli occhi di Jyn impiegano qualche secondo ad allontanare dalle pupille il fumo grigio del sonno e le immagini di fuoco e miasma e di quella figura che non ne è emersa. Impiega qualche secondo – qualche furioso battito di ciglia – a metterlo a fuoco.
- Cassian – esala ed è quasi un respiro, quasi un sospiro quello che le sfugge dalle labbra.
L’uomo annuisce lentamente e i suoi capelli sfiorano la canna del blaster che è ancora puntato contro la sua fronte. Jyn sembra accorgersi solo in quel momento della posizione in cui si trovano ed abbassa l’arma con un verso strozzato. Non la fa cadere tra di loro perché è pericoloso e non si china a nascondere il volto contro il petto di Cassian perché va contro qualsiasi norma di sicurezza che Saw le abbia mai insegnato.
Si limita a guardarlo e a sentire le dita bruciare là dove stringono l’impugnatura dell’arma, per la vergogna e per il desiderio di allungarle e stringerle intorno alla stoffa chiara della maglietta di Cassian.
 
***
 
Iniziare a dormire insieme è, per loro, un processo lento ed ineluttabile come l’erosione di una roccia da parte dell’acqua che cade goccia a goccia a goccia e vi scava cunicoli che diventano fiumi, come il vuotarsi dei calici di Lum dopo una vittoria contro le forze dell’Impero, come corpi che si avvicinano per far fronte alla neve di Hoth.
È naturale, ma è anche un lavoro di compromesso: è imparare ad avvolgersi intorno a Jyn, che dorme stretta su sé stessa al centro della singola brandina che hanno conquistato a Echo Base; è imparare ad occupare tutti gli angoli che lei lascia liberi.
 
***
 
Non dormono insieme, non davvero almeno, quando sono in missione, quando sono tutti rannicchiati intorno a un fuoco o sul ponte di una nave sotto allo sguardo severo di Baze e cullati dall’incessante e nervoso muoversi delle dita di Bodhi.
Non lo fanno perché fingono che sia un segreto – fingono che nessuno sappia degli sguardi che si scambiano, delle mani che si fermano appena prima di toccare una spalla, un braccio, una guancia - e perché non è necessario. Su Coruscant o nel vuoto dello spazio sono a casa e Jyn non è certa che si abituerà mai a quella sensazione di avere un luogo, di avere carne e sangue, a cui tornare.
Tra il lieve russare di Baze, il tintinnare dei circuiti del nuovo K2 e il calore dei corpi di Chirrut e Bodhi, Jyn non ha bisogno di toccarlo per sentire la presenza di Cassian, per riconoscere il suo respiro tra quello degli altri, per immaginare il calore del corpo dell’uomo avvolto intorno a sé come una coperta.
 
***
 
- Voglio dormire dando le spalle alle porta – gli annuncia Jyn una sera, con i piedi infilati in due paia di pesantissimi calzettoni e un paio di stivali per proteggersi dal freddo di Hoth che penetra attraverso le porte antistagne e le fessure della base.
Ha i capelli scompigliati che le ricadono disordinatamente intorno alle spalle e al colletto della maglietta troppo grande che indossa – Cassian è quasi certo che gli sia appartenuta, ad un certo punto – e la mascella serrata come i frammenti di una granata prima che esploda.
Cassian la guarda e vede negli occhi della donna che ha di fronte la ragazzina che è cresciuta dormendo rannicchiata in un buco o in un bunker con troppi ribelli; legge, nella piega severa delle labbra, le parole di Saw Gerrera e il suo disprezzo per qualsiasi forma di debolezza o moderatezza. È facile – è acqua che scorre in un cunicolo già scavato da tempo – farle posto sul duro materasso.
Jyn indugia, spostando il peso da un piede all’altro, solo per un istante prima di dargli le spalle per sedersi sullo scomodo giaciglio e sfilarsi gli stivali. Un brivido le percorre la schiena e il suo sguardo sembra per un istante sbandare verso la porta chiusa, prima che Jyn scuota leggermente la testa e si infili sotto alle coperte.
Gli si rannicchia contro, con la fronte nascosta contro il suo petto e le ginocchia contro le sue cosce. Cassian le passa un braccio intorno alla vita ed esala un sospiro: gli sembra quasi di sentirla vibrare per la tensione che le attraversa il corpo, gli sembra quasi di poter sentire ogni cellula del corpo di Jyn gridare contro quella scelta innaturale e pericolosa e sbagliata.
- Non sei costretta a farlo – le dice.
- Sì, invece. –
La voce di Jyn emerge testarda e ovattata dalla stoffa.
- Tu però controlla la porta – aggiunge.
- Sempre – mormora, prima di chinarsi a baciarle la sommità del capo e soffocare, contro i capelli scuri della ragazza, la risata che rischia di zampillargli dalle labbra.
 
 
 
«E nelle pieghe della mano
Una linea che gira e lui risponde serio
"È mia"; sottintende la vita
E la fine del discorso la conosci già
Era acqua corrente un po' di tempo fa, e ora si è fermata qua»
(Pezzi di vetro, F. De Gregori)
   
 
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