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Autore: Heyale    28/02/2017    0 recensioni
A seguito delle armi nucleari che sono state usate nella Grande Guerra che ha scosso l'intero pianeta, le nuove generazioni nascono con delle mutazioni nei loro DNA: possono controllare i loro organismi e gli agenti esterni a loro piacimento. In questo nuovo e sconvolto mondo, la parte di ragazzi che non ha subìto cambiamenti non tollera questi individui e li rinchiude in istituti simili a prigioni. In questo contesto troviamo Siena Tanner, diciassettenne che, insieme al suo gruppo, rinuncia alla la sua libertà per la sorella incinta; e Levi Callaway, diciottenne in erba che non perdona i modificati e che nasconde molti segreti.
Prigioniera e supervisore, insieme ai rispettivi gruppi e rispettivi valori, affronteranno insieme un difficile percorso fatto di scontri per arrivare ad un risultato comune.
--
Dal capitolo 6:
"E allora?" sorride svogliatamente, rivolgendo poi gli occhi al soffitto. "Pensi di potermi aiutare?"
"Penso che aiutarmi a capire, per te, sarebbe un buon modo per convivere civilmente."
"Sono stufo di tutte queste tue psicostronzate." sbotta duramente. Da quanto stava trattenendo questo pensiero? "Vuoi la verità?"
Non dimostro di essere ferita dal suo commento e alzo la testa verso di lui. "Sarebbe ora."
Genere: Commedia, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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Interstellar cap.4
INTERSTELLAR
CHAPTER FOUR
"Introvert"


Guardo l'orologio al polso di Ira non appena quest'ultimo sfila le chiavi dal quadro della macchina, tirando un sospiro di sollievo.
Non ho ben capito lo scopo di sette ore di viaggio consecutive, so solo che siamo a chilometri e chilometri di distanza dalla prigione e questo è già un fatto che riesce a calmarmi. Ira si è rivelato il completo opposto di Levi: è socievole, divertente e sa anche raccontare le barzellette a regola d'arte. Dopo il primo discorso che abbiamo fatto in tema 'fratelli' nessuno dei due ha più toccato l'argomento, anche se sinceramente vorrei saperne di più. Immagino di dovermi arrendere prima del previsto, Ira sembra deciso a non fare una parola in più sul Topo di fogna.
"Dove siamo?" mi rivolgo verso il moro accanto a me, fissando divertita le sue guance lentigginose.
"Vedi quell'edificio di fronte a noi? E' una struttura come la nostra, siamo gemellati con loro. Istituto Saint Guillaume!" Ira finge la voce grossa, ridacchiando subito dopo. "Ci fermiamo qui per chiedere se hanno informazioni su tua sorella e per farvi dei controlli."
"Controlli?"
Ira scende dalla macchina, facendomi cenno di seguirlo: "Non sappiamo come reagiscano le tute con gli ambienti esterni, Levi non vuole che succeda qualcosa di grave."
"Levi o le persone che comandano sopra Levi?" borbotto, notando tra l'altro il diretto interessato scendere dalla macchina con nonchalance, sfilandosi finalmente le tre orribili forcine dai capelli.
"Beh," Ira appoggia la mano sulla mia spalla, guidandomi verso il gruppetto poco distante da noi. "Non ci sono così tante persone con più autorità di lui. La sua è una delle cariche più importanti."
"La sfiga mi perseguita da quando sono nata." commento, sospirando poi facendo un cenno ad Ira e avvicinandomi a Regan, Theodore e Hunter. Quest'ultimo sembra particolarmente irritato da come sbatte nervosamente il piede a terra, non so se chiedergli cos'è successo e peggiorare la situazione oppure starmene zitta e fregarmene.
"Che hai combinato, Hunter?" ecco, opto per la gentilezza. Vediamo come va a finire.
"Quella...tipa!" il futuro-papà alza gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente. "Non la sopporto. Celia, dico. Marlene sarebbe andata bene dato che non dice una parola, ma Celia deve sempre commentare su tutto. Mi ha chiesto se quando Cherice è rimasta incinta è stato un incidente o volevamo il bambino!"
Ridacchio leggermente, sorpresa nel vedere Hunter così nervoso: "Cristo, fino a lì?"
"Fino a lì!" ripete, esasperato. "Voi non capite. E' un tedio."
"Almeno parla, la tua." Theodore interviene facendo un cenno verso la ragazza castana che, timidamente, scambia qualche parola con Levi. "Marlene non dice una parola nemmeno a pagarla. Per tutto il tragitto abbiamo ascoltato la musica, ma ciò che mi sorprende di più è che è un mostro alla guida. Ha entrambe le mani ferme sul volante e una sicurezza impressionante anche quando viaggia ai centocinquanta, in curva ha fatto qualcosa come sei sorpassi di fila e ho creduto di morire. Ha dovuto chiedermi scusa dato il mio colorito verdognolo." Theodore si passa una mano tra i capelli, scuotendo poi la testa divertito. "Siamo finiti in un circo."
Regan non riesce a trattenere le risate e scoppia a ridere: "Se volete facciamo scambio, io andrei volentieri con la taciturna."
Alzo la mano anch'io, sorridendo: "Io scambio il sadico per il simpaticone di Regan, non c'è problema."
"Il sadico sarebbe Levi?" Hunter mi fissa, ironico, trovando probabilmente esilarante il fatto che io abbia sempre da ridire su qualsiasi cosa succeda.
"Esattamente." rispondo, alla fine, girandomi per accertarmi che non mi stia ascoltando. Non vedendo né lui né Ira presuppongo che siano entrati ad annunciare il nostro arrivo, così proseguo. "Sadico è fargli un complimento. E' il peggio del peggio...suo fratello è il suo contrario, grazie a Dio."
"Si vede che hanno due temperamenti diversi." Theodore porta l'indice al mento, assumendo un'espressione pensierosa. "So che sono fratellastri, e in effetti hanno alcuni tratti fisici in comune. Oltre a questo, però...niente, credo. Eppure sono uniti."
Annuisco: "Molto uniti. Non si direbbe, ma a detta di Ira è così anche se, devo dire, è stato parecchio schivo nei confronti dell'argomento."
Regan se ne esce con un sospiro, alzando poi le spalle: "Non lo sapremo mai, forse. Siamo considerati nulla, qui dentro. Un immenso nulla."
"Che negatività." Hunter guarda la rossa ridacchiando, alzando però di scatto lo sguardo non appena ognuno di noi sente il proprio supervisore chiamarci per nome. Celia chiama Hunter, Marlene chiama Theodore, Kalidas chiama Regan ed infine Levi chiama me, anche se naturalmente avrei preferito essere chiamata da Ira. Mentre gli arrivo di fronte vedo i suoi occhi azzurri farsi sempre più sottili fino ad essere quasi inquietanti, e la sua espressione diventare quasi ironica mentre, con una lentezza impressionante, sfila dalla cintura un paio di manette. Ti prego, non di nuovo.
"Dov'è Ira?" gli chiedo, tendendo le mani verso di lui per non fare più storie del dovuto.
"Dentro." mi risponde con un tono seccato, mentre apre le manette e ne richiude una attorno al mio polso, riservandosi l'altra per il suo come vedo che tutti gli altri stanno facendo. La mia è estremamente larga, però. Muovendomi appena potrei sfilare tranquillamente la mano.
"Ehi, genio, è enorme." borbotto una volta che lui alza il viso verso di me. "Se scappo devi rincorrermi."
I suoi occhi cadono per un attimo sulla mia mano, per poi chiudersi in una smorfia allegra: "Sono loro che devono credere che tu non possa scappare, ma non occorre che io ti incateni a me sul serio come ieri."
Lo guardo, perplessa, trovando nei suoi occhi uno strano guizzo di allegria: "Come lo sai che non ce n'è bisogno? Potrei scappare in questo momento."
Levi alza le spalle: "Non ti conviene. Cosa faresti senza di noi? Senza di me?"
"Senza di te probabilmente respirerei senza odiare il mondo, senza gli altri non lo so." sentenzio, sostenendo il suo sguardo. So che dico sempre che non voglio più parlargli, ma rispondere alle sue provocazioni è più forte di me. "Non darmi per scontata."
"Non mi permetterei mai." lui alza la mano libera all'aria, sorridendo. "Andiamo, madame?"
Sospiro, affranta, riservandogli però una gomitata: "Dacci un taglio."


La struttura in cui entriamo sembra il doppio di quella da cui siamo partiti: è tutto bianco - un bianco stomachevole, tutti i ragazzi intorno a noi hanno delle tute uguali a quelle dei nostri supervisori e lo stesso sguardo altezzoso dipinto sul volto. C'è un grande via vai in ogni angolo, che si tratti dell'atrio o degli infiniti corridoi che collegano parti diverse dell'edificio a quest'enorme sala centrale.
Io e Levi apriamo la fila, non riesco a vedere le reazioni dei miei compagni ma so che sono spaesati quanto me. Cosa ci faranno qui? Ho sopportato appena i controlli nell'altra prigione, non posso passarci di nuovo. Tutto il male che non ho fatto a Levi potrei farlo a qualcun altro se la tensione continua a crescere così smisuratamente in me, e non riesco a fare altro che sbattere velocemente le palpebre e assicurarmi che, in un modo o nell'altro, una via d'uscita ci sarebbe.
"Levi Callaway!" una voce femminile mi distrae dai miei pensieri, mentre vedo una ragazza tutta impettita dirigersi verso il Topo con un sorrisone stampato su quel viso da prendere a schiaffi.
"Jennifer." Levi mantiene un certo distacco, stringendole cortesemente la mano. Bravo Topo. "Credevo fossi al centro ad est."
"Mi hanno trasferita proprio per il vostro arrivo. Avete fatto grande scalpore, sai? Insomma, una di loro incinta...che stupida."
Sgrano gli occhi, e mi sa che Levi ha già capito cosa intendo fare dal momento che, sapendo che la manetta non è realmente un problema, stringe la mia mano e la tira indietro. Sapesse cosa me ne faccio io del suo tentativo di farmi stare buona, quest'oca ha appena offeso mia sorella e non può passarla liscia così.
"Cos'hai detto?" sbotto, vedendo i suoi occhi verdognoli sgranarsi per la sorpresa del tono che uso.
"Tu, piuttosto. Come ti viene in mente di rivolgermi così la parola?" la bionda ossigenata mi arriva di fronte, mentre Levi si picchia una mano alla fronte. Che carino, sa già che farò un casino. "Sei solo una delle tante nostre spine nel fianco, nulla di più."
Sorrido come se mi stessi realmente divertendo: "E tu non sei altro che la feccia che incontro ogni giorno lungo la mia strada. Bella storia, no?"
La fantomatica Jennifer picchia la scarpa col tacco a terra, diventando tutta rossa per la rabbia: "Vedi di abbassare i toni, piccola schifosa-"
"Adesso basta." Levi interviene, ma a me rivolge solo le spalle e parla solo all'oca. Tutti animali, qui dentro. "Non la conosci, non insultare se non sai chi hai davanti."
"Levi?" la biondina sembra veramente sorpresa nel sentire le parole del Topo di fogna. "Stai rimproverando...me? Non hai sentito come mi si è rivolta contro?"
"Ha fatto bene. Il suo DNA sarà quel che sarà, ma ha la bocca per parlare e offendere anche lei come te, io non ho alcun potere sulla sua volontà di parola. Può fare quello che le pare, e in questo caso ha ragione lei. Scendi dal piedistallo appena riesci, grazie."
Sgrano gli occhi, incredula. E' veramente Levi la persona che ha appena parlato? Mi ha difesa? Toh! Questa è bella. Mi guardo di nuovo attorno, notando stavolta Ira che, appoggiato con i gomiti alla cattedra circolare, sorride verso di noi. Da quanto è lì?
"Ti sei rincretinito stando nell'istituto a ovest." sentenzia Jennifer, offesa, girando i tacchi. "Eri molto meglio quando facevamo il lavoro adatto alla nostra età qui, a sud. Prima di tuo fratello, dico."
Confusa, attendo la risposta di Levi. Cosa vorrebbe dire il lavoro adatto alla sua età? Ci sono lavori per le età, in questo campo? Levi ha accennato solo stamattina al fatto che il suo lavoro richieda tanto impegno, per come la vede lui, ma non mi ha mai detto nulla in merito a ciò che è successo prima di arrivare dove siamo ora. La sua risposta, secca e tagliente come al solito, non tarda ad arrivare: "Se non dici niente è meglio per chiunque, credimi. Smettila di ficcare il naso nei miei affari, ti ho detto mille volte di lasciare Ira fuori dalla mia vita. Non ti ha mai riguardato."
"Mai?" la biondina si gira verso Levi con un sorrisetto terribile. "Oh, credo tu sia in torto."
Detto questo, se ne va muovendo le anche come se fosse sospesa su una fune. Mi aspetto da Levi delle spiegazioni, ma al posto di ciò di cui ho bisogno lui se la cava con un sospiro, mollando finalmente la presa sulla mia mano: "Ci sono proprio degli incompetenti."
"Incompetenti?" ripeto, facendo una smorfia. "Non mi sembrava che foste proprio estranei, comunque."
Il Topo di fogna mi squadra per un secondo, sospirando: "Hai la prima sessione di controlli tra venti minuti, converrebbe che ti andassi a preparare."
Scuoto la testa, rassegnata. Quanto non lo sopporto.


Sono di nuovo da sola, di nuovo in una stanza di isolamento, di nuovo in attesa che qualcuno mi raggiunga per darmi delle informazioni su cosa io debba mai fare. Sono stata separata dal gruppo ancora mezz'ora fa, mentre Levi è rimasto con me giusto altri dieci minuti per poi raggiungere i suoi colleghi. Al momento l'unica cosa di cui sono certa, purtroppo, è che dovrò fare almeno quattro iniezioni e una svariata serie di strani controlli. Non ho la minima voglia di farli, e non voglio nemmeno essere bucata di nuovo da altri aghi, direi che ne ho già avuto abbastanza. La mia abilità di adattarmi purtroppo non influisce in ambito mentale, perciò anche se mi sono abituata al clima diverso, all'aria soffocante e alla confusione costante, il senso di inadeguatezza continua a seguirmi come un'ombra. Non vedo Ira da quando siamo arrivati, ovvero da quando mi sono accorta di lui nel frangente in cui Levi litigava con Jennifer, ma non sono più riuscita a parlargli, perciò il mio status mentale non è nemmeno un po' rasserenato. Da quando sono scesa dalla macchina è stato un continuo declino per culminare poi nel momento in cui, proprio davanti ai miei occhi in questo istante, la porta fatta di vetri a specchio - chi è fuori vede me ma io non posso vedere loro, carino - della mia stanza si apre ed entra nientepopodimeno che Jennifer nonsoilcognome. Qualcuno mi vuole del gran male, ed è ora che lo ammetta. 
"Sono stata affidata a te." la bionda usa un tono di voce freddo come il ghiaccio, mentre appoggia una valigetta sull'enorme mensola bianca. "Ci divertiremo molto, vedrai."
"Lo immagino." borbotto, guardandola mentre compila un foglio apparentemente scritto in fretta e furia. Forse è un attestato a tutte le torture che sta per infliggermi.
"Ripartirete quando tu e i tuoi amici avrete reagito a tutte le sostanze nel modo corretto. Fino a quel momento, siete solo delle cavie."
Sorrido leggermente, guardandola tirare fuori un set di siringhe già piene di liquido: "Mi è stato detto di peggio."
"Con uno come Levi è certa la cosa." Jennifer mi rivolge uno sguardo pieno d'odio, venendo verso di me con una siringa. "Non è il compagno di giochi ideale, no?"
Incredibilmente sono d'accordo con lei, e solo per quello che ha detto abbasso la manica della felpa per lasciarle lo spazio sulla spalla per l'iniezione senza fare storie: "Per niente."
"Non è sempre stato così, se lo vuoi sapere." con un gesto secco, Jennifer infila l'ago nella mia pelle e spinge velocemente dentro il liquido. "Non mi aspettavo di trovarlo in questo stato."
Sembra che questa ragazza stia cercando di dirmi qualcosa senza però dirlo con parole chiare. E' forse il caso che provi ad indagare?
"In particolare?" le chiedo, trattenendo il fiato mentre la sento sfilare l'ago dal mio braccio e prepararsi ad un altro colpo.
"Si comportava come richiede il comportamento di un, all'epoca, sedicenne." anche se Jennifer usa un tono veramente distaccato, non sembra però dare così poca importanza a ciò che sta dicendo. "E' sempre stato uno sbruffone, ma col tempo la sua ironia è diventata troppo cattiva. Perlomeno, così mi hanno detto."
"Mh." aspetto che la seconda iniezione sia finita per guardarla poi negli occhi verdognoli. "Che relazione c'è tra voi due?"
La sua reazione è un semplice sorrisetto accompagnato da una smorfia: "Un po' come la relazione che ha con tutte le sue colleghe: è il tipico bel ragazzo che sa ammaliare, ma decisamente inavvicinabile. Che io sappia, non ha mai preso sul serio in considerazione una singola ragazza."
Me ne esco anch'io con una smorfia, anche se ad un discorso del genere non so nemmeno come sarebbe giusto reagire: "Non credo tu ti perda tanto, se ti può consolare."
Anche se, diciamocelo, non ho alcun dovere di consolarla. Paradossalmente sto allegramente chiacchierando con una delle persone peggiori al mondo - nella vastissima gamma di persone che conosco, ovviamente.
"Forse è più una questione di orgoglio, ora." la bionda infila il terzo ago, facendomi sussultare per il dolore. Comincio leggermente a vederci quadruplo. "Ma tanto non puoi capire."
"Per fortuna." borbotto, sentendo però l'improvviso bisogno di stendermi. Non so cosa sia, ma credo che le famose reazioni alle sostanze che mi sono state iniettate stiano decisamente facendo effetto. E' uno strano calore interno, anche se il mio corpo non mi concede più di tre secondi per sentirlo riesco però comunque a capire di non avere altra scelta se non quella di abbandonarmi al sonno e sperare di risvegliarmi ed avere ancora il controllo di tutto. Con tutti i farmaci che mi stanno dando ho seriamente paura di risvegliarmi e non sapere più chi o dove io sia. La voce di Jennifer ora sembra un ricordo lontano, ma ancora più lontana sembra la mia capacità di intendere e di volere. Se questa è una specie di reazione chimica che le sostanze stanno facendo dentro di me, a parte lo stordimento impressionante, non è poi così male. In fondo, credo solo che dormirò per un po' senza riuscire nemmeno a sognare dalla stanchezza che sto improvvisamente accumulando.

"Ehi, Siena? Siena? Dai, alzati."
Apro gli occhi, ma sopra di me non c'è più il soffitto asettico. C'è piuttosto una carta da parati leggermente antiquata, e anche se l'odore in questa stanza non è dei migliori questo posto sa comunque di casa. Girandomi di lato, noto che di fronte a me c'è il viso sorridente di mia sorella. Sorrido anch'io, per forza, scuotendo la testa. Speravo di non avere la forza per sognare, ma proprio Cherice ora mi sta svegliando nella camera dove di solito Theodore dormiva. Avevamo due case diverse: erano entrambe piccole, le stanze strettamente necessarie ed uno spazio vitale ristretto, ma stavamo fondamentalmente bene. Hunter e Cherice se ne stavano per conto loro, mentre io, Theodore e Regan dormivamo nella casa accanto. Spesso capitava che, essendo la stanza di Theodore la più fredda d'inverno e la più calda d'estate per via della sua posizione, dormissi io lì e Theo quindi nella mia. Non avendo problemi con le temperature a me andava più che bene, e poi adoravo dormire col profumo di Theo che mi avvolgeva, riusciva sempre a farmi addormentare col sorriso.
"Ti sei svegliata presto." è l'unica cosa che riesco a dirle, tralasciando tutto ciò che sta realmente succedendo nella realtà in cui io sto dormendo.
"Hunter russava." si giustifica, ridendo allegramente. "E il bambino è già pesante, accidenti."
"Ti credo." mi metto seduta senza alcun problema, uscendo lentamente di casa con Cherice al mio fianco. Il sole splende alto nel cielo come l'ultima volta che l'ho visto, mentre i passi di mia sorella sono veramente troppo leggeri per essere reali. Non c'è nessun altro nei dintorni, solo il nostro piccolo quartiere disabitato e il leggero soffio del vento.
"Allora, come va?" Cherice si lascia cadere per terra com'era solita a fare, inspirando a pieni polmoni il profumo dell'erba fresca di prima mattina. "Con Levi, intendo."
"Levi?" ripeto, trovando la domanda piuttosto strana. "Come dovrebbe andare?"
"Ti ho vista, sai." Cherice ammicca verso di me, ridendo quasi troppo forte. "In macchina, eri con Ira ma guardavi solo lo specchietto per vedere Levi. Cosa ti prende, Siena?"
E' incredibile come, non sentire il mio nome da qualche giorno, fa sì che il suo suono sia quasi estraneo, difficile da metabolizzare. Non so se questo accada perché sto sognando uno scenario così vivido o perché anche nella realtà suonerebbe così strano, ma spero di farci l'abitudine al più presto possibile. Non è per niente una bella sensazione.
"Niente." mi difendo alla fine, sedendomi accanto a lei. "Non guardavo lui."
"Anche nei sogni riesci a mentire?" mi rimprovera, corrugando le sopracciglia.
La cosa che mi ferisce di più di quest'affermazione non è tanto il suo contenuto, ma il fatto che sia un sogno creato dalla mia mente a dirmelo. E' come se stessi dicendo a me stessa di smettere di dire bugie che, tra l'altro, non so di star dicendo. L'unica cosa che riesco a fare, quindi, è guardare male Cherice e provare a difendermi: "Non sto per niente mentendo."
"Dovresti svegliarti, sai?" socchiudendo gli occhi per il sole troppo splendente, Cherice mi apostrofa con un tono divertito. "Nella realtà, dico. Stai dormendo da così tanto che mi stai sognando. Credo che Levi sia lì, quando aprirai gli occhi. Lo spero, almeno."
"E perché lo speri, di grazia?" appoggio le mani ai fianchi, sbuffando. "Non lo sopporto."
"Già, già." mia sorella mi liquida con un gesto veloce della mano. "Sono sicura che riuscirai a trovarmi, Siena. Non sono così distante."
Mi mordo il labbro, anche se so che sto parlando con praticamente la mia mente non riesco a trattenere tutta la rabbia, finendo per urlare contro l'immagine di mia sorella: "Perché hai dovuto abbandonarci tutti, si può sapere?! Ci hai lasciati nella merda dopo essere stata tu a metterci dentro!"
"Non avevo scelta." i suoi occhi puntano ora i suoi piedi, mortificati come è giusto che siano. "Hunter mi ha detto che potevo."
"Hunter?" sgrano gli occhi, restano veramente di sasso. "Come avrebbe potuto dirti di sì? Nemmeno lui sa perché te ne sei andata!"
"Ti sbagli." Cherice alza nuovamente lo sguardo verso di me, ora sorridente. "Mente. Tutti sono capaci di dire bugie, come te. Mi sta solo coprendo."
Scuoto la testa, alzandomi dall'erba in fretta: "Non lo farebbe mai. E' sempre stato sincero con me."
"Prova a ragionare." anche usando un tono tranquillo, la voce di Cherice in questo momento risulta fin troppo tagliente per essere solo frutto della mia fantasia. "E' più probabile che aiuti te o che aiuti me, la sua ragazza e la madre di suo figlio?"
Resto stordita qualche secondo, in effetti questo ragionamento non fa una piega. Se è così, però, Hunter ha non poche cose da spiegarmi. Voglio svegliarmi, devo parlare assolutamente con lui. Sveglia, Siena. Sveglia.

"Sveglia, Siena. Sveglia."
Riesco finalmente a sentire il peso del mio respiro, e vedere il soffitto come prima cosa mi dà incredibilmente sollievo. La luce è fastidiosa, come al solito, e riconosco di essermi svegliata nello stesso luogo in cui mi sono addormentata. Per lo meno non sono stata trasportata da destra e a manca mentre avevo una faccia da cretina addormentata.
"Mamma mia, quanto dormi."
"Sapevo che saresti stato qui." riesco a mettermi velocemente seduta senza subire strani giramenti di testa, guardando Levi dritto negli occhi celesti. "Ho sognato Cherice che mi parlava di cose strane."
Il Topo fa un sorrisetto divertito, sistemando meglio lo sgabello per poter appoggiare i gomiti sul materasso: "Immaginavo una cosa del genere."
"Parlo nel sonno?"
"No." Levi scuote la testa, in compenso però indica la valigetta da cui Jennifer estraeva le siringhe mano a mano che doveva farmi le iniezioni. "Ma il siero che ti abbiamo dato ha fatto lo stesso effetto su Hunter, mentre su Regan e Theodore non ha fatto niente. Sembra che a voi due stia succedendo qualcosa di strano."
"Jennifer mi ha accennato a qualcosa sull'essere una cavia...ma ho i ricordi sfocati, ad essere sincera."
Levi mi scruta velocemente, per poi concludere con un'alzata di spalle: "Agisce sulla memoria, infatti. Hunter ha iniziato a ricordare eventi dei suoi primi giorni di vita, mentre tu non ricordi nemmeno cos'è successo ieri."
"Ieri?"
Lui annuisce, facendo oscillare i ciuffi castani sulla fronte: "Ti stavo guardando dal vetro a specchio quando sei crollata. Tra l'altro, Jennifer ti ha riempito la testa con un sacco di cazzate prima che le sostanze facessero effetto ma non potevo intervenire, c'è un regolamento da seguire quando si fanno certi generi di operazioni. Mi dispiace che tu si stata ad ascoltarla."
Adesso che è di buon umore e che quindi non usa il suo simpaticissimo tono sostenuto mi verrebbe voglia di mollargli quattro schiaffi sulle guance, non è possibile che riesca a comportarsi da normale diciottenne solo quando gli giri e per il resto del tempo non è altro che uno stronzo. Mi dà davvero troppo fastidio, e se avessi le forze necessarie per dirgliene quattro lo farei volentieri, ma al momento penso di essere costretta a rimandare.
"Non ricordo granché." mento, sperando che lui non capisca che gli sto dicendo una bugia. "Piuttosto, perché sei qui? Se non sbaglio era Jennifer a starmi dietro."
"Per te," Levi mi guarda dritto negli occhi e, anche se forse il suo intento non è questo, riesce a farmi mancare per qualche istante da quanta serietà c'è nel suo sguardo. "Prima di tutti quanti, ci sono io. Ho aspettato che finisse di farti le iniezioni mentre dormivi e poi ho chiesto subito di prendere il suo posto. Se ti svegliavi con lei poi svenivi di nuovo, sicuro."
"Credo non fosse proprio tremenda come credevo. A quanto ricordo, insomma...hai sentito tutto, no?"
Il Topo di fogna fa un sorrisetto stranamente divertito mentre rivolge il viso verso di me appoggiando la guancia sulle sue braccia conserte sul materasso: "Ti riferisci al fatto che ha una cotta per me?"
La freddezza con cui questo ragazzo elargisce sentenze è impressionante, fa quasi paura. Cercando di nascondere quindi il mio imbarazzo per la questione, incrocio le braccia e distolgo lo sguardo dal suo: "Non volevo essere diretta."
"Dovresti, con me. E comunque lo so da quando la conosco, ma non ci ho mai nemmeno pensato. E come lei non ho nemmeno mai pensato a tutte le altre mie colleghe che credono che, solo per il mio grado di autorità, io sia un ragazzo da conquistare. Mi fanno pena. Non le considero nemmeno mie pari."
"Tanto per cambiare, insomma."
Di nuovo, alza le spalle per annuire e alza il viso verso di me: "Che colpa ne ho io se sono tutti così?"
Scuoto la testa, sbuffando. Per quanto lui possa avere più esperienza di me nel mondo, non ha ancora imparato che non si è al centro di se stessi. La sua esistenza sarà un continuo narcisismo se non riuscirà mai a vedere il valore che hanno le altre persone, che siano umani o metà. Questo suo guardare tutti dall'altro al basso senza riuscire mai a chiedersi 'perché' è l'unica sua condanna nella vita, prima imparerà a prendere in considerazione le persone come vere e proprie vite umane, prima risolverà questo suo grande deficit.
"Sai qual è il tuo problema?" magari sto andando incontro a morte certa, ma non riesco più a trattenermi.
"Immagino che tu stia per dirmelo." ribatte, guardandomi negli occhi con un sorrisetto.
Prendo un respiro, formulando velocemente il discorso nella mia testa: "Il tuo problema è che hai sempre visto tutti, ma non hai mai guardato nessuno."
La sua espressione spensierata lascia spazio ad un'espressione confusa, mentre i suoi occhi vagano nei miei in cerca di una risposta: "Che vorresti dire?"
"Esattamente quello che ho detto. Vivi solo per te stesso, prendendo in considerazione la tua esistenza e ignorando tutte le altre. Tratti me e tratti tutti gli altri come se fossimo degli zerbini, come se ti servissimo solo per raggiungere uno scopo che non ho idea di cosa sia. Non ti curi del dolore che possono provare gli altri, non t'importa cosa pensino né cosa facciano finché questo non ha a che fare con te."
Levi tentenna qualche istante, guardandosi leggermente prima intorno e poi rivolgendo il suo sguardo a me, titubante: "Credi davvero di conoscermi?"
Questa domanda mi spiazza, ma non devo dimostrargli la mia confusione, se no saprà di avermi perfettamente in pugno. Così me ne esco con un'alzata di spalle: "Non credo di conoscerti, ma credo solo di aver capito la tua attitudine verso le persone. Tutto qui."
"Forse hai ragione."
Sgrano gli occhi, sorpresa. Ragione? Io? Ma quando mai...detta da lui, poi, suona tanto come una simpatica presa in giro.
"Forse," ripete, appoggiando di nuovo i gomiti sul materasso, ora più tranquillo. "Te ne rendi conto perché non agisco così verso di te e quindi non sei inclusa nel gruppo di persone che vedo ma non guardo, come dici tu."
Ammetto che questa conversazione sta tendendo vagamente all'assurdo, ma non mi faccio scoraggiare e mi preparo alla guerra: "Non mi sembra che tu mi tratti tanto diversamente da come fai con gli altri."
"Stando alla tua teoria, allora, avrei dovuto solamente guardarti svenire e non fare nulla a riguardo. Successivamente poi me ne sarei dovuto fregare e mi sarei dovuto andare a prendere un caffè, per poi concludere con una partita a carte nell'attesa che ti svegliassi. Magari briscola." con questa stoccata finale, Levi sorride soddisfatto. "Ti sembra forse che io abbia fatto così?"
Sebbene io detesti questo ragazzo devo ammettere che ammiro profondamente la sua capacità di avere sempre un'antitesi pronta. Anche se in difficoltà, però, riesco comunque a rispondere: "Hai solo fatto il tuo dovere."
"Dovere?" ripete, forse sinceramente allibito. "Il mio dovere è quello di sorvegliarti, non di prendermi cura di te. Che tu stia male o bene, al mio ruolo, non importa niente. Fidati: ti ho vista, guardata e continuo tutt'ora a farlo. Se tu ti ostini a vedermi come il mostro cattivo, ben venga!"
Non riesco più a sostenere il suo sguardo e sono costretta a puntare il mio altrove, oltre le sue spalle: "Non riesco a capirti."
"Non ti ho mai chiesto di farlo." conclude, alzandosi finalmente dallo sgabello e ponendo fine a questa tortura. So per certo che non l'ha detto tanto per dire, lui mira solo a confondermi sempre di più le idee e su questo non ci piove. Sembra che sia tutto un gran mistero quando lui si mette a fare il filosofo, tutti questi gran significati dietro ad ogni parola non sono così semplici da interpretare, ma il peggio del peggio è che è proprio lui a riuscire a confondermi.


"Allora, ti sei ripresa?"
Guardo Kalidas che, entrando in questa stanza, porta con sé un'altra valigetta delle tortura. Non credo che Levi sia ancora fuori dalla porta a controllare che tutto vada bene, con la discussione avuta qualche ora fa forse se l'è presa. Non so nemmeno che fase ci sia ora delle varie iniezioni come non so perché Kalidas sia qui, a quanto ne sapevo ero affidata a Jennifer e poi, di nuovo, a Levi. Sono mentalmente instabile per stabilire se io sia contenta o meno che qui ci sia Kalidas e non il mio sadico supervisore, anche se non mi è ancora chiara la presenza del bestione che mi ha sedata la prima volta in cui sono entrata in contatto con loro.
"Devo parlare con Hunter." è la mia risposta, alquanto debole devo ammettere poi. Mi sembra di essere in una lavatrice ad essere sincera.
"Non è il momento giusto." Kalidas tira fuori dalla valigetta una strana mascherina collegata ad un tubo che finisce in una strana ampolla di vetro contenente chissà cosa. "Hai quest'ultimo test da fare, poi potremo ripartire. Anche Hunter è sotto osservazione come te."
Senza più opporre resistenza gli lascio mettermi la mascherina, notando come solo azionando un piccolo bottone il liquido diventi gas e io cominci ad inalarlo. Non ha un gusto particolare, so solo che un altro esame del genere e io vado fuori di testa. Non avere il pieno controllo delle mie azioni è decisamente orribile, non poter controllare i miei movimenti e sapere di essere in mano a degli estranei è una delle sensazioni peggiori che abbia mai provato.
"E' per rimetterti in forze, anche se non sembra." Kalidas appoggia la mano sulla mia spalla, sorridendomi appena. "Dagli dieci minuti per fare effetto, okay?"
Annuisco, ma sono ancora impegnata a chiedermi dove sia Levi per credere realmente alle parole del ragazzo davanti a me. Ho talmente tanti problemi da fronteggiare che ora come ora non so più se per me sia meglio addormentarmi o restare vigile.
Anche se con molta fatica riesco ad allungare il braccio verso Kalidas e ad attirare quindi la sua attenzione.
"Cosa c'è?" mi chiede, gentilmente, anche se questo suo tono mi convince ben poco.
"Devo parlare con Levi. Puoi chiamarmelo?"
"Levi?" Kalidas si guarda intorno, smarrito. "Non ci hai parlato poco fa?"
"Ho scordato una cosa." mento, anche se so che sto letteralmente calpestando il mio orgoglio facendo ciò che sto per fare.
Kalidas annuisce, alzandosi poi dallo sgabello: "Credo sia andato negli spogliatoi a fare la doccia. Adesso vado a cercarlo, se è reperibile te lo chiamo."
Gli faccio un cenno, fissandolo mentre si allontana dalla stanza. Non so cosa mi stia succedendo, forse è l'effetto di questo gas o è colpa di tutto l'insieme di fenomeni che mi stanno accadendo, ma c'è una richiesta che devo fare a Levi. So già la sua risposta, la so benissimo, ma devo comunque provarci. Non posso più sopportare tutto questo, prima o poi esploderò e non posso fare altro che essere terrorizzata da ciò. Solo una volta ho avuto un crollo dovuto ad una discussione con Theodore quando avevo tredici anni, e il risultato è stato devastante: il mio potere andò fuori controllo ed era come se tentasse di uccidermi da dentro. Non lo sapevo ancora gestire alla perfezione, forse nemmeno ora ci riesco, ed è ciò di cui ho più paura.
"Ehi." la porta si riapre e appare Levi con i capelli bagnati e una tuta diversa dalla precedente. La sua espressione non è esattamente rilassata ma nemmeno tesa, non saprei proprio come definirla. Forse dovevo ancora vederlo così. "Avevi bisogno?"
Annuisco, ma aspetto che venga vicino a me per parlare dato che non ho più di cinque decibel di voce disponibili. Lui si muove lentamente all'interno della stanza, e appena si abbassa per sfilarmi la mascherina e permettermi di parlare senza soffocarmi, vedo i suoi occhi farsi più attenti sul mio viso. Che c'è, ora?
"Sì." confermo, non badando alla sua espressione da cretino. Prima che possa continuare, ovviamente, vengo però bloccata da lui.
"Non ti fa bene questa sostanza. Hai gli occhi più rossi di uno che si è appena fatto di ketamina."
"Forse c'è proprio quella." ribatto, respirando finalmente ossigeno. Comincio già a sentirmi meglio.
"Credevo andasse bene." borbotta, passando la mano tra i ciuffi bagnati con uno sbuffo. "Sapevo che avrei dovuto esserci io."
"Pensavo fossi arrabbiato." ammetto, anche se la cosa non mi tocca più di tanto ad essere sincera.
Lui si gira verso di me, sorridendo: "E per cosa?"
"Lascia stare."
Se ne esce con un'alzata innocente di spalle, tornando però subito su di me: "Di cosa avevi bisogno? Se volevi che ti togliessi la maschera poteva farlo anche Kalidas."
Scuoto la testa, sentendo per un attimo il mio cuore accelerare: "Voglio che tu mi lasci andare."
Alla mia richiesta i suoi occhi azzurri si sgranano, sorpresi, mentre la sua espressione si fa quasi allibita: "Lasciarti andare?"
"Non ce la faccio." anche se mi sta costando tutta la mia volontà e dignità, mi metto seduta per riuscire a guardarlo negli occhi senza dover sentire la testa girare. "Devo cercare Cherice da sola."
"Sai che non posso farlo."
"Cosa diavolo ti ho fatto di male, eh?" sbotto, stringendo più forte che posso le lenzuola tra le mie dita. "Perché mi odi così tanto? Sono solo un pezzo da collezione, no? Ne hai già a centinaia come me!"
Il Topo di fogna sbuffa, forse esasperato o forse disperato, lasciando cadere per un attimo la testa all'indietro prima di avvicinare il suo viso al mio: "Ascoltami bene, perché lo dirò una volta sola. La tua presenza qui non è stata una mia richiesta, sono stati i piani alti a mandarmi in ricognizione e stare vicino a te per supervisionarti è stata l'unica scelta che ho potuto fare in tutta la faccenda. Non ti odio né mi hai fatto niente di - fondamentalmente - male, è solo il mondo che sta girando così. E anche se potessi non ti libererei, questo è certo."
Come immaginavo, il tono che ha usato è lo stesso che avevo previsto. Ma, anche se va tutto secondo i miei piani, devo continuare a ribattere: "E perché no, sentiamo! Visto che non è niente di personale sono curiosa di sapere perché non mi lascer-"
Il suo scatto improvviso mi fa sgranare gli occhi per la paura, mentre vedo chiaramente diversi rivoli di sangue scendere copiosamente dal suo braccio ferito. Ricostruisco mentalmente la scena: le sue guance che si arrossano e lui che, in un guizzo imprevedibile, spalanca il braccio colpendo l'ampolla di vetro buttando tutto a terra e tagliandosi lungo il braccio. Ora il suo respiro è affannoso, come se stesse attraversando quasi una crisi di panico, ma so che non è così perché il suoi sguardo resta inquietantemente pacato.
"Smettila con questi perché!" grida, girandosi di scatto verso di me, ignorando il suo braccio sanguinante. "Perché, perché e ancora perché! Credi che tutti le tue insulse domande debbano avere per forza una risposta? Non ce l'hanno, Siena, niente a questo mondo ha una cazzo di risposta! Non ti lascerei andare perché hai solo diciassette anni e non hai mai visto questo mondo al di fuori di quell'accidenti di quartiere in cui hai vissuto tutta la tua vita. Cosa faresti lì fuori, eh? Appenderesti dei cartelli e spereresti nella bontà della gente? Spiacente, non va così! Se ti tengo con me è solo per evitare che tu corra più pericoli di quanti già tu ne stia affrontando, anche se forse per la mia salute mentale sarebbe meglio non averti più tra i piedi!"
"Allora potresti fare a meno di fare scena e dirmi le cose prima di aprirti il braccio!" grido di conseguenza, alzandomi finalmente dal lettino dopo aver ripreso la lucidità necessaria per stare in piedi. Vado velocemente verso la valigetta del pronto soccorso appesa al muro, tirando fuori garze, alcool e cotone. "Non ti sopporto, cazzo!" sbotto, di nuovo, imbevendo un fiocco di cotone nel disinfettante. "Non ti sopporto nemmeno un po'." nel dire questo, però, appoggio il batuffolo sul suo braccio e cerco di pulire la ferita, fermando anche lo scorrimento del sangue. So che le mie azioni non corrispondono effettivamente a ciò che sto dicendo, ma non so sinceramente cosa diavolo mi stia prendendo. Sembra che io sia in grado solo di dare di matto ultimamente.
"Io sì?" domanda lui ironicamente, abbassando notevolmente il tono della voce mentre si siede sul lettino bianco. "Non ti sopporto nemmeno io."
"Bene." senza badare realmente a ciò che dice prendo le garze e bendo tutta la sua ferita, ignorando le smorfie di dolore che appaiono sul suo viso e le gocce di sangue che sporcano il lenzuolo immacolato. "Ti sta bene. Così forse impari a gestire la rabbia."
"Mi stai dando dell'isterico?"
Annuisco, terminando la medicazione: "Decisamente."
"Grazie." mormora, abbassando lo sguardo per l'imbarazzo causato dal fatto che sia stata io, anche se negli insulti, a medicarlo.
Fisso la medicazione, guardandolo poi in viso mentre evita il mio sguardo direi palesemente. Sembra che l'unico modo che io e lui abbiamo per comunicare sia solo urlarci addosso finché uno dei due non alza bandiera bianca, vorrei che questa cosa cambiasse al più presto. Di questo passo la situazione non farà altro che peggiorare di giorno in giorno, e non è di certo ciò di cui ho bisogno.
"Sarebbe meglio se la smettessimo." mormoro, sedendomi nuovamente sul letto di fianco a lui.
"Di urlare?" giro il viso verso di me, guardandomi con uno strano sorriso. "Non credo sia possibile."
"Eppure ora non stiamo urlando."
"Sembri sotto l'effetto di droghe." mi apostrofa, ridacchiando, appoggiando però la testa sulla mia spalla. Aspetta, cosa sta facendo? "Anche io, comunque."
Anche se l'istinto mi direbbe di allontanarmi da lui, qualcosa che non capisco mi impedisce però di muovermi: "Non ci fa bene questo posto, probabilmente. A quanto pare hai un passato qui, no?"
In tutta risposta, Levi ghigna leggermente, facendomi mancare con la sua risata cristallina: "Hai ragione su entrambe le cose."



HEYTHERE
Sì, sono tornatat e mi scuso con tutta me stessa per il ritardo. Spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere se ci sono dubbi o incomprensioni!
Vi lascio con uno SPOILER del capitolo 5...

"No, Siena." come ha già fatto in passato, afferra le mie mani a mezz'aria, bloccandomi come una scema. "Non stavolta. Non posso parlare."
"E se ti dessi un motivo per farlo?"
"E cosa potresti fare, sentiamo? Come pensi di convincermi?"
"Così." approfitto delle sue mani già intrecciate alle mie per azzerare la distanza tra me e lui e far collidere le nostre labbra.
Cosa cazzo sto facendo?


Ale xx

  
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