CHAPTER FOUR
"Introvert"
Guardo l'orologio al polso di Ira non
appena quest'ultimo sfila le chiavi dal quadro della macchina,
tirando un sospiro di sollievo.
Non ho ben capito lo scopo di
sette ore di viaggio consecutive, so solo che siamo a chilometri e
chilometri di distanza dalla prigione e questo è già un fatto che
riesce a calmarmi. Ira si è rivelato il completo opposto di Levi: è
socievole, divertente e sa anche raccontare le barzellette a regola
d'arte. Dopo il primo discorso che abbiamo fatto in tema 'fratelli'
nessuno dei due ha più toccato l'argomento, anche se sinceramente
vorrei saperne di più. Immagino di dovermi arrendere prima del
previsto, Ira sembra deciso a non fare una parola in più sul Topo di
fogna.
"Dove siamo?" mi rivolgo verso il moro accanto a
me, fissando divertita le sue guance lentigginose.
"Vedi
quell'edificio di fronte a noi? E' una struttura come la nostra,
siamo gemellati con loro. Istituto Saint Guillaume!" Ira finge
la voce grossa, ridacchiando subito dopo. "Ci fermiamo qui per
chiedere se hanno informazioni su tua sorella e per farvi dei
controlli."
"Controlli?"
Ira scende dalla
macchina, facendomi cenno di seguirlo: "Non sappiamo come
reagiscano le tute con gli ambienti esterni, Levi non vuole che
succeda qualcosa di grave."
"Levi o le persone che
comandano sopra Levi?" borbotto, notando tra l'altro il diretto
interessato scendere dalla macchina con nonchalance, sfilandosi
finalmente le tre orribili forcine dai capelli.
"Beh,"
Ira appoggia la mano sulla mia spalla, guidandomi verso il gruppetto
poco distante da noi. "Non ci sono così tante persone con più
autorità di lui. La sua è una delle cariche più importanti."
"La
sfiga mi perseguita da quando sono nata." commento, sospirando
poi facendo un cenno ad Ira e avvicinandomi a Regan, Theodore e
Hunter. Quest'ultimo sembra particolarmente irritato da come sbatte
nervosamente il piede a terra, non so se chiedergli cos'è successo e
peggiorare la situazione oppure starmene zitta e fregarmene.
"Che
hai combinato, Hunter?" ecco, opto per la gentilezza. Vediamo
come va a finire.
"Quella...tipa!" il futuro-papà alza
gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente. "Non la sopporto.
Celia, dico. Marlene sarebbe andata bene dato che non dice una
parola, ma Celia deve sempre commentare su tutto. Mi ha chiesto se
quando Cherice è rimasta incinta è stato un incidente o volevamo il
bambino!"
Ridacchio leggermente, sorpresa nel vedere Hunter
così nervoso: "Cristo, fino a lì?"
"Fino a lì!"
ripete, esasperato. "Voi non capite. E' un tedio."
"Almeno
parla, la tua." Theodore interviene facendo un cenno verso la
ragazza castana che, timidamente, scambia qualche parola con Levi.
"Marlene non dice una parola nemmeno a pagarla. Per tutto il
tragitto abbiamo ascoltato la musica, ma ciò che mi sorprende di più
è che è un mostro alla guida. Ha entrambe le mani ferme sul volante
e una sicurezza impressionante anche quando viaggia ai
centocinquanta, in curva ha fatto qualcosa come sei sorpassi di fila
e ho creduto di morire. Ha dovuto chiedermi scusa dato il mio
colorito verdognolo." Theodore si passa una mano tra i capelli,
scuotendo poi la testa divertito. "Siamo finiti in un
circo."
Regan non riesce a trattenere le risate e scoppia a
ridere: "Se volete facciamo scambio, io andrei volentieri con la
taciturna."
Alzo la mano anch'io, sorridendo: "Io
scambio il sadico per il simpaticone di Regan, non c'è
problema."
"Il sadico sarebbe Levi?" Hunter mi
fissa, ironico, trovando probabilmente esilarante il fatto che io
abbia sempre da ridire su qualsiasi cosa succeda.
"Esattamente."
rispondo, alla fine, girandomi per accertarmi che non mi stia
ascoltando. Non vedendo né lui né Ira presuppongo che siano entrati
ad annunciare il nostro arrivo, così proseguo. "Sadico è
fargli un complimento. E' il peggio del peggio...suo fratello è il
suo contrario, grazie a Dio."
"Si vede che hanno due
temperamenti diversi." Theodore porta l'indice al mento,
assumendo un'espressione pensierosa. "So che sono fratellastri,
e in effetti hanno alcuni tratti fisici in comune. Oltre a questo,
però...niente, credo. Eppure sono uniti."
Annuisco: "Molto
uniti. Non si direbbe, ma a detta di Ira è così anche se, devo
dire, è stato parecchio schivo nei confronti dell'argomento."
Regan
se ne esce con un sospiro, alzando poi le spalle: "Non lo
sapremo mai, forse. Siamo considerati nulla, qui dentro. Un immenso
nulla."
"Che negatività." Hunter guarda la rossa
ridacchiando, alzando però di scatto lo sguardo non appena ognuno di
noi sente il proprio supervisore chiamarci per nome. Celia chiama
Hunter, Marlene chiama Theodore, Kalidas chiama Regan ed infine Levi
chiama me, anche se naturalmente avrei preferito essere chiamata da
Ira. Mentre gli arrivo di fronte vedo i suoi occhi azzurri farsi
sempre più sottili fino ad essere quasi inquietanti, e la sua
espressione diventare quasi ironica mentre, con una lentezza
impressionante, sfila dalla cintura un paio di manette. Ti prego, non
di nuovo.
"Dov'è Ira?" gli chiedo, tendendo le mani
verso di lui per non fare più storie del dovuto.
"Dentro."
mi risponde con un tono seccato, mentre apre le manette e ne richiude
una attorno al mio polso, riservandosi l'altra per il suo come vedo
che tutti gli altri stanno facendo. La mia è estremamente larga,
però. Muovendomi appena potrei sfilare tranquillamente la
mano.
"Ehi, genio, è enorme." borbotto una volta che
lui alza il viso verso di me. "Se scappo devi rincorrermi."
I
suoi occhi cadono per un attimo sulla mia mano, per poi chiudersi in
una smorfia allegra: "Sono loro che devono credere che tu non
possa scappare, ma non occorre che io ti incateni a me sul serio come
ieri."
Lo guardo, perplessa, trovando nei suoi occhi uno
strano guizzo di allegria: "Come lo sai che non ce n'è bisogno?
Potrei scappare in questo momento."
Levi alza le spalle: "Non
ti conviene. Cosa faresti senza di noi? Senza di me?"
"Senza
di te probabilmente respirerei senza odiare il mondo, senza gli altri
non lo so." sentenzio, sostenendo il suo sguardo. So che dico
sempre che non voglio più parlargli, ma rispondere alle sue
provocazioni è più forte di me. "Non darmi per scontata."
"Non
mi permetterei mai." lui alza la mano libera all'aria,
sorridendo. "Andiamo, madame?"
Sospiro, affranta,
riservandogli però una gomitata: "Dacci un taglio."
La
struttura in cui entriamo sembra il doppio di quella da cui siamo
partiti: è tutto bianco - un bianco stomachevole, tutti i ragazzi
intorno a noi hanno delle tute uguali a quelle dei nostri supervisori
e lo stesso sguardo altezzoso dipinto sul volto. C'è un grande via
vai in ogni angolo, che si tratti dell'atrio o degli infiniti
corridoi che collegano parti diverse dell'edificio a quest'enorme
sala centrale.
Io e Levi apriamo la fila, non riesco a vedere le
reazioni dei miei compagni ma so che sono spaesati quanto me. Cosa ci
faranno qui? Ho sopportato appena i controlli nell'altra prigione,
non posso passarci di nuovo. Tutto il male che non ho fatto a Levi
potrei farlo a qualcun altro se la tensione continua a crescere così
smisuratamente in me, e non riesco a fare altro che sbattere
velocemente le palpebre e assicurarmi che, in un modo o nell'altro,
una via d'uscita ci sarebbe.
"Levi Callaway!" una voce
femminile mi distrae dai miei pensieri, mentre vedo una ragazza tutta
impettita dirigersi verso il Topo con un sorrisone stampato su quel
viso da prendere a schiaffi.
"Jennifer." Levi mantiene
un certo distacco, stringendole cortesemente la mano. Bravo Topo.
"Credevo fossi al centro ad est."
"Mi hanno
trasferita proprio per il vostro arrivo. Avete fatto grande scalpore,
sai? Insomma, una di loro incinta...che stupida."
Sgrano gli
occhi, e mi sa che Levi ha già capito cosa intendo fare dal momento
che, sapendo che la manetta non è realmente un problema, stringe la
mia mano e la tira indietro. Sapesse cosa me ne faccio io del suo
tentativo di farmi stare buona, quest'oca ha appena offeso mia
sorella e non può passarla liscia così.
"Cos'hai detto?"
sbotto, vedendo i suoi occhi verdognoli sgranarsi per la sorpresa del
tono che uso.
"Tu, piuttosto. Come ti viene in mente di
rivolgermi così la parola?" la bionda ossigenata mi arriva di
fronte, mentre Levi si picchia una mano alla fronte. Che carino, sa
già che farò un casino. "Sei solo una delle tante nostre spine
nel fianco, nulla di più."
Sorrido come se mi stessi
realmente divertendo: "E tu non sei altro che la feccia che
incontro ogni giorno lungo la mia strada. Bella storia, no?"
La
fantomatica Jennifer picchia la scarpa col tacco a terra, diventando
tutta rossa per la rabbia: "Vedi di abbassare i toni, piccola
schifosa-"
"Adesso basta." Levi interviene, ma a me
rivolge solo le spalle e parla solo all'oca. Tutti animali, qui
dentro. "Non la conosci, non insultare se non sai chi hai
davanti."
"Levi?" la biondina sembra veramente
sorpresa nel sentire le parole del Topo di fogna. "Stai
rimproverando...me? Non hai sentito come mi si è rivolta
contro?"
"Ha fatto bene. Il suo DNA sarà quel che sarà,
ma ha la bocca per parlare e offendere anche lei come te, io non ho
alcun potere sulla sua volontà di parola. Può fare quello che le
pare, e in questo caso ha ragione lei. Scendi dal piedistallo appena
riesci, grazie."
Sgrano gli occhi, incredula. E' veramente
Levi la persona che ha appena parlato? Mi ha difesa? Toh! Questa è
bella. Mi guardo di nuovo attorno, notando stavolta Ira che,
appoggiato con i gomiti alla cattedra circolare, sorride verso di
noi. Da quanto è lì?
"Ti sei rincretinito stando
nell'istituto a ovest." sentenzia Jennifer, offesa, girando i
tacchi. "Eri molto meglio quando facevamo il lavoro adatto alla
nostra età qui, a sud. Prima di tuo fratello, dico."
Confusa,
attendo la risposta di Levi. Cosa vorrebbe dire il lavoro adatto alla
sua età? Ci sono lavori per le età, in questo campo? Levi ha
accennato solo stamattina al fatto che il suo lavoro richieda tanto
impegno, per come la vede lui, ma non mi ha mai detto nulla in merito
a ciò che è successo prima di arrivare dove siamo ora. La sua
risposta, secca e tagliente come al solito, non tarda ad arrivare:
"Se non dici niente è meglio per chiunque, credimi. Smettila di
ficcare il naso nei miei affari, ti ho detto mille volte di lasciare
Ira fuori dalla mia vita. Non ti ha mai riguardato."
"Mai?"
la biondina si gira verso Levi con un sorrisetto terribile. "Oh,
credo tu sia in torto."
Detto questo, se ne va muovendo le
anche come se fosse sospesa su una fune. Mi aspetto da Levi delle
spiegazioni, ma al posto di ciò di cui ho bisogno lui se la cava con
un sospiro, mollando finalmente la presa sulla mia mano: "Ci
sono proprio degli incompetenti."
"Incompetenti?"
ripeto, facendo una smorfia. "Non mi sembrava che foste proprio
estranei, comunque."
Il Topo di fogna mi squadra per un
secondo, sospirando: "Hai la prima sessione di controlli tra
venti minuti, converrebbe che ti andassi a preparare."
Scuoto
la testa, rassegnata. Quanto non lo sopporto.
Sono di
nuovo da sola, di nuovo in una stanza di isolamento, di nuovo in
attesa che qualcuno mi raggiunga per darmi delle informazioni su cosa
io debba mai fare. Sono stata separata dal gruppo ancora mezz'ora fa,
mentre Levi è rimasto con me giusto altri dieci minuti per poi
raggiungere i suoi colleghi. Al momento l'unica cosa di cui sono
certa, purtroppo, è che dovrò fare almeno quattro iniezioni e una
svariata serie di strani controlli. Non ho la minima voglia di farli,
e non voglio nemmeno essere bucata di nuovo da altri aghi, direi che
ne ho già avuto abbastanza. La mia abilità di adattarmi purtroppo
non influisce in ambito mentale, perciò anche se mi sono abituata al
clima diverso, all'aria soffocante e alla confusione costante, il
senso di inadeguatezza continua a seguirmi come un'ombra. Non vedo
Ira da quando siamo arrivati, ovvero da quando mi sono accorta di lui
nel frangente in cui Levi litigava con Jennifer, ma non sono più
riuscita a parlargli, perciò il mio status mentale non è nemmeno un
po' rasserenato. Da quando sono scesa dalla macchina è stato un
continuo declino per culminare poi nel momento in cui, proprio
davanti ai miei occhi in questo istante, la porta fatta di vetri a
specchio - chi è fuori vede me ma io non posso vedere loro, carino -
della mia stanza si apre ed entra nientepopodimeno che Jennifer
nonsoilcognome. Qualcuno mi vuole del gran male, ed è ora che
lo ammetta.
"Sono stata affidata a te." la bionda
usa un tono di voce freddo come il ghiaccio, mentre appoggia una
valigetta sull'enorme mensola bianca. "Ci divertiremo molto,
vedrai."
"Lo immagino." borbotto, guardandola
mentre compila un foglio apparentemente scritto in fretta e furia.
Forse è un attestato a tutte le torture che sta per infliggermi.
"Ripartirete quando tu e i tuoi amici avrete reagito a tutte
le sostanze nel modo corretto. Fino a quel momento, siete solo delle
cavie."
Sorrido leggermente, guardandola tirare fuori un set
di siringhe già piene di liquido: "Mi è stato detto di
peggio."
"Con uno come Levi è certa la cosa."
Jennifer mi rivolge uno sguardo pieno d'odio, venendo verso di me con
una siringa. "Non è il compagno di giochi ideale,
no?"
Incredibilmente sono d'accordo con lei, e solo per
quello che ha detto abbasso la manica della felpa per lasciarle lo
spazio sulla spalla per l'iniezione senza fare storie: "Per
niente."
"Non è sempre stato così, se lo vuoi sapere."
con un gesto secco, Jennifer infila l'ago nella mia pelle e
spinge velocemente dentro il liquido. "Non mi aspettavo di
trovarlo in questo stato."
Sembra che questa ragazza stia
cercando di dirmi qualcosa senza però dirlo con parole chiare. E'
forse il caso che provi ad indagare?
"In particolare?"
le chiedo, trattenendo il fiato mentre la sento sfilare l'ago dal mio
braccio e prepararsi ad un altro colpo.
"Si comportava come
richiede il comportamento di un, all'epoca, sedicenne." anche se
Jennifer usa un tono veramente distaccato, non sembra però dare così
poca importanza a ciò che sta dicendo. "E' sempre stato uno
sbruffone, ma col tempo la sua ironia è diventata troppo cattiva.
Perlomeno, così mi hanno detto."
"Mh." aspetto che
la seconda iniezione sia finita per guardarla poi negli occhi
verdognoli. "Che relazione c'è tra voi due?"
La sua
reazione è un semplice sorrisetto accompagnato da una smorfia: "Un
po' come la relazione che ha con tutte le sue colleghe: è il tipico
bel ragazzo che sa ammaliare, ma decisamente inavvicinabile. Che io
sappia, non ha mai preso sul serio in considerazione una singola
ragazza."
Me ne esco anch'io con una smorfia, anche se ad un
discorso del genere non so nemmeno come sarebbe giusto reagire: "Non
credo tu ti perda tanto, se ti può consolare."
Anche se,
diciamocelo, non ho alcun dovere di consolarla. Paradossalmente sto
allegramente chiacchierando con una delle persone peggiori al mondo -
nella vastissima gamma di persone che conosco, ovviamente.
"Forse
è più una questione di orgoglio, ora." la bionda infila il
terzo ago, facendomi sussultare per il dolore. Comincio leggermente a
vederci quadruplo. "Ma tanto non puoi capire."
"Per
fortuna." borbotto, sentendo però l'improvviso bisogno di
stendermi. Non so cosa sia, ma credo che le famose reazioni alle
sostanze che mi sono state iniettate stiano decisamente facendo
effetto. E' uno strano calore interno, anche se il mio corpo non mi
concede più di tre secondi per sentirlo riesco però comunque a
capire di non avere altra scelta se non quella di abbandonarmi al
sonno e sperare di risvegliarmi ed avere ancora il controllo di
tutto. Con tutti i farmaci che mi stanno dando ho seriamente paura di
risvegliarmi e non sapere più chi o dove io sia. La voce di Jennifer
ora sembra un ricordo lontano, ma ancora più lontana sembra la mia
capacità di intendere e di volere. Se questa è una specie di
reazione chimica che le sostanze stanno facendo dentro di me, a parte
lo stordimento impressionante, non è poi così male. In fondo, credo
solo che dormirò per un po' senza riuscire nemmeno a sognare dalla
stanchezza che sto improvvisamente accumulando.
"Ehi,
Siena? Siena? Dai, alzati."
Apro gli occhi, ma sopra
di me non c'è più il soffitto asettico. C'è piuttosto una carta da
parati leggermente antiquata, e anche se l'odore in questa stanza non
è dei migliori questo posto sa comunque di casa. Girandomi di lato,
noto che di fronte a me c'è il viso sorridente di mia sorella.
Sorrido anch'io, per forza, scuotendo la testa. Speravo di non avere
la forza per sognare, ma proprio Cherice ora mi sta svegliando nella
camera dove di solito Theodore dormiva. Avevamo due case diverse:
erano entrambe piccole, le stanze strettamente necessarie ed uno
spazio vitale ristretto, ma stavamo fondamentalmente bene. Hunter e
Cherice se ne stavano per conto loro, mentre io, Theodore e Regan
dormivamo nella casa accanto. Spesso capitava che, essendo la stanza
di Theodore la più fredda d'inverno e la più calda d'estate per via
della sua posizione, dormissi io lì e Theo quindi nella mia. Non
avendo problemi con le temperature a me andava più che bene, e poi
adoravo dormire col profumo di Theo che mi avvolgeva, riusciva sempre
a farmi addormentare col sorriso.
"Ti sei svegliata
presto." è l'unica cosa che riesco a dirle, tralasciando tutto
ciò che sta realmente succedendo nella realtà in cui io sto
dormendo.
"Hunter russava." si giustifica,
ridendo allegramente. "E il bambino è già pesante,
accidenti."
"Ti credo." mi metto seduta
senza alcun problema, uscendo lentamente di casa con Cherice al mio
fianco. Il sole splende alto nel cielo come l'ultima volta che l'ho
visto, mentre i passi di mia sorella sono veramente troppo leggeri
per essere reali. Non c'è nessun altro nei dintorni, solo il nostro
piccolo quartiere disabitato e il leggero soffio del vento.
"Allora,
come va?" Cherice si lascia cadere per terra com'era solita a
fare, inspirando a pieni polmoni il profumo dell'erba fresca di prima
mattina. "Con Levi, intendo."
"Levi?"
ripeto, trovando la domanda piuttosto strana. "Come dovrebbe
andare?"
"Ti ho vista, sai." Cherice ammicca
verso di me, ridendo quasi troppo forte. "In macchina, eri con
Ira ma guardavi solo lo specchietto per vedere Levi. Cosa ti prende,
Siena?"
E' incredibile come, non sentire il mio nome
da qualche giorno, fa sì che il suo suono sia quasi estraneo,
difficile da metabolizzare. Non so se questo accada perché sto
sognando uno scenario così vivido o perché anche nella realtà
suonerebbe così strano, ma spero di farci l'abitudine al più presto
possibile. Non è per niente una bella sensazione.
"Niente."
mi difendo alla fine, sedendomi accanto a lei. "Non guardavo
lui."
"Anche nei sogni riesci a mentire?" mi
rimprovera, corrugando le sopracciglia.
La cosa che mi
ferisce di più di quest'affermazione non è tanto il suo contenuto,
ma il fatto che sia un sogno creato dalla mia mente a dirmelo. E'
come se stessi dicendo a me stessa di smettere di dire bugie che, tra
l'altro, non so di star dicendo. L'unica cosa che riesco a fare,
quindi, è guardare male Cherice e provare a difendermi: "Non
sto per niente mentendo."
"Dovresti svegliarti,
sai?" socchiudendo gli occhi per il sole troppo splendente,
Cherice mi apostrofa con un tono divertito. "Nella realtà,
dico. Stai dormendo da così tanto che mi stai sognando. Credo che
Levi sia lì, quando aprirai gli occhi. Lo spero, almeno."
"E
perché lo speri, di grazia?" appoggio le mani ai fianchi,
sbuffando. "Non lo sopporto."
"Già, già."
mia sorella mi liquida con un gesto veloce della mano. "Sono
sicura che riuscirai a trovarmi, Siena. Non sono così distante."
Mi
mordo il labbro, anche se so che sto parlando con praticamente la mia
mente non riesco a trattenere tutta la rabbia, finendo per urlare
contro l'immagine di mia sorella: "Perché hai dovuto
abbandonarci tutti, si può sapere?! Ci hai lasciati nella merda dopo
essere stata tu a metterci dentro!"
"Non avevo
scelta." i suoi occhi puntano ora i suoi piedi, mortificati come
è giusto che siano. "Hunter mi ha detto che potevo."
"Hunter?"
sgrano gli occhi, restano veramente di sasso. "Come avrebbe
potuto dirti di sì? Nemmeno lui sa perché te ne sei andata!"
"Ti
sbagli." Cherice alza nuovamente lo sguardo verso di me, ora
sorridente. "Mente. Tutti sono capaci di dire bugie, come te. Mi
sta solo coprendo."
Scuoto la testa, alzandomi
dall'erba in fretta: "Non lo farebbe mai. E' sempre stato
sincero con me."
"Prova a ragionare." anche
usando un tono tranquillo, la voce di Cherice in questo momento
risulta fin troppo tagliente per essere solo frutto della mia
fantasia. "E' più probabile che aiuti te o che aiuti me, la sua
ragazza e la madre di suo figlio?"
Resto stordita
qualche secondo, in effetti questo ragionamento non fa una piega. Se
è così, però, Hunter ha non poche cose da spiegarmi. Voglio
svegliarmi, devo parlare assolutamente con lui. Sveglia, Siena.
Sveglia.
"Sveglia, Siena. Sveglia."
Riesco
finalmente a sentire il peso del mio respiro, e vedere il soffitto
come prima cosa mi dà incredibilmente sollievo. La luce è
fastidiosa, come al solito, e riconosco di essermi svegliata nello
stesso luogo in cui mi sono addormentata. Per lo meno non sono stata
trasportata da destra e a manca mentre avevo una faccia da cretina
addormentata.
"Mamma mia, quanto dormi."
"Sapevo
che saresti stato qui." riesco a mettermi velocemente seduta
senza subire strani giramenti di testa, guardando Levi dritto negli
occhi celesti. "Ho sognato Cherice che mi parlava di cose
strane."
Il Topo fa un sorrisetto divertito, sistemando
meglio lo sgabello per poter appoggiare i gomiti sul materasso:
"Immaginavo una cosa del genere."
"Parlo nel
sonno?"
"No." Levi scuote la testa, in compenso
però indica la valigetta da cui Jennifer estraeva le siringhe mano a
mano che doveva farmi le iniezioni. "Ma il siero che ti abbiamo
dato ha fatto lo stesso effetto su Hunter, mentre su Regan e Theodore
non ha fatto niente. Sembra che a voi due stia succedendo qualcosa di
strano."
"Jennifer mi ha accennato a qualcosa
sull'essere una cavia...ma ho i ricordi sfocati, ad essere
sincera."
Levi mi scruta velocemente, per poi concludere con
un'alzata di spalle: "Agisce sulla memoria, infatti. Hunter ha
iniziato a ricordare eventi dei suoi primi giorni di vita, mentre tu
non ricordi nemmeno cos'è successo ieri."
"Ieri?"
Lui
annuisce, facendo oscillare i ciuffi castani sulla fronte: "Ti
stavo guardando dal vetro a specchio quando sei crollata. Tra
l'altro, Jennifer ti ha riempito la testa con un sacco di cazzate
prima che le sostanze facessero effetto ma non potevo intervenire,
c'è un regolamento da seguire quando si fanno certi generi di
operazioni. Mi dispiace che tu si stata ad ascoltarla."
Adesso
che è di buon umore e che quindi non usa il suo simpaticissimo tono
sostenuto mi verrebbe voglia di mollargli quattro schiaffi sulle
guance, non è possibile che riesca a comportarsi da normale
diciottenne solo quando gli giri e per il resto del tempo non è
altro che uno stronzo. Mi dà davvero troppo fastidio, e se avessi le
forze necessarie per dirgliene quattro lo farei volentieri, ma al
momento penso di essere costretta a rimandare.
"Non ricordo
granché." mento, sperando che lui non capisca che gli sto
dicendo una bugia. "Piuttosto, perché sei qui? Se non sbaglio
era Jennifer a starmi dietro."
"Per te," Levi mi
guarda dritto negli occhi e, anche se forse il suo intento non è
questo, riesce a farmi mancare per qualche istante da quanta serietà
c'è nel suo sguardo. "Prima di tutti quanti, ci sono io. Ho
aspettato che finisse di farti le iniezioni mentre dormivi e poi ho
chiesto subito di prendere il suo posto. Se ti svegliavi con lei poi
svenivi di nuovo, sicuro."
"Credo non fosse proprio
tremenda come credevo. A quanto ricordo, insomma...hai sentito tutto,
no?"
Il Topo di fogna fa un sorrisetto stranamente divertito
mentre rivolge il viso verso di me appoggiando la guancia sulle sue
braccia conserte sul materasso: "Ti riferisci al fatto che ha
una cotta per me?"
La freddezza con cui questo ragazzo
elargisce sentenze è impressionante, fa quasi paura. Cercando di
nascondere quindi il mio imbarazzo per la questione, incrocio le
braccia e distolgo lo sguardo dal suo: "Non volevo essere
diretta."
"Dovresti, con me. E comunque lo so da quando
la conosco, ma non ci ho mai nemmeno pensato. E come lei non ho
nemmeno mai pensato a tutte le altre mie colleghe che credono che,
solo per il mio grado di autorità, io sia un ragazzo da conquistare.
Mi fanno pena. Non le considero nemmeno mie pari."
"Tanto
per cambiare, insomma."
Di nuovo, alza le spalle per annuire
e alza il viso verso di me: "Che colpa ne ho io se sono tutti
così?"
Scuoto la testa, sbuffando. Per quanto lui possa
avere più esperienza di me nel mondo, non ha ancora imparato che non
si è al centro di se stessi. La sua esistenza sarà un continuo
narcisismo se non riuscirà mai a vedere il valore che hanno le altre
persone, che siano umani o metà. Questo suo guardare tutti
dall'altro al basso senza riuscire mai a chiedersi 'perché' è
l'unica sua condanna nella vita, prima imparerà a prendere in
considerazione le persone come vere e proprie vite umane, prima
risolverà questo suo grande deficit.
"Sai qual è il tuo
problema?" magari sto andando incontro a morte certa, ma non
riesco più a trattenermi.
"Immagino che tu stia per
dirmelo." ribatte, guardandomi negli occhi con un
sorrisetto.
Prendo un respiro, formulando velocemente il discorso
nella mia testa: "Il tuo problema è che hai sempre visto tutti,
ma non hai mai guardato nessuno."
La sua espressione
spensierata lascia spazio ad un'espressione confusa, mentre i suoi
occhi vagano nei miei in cerca di una risposta: "Che vorresti
dire?"
"Esattamente quello che ho detto. Vivi solo per
te stesso, prendendo in considerazione la tua esistenza e ignorando
tutte le altre. Tratti me e tratti tutti gli altri come se fossimo
degli zerbini, come se ti servissimo solo per raggiungere uno scopo
che non ho idea di cosa sia. Non ti curi del dolore che possono
provare gli altri, non t'importa cosa pensino né cosa facciano
finché questo non ha a che fare con te."
Levi tentenna
qualche istante, guardandosi leggermente prima intorno e poi
rivolgendo il suo sguardo a me, titubante: "Credi davvero di
conoscermi?"
Questa domanda mi spiazza, ma non devo
dimostrargli la mia confusione, se no saprà di avermi perfettamente
in pugno. Così me ne esco con un'alzata di spalle: "Non credo
di conoscerti, ma credo solo di aver capito la tua attitudine verso
le persone. Tutto qui."
"Forse hai ragione."
Sgrano
gli occhi, sorpresa. Ragione? Io? Ma quando mai...detta da lui, poi,
suona tanto come una simpatica presa in giro.
"Forse,"
ripete, appoggiando di nuovo i gomiti sul materasso, ora più
tranquillo. "Te ne rendi conto perché non agisco così verso di
te e quindi non sei inclusa nel gruppo di persone che vedo ma non
guardo, come dici tu."
Ammetto che questa conversazione sta
tendendo vagamente all'assurdo, ma non mi faccio scoraggiare e mi
preparo alla guerra: "Non mi sembra che tu mi tratti tanto
diversamente da come fai con gli altri."
"Stando alla
tua teoria, allora, avrei dovuto solamente guardarti svenire e non
fare nulla a riguardo. Successivamente poi me ne sarei dovuto fregare
e mi sarei dovuto andare a prendere un caffè, per poi concludere con
una partita a carte nell'attesa che ti svegliassi. Magari briscola."
con questa stoccata finale, Levi sorride soddisfatto. "Ti sembra
forse che io abbia fatto così?"
Sebbene io detesti questo
ragazzo devo ammettere che ammiro profondamente la sua capacità di
avere sempre un'antitesi pronta. Anche se in difficoltà, però,
riesco comunque a rispondere: "Hai solo fatto il tuo
dovere."
"Dovere?" ripete, forse sinceramente
allibito. "Il mio dovere è quello di sorvegliarti, non di
prendermi cura di te. Che tu stia male o bene, al mio ruolo, non
importa niente. Fidati: ti ho vista, guardata e continuo tutt'ora a
farlo. Se tu ti ostini a vedermi come il mostro cattivo, ben
venga!"
Non riesco più a sostenere il suo sguardo e sono
costretta a puntare il mio altrove, oltre le sue spalle: "Non
riesco a capirti."
"Non ti ho mai chiesto di farlo."
conclude, alzandosi finalmente dallo sgabello e ponendo fine a questa
tortura. So per certo che non l'ha detto tanto per dire, lui mira
solo a confondermi sempre di più le idee e su questo non ci piove.
Sembra che sia tutto un gran mistero quando lui si mette a fare il
filosofo, tutti questi gran significati dietro ad ogni parola non
sono così semplici da interpretare, ma il peggio del peggio è che è
proprio lui a riuscire a confondermi.
"Allora, ti
sei ripresa?"
Guardo Kalidas che, entrando in questa stanza,
porta con sé un'altra valigetta delle tortura. Non credo che Levi
sia ancora fuori dalla porta a controllare che tutto vada bene, con
la discussione avuta qualche ora fa forse se l'è presa. Non so
nemmeno che fase ci sia ora delle varie iniezioni come non so
perché Kalidas sia qui, a quanto ne sapevo ero affidata a Jennifer e
poi, di nuovo, a Levi. Sono mentalmente instabile per stabilire se io
sia contenta o meno che qui ci sia Kalidas e non il mio sadico
supervisore, anche se non mi è ancora chiara la presenza del
bestione che mi ha sedata la prima volta in cui sono entrata in
contatto con loro.
"Devo parlare con Hunter." è la mia
risposta, alquanto debole devo ammettere poi. Mi sembra di essere in
una lavatrice ad essere sincera.
"Non è il momento giusto."
Kalidas tira fuori dalla valigetta una strana mascherina collegata ad
un tubo che finisce in una strana ampolla di vetro contenente chissà
cosa. "Hai quest'ultimo test da fare, poi potremo ripartire.
Anche Hunter è sotto osservazione come te."
Senza più
opporre resistenza gli lascio mettermi la mascherina, notando come
solo azionando un piccolo bottone il liquido diventi gas e io cominci
ad inalarlo. Non ha un gusto particolare, so solo che un altro esame
del genere e io vado fuori di testa. Non avere il pieno controllo
delle mie azioni è decisamente orribile, non poter controllare i
miei movimenti e sapere di essere in mano a degli estranei è una
delle sensazioni peggiori che abbia mai provato.
"E' per
rimetterti in forze, anche se non sembra." Kalidas appoggia la
mano sulla mia spalla, sorridendomi appena. "Dagli dieci minuti
per fare effetto, okay?"
Annuisco, ma sono ancora impegnata a
chiedermi dove sia Levi per credere realmente alle parole del ragazzo
davanti a me. Ho talmente tanti problemi da fronteggiare che ora come
ora non so più se per me sia meglio addormentarmi o restare vigile.
Anche se con molta fatica riesco ad allungare il braccio verso
Kalidas e ad attirare quindi la sua attenzione.
"Cosa c'è?"
mi chiede, gentilmente, anche se questo suo tono mi convince ben
poco.
"Devo parlare con Levi. Puoi chiamarmelo?"
"Levi?"
Kalidas si guarda intorno, smarrito. "Non ci hai parlato poco
fa?"
"Ho scordato una cosa." mento, anche se so che
sto letteralmente calpestando il mio orgoglio facendo ciò che sto
per fare.
Kalidas annuisce, alzandosi poi dallo sgabello: "Credo
sia andato negli spogliatoi a fare la doccia. Adesso vado a cercarlo,
se è reperibile te lo chiamo."
Gli faccio un cenno,
fissandolo mentre si allontana dalla stanza. Non so cosa mi stia
succedendo, forse è l'effetto di questo gas o è colpa di tutto
l'insieme di fenomeni che mi stanno accadendo, ma c'è una richiesta
che devo fare a Levi. So già la sua risposta, la so benissimo, ma
devo comunque provarci. Non posso più sopportare tutto questo, prima
o poi esploderò e non posso fare altro che essere terrorizzata da
ciò. Solo una volta ho avuto un crollo dovuto ad una discussione con
Theodore quando avevo tredici anni, e il risultato è stato
devastante: il mio potere andò fuori controllo ed era come se
tentasse di uccidermi da dentro. Non lo sapevo ancora gestire alla
perfezione, forse nemmeno ora ci riesco, ed è ciò di cui ho più
paura.
"Ehi." la porta si riapre e appare Levi con i
capelli bagnati e una tuta diversa dalla precedente. La sua
espressione non è esattamente rilassata ma nemmeno tesa, non saprei
proprio come definirla. Forse dovevo ancora vederlo così. "Avevi
bisogno?"
Annuisco, ma aspetto che venga vicino a me per
parlare dato che non ho più di cinque decibel di voce disponibili.
Lui si muove lentamente all'interno della stanza, e appena si abbassa
per sfilarmi la mascherina e permettermi di parlare senza soffocarmi,
vedo i suoi occhi farsi più attenti sul mio viso. Che c'è,
ora?
"Sì." confermo, non badando alla sua espressione
da cretino. Prima che possa continuare, ovviamente, vengo però
bloccata da lui.
"Non ti fa bene questa sostanza. Hai gli
occhi più rossi di uno che si è appena fatto di ketamina."
"Forse
c'è proprio quella." ribatto, respirando finalmente ossigeno.
Comincio già a sentirmi meglio.
"Credevo andasse bene."
borbotta, passando la mano tra i ciuffi bagnati con uno sbuffo.
"Sapevo che avrei dovuto esserci io."
"Pensavo
fossi arrabbiato." ammetto, anche se la cosa non mi tocca più
di tanto ad essere sincera.
Lui si gira verso di me, sorridendo:
"E per cosa?"
"Lascia stare."
Se ne esce
con un'alzata innocente di spalle, tornando però subito su di me:
"Di cosa avevi bisogno? Se volevi che ti togliessi la maschera
poteva farlo anche Kalidas."
Scuoto la testa, sentendo per un
attimo il mio cuore accelerare: "Voglio che tu mi lasci
andare."
Alla mia richiesta i suoi occhi azzurri si sgranano,
sorpresi, mentre la sua espressione si fa quasi allibita: "Lasciarti
andare?"
"Non ce la faccio." anche se mi sta
costando tutta la mia volontà e dignità, mi metto seduta per
riuscire a guardarlo negli occhi senza dover sentire la testa girare.
"Devo cercare Cherice da sola."
"Sai che non posso
farlo."
"Cosa diavolo ti ho fatto di male, eh?"
sbotto, stringendo più forte che posso le lenzuola tra le mie dita.
"Perché mi odi così tanto? Sono solo un pezzo da collezione,
no? Ne hai già a centinaia come me!"
Il Topo di fogna
sbuffa, forse esasperato o forse disperato, lasciando cadere per un
attimo la testa all'indietro prima di avvicinare il suo viso al mio:
"Ascoltami bene, perché lo dirò una volta sola. La tua
presenza qui non è stata una mia richiesta, sono stati i piani alti
a mandarmi in ricognizione e stare vicino a te per supervisionarti è
stata l'unica scelta che ho potuto fare in tutta la faccenda. Non ti
odio né mi hai fatto niente di - fondamentalmente - male, è solo il
mondo che sta girando così. E anche se potessi non ti libererei,
questo è certo."
Come immaginavo, il tono che ha usato è lo
stesso che avevo previsto. Ma, anche se va tutto secondo i miei
piani, devo continuare a ribattere: "E perché no, sentiamo!
Visto che non è niente di personale sono curiosa di sapere perché
non mi lascer-"
Il suo scatto improvviso mi fa sgranare gli
occhi per la paura, mentre vedo chiaramente diversi rivoli di sangue
scendere copiosamente dal suo braccio ferito. Ricostruisco
mentalmente la scena: le sue guance che si arrossano e lui che, in un
guizzo imprevedibile, spalanca il braccio colpendo l'ampolla di vetro
buttando tutto a terra e tagliandosi lungo il braccio. Ora il suo
respiro è affannoso, come se stesse attraversando quasi una crisi di
panico, ma so che non è così perché il suoi sguardo resta
inquietantemente pacato.
"Smettila con questi perché!"
grida, girandosi di scatto verso di me, ignorando il suo braccio
sanguinante. "Perché, perché e ancora perché! Credi che tutti
le tue insulse domande debbano avere per forza una risposta? Non ce
l'hanno, Siena, niente a questo mondo ha una cazzo di risposta! Non
ti lascerei andare perché hai solo diciassette anni e non hai mai
visto questo mondo al di fuori di quell'accidenti di quartiere in cui
hai vissuto tutta la tua vita. Cosa faresti lì fuori, eh?
Appenderesti dei cartelli e spereresti nella bontà della gente?
Spiacente, non va così! Se ti tengo con me è solo per evitare che
tu corra più pericoli di quanti già tu ne stia affrontando, anche
se forse per la mia salute mentale sarebbe meglio non averti più tra
i piedi!"
"Allora potresti fare a meno di fare scena e
dirmi le cose prima di aprirti il braccio!" grido di
conseguenza, alzandomi finalmente dal lettino dopo aver ripreso la
lucidità necessaria per stare in piedi. Vado velocemente verso la
valigetta del pronto soccorso appesa al muro, tirando fuori garze,
alcool e cotone. "Non ti sopporto, cazzo!" sbotto, di
nuovo, imbevendo un fiocco di cotone nel disinfettante. "Non ti
sopporto nemmeno un po'." nel dire questo, però, appoggio il
batuffolo sul suo braccio e cerco di pulire la ferita, fermando anche
lo scorrimento del sangue. So che le mie azioni non corrispondono
effettivamente a ciò che sto dicendo, ma non so sinceramente cosa
diavolo mi stia prendendo. Sembra che io sia in grado solo di dare di
matto ultimamente.
"Io sì?" domanda lui ironicamente,
abbassando notevolmente il tono della voce mentre si siede sul
lettino bianco. "Non ti sopporto nemmeno io."
"Bene."
senza badare realmente a ciò che dice prendo le garze e bendo tutta
la sua ferita, ignorando le smorfie di dolore che appaiono sul suo
viso e le gocce di sangue che sporcano il lenzuolo immacolato. "Ti
sta bene. Così forse impari a gestire la rabbia."
"Mi
stai dando dell'isterico?"
Annuisco, terminando la
medicazione: "Decisamente."
"Grazie." mormora,
abbassando lo sguardo per l'imbarazzo causato dal fatto che sia stata
io, anche se negli insulti, a medicarlo.
Fisso la medicazione,
guardandolo poi in viso mentre evita il mio sguardo direi
palesemente. Sembra che l'unico modo che io e lui abbiamo per
comunicare sia solo urlarci addosso finché uno dei due non alza
bandiera bianca, vorrei che questa cosa cambiasse al più presto. Di
questo passo la situazione non farà altro che peggiorare di giorno
in giorno, e non è di certo ciò di cui ho bisogno.
"Sarebbe
meglio se la smettessimo." mormoro, sedendomi nuovamente sul
letto di fianco a lui.
"Di urlare?" giro il viso verso
di me, guardandomi con uno strano sorriso. "Non credo sia
possibile."
"Eppure ora non stiamo urlando."
"Sembri
sotto l'effetto di droghe." mi apostrofa, ridacchiando,
appoggiando però la testa sulla mia spalla. Aspetta, cosa sta
facendo? "Anche io, comunque."
Anche se l'istinto mi
direbbe di allontanarmi da lui, qualcosa che non capisco mi impedisce
però di muovermi: "Non ci fa bene questo posto, probabilmente.
A quanto pare hai un passato qui, no?"
In tutta risposta,
Levi ghigna leggermente, facendomi mancare con la sua risata
cristallina: "Hai ragione su entrambe le cose."
Sì, sono tornatat e mi scuso con tutta me stessa per il ritardo. Spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere se ci sono dubbi o incomprensioni!
Vi lascio con uno SPOILER del capitolo 5...
"E se ti dessi un motivo per farlo?"
"E cosa potresti fare, sentiamo? Come pensi di convincermi?"
"Così." approfitto delle sue mani già intrecciate alle mie per azzerare la distanza tra me e lui e far collidere le nostre labbra.
Cosa cazzo sto facendo?