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Autore: RodenJaymes    28/02/2017    13 recensioni
**Fanfiction scritta per il contest "Immaginando..." indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia".**
Quando un dettaglio basta a rievocare tutto ciò che di dolce e di amaro si cela nella mente.
Dal testo:
"Ricordo che, dopo esserci amati, ci siamo fermati ad osservare la neve cadere lentamente fuori dalla finestra, quella posta proprio di fronte al letto; quel gesto era un qualcosa che per me aveva sempre avuto un significato particolare ma, per te, sembrava assumerlo solo in quel momento. Non ci avevi mai fatto caso, non avevi mai prestato attenzione alla neve."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Clausola del contest: trarre ispirazione da una delle immagini fornite, anche per un solo particolare presente. 
Rating: libero, giallo. 
Coppia: libera, het (sorpresa). 
Conteggio parole: 1930. 
Immagine da me scelta fra le proposte:

 

 

Snow


Hai sempre pianto troppo, Kagome.

Sei sempre stata una piagnucolona della peggior specie, una di quelle che non vorresti mai sentire, che ti danno il voltastomaco al solo averle vicino.

Ed io, io odio le persone che piangono, le detesto. Ma non ho mai detestato te. Come avrei potuto?

La prima volta che ti ho vista, avevi otto anni e – ovviamente – frignavi, Kami se frignavi!
C'era la neve, proprio come oggi. Eri da sola, al parco giochi, seduta sull'altalena, l'ampia gonna del vestito sporca di terra e il viso rigato da quelle lacrime che, negli anni successivi, ti avrei visto versare spesso e sempre per ragioni diverse.

Ero curioso, lo ammetto, e mi sono avvicinato. “Non lo avessi mai fatto, stronza!”, ti ho sempre urlato durante i nostri peggiori litigi. Ti farà piacere sapere che non l'ho pensato mai sul serio – mai – neanche una volta. Non potrei, mi è impossibile.

«Perché piangi?», ti ho chiesto nella mia innocenza di bambino, le sopracciglia aggrottate e la bocca storta in disgusto, un disgusto che andava al di là del tuo pianto. Il disgusto tipico di un ragazzino di otto anni che non capisce mai cosa facciano le femmine, perché si comportino come si comportino. Sai meglio di me che, in quanto a capirti, la situazione non è mai migliorata del tutto.

«Che ti frega?», mi hai risposto e mi hai spiazzato. Mai avevo incontrato ragazzina più sgarbata di te! Però, poi, ti sei sistemata meglio sull'altalena, ti sei asciugata una nuova lacrima e hai cominciato il tuo racconto indignato. «Ryo Takashi mi ha detto che sono brutta. Gli ho dato un calcio al ginocchio, non si dicono queste cose alle bambine!»

E hai ripreso a piangere.

Con il tempo, ho imparato che per te vi erano diversi tipi di pianto. Vi era il pianto di rabbia e quello di tristezza, quello rabbia e tristezza, quello di commozione e quello di felicità. E poi, vi era il pianto speciale, il “pianto per Titanic”.

Quanta acqua hai in quel corpo, Kagome? Tanta, troppa. Più di ogni essere umano. Più del cielo e più del mare, ti ho sempre detto. Più di questa neve che scende, copiosa, e che osservo da dietro questa finestra, disteso su questo letto; questa neve che ammiro sempre con piacere, perché mi ricorderà sempre te.

Da quella frase detta da una bambina frignante e arrabbiata, è cominciato tutto. Nonostante il me dell'epoca pensasse già che fossi tutt'altro che un soggetto raccomandabile, non sono più riuscito a starti lontano. Chissà perché.

Abbiamo scoperto di frequentare la stessa scuola elementare, abbiamo scoperto di avere niente in comune e che la cosa non ci importava. E così hanno avuto inizio le corse a scuola, i giochi insieme, i progetti pomeridiani, i festival culturali, le medie, le litigate, il liceo, le prime uscite, le confessioni, i primi amori...

Ricordo ancora quando mio fratello Sesshomaru ti diede il tuo primo benservito. Piangesti sulla mia spalla per minuti che mi sembrarono interminabili.

Tu avevi quindici anni e sentivi tutto il peso di quel rifiuto sulle spalle, ti era amaro come fiele. Io avevo quindici anni e sentivo il tuo peso sulla spalla e mi era dolce, dolce come nulla era mai stato fino a quel momento. Solo che – ad ogni modo – non sapevo ancora spiegarmi perché.

«Ma cosa potevi pretendere da Sesshomaru? Che ti aspettavi?», ti ho chiesto, senza tatto alcuno. È un mio grandissimo difetto, lo sai anche tu.

Mi hai lanciato uno sguardo talmente furente che ho creduto potesse uccidermi, poi sei sparita. Non mi hai parlato per giorni e ho sentito la tua mancanza in una maniera straziante, oserei dire, un modo che non avevo mai provato prima. È stato come se l'intero mondo mi avesse voltato le spalle e mi vergogno a pensarlo, perché è davvero la cosa più sdolcinata che io abbia mai concepito. Ma, posso giurarti, che la sensazione è stata sempre quella, dopo ogni litigio, dopo ogni scontro.

Poi, il mercoledì successivo, stavamo sistemando gli attrezzi nel laboratorio di fisica e c'era la neve. Cadeva fuori dalla finestra con un'insistenza spiazzante, senza fermarsi mai. Proprio come adesso.

La tua figura si è stagliata contro la finestra, contro quel candore etereo e abbacinante. Ti sei voltata verso di me e mi hai sorriso, segno che avevamo definitivamente fatto pace.

E io non lo so cosa è successo, a distanza di anni sono ancora qui a cercare di capire, a cercare di descrivere quelle sensazioni intense, ma le parole mancano in momenti come questi. Il tuo sorriso, i tuoi occhi di quell'insolito grigio ghiacciato, la neve... ho trasalito, sgranato gli occhi, il mio cuore è esploso, così come qualcosa nei miei pantaloni.

E già eri tutto, ma in quel momento l'ho capito. In quel momento, sei diventata tutto sul serio.

Da quell'episodio in poi, ogni cosa si è complicata. Vivevo i tuoi amori con una sofferenza e rabbia incrinanti e, al contempo, speravo, mi ripromettevo di dichiararmi nel periodo in cui la neve attecchisce al suolo.

Non siamo stati fortunati; non sono stato fortunato. Ogni volta, c'era qualcosa – qualcosa che me lo impediva, qualcosa che ti impediva di ascoltarmi, di accogliermi. Con il tempo lo hai capito, lo hai capito da sola, io lo so. Non v'era più bisogno di parlare, ma nessuno dei due ha fatto nulla. Hai avuto paura, Kagome? Io non so spiegarlo, tu non hai saputo spiegarlo.

Mi pare talmente stupido, adesso, aver perso tutto quel tempo.

E poi, le nostre strade si sono divise. Tu il college a Londra, io l'università a Tokyo. E la neve, osservata da dietro una finestra, per anni è stata l'unica cosa che mi è rimasta di te.

I contatti si sono diradati, la tua presenza si è fatta sempre più evanescente. E chissà quanto hai pianto, Kagome, chissà quanta di quell'acqua è caduta dai tuoi occhi senza che io potessi vederla, senza che io potessi asciugarla, eliminarla. Lenirla.

E quando, quattro anni dopo, sei tornata a Tokyo con una relazione fallita alle spalle e una laurea fresca, la città ti ha accolto come una madre che riabbraccia il figlio dopo lungo tempo. La città ti ha abbracciata, Kagome, ma non io.

Io che ero al capezzale di una madre che, di lì a poco, mi avrebbe lasciato per sempre. Nessun preavviso, nessun preambolo, prima di guardarmi negli occhi per l'ultima volta.

Cadeva la neve fuori dalla finestra, Kagome, e sei stata tu ad abbracciare me, quella notte. Quella volta, era mio il dolore, erano mie le lacrime contro la tua piccola spalla, e nel mio piangere tu sei stata la forza.

Nel mio pianto, non una sola lacrima ha rigato il tuo viso. Eri tornata per me, Kagome. Non me l'hai mai detto, ma io l'ho sempre saputo. Io lo so.

Da quel giorno di neve, tu hai forzato le mie labbra ad aprirsi e mangiare, hai spronato le mie gambe a camminare, hai aiutato il mio animo a ritrovare la pace dopo quell'immenso dolore. E ho riscoperto quanto potessi essere tutto, quando ero convinto che non mi fosse rimasto niente.

Erano passati tre mesi esatti dal tuo ritorno, quando io e te abbiamo fatto l'amore per la prima volta.
Era il 10 Febbraio del 2014, era una mattinata uggiosa e la neve, la neve cadeva copiosa, ancora una volta. Quella neve che mi avrebbe sempre accompagnato, che ci avrebbe sempre accompagnati.

Quella neve che ho sotto gli occhi anche adesso.

Quando ho toccato per la prima volta le tue forme, quando ho sentito il tuo corpo caldo contro il mio – quel corpo che per anni avevo bramato, cercato, immaginato, desiderato – solo in quel momento mi sono sentito uomo sul serio. Tutto quello che v'era stato prima, ogni esperienza passata, aveva perso importanza davanti al nero dei tuoi capelli sparsi sul cuscino, davanti al sapore della tua pelle, davanti alla leggerezza del tuo tocco. Davanti ai tuoi occhi.

Così come avevano perso importanza gli anni di silenzio, di mancanza, di dolore. C'eri solo tu.
Ci sei sempre stata solo tu e così sarà finché non chiuderò gli occhi per l'ultima volta.

Ricordo che, dopo esserci amati, ci siamo fermati ad osservare la neve cadere lentamente fuori dalla finestra, quella posta proprio di fronte al letto; quel gesto era un qualcosa che per me aveva sempre avuto un significato particolare ma, per te, sembrava assumerlo solo in quel momento. Non ci avevi mai fatto caso, non avevi mai prestato attenzione alla neve.

Hai sorriso dolcemente guardando il bianco ricoprire i tetti dei palazzi, bianco come le lenzuola sgualcite, bianco come la canotta leggera che portavi e che così tanto si scontrava con i tuoi capelli nerissimi. Ben presto, il tuo sorriso si è inumidito. Piangevi. Era da tanto tempo che non te lo vedevo fare.

Ti ho guardato allarmato, ma non mi hai dato il tempo di reagire. Ti sei voltata verso di me, mi hai carezzato il viso, hai abbassato un attimo lo sguardo per poi sollevarlo di scatto.

«Ti amo.», mi hai detto.

E mi sono chiesto se di felicità si può morire.

Tutti questi ricordi, tutto questo mi viene alla mente mentre osservo ancora una volta la neve cadere. Mi viene in mente tutto quello che ci ha uniti, separati e poi riallacciati, in un modo indissolubile che molti sognano ma che non hanno. Mi viene in mente tutto quello che da quella frase è derivato, tutti gli anni che sono passati, tutto il vuoto che solo tu sai colmare.

Hai sempre pianto troppo, Kagome.

Lo stai facendo anche adesso, mentre mi carezzi la testa bianca e mi lasci un bacio sulla fronte.
Sei bellissima, lo sei sempre stata, Ryo Takashi era solo un idiota.

Mi stringi la mano e porti il tuo sguardo ghiacciato – ma sempre così caldo per me – sulla finestra che ti mostra questo paesaggio imbiancato al quale, adesso, anche tu sai dare un significato.

Poi ti volti verso di me.

«Guarda, Inuyasha. La neve. Scende lenta al di là della finestra. Ricordi?», mi chiedi con la solita voce dolce e soave, per nulla cambiata dal tempo.

Non posso parlare, non ne ho la forza, ma certo che ricordo. Ricordo sempre, ricordo ogni cosa. E adesso che sto per andare via, adesso che sto per abbandonare tutto, mi sembra di ricordare con maggiore nitidezza, con maggiore forza. Che strano scherzo del destino, questo.

Sbatto semplicemente le palpebre e sollevo leggermente gli angoli della bocca in quello che è un sorriso stanco e tu capisci, sorridi nel pianto e mi stringi più forte la mano.

Kagome, chi asciugherà quelle lacrime quando non sarò più qui? So che sei in grado di asciugarle da sola, ma l'idea che non sarò io... questa è l'unica cosa che davvero mi tormenta.

Continui a carezzarmi i capelli, intoni una sorta di nenia a bocca chiusa e un senso di pace comincia a pervadermi. Le palpebre sono sempre più pesanti e, chiudendole adesso, non sono certo che le riaprirò. Ma tu sei qui con me, la tua voce e il tuo tocco mi sono compagni.

«Non è come la neve, Inuyasha. Il mio amore, non è come la neve. Non si scioglierà mai.»

Non so dove sto andando, Kagome, non so dove finirò. Se sarò destinato a giocare a carte con Elvis per l'eternità o se non vedrò mai più nulla e il buio mi inghiottirà.

Non lo so, non so dove andrò. Ma di una cosa, di una cosa sono più che sicuro: che sia buio o sia luce, mi mancherai anche lì.


Angolo autrice. 
Ciao a tutti!
Questa OS di fortuna è stata composta velocemente in un giorno, osservando la copertina che mi ha dato ispirazione immediata. Quello che mi ha comunicato è stato un misto di complicità, nostalgia e soprattutto qualcosa legato ad una dimensione del ricordo che è tanto presente, quanto fuggitiva (ho ripreso inoltre la data presente in alto). No, giuro che non ho assunto nulla prima di scrivere... non sono mica Dante! :p però... questo è quello che ne è venuto fuori. 
Non sono convinta per nulla, ma se non premo "pubblica" adesso, non lo farò mai più.
Sono consapevole che questo lavoro è terribilmente diverso dalle cose "potenzialmente divertenti" che scrivo di solito, ma per adesso riesco a dar vita solo a questa roba, infatti aspettatevi altre cosacce tristi da parte mia (no, non è una minaccia, giuro). 
Detto questo... so bene di avere dei lavori in sospeso e prometto che verranno completati! Gli impegni e l'ispirazione non mi hanno sorriso, purtroppo. Mi farò viva, promesso!  
A presto! :)
RJ.  

  
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