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Autore: adler_kudo    05/03/2017    1 recensioni
Occorre poco affinché cambi una vita, qualche attimo perché essa finisca, pochi incontri per ricominciarla e un solo istante per abbracciare la morte.
Mail non aveva ancora idea di cosa fosse vivere, lo ha scoperto solo quando da morto ha incontrato la vita. [Seconda guerra mondiale AU]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio | Coppie: Matt/Mello
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1943, Varsavia 

Piove anche stanotte sulla città. Una pioggia di fuoco. Ma non è come se dei fiocchi di neve cadessero e, posandosi, esplodessero rivelando il loro frattale, non sono bombe dal cielo quelle che infuocano la città come dicono accada su altre, sono granate, proiettili, ferraglia, chiodi, polvere da sparo, dardi che sono lanciati in ogni direzione dall'alto dei palazzi e piovono in strada. Non piove in tutta la città, solo qui, solo sugli ebrei. È come se Dio volesse che si ricordassero di essere il popolo eletto: hanno un posto speciale, hanno diritti speciali, hanno doveri speciali e hanno anche un trattamento speciale. Gli ebrei sono speciali. È per questo che vivono nel ghetto ormai in fiamme, perché sono il popolo eletto e non vogliono stare troppo con gente che speciale non lo è. È questo che raccontano ai loro figli, spaventati da quei cambiamenti che li hanno visti protagonisti. È così che consolano i bambini che piangono nel sentire che piove di nuovo sulla loro casa, mentre nascosti stanno ad attendere che smetta e che per anche quella notte abbiano salva la vita.
Lo fa anche lui, che ebreo non è, ma che al ghetto ci passa la maggior parte del tempo. Fin da prima della guerra lo frequenta, come farebbe un qualsiasi giudaico, solo che non porta la stella, non deve distinguersi dagli ariani, lui che ariano lo è. Cosa darebbero gli altri quando lo vedono passeggiare in compagnia di quella che considera sua sorella lungo le vie del ghetto per avere quello che ha lui. Chissà quanto oro tirerebbero fuori per levare di dosso quel simbolo giallo di disgrazia che li accompagna giorno e notte. In molti lo hanno emarginato da quando è scoppiata la guerra, è l'ariano ad essere all'angolo tra gli ebrei, volevano ucciderlo, punire i nazisti con la sua morte. La gente dimentica sempre in guerra il singolo per la categoria; la guerra è più alienante del lavoro, fa confondere gli amici con i nemici. Anche lui, che per la notte piovosa d'armi corre tra i marciapiedi bucherellati da proiettili, l'ha fatto; ha confuso i nemici con gli amici. Sta aiutando gli ebrei in quella che sembra la follia più grande: una rivolta nel ghetto. Non lo fa per la gloria; non vuole farsi vedere bello agli occhi degli alleati che, se un giorno Dio lo vorrà, arriveranno a salvarli; non rischia la vita per portare quel paio di tozzi di pane che regge in mano, scheggiando tra le granate, per noia, diletto o eroismo; non è un eroe: cerca solo di far sopravvivere un giorno in più la sua famiglia adottiva. 
Compie l'ultima svolta a destra che lo separa dal nascondiglio e ne spalanca la porta tuffandovisi dentro e richiudendola in un lampo. Getta sul tappeto i magri generi alimentari che è riuscito ad acquistare al mercato nero fuori dal ghetto nel pomeriggio e trae un sospiro di sollievo. È la terza notte di fila che gli va di lusso; per tre volte è riuscito a sfuggire al blocco nazista che controlla il ghetto in ribellione e ad arrivare salvo a destinazione. Non può dunque trattenere un sorriso mentre si accascia al suolo esausto e una bombarda fa tremare lo stipite della porta del sotterraneo dove è rintanato. -Devi smetterla di fare questo per noi! Finirai per farti ammazzare!- lo rimprovera la sua sorella improvvisata andando a raccogliere quel poco cibo che tanto sforzo ha valso. 
-Devi sempre lamentarti, Wilhelmina?- risponde a tono lui. È da quando si conoscono, da sedici anni, che continua a trattarlo come se fosse sua madre. -Ho fame, Wil! Dai, sorellona!- si lamenta dalla penombra del tugurio che usano come tana una voce giovane. 
-Intanto ringrazia Iddio se questo pazzo non si è ancora fatto ammazzare, Henryk.- lo rimprovera la maggiore passando al fratellino parte di quel pane. -Grazie! Fatto, ora posso magiare?- Mentre il bambino addenta il cibo e così qualche istante dopo fa la sorella, il ragazzo si stende sul divano color senape e rotto che hanno come letto insieme ad un materasso bitorzoluto poco più in là. Lo sgabuzzino dove da quando sono iniziati i rastrellamenti vivono è scarno, spoglio e freddo. Illuminato da una lampada a gas posta al centro della stanza, contiene solo un tappeto sfilacciato che ricopre ogni parte del pavimento, quegli unici due giacigli e una piccola tenda con dietro quei tre servizi igienici necessari alla vita comune; il soffitto basso con le travi in vista trema ad ogni scoppio ai piani superiori facendo precipitare verso il basso, tra capelli, occhi e vestiti di chi ci viveva polvere accumulata da decadi. Per la fretta con cui era stato fatto su era anche troppo attrezzato, senza contare che, su consiglio del ragazzo, l'unico tra i tre che portava notizie dall'esterno, avevano cosparso la porta di una sostanza tale infastidire l'olfatto di cani che usano per cercare gli eventuali fuggiaschi e quindi, almeno a rigor di logica, sarebbero dovuti essere al sicuro per un po'. 
Non hanno intenzione di restarci troppo a lungo, assolutamente impossibile come idea, solo tanto quanto basta affinché i nazisti abbassino un po' la guardia e non notino tre ragazzi uscire dal ghetto, troppo presi da altro. La ribellione, scoppiata appena tre giorni prima, è stata una manna dal cielo per loro, l'occasione con la quale finalmente fuggire da quella gabbia. 
-Domani.- annuncia il ragazzo soddisfatto -Domani vi porterò i vestiti nuovi. È l'occasione perfetta. Starete a casa mia per un po'. Il tempo necessario perché vi procuri un paio di passaporti falsi e poi ce ne andremo in Inghilterra.- -Non faremo prima ad andare in Russia, Mail?- domanda il ragazzino con la bocca ancora piena di quel semplice pasto che ha imparato a gustare come il più divino. 
-La Russia non è sicura perché ci sono i comunisti. Non piacciamo molto neanche a loro.- 
-Piacciamo?- chiede la ragazza scettica -Tu non sei ebreo. Non rientri i questa categoria.- -È scortese categorizzarvi. Preferisco così. Siamo una famiglia, no?- Wilhelmina annuisce poco convinta. Lei pensa ancora che sia sbagliato; pensa ancora che ariani ed ebrei non dovrebbero stare vicini, è pericoloso. Sono stati bravi i nazisti a inculcare nella mente di chiunque idee come queste; idee di divisione: lontani per pericolo, lontani per odio, lontani e basta. Che sia odio o che sia paura non cambia la separazione che comporta. 
Mail lancia uno sguardo ai due fratelli che sono capitati sotto la sua ala protettiva quasi per caso e riflette sul da farsi; non può abbassare la guardia proprio ora. Nella sua dimora poco distante ha qualche indumento vecchio di sua madre e di quando era bambino che potrebbe fare al caso loro; fisicamente l'unico problema è il maschietto, circonciso alla nascita, è così che i nazisti scoprono chi si finge ariano tra gli uomini e le punizioni sono più severe di quelle date per il tentativo di fuga dal ghetto. Ma di per sé potrebbe non dovrebbe rivelarsi un problema: ambedue i fratelli sono più alti della loro età, con capelli e occhi chiari, facili da prendere per ariani a colpo d'occhio, più che è altro è lui il problema con i suoi capelli rossi e gli occhi verdi ad essere come un faro nella nebbia. -Wil, domani fatti le trecce.- la avvisa accennando ai suoi capelli perennemente lasciati liberi sulle spalle. 
-Devo farmi carina per farmi ammazzare?- domanda questa ironica. Ha solo sedici anni, ma pare già una trentenne dal modo di porsi e dalla complessità di pensiero; la guerra fa maturare tutti tranne coloro che ne hanno più bisogno, coloro che l'hanno voluta. -E tu, Hen, vedi di tenere a freno la tua solita boccaccia. Se ti tirano giù i pantaloni per controllare sei fritto.- 
-Lo so. Lo so.- Anche Henryk è più maturo dei suoi soli otto anni, ma si comporta come un piccolo scaricatore di porto per compensare alla perdita dell'infanzia. Perennemente stravaccato sul materasso a leggere qualsiasi cosa gli venga portata, non può evitare di fare commenti sprezzanti su qualsiasi argomento. -Conviene dormire, ora.- annuncia la ragazza andando ad accucciarsi con il fratello. -Ma io non voglio!- si lamenta l'altro facendo immediatamente uno sbadiglio che testimonia il contrario. -Dormi anche tu, Mail.- Il sorriso mesto che la sorella porta in volto parla da sé, sorriso di ringraziamento per gli forzi non necessari di quel ragazzo che conosce dalla nascita, di quel pazzo che si farebbe uccidere per loro. 
-Tra poco.- risponde brevemente l'altro abbassando al minimo la luce. Non è saggio chiuderla del tutto, bisogna sempre essere pronti per qualsiasi evenienza improvvisa soprattutto ora che la pioggia di fuoco pare essere calata, presagio dell'imminente nuova e violenta retata nazista. Ora saranno addirittura più feroci del solito, reduci da uno scontro che di sicuro avrà mietuto vittime tra le loro fila; non sopportano di perdere nulla contro chi ritengono inferiore. 
Sente dei passi fuori dalla porta e si irrigidisce, dubita che entrino, spera non lo facciano, non possono, ha promesso che li avrebbe salvati. Quando sente quegli stessi passi farsi più lontani tira un sospiro di sollievo, anche quella notte gli è andata bene. È troppo fortunato ultimamente, deve accadere qualcosa di molto brutto per compensare; lo ha capito ormai che dalla vita bisogna aspettarsi ciò: per ogni cosa bella ne accade una brutta. È stato lo stesso quando sua madre è morta per i bombardamenti su Varsavia o quando suo padre è stato ucciso per essersi opposto ad un tedesco che pretendeva di avere gratuitamente dei rifornimenti dal suo negozio di alimentari. Pochi giorni dal Natale, pochi giorni dal suo compleanno. Pensa poi a quei due ragazzi che considera fratelli; anche per loro non è andata bene; nella prima retata i genitori sono stati deportati entrambi mentre loro erano a scuola. Sono tornati a casa e hanno trovato tutto distrutto, vuoto, il loro nido sparito, così come buona parte dei vicini. Erano corsi da suo padre che li aveva accolti come dei figli, sebbene avessero continuato a vivere nel ghetto, memore della prolungata amicizia con il loro povero padre. Mail era finito così a fare il fratello maggiore ufficialmente, come in effetti aveva sempre fatto da quando era nata Wilhelmina, e dopo la morte di suo padre si era assunto la responsabilità delle loro vite. Solo vent'anni di esistenza e già più lutti di quanti ne sarebbero stati necessari. 
Ad un nuovo accenno di passi fuori dalla porta sussulta; le mani gli tremano, ha bisogno delle sue sigarette per calmarsi, ma non può fumare in un ambiente così chiuso. La mano scivola rapida e silenziosa verso la lampada per aumentarne la luminosità, però così come si erano sentiti i rumori se ne vanno. È una notte lunga da superare, la pioggia è cessata e i cani da tartufo stanno annusando in giro per le loro prede. 
Deve restare sveglio, non può addormentarsi, non può smettere di stare all'erta, è in guerra con il mondo di fuori che d'improvviso può irrompere dentro e distruggere ogni cosa che ha costruito, e non può permetterlo. Ma l'aria viziata della stanza ha uno strano effetto su di lui, ne irretisce i sensi, ne intorpidisce le membra, così si abbandona al sonno, maledicendosi per essere così stanco. 
A svegliarlo stavolta non è la solita Wilhelmina. Ne conosce il tocco delicato e deciso al contempo. Non è neanche Henryk. Non ha le mani così grosse. E nessuno dei due parla tedesco. 
Si tira su di scatto stravolto. La prima cosa che vede è la scarna faccia di un militare ariano sorridergli sornione. -Ben svegliato, fatto buona nanna, ebreo?- gli dice in un polacco stentato come presa in giro. Mail non sa come rispondere, non sa cosa rispondere, vede solo i suoi fratelli trascinati violentemente fuori per i capelli e non può far altro che ordinare di lasciarli stare in tedesco. I militari si arrestano, sono stupiti che parli la loro lingua. 
-Sei tedesco, ebreo?- domanda lo stesso. -No, sono polacco.- -E perché sai il tedesco?- -Mia madre e mio padre erano tedeschi.- Non ha intenzione di aggiungere nulla, non vuole dire di come suo padre si sia valorosamente battuto nella Grande Guerra, pure persa dalla Germania tra l'altro, di come sua madre si sia sempre prodigata per il bene comune a Berlino con le sue donazioni agli orfanotrofi, di lui e della sua razza ariana. Non ha intenzione di proclamarsi ariano e di uscirsene a testa alta da lì, mentre i suoi amici finiscono in pasto al carnefice. 
L'uomo, che a giudicare dalla divisa è un tenente, ordina di radunare tutti nella piazza, compreso lui. I residui della guerriglia della sera prima sono ben visibili e i superstiti raccolti al centro delle macerie si confondono con il resto dei ruderi con i loro abiti grigi e sgualciti su cui non può fare a meno di brillare la stella gialla a sei punte che li condurrà alla morte. L'unica cosa che pare non essere stata toccata da quella disperazione è appunto quel distintivo, che cosa buffa. 
Una volta tutti in riga, un capitano alza la voce e inizia a parlare senza interprete; è tutto così calcolato da parte loro, ovviamente quasi nessuno sarebbe stato in grado di intendere e il primo che si fosse sbagliato ci avrebbe rimesso per tutti. -Traduci.- ordina il tenente a Mail non appena il capitano ha terminato il discorso. Senza attendere risposta lo trascina di fronte a tutti di mala grazia e con uno spintone gli fa cenno di parlare. 
Il ragazzo esordisce con un sospiro -Dovete lasciare qui ogni oggetto personale. Vi è concesso portare solo il soprabito e per le donne anche una piccola borsa. Dovrete dividervi. Le famiglie a destra, quelli da soli a sinistra. I bambini tutti con le loro madri. Seguite poi il soldato che vi condurrà fino al camion.- 
Mentre gli altri eseguono, il capitano lo ferma. -Perché tu non porti la stella, ebreo?- gli domanda con sufficienza. 
Mail sta per rispondere di essersi scordato la giacca, nonostante fosse appena aprile e non facesse assolutamente caldo, ma la voce acuta e femminile di Wilhelmina giunge alle loro orecchie prima di ogni altra cosa. -Lui è ariano! Lui non è ebreo!- grida con foga, strattonando il soldato che la tiene ferma per un braccio, non appena riesce a sgusciare via corre verso di loro e con le lacrime agli occhi grida disperata -Lui è qui per errore! È ariano! Non ebreo! Non deve venire con noi!- 
Un pugno nello stomaco da parte di uno dei soldati che assistono la fa crollare al suolo senza fiato. -Sei ariano?- domanda il capitano scrutandolo nel profondo. I suoi occhi sono disgustosi, da serpe, occhi di chi ha riso in faccia alla morte, non alla sua però. Mail prende un respiro profondo prima di prendere parola. Sa già che si guadagnerà l'odio di sua sorella, ma risponde a pieni polmoni -No, sono ebreo! Ebreo di nascita e di religione!- 
L'uomo guarda con disprezzo la ragazza ancora a terra. -È tua sorella?- -Sì.- -Dille di stare zitta la prossima volta. So riconoscere gli ebrei anche se fossero travestiti da führer.- -Sì.- 
Prende per le spalle Wilhelmina e la riaccompagna al suo posto con il fratello minore sotto shock. -Avresti dovuto andartene.- sussurra con il volto rigato di lacrime -Stai mentendo su chi sei.- -Non è importante mentire con dei ratti del genere, non riconoscono la differenza tra bugia e verità altrimenti non farebbero ciò che fanno.- 
I soldati iniziano poi ad urlare a destra e a manca di muoversi, c'è un gran putiferio, la gente è spaventata, la gente si dichiara ariana e viene picchiata, vengono caricati su camion aperti che sballottano il carico ad ogni buca. Wilhelmina è zitta, ferma, immobile, come una leonessa ferita, regge in braccio il fratellino che vuole, desidera ardentemente ignorare tutto, non lo comprende, è troppo piccolo; dagli occhi della ragazza Mail scruta che però quella ferita non si chiuderà mai più. Guarda il cielo grigio che promette pioggia, vera questa volta, e non se ne stupisce quando sente una delle prime gocce arrivargli sul naso. Vede la gente che li guarda dalla strada, li addita, alcuni li salutano pure. Sembra un addio, un commiato... Esagerati, in fondo stanno solo per prendere il treno.

Angolo Autrice:
Salve! È da un secolo che non pubblico, che gioia...
Spero che questo primo capitolo sia stato di gradimento. Non sono io in prima persona una grande fan delle au soprattutto di questo genere, ma l'ho scritta tempo fa su capricciosa richiesta di una mia cara amica e le è piaciuta così tanto che non potevo lasciarla nel cassetto.
Grazie e al prossimo capitolo!
-AK
  
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