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Autore: esse198    06/03/2017    1 recensioni
Sherlolly ambientata tra la 2x03 e la 3x03, non tiene conto degli eventi della 3x03. un evento personale di molly avvicina il detective alla patologa. il tutto in modo inaspettato e senza volerlo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: salve a tutti!
Avevo scritto questa fanfiction molto, molto tempo fa, prima della pubblicazione della quarta stagione. nella presentazione della storia ho detto che è da collocarsi tra la seconda e la terza puntata della terza stagione. non tiene conto in nessun modo degli eventi della terza puntata, e sherlock sa che molly e tom si sono lasciati, ma non nel modo che vediamo in His last vow. detto ciò, giaceva sul mio hard disk incompleta e rileggendola mi sono accorta che non è proprio brutta, così ho deciso di pubblicarla e di pensarci una conclusione. quindi eccovi il primo capitolo. ah! e perdonate la bruttezza del titolo, ma è l'unica parola che ne descrive a tratti l'atmosfera... e sono pessima nei titoli. e adesso basta. buona lettura!






Erano entrambi in laboratorio quando lei accusò una fitta lancinante al basso ventre che la costrinse a piegarsi su stessa e a trattenere le lacrime. La ragazza iniziò a gemere e ad ansimare, sembrava le mancasse il respiro e non riusciva a muoversi. Nemmeno Sherlock riusciva a muoversi, preso com’era dal suo lavoro, il dolore di Molly lo aveva colto di sorpresa, e non capiva cosa stava accadendo. Allora la ragazza lo pregò di aiutarla, gli chiese di portarla in bagno, ma lui capì che serviva portarla al pronto soccorso. Uscì dalla sua trance, le si avvicinò, la sollevò di peso, delicatamente, cercando di non aumentare il suo dolore. E la portò via. Molly, rannicchiata tra le sue braccia, teneva saldamente le mani aggrappate alla sua camicia, come a contenere la violenza delle fitte che le arrivavano una dopo l’altra a ritmo irregolare, le mancava il respiro. Sherlock cercava di fare più in fretta possibile, ma aveva calcolato anche che doveva mantenere una certa andatura per evitarle inutili scossoni. Non parlava, ma alternava lo sguardo davanti a sé e su Molly. Furono pochi minuti, poi lasciò la ragazza nelle mani del medico del pronto soccorso.
Poi rimase lì ad aspettare.
Seduto alla panchina di quel corridoio affollato la sua mente trovò il suo naturale corso dei pensieri. Ciò che era successo lo aveva già capito l’attimo dopo essere uscito dalla trance e quello prima di darsi da fare. Adesso però si chiedeva se era il caso di restare. In fondo era una combinazione che si trovasse lì, anche se trascorreva parecchio tempo in laboratorio. Poteva succedere un momento in cui lui non c’era, poteva succederle a casa. Poi lei non aveva detto nulla, quindi forse, anzi, quasi sicuramente non aveva voglia di parlarne. Ma… andarsene senza sapere come stava? Sapeva che si sarebbe ripresa perfettamente, Molly era una ragazza forte e in gamba. A dispetto delle apparenze.
Mentre lui decideva cosa fare, il medico uscì per confermargli ciò che sapeva già.
- Può vederla, se vuole.
E lui ricominciò a chiedersi se era il caso quando, attraverso la porta, riuscì a intravederla stesa sul letto, sfinita.
Allora decise.
Molly non pensava di ricevere visite. Molly non pensava a nulla. Adesso pensava solo che presto l’avrebbero portata  in sala operatoria per il raschiamento. Quando lo vide entrare nella stanza la colse un certo stupore. Non era al massimo della lucidità, ma non le sembrò molto sicuro. Sherlock si fermò a debita distanza, la guardò, la scrutò. Lei disse solo: - Grazie. – con un sorriso debole e forzato. Lui assentì impercettibilmente con lo sguardo, le si avvicinò, le poggiò delicatamente una mano sulla guancia sudata e bagnata di lacrime. Lei chiuse gli occhi. Lui se ne andò.
 
 
 
 
 
Si era presentata con un vassoio ricolmo di biscotti, i suoi preferiti, e un sorriso timido, ma raggiante.
Erano passate due settimane. Due settimane senza Molly in laboratorio. Era stata una seccatura ed era andato solo quando non aveva potuto farne a meno. Il più delle volte mandava John.
Era un pomeriggio grigio e molto freddo. Perciò Molly era ricoperta di un incredibile quantità di roba. Per Sherlock quello era uno di quei pomeriggi ammantati di noia e si lasciava assorbire dalla sua poltrona, a confondersi con la polvere e il buio della stanza. La visita di Molly non era prevista. Lo scosse dal suo torpore. Si rizzò sulla poltrona, poi si alzò per accoglierla al meglio.
I due si incontrarono a metà strada, al centro della stanza. Lui esordì con un sorpreso: - Molly…
Lei sfoderò i biscotti, lui sorrise memore dei giorni trascorsi insieme, prima di partire a caccia della rete di Moriarty, dopo il suo finto suicidio. Pochi giorni, giorni agitati, bui, concitati, ma ricordava bene quella volta, un’unica volta in cui avevano preso il tea insieme e lei aveva indovinato i suoi biscotti preferiti.
Allora la fece accomodare sulla poltrona di fronte alla sua, quella che era stata di John, e, mentre lei si liberava dei vari strati di vestiti, si preoccupò di preparare del tea.
 
Il cielo fuori era grigio e freddo, la luce dentro era fioca e calda, luce e calore del camino acceso.
La teiera, la lattiera e la zuccheriera erano poggiate sul tavolino tra le due poltrone. I due, seduti uno di fronte all’altra, sorseggiavano il tea, stranamente come due persone normali.
Liquidati i convenevoli, Molly prese un respiro e lo ringraziò.
- Per tutta la roba che mi hai fatto recapitare a casa.
Disse Molly, pensando alle riviste medico-scientifiche, ai libri di romanzi con storie travagliate e appassionanti, ai cd di musica rilassante e avvolgente, ai dvd di film d’amore, ma anche di altro genere, per essere proprio sicuri di fare centro nelle sue preferenze e per non essere proprio scontati. Una montagna di roba che aveva invaso la sua casa dal giorno della sua dimissione dall’ospedale. Temeva il ritorno in una casa vuota, senza nessuno che stesse lì ad accoglierla e a coccolarla, dopo un’esperienza così devastante. La presenza di tutte quelle cose le aveva scaldato il cuore, le era sembrato di svegliarsi la mattina di natale con i regali sotto l’albero. Ovviamente tutto anonimo, non c’erano bigliettini né messaggi. Ma chi altri poteva essere stato, vista la mole di intrattenimento? Chi altri aveva potuto esagerare in questo modo?
Un sorriso divertito le aveva sfiorato il viso.
- E poi per la discrezione. – aggiunse.
Non aveva ricevuto visite o chiamate né messaggi. Al lavoro nessuno aveva saputo nulla, aveva chiesto a quelli del pronto soccorso di non diffondere la notizia, e così aveva detto che si trattava di una brutta influenza.
Per Sherlock quella era una situazione scomoda, insofferente. Non lo aveva certo fatto per sentirsi ringraziare, o per farsi portare in cambio dei biscotti. Lo aveva fatto e basta. Probabilmente perché aveva capito che Molly in quella storia era da sola. Si era accorto del suo stato da almeno due mesi, lo aveva dedotto dal suo aumento di peso, ovviamente, dal suo pallore di certe mattine, dall’indossare maglioni sempre più larghi. Quest’ultimo dettaglio gli aveva suggerito che non voleva farlo sapere in giro. E nessuno attorno a loro ne aveva parlato. Quasi sicuramente nemmeno Tom era al corrente. I due si erano lasciati già da un po’. Insomma, non avrebbe potuto fare altrimenti, per quanto per lui fosse una situazione inusuale e non sapeva bene cosa fare, però doveva ammettere che era un po’ preoccupato per lei.
- Stai bene? – chiese Sherlock
- Sì, tutto sommato sì.
Lui non amava le conversazioni, lei non sapeva mai cosa dire. Ma per due settimane non aveva parlato con nessuno di quel che aveva dentro. Così non riuscì a trattenersi:
- Io… pensavo di non volerlo, ma adesso che l’ho perso mi sembra orribile…. È strano. A volte pensavo che avrei potuto crescerlo da sola, altre volte pensavo di abortire. Ma non stavo bene già dall’inizio, e forse speravo in quel che è successo, o forse me l’aspettavo un po’.
- Lui lo sa?
- No. – nel silenzio il sollievo di non averlo fatto. –  L’ho saputo dopo che ci siamo lasciati.
Sherlock sembrava stare stretto nella sua solita poltrona. Si spostò un po’ più sul bordo.
Allora Molly scattò:
- Scusa, so che ti sto annoiando, forse irritando…
Lui si sporse ancora un po’, poggiò i gomiti sulle ginocchia e giunse le mani in movimenti lenti:
- Andrà tutto bene, Molly. Tu sei una persona forte. Hai sempre affrontato qualsiasi cosa. Il più delle volte da sola. Sei la persona più coraggiosa che io conosca.
Molly trattenne giusto una lacrimuccia, abbassò lo sguardo e sorrise, non compiaciuta, ma incerta sulle parole di Sherlock. Stupidamente però le faceva piacere ricevere parole di stima dall’uomo che aveva sempre amato, parole belle e allo stesso tempo pesanti come macigni, visto che non portavano a nulla. Ma lei era andata lì per ringraziarlo. Adesso poteva alzarsi e andare.
- Grazie per il tea. – disse alzandosi e cominciando a indossare cappotto, sciarpa e guanti. – Adesso torno a casa ché domani si ricomincia con il lavoro! – annunciò.
Sherlock non parse convinto di tale decisione: - Non ti sembra presto? – le chiese.
- No, sto meglio e poi ho voglia di ricominciare.
Prima di andare gli si era avvicinato, non sapeva bene perché, forse voleva solo stringergli la mano, ma in prossimità del suo corpo, il cuore cominciò a batterle forsennatamente, Sherlock era stata l’unica persona, volente o nolente, a starle vicina in quel momento difficile e lei sentiva il bisogno di ribadirgli la sua gratitudine.
- Grazie di tutto, Sherlock. – gli sussurrò molto vicina al suo viso.
A quel punto coprire la distanza era stato un passo breve. Gli sfiorò le labbra, morbide labbra, le baciò con trasporto, senza aspettarsi minimante una risposta dall’altra parte, che invece ci fu. Sherlock, preso del tutto alla sprovvista, aveva dapprima sgranato gli occhi, ma il tocco prolungato delle labbra di Molly lo sorprese ancor di più quando scoprì che non lo infastidiva, non gli dispiaceva. Quando Molly fece per tornare indietro e interrompere il contatto, Sherlock, in uno slancio impercettibile, si ritrovò ad inseguire quelle labbra così dolci, per nulla invadenti. Si lasciò andare a quel bacio inaspettato, che sembrava dare colore a quel pomeriggio grigio e vuoto. Un incontro di labbra e qualcosa di più, che al suo termine lasciò i due esterrefatti. Molly cominciò a scusarsi, essendo stata lei l’artefice di quella follia, Sherlock non riusciva a capire, a rendersi conto.
Ma quando sentì il peso di Molly venir meno e accasciarsi sulle sue braccia capì che Molly non stava bene.
 
 
 
John non aveva mai pensato a Molly come a qualcosa di più di quel che era: la patologa che lavorava al Bart’s,  quella a cui Sherlock si rivolgeva sempre, all’inizio pensava che fosse perché infatuata di lui, quindi facile da convincere e da circuire, poi, dopo la questione della finta morte, pensò che Sherlock forse si fidava di lei, ma solo a livello professionale. Qualche volta ricordava il momento imbarazzante di quel lontano natale, del biglietto con annessa dichiarazione, aveva provato un po’ di compassione per Molly, ma ciò che lo aveva sorpreso, quasi sconvolto, era stato il modo con cui Sherlock si era scusato, senza che nessuno glielo facesse notare (che era il caso di chiedere scusa, c’era arrivato da solo) e nel modo più sentito e sincero che gli avesse mai visto fare. Né prima né dopo.
Quando entrò nell’appartamento di Baker Street, quel pomeriggio, e vide Molly sdraiata sul divano con accanto Sherlock rimase un attimo spiazzato.
Sherlock la chiamava e le dava dei colpettini sulla guancia e John capì che era successo qualcosa.
- Che è successo? – chiese.
- È svenuta.
Il dottore si avvicinò a Molly, le controllò il polso e poi anche lui si mise a chiamarla. Un attimo dopo la ragazza apriva gli occhi e si trovò a fissare il volto preoccupato di John.
Molly ci mise poco a riprendersi: presto era seduta in mezzo al divano a tranquillizzare gli altri.
- Io l’avevo detto che era presto tornare al lavoro. – fu il commento di chi sa sempre tutto.
- Mi prenderò ancora qualche giorno… - acconsentì Molly – ho ancora dei dvd da vedere. – concluse con un sorriso timido e imbarazzato.
- Scusa, Molly – si inserì John – ma ti sei fatta vedere da qualcuno? È piuttosto lunga come influenza… e anche piuttosto tosta se ti provoca degli svenimenti.
Molly guardò John, poi Sherlock, poi abbassò lo sguardo e con un lieve sospiro confessò:
- È aborto. – John rimase di stucco. – Due settimane fa ho avuto un aborto spontaneo e perciò sono rimasta a casa. Non ho detto niente perché non volevo parlarne,  volevo evitare sguardi di compassione e domande.
John guardò il suo amico per cercare di capire se lui ne era al corrente. Sherlock distoglieva lo sguardo, ma poi sbuffò: - Era evidente che era incinta! L’ho capito subito!
John scosse il capo esasperato.
Molly si alzò, si rassettò e si avviò verso l’uscita. John la bloccò per chiederle di restare ancora un po’, il tempo di riprendersi del tutto. Molly lo rassicurò e salutò i due.
Una volta rimasti soli John commentò un po’ ciò che era successo a Molly, forse si mise a parlare di Mary e della sua gravidanza, Sherlock non ne era sicuro, era sprofondato nella poltrona e la sua mente non riusciva a distogliere i pensieri da quella cosa assurda che era successa. Non riusciva a capire come poteva essere successo, non capiva perché gli era piaciuto e non capiva perché ci si stava fissando in quel modo.
- Sherlock? – John aveva interrotto il suo monologo accorgendosi che il suo amico non aveva ascoltato una sola sua parola. Non che avesse detto nulla di importante. Era passato per vedere come stava, per chiedere se c’erano dei nuovi casi interessanti e anche per staccare un po’ dalla sua routine.Ma Sherlock rimase assente ancora per lungo tempo.


 
  
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