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Autore: scarletredeyes    07/03/2017    2 recensioni
Un tentativo fallito di dichiararsi alla persona che gli piace e Hayden dovrà fare i conti con qualcosa... o meglio qualcuno che prenderà la sua vita mettendola completamente sottosopra.
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Storia nata come one-shot e leggermente ampliata.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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DEAR FRIEND,

THEN I MET THE WEIRDEST PERSON I'VE EVER KNOWN



Hayden non è che avesse paura di rimettere piede dentro l'edificio dopo quel disastroso incidente... stava solo tremando dalla fifa! Era sicuro che la notizia di un fallito tentativo di dichiarazione avesse già fatto il giro della scuola. D'altronde questo era il tipo di notizia che correva più veloce della luce e che serviva a rovinare per sempre la vita tranquilla di un normalissimo studente qualsiasi.

Tirò su il cappuccio della felpa leggera cercando riparo in quel misero pezzo di stoffa, sperando di passare inosservato al resto dei più come al solito. Non era difficile per lui risultare invisibile.

In effetti lui era un vero disastro quando si trattava di rapportarsi con gli altri e si poteva dire tranquillamente che non avesse praticamente nessun amico in senso stretto. Per lui erano tutte conoscenze, persone con le quali passare qualche ora in compagnia il sabato sera o con cui uscire al pomeriggio e con le quali scambiare qualche confidenza neanche troppo intima. Hayden non si fidava del prossimo e forse non avrebbe mai imparato a farlo.

Era sempre stato così da quando era più piccolo, da quando scoprì che i suoi compagni lo prendevano in giro alle spalle per le orecchie leggermente a sventola, gli occhiali più grandi del suo viso e i denti un po' storti. Odiava quella falsità e quell'ipocrisia che serviva solo ad illudere e aveva imparato col tempo a fare a meno degli altri. Aveva iniziato a dipendere solo ed esclusivamente da sé stesso diventando autonomo e schietto, forse anche troppo maturo per la sua età, ma almeno così aveva evitato di sperimentare altre delusioni e di sentirsi nuovamente tradito. Questa aura distaccata e diffidente che portava in giro era solo servita a isolarlo ancora di più scoraggiando molti dei suoi coetanei, inizialmente intenzionati a tendere una mano verso di lui, dal conoscerlo meglio.

Hayden in fin dei conti non si definiva neppure una così rara bellezza capace di far passare in secondo piano quel carattere un po' difficile e anzi, in effetti il suo aspetto molto piatto e nella norma non godeva di nessun segno di particolare rilievo. I capelli scuri erano sempre stati della stessa lunghezza da che mondo era mondo: corti con un ciuffo leggermente più lungo, tanto da poterci tranquillamente passare in mezzo le dita. Gli occhi cioccolato erano sempre stati celati da un paio di lenti quadrate grandi come dei fanali e da una montatura forse ancora più grossa che si adagiava pesante sulle suddette orecchie leggermente a sventola. Il nasino piccolo e dritto poi spariva quasi completamente ingoiato dagli occhiali che finivano per essere tirati su ogni cinque secondi mentre la bocca sottile nascondeva in realtà un apparecchio odontoiatrico impossibile da non notare.

Se a tutto quello poi si sommava l'aspetto gracilino e fin troppo intellettuale, non lo si poteva nemmeno biasimare troppo se si sentiva più sfigato di quanto in realtà non fosse.

In poche parole non è che spiccasse poi molto in mezzo alla massa e, se ben coperto, forse nemmeno i professori si sarebbero accorti della sua presenza in aula durante la lezione.

Non gli piaceva parlare troppo e nemmeno mettere in mostra le sue doti intellettive e tutto questo non per snobismo verso gli altri, ma solo per una profonda insicurezza e per una grandissima paura di venire costantemente giudicato. A conti fatti era cresciuto con la convinzione che le cose stessero così. Ciò non vuol dire che non fosse socievole, ma preferiva mantenere le conoscenze come tali e non attaccarsi troppo a nessuno. Prediligeva starsene in disparte, un po' per conto suo, magari a leggere le pagine di un buon libro. Quella era la cosa che più amava fare. Amava perdersi nelle parole, impararne di nuove e scoprire come termini banali possano - se ben accostati - costruire un castello meraviglioso dove smarrirsi era davvero solo questione di un attimo e, sebbene non parlasse mai, Hayden aveva un eloquio fluido, ricco e mai banale, ma questo dettaglio preferiva tenerlo nascosto agli altri.

Non era strano quindi per lui essere tremendamente in apprensione in quel momento. Da idiota qual'era si era appena scavato la fossa da solo, aveva commesso un errore, una sciocchezza, una svista che di sicuro avrebbe cambiato completamente la sua vita per sempre.

Addio invisibilità, addio giorni tranquilli e benvenute prese in giro e umiliazioni.

Entrò nel cortile a passo svelto, quasi stesse scappando, svoltò per entrare dalla porta sul retro sempre aperta e si infilò veloce nel corridoio, mentre tutti gli altri studenti aspettavano ancora fuori il suono della seconda ed ultima campanella. Per sicurezza decise di andare a sbirciare gli armadietti sperando di essere stato graziato. Alla fine Dean poteva essere rimasto a casa o poteva semplicemente non aver fatto caso alla lettera e al fiore. "Certo, come no! È risaputo che io e la fortuna siamo amici per la pelle!" pensò constatando che effettivamente le "prove del delitto" non erano più dove le aveva lasciate. Infranta anche l'ultima remota speranza di salvezza si avviò verso il laboratorio di chimica al secondo piano con le spalle incurvate.

Non aveva immaginato che le cose potessero prendere una piega del genere e se c'era qualcuno da incolpare quello era solo lui stesso. Aveva aspettato troppo tempo per decidersi, aveva sprecato una miriade di buone occasioni e alla fine aveva fallito nel più stupido dei modi.

Pensandoci e ripensandoci però se voleva rimediare a quello sbaglio madornale - o quantomeno cercare di rimediare - c'era una sola cosa da fare e l'idea non lo entusiasmava per niente. Sarebbe stato forse anche più umiliante di lasciare che la vicenda prendesse il suo corso, ma doveva rischiare, doveva per una volta sola nella sua vita tornare a fidarsi di qualcuno e sperare almeno un pochino nel buonsenso di questo qualcuno.

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Durante la pausa pranzo c'era sempre fin troppo via vai in mensa per i gusti di Dean. Non che fosse un problema: lui il posto assicurato lo aveva sempre. Era matematico.

Lui, Brandon, Megan e tutti gli altri ragazzi di contorno si erano impossessati già dall'anno precedente del tavolino in fondo a destra, quello con la vista sul giardino e le sedie più grandi. Nessuno ci si avvicinava a meno che non cercasse guai gratuiti o non fosse stato esplicitamente invitato. Era peggio di una zona rossa. A Dean in realtà - a differenza degli altri - non fregava niente di tutte quelle chiacchiere inutili, a lui bastava una sedia dove poggiare il culo, un tavolo dove mettere il vassoio e nessun rompicoglioni nelle immediate vicinanze. Tutto qui.

Quello che gli piaceva era solo la comodità di avere l'uscita a portata di mano per poter andare a fumare, senza doversi scomodare troppo. La verità era che usava questa scusa per eclissarsi il più delle volte e per non essere costretto a sorbirsi i discorsi delle ragazze su qualunque cosa si muovesse o respirasse. "Guarda i capelli di questo/questa!"; "Guarda che vestiti!"; "Guarda che gambe storte!" tutte cose che gli facevano solo venire i cinque minuti e il voltastomaco, il suo pranzo voleva goderselo in santa pace e che cazzo!

Così anche quella volta si era isolato, si era appoggiato alla ringhiera delle scale che scendevano sul prato e si era completamente immerso nei suoi pensieri.

Pensieri che ruotavano ancora attorno al misterioso mittente di quella lettera d'amore della quale lui non aveva fatto menzione a nessuno. Era assurdamente insensato come non fosse stato capace di scacciare dalla mente quel misero pezzo di carta che non era nemmeno indirizzato a lui. Si stava arrovellando il cervello per un qualcosa di cui non doveva importargliene assolutamente niente e della quale, tecnicamente, non avrebbe dovuto pure sapere niente. Eppure era lì, da solo, mentre continuava a ripetere nella sua mente quelle parole, quasi imparate a memoria ormai sentendo ogni volta qualcosa rimescolarsi dentro. Aveva anche pensato più volte alla sua iniziale voglia di tormentare quel poveretto, non riuscendo a decidersi. Forse avrebbe fatto meglio a cestinare in via definitiva tutto e dimenticarsi di quella storia ridicola. Alla fine non aveva nemmeno la voglia di impegnarsi troppo nella ricerca. Il compito infatti si era rivelato più arduo del previsto. Altre volte invece sentiva così prepotente la voglia di sapere almeno che faccia avesse chiunque fosse stato in grado di stuzzicargli così tanto la curiosità, da fargli cambiare idea di nuovo su tutto.

Sbuffò annoiato scendendo le scale andando a sedersi sul muretto che delimitava la fine del cortile estraendo il cellulare, perdendo gli ultimi dieci minuti di pausa a smanettare svogliatamente con quell'aggeggio, giusto per passare del tempo. Sbloccò il dispositivo decidendo con quale applicazione iniziare, ma qualcosa che andò a piazzarsi proprio di fronte a lui, schermandolo dal sole, gli fece alzare lo sguardo.

Incontrò in ordine, nella sua salita verso il viso dello sconosciuto, un paio di jeans sdruciti e consumati in più punti tenuti stretti ai fianchi da una orrenda cintura in cuoio infilata con cura in ogni singolo passante; una felpa leggera color terra con due tascone enormi e i lacci del cappuccio che pendevano impari sul petto; un collo esile e spigoloso da cui sporgeva prominente il pomo d'Adamo e, infine, una faccia a tratti imbronciata e determinata. O almeno era questa l'espressione che Dean aveva desunto, dato che con quegli occhiali che si ritrovava sul naso era quasi impossibile scorgere qualche tratto particolare di quel volto.

Il ragazzino appena arrivato incrociò le braccia al petto, come se stesse cercando di proteggere sé stesso, poi con tono fortemente deciso si fece avanti decidendosi a parlargli. «Non starò qui a fare giri di parole inutili. So che nel tuo armadietto hai trovato una lettera...» sentenziò senza perdere tempo «... la rivoglio.»

Dean sfarfallò le palpebre confuso, scioccato e destabilizzato puntando le sue iridi carbone su quella figurina minuta e sgraziata.

«E tu chi cazzo saresti?!» sbottò senza nemmeno riflettere.

L'altro non sembrò scomporsi più di tanto mantenendo la corazza da duro che aveva faticato per mettere su appositamente per quell'incontro. Fece solo una leggera ed impercettibile smorfia di disapprovazione al suono di quella parolaccia e riprese impassibile. «Non importa chi sono, io rivoglio la mia lettera. So che ce l'hai tu perché... beh, perché ho sbagliato armadietto. Non sei tu il destinatario, quindi ti prego di restituirmela e di dimenticare l'accaduto.» asserì Hayden rimanendo serio e deciso.

Dean non ci poteva credere. 

C'erano troppe cose che gli avevano dato fastidio in soli cinque secondi di conversazione e due scambi di battute. Primo: come accidenti si permetteva quello di andare lì da lui e dargli ordini!? Secondo: ma che razza di lingua parlava? "Dimenticare l'accaduto"? Che cos'era un dizionario ambulante!? Terzo: come non importava chi era? Importava eccome invece! Era solo il tizio che stava cercando da quando aveva letto il biglietto! Quarto: perché diavolo doveva essere un lui e pure sfigato cronico!?

«Ero pronto ad aspettarmi di tutto, tranne che fossi un ragazzo.» brontolò deluso e forse anche annoiato «E poi, semplicemente, non credevo che il mittente fosse così stupido da presentarsi addirittura di persona dopo aver fatto una figura di merda così eclatante.» sputò sincero cercando in tutti i modi di metterlo in difficoltà, giocando con lui come avrebbe voluto fare fin dall'inizio.

«Era l'unico modo che avevo per recuperare quello che mi appartiene. Saresti così gentile da ridarmela?» ribadì Hayden stanco di dover ripetere la stessa frase.

Dean sogghignò beffardo. Lui gentile? Ma dove viveva quell'esserino!? «Ti correggo: non ti appartiene più da quando hai deciso di consegnarmela.» In un attimo aveva visto la voglia di sfotterlo e torturarlo accendersi. E come poteva essere altrimenti se ora non solo sapeva chi effettivamente fosse l'autore del biglietto, ma avesse appurato anche che era il soggetto che meglio si prestava a queste cose!?

«Non te l'ho consegnata! È stato un incidente!» si alterò il moretto «Ti sto chiedendo per favore di restituirmela, v-visto che non dovrebbe neanche importartene granché... n-non è per te.» precisò sentendo la determinazione scemare a mano a mano sotto le occhiatacce del suo interlocutore.

Dean si alzò in piedi avvicinandoglisi di qualche passo con un'espressione oltremodo seccata stampata in viso. Quelle ultime parole gli avevano dato ancora più fastidio di tutto il resto.

«Fossi stato in te, io me ne sarei stato zitto e buono negando fino alla morte di avere qualcosa a che vedere con tutto questo. Ma visto che sono curioso, ho solo una domanda: perché ci tieni così tanto a riaverla?» si era dimenticato per un secondo della stizza e del fatto che stava dando udienza ad un moccioso qualunque.

«Perché é personale e intima.» spiegò con semplicità Hayden. «Quelle parole sono per una persona speciale e non mi piace l'idea che sia finita nelle mani di qualcuno che finirà solo per riderci su.»

Dean inarcò un sopracciglio puntando un indice contro sé stesso. «Quel qualcuno sarei io?»

Hayden roteò gli occhi alterato. «Mi pare ovvio!»

«Beh, se ti fa stare meglio io non ci ho riso su, anzi.» replicò spiazzando completamente il più piccolo.

«Allora l'hai davvero letta...» constatò l'altro rammaricato, avvampando il secondo dopo. «Quindi me la restituirai?» viste le premesse sperava ancora in una risposta affermativa.

«Ma sei veramente scemo!?» rise sardonico «Perché dovrei farlo, quando ho la possibilità di divulgare quel bel pensierino con in allegato una tua foto e divertirmi a sfotterti tutto l'anno?»

Hayden si bloccò sul posto come congelato. Aveva creduto sul serio di poter fare due chiacchiere civili proprio con Dean? Aveva sul serio pensato che avrebbe desistito dal prenderlo in giro per il suo bene? Che gli aveva suggerito il cervello!?

«Per favore non farlo.» lo supplicò con un filo di voce. «Posso accettare di tutto: prese in giro; offese; quello che vuoi, ma non questo. Per favore non rendere pubblica la lettera.» aggiunse sentendo gli occhi farsi umidi.

Dean lo guardò insistentemente per degli interi secondi, decidendo cosa fare sentendosi ora di nuovo inspiegabilmente incerto.

«Se questo foglio significa così tanto per te, mi spieghi come accidenti hai fatto a consegnarlo alla persona sbagliata!? Voglio dire... azzeccare un armadietto non mi sembra un'impresa così impossibile.» lo sfotté di nuovo.

Hayden prese a torturarsi entrambe le mani strofinandole fra loro, sentendosi effettivamente un incapace. «In realtà... sono giorni che ci provo.» ammise «Non ho mai trovato il coraggio perché...»

«Perché sai perfettamente che conciato così non hai nemmeno una mezza remota possibilità di poter combinare qualcosa con Brandon.» concluse Dean al posto suo con fare ovvio.

«Potresti anche essere un po' più delicato!» lo ammonì l'altro offeso.

Dean fece spallucce. «E perché dovrei, è la verità.» rispose di nuovo arcigno.

Hayden si sentì precipitare. Era stato davvero stupido da parte sua farsi avanti, farsi vedere in volto e sperare nella compassione di un essere che probabilmente un cuore non l'aveva nemmeno. E ora si apprestava a pagarne le conseguenze, ormai indietro non si poteva andare.

Si sforzò di ignorare anche quell'offesa gratuita tornando a fronteggiare il ragazzo, convinto a non andarsene prima di aver ottenuto quello che voleva.

«D'accordo, senti... sono disposto a fare qualsiasi cosa, ma ti prego: ridammi quel foglio.»

Dean avvertì di nuovo uno strano e fastidioso prurito spandersi nelle vene.

Non riusciva a concepire nemmeno come ci fosse arrivato a quel punto. Il Dean di sempre se ne sarebbe sbattuto fin dall'inizio liquidando la questione con un'offesa umiliante che avrebbe fatto scappare chiunque a gambe levate, anzi, non l'avrebbe nemmeno fatto iniziare a parlare. Eppure quel ragazzino doveva essere davvero disperato per aver deciso di provare a sostenere un confronto faccia a faccia con lui sperando di uscirne vittorioso. Non capiva davvero perché lo stesse facendo, non poteva sul serio essere tutta colpa di quella lettera.

«Ok allora. Se proprio ci tieni così tanto a riavere questo foglietto...» sentenziò estraendolo dal portafoglio con una faccia non molto rassicurante «Beh, credo proprio che dovrai sudartelo...» concluse battendosi un indice sulle labbra pensieroso.

Hayden chiuse gli occhi inspirando allargando poi le braccia come a dire che non ci poteva fare niente. «Ok, v-va bene. Qualsiasi cosa.» ripeté stentando a credere di essere riuscito a venire a patti col diavolo, sentendo inevitabilmente la sua sicurezza iniziale vacillare.

Dean sorrise di nuovo. «Qualsiasi cosa?» domandò a conferma.

L'altro annuì soltanto stringendo fra le mani i lembi della felpa troppo larga.

«Ottimo. Allora direi che il mio silenzio e la tua sopravvivenza dipendono solo da te a questo punto. Per il prossimo periodo non precisato di tempo mi aspetto la tua totale e completa disponibilità nei miei confronti... per qualsiasi cosa.» sottolineò scandendo a dovere sillaba dopo sillaba.

Hayden non disse niente. Restò muto con i denti affondati nelle labbra che stava torturando da quando quella conversazione si era trasformata in un teatrino dell'assurdo.

Lui rivoleva solo indietro quello che gli apparteneva e rimediare alla stupidaggine che aveva commesso, niente di più! Come ci era finito a negoziare con Dean Collins non lo sapeva nemmeno lui. Era forse una trappola? Poteva fidarsi sul serio? Ma soprattutto, perché nonostante avesse avuto tutto il tempo per farlo, Dean non aveva spifferato ai quattro venti di quella - come la aveva definita lui - figura di merda eclatante?

«Se non ti sta bene quello che ti offro, puoi sempre andartene... ma non garantisco che saprò tenere tutto questo per me.» si premurò di aggiungere Dean non sentendo arrivare nessuna risposta.

Hayden alzò il capo guardandolo negli occhi scuri «D'accordo, d'accordo. Accetto.» sbuffò esasperato sentendosi come un animale appena messo in gabbia.

«Benissimo, allora siamo a posto. Ah, e giusto per cominciare... tirati immediatamente via quella felpa, non riesco nemmeno a guardarti. Sei così anonimo che anche i piccioni si rifiuterebbero di cagarti addosso e già che ci sei... ricordami come ti chiami.»

Hayden sospirò affranto domandandosi cosa lo avesse realmente spinto ad accettare quell'accordo assurdo e se ne valesse sul serio la pena. Vero era che non avrebbe avuto probabilmente nessun'altra occasione per impedire a Dean di rovinargli l'esistenza.

   
 
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