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Autore: Defective Queen    05/06/2009    6 recensioni
Le cose sembravano aver preso una traiettoria inaspettata che rendeva entrambi a disagio.
Blair non aveva più i suoi programmi fissati in anticipo a cui affidarsi e Chuck aveva perso il ruolo predefinito del migliore amico dell’eterno fidanzato, in cui doveva cercare di rientrare sempre e comunque.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
- Questa storia fa parte della serie 'Before Gossip Girl'
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“For you, anything”



«Waldorf, che ci fai qui?», la sua noiosissima, quanto inconfondibile, voce strascicata la distrasse.

Blair sospirò, allontanando il calice pieno di champagne dalle sue labbra.

«Niente», disse, senza nemmeno voltarsi a guardarlo.

Chuck, abituato ad essere ignorato e a prendersi la sua attenzione con la forza, le sedette accanto.

«Beh, io direi che mi devi una spiegazione visto che hai approfittato del mia amicizia, no? Altrimenti il bar del Palace non avrebbe mai servito degli alcolici a dei minorenni.»

Chuck vide il profilo di Blair piegarsi in una smorfia infastidita.

«La settimana scorsa hai detto che chiunque volesse farsi una bella bevuta poteva farlo qui a tuo nome», rispose, senza degnarlo di un minimo sguardo.

Chuck ghignò: «Oh, certo, ricordo bene ciò che ho promesso. Essere proprietari di un hotel ha molteplici vantaggi. Ciò che non mi piace, però, è essere lasciato fuori dai festeggiamenti.»

Blair lo guardò di sottecchi, alzando le sopracciglia e accentuando il suo broncio naturale. Alzò il calice di champagne ormai quasi vuoto verso di lui e disse nel modo più inespressivo che Chuck le avesse mai visto indosso in tutti quegli anni: «Ti sembra che io stia festeggiando?»

«Effettivamente hai l’aria di qualcuno che sia finito per sbaglio tra la plebaglia di Brooklin», scherzò Chuck, ordinando al barista il solito bicchiere di scotch.

Blair rise senza essere veramente allegra: «Preferirei essere finita nei Queens, piuttosto che…», ma non terminò mai la frase.

Inclinò di nuovo il bicchiere verso la sua bocca e mandò giù tutto il resto dell’alcool.

Chuck non disse nulla, ma continuò ad osservarla un tantino perplesso, anche preoccupato, se solo l’avesse ammesso.
«Dov’è Nate?», le domandò allora.

Blair scosse la testa. «Non ne ho la minima idea», rispose piatta, «Probabilmente sarà andato a sballarsi da qualche parte.»

«Dannato Nathaniel», mormorò Chuck, fingendosi infastidito dall’indelicatezza dell’amico, « poteva anche avvisarmi se voleva andare a divertirsi!».

Blair non badò alle sue parole. Sembrava ormai essersi persa in un mondo tutto suo. Un mondo che doveva essere precluso a Chuck.
Questo piccolo particolare di certo non sarebbe stato in grado di fermarlo.

«Blair», insistette lui, stavolta pronunciando il suo nome, «Cosa diavolo è successo?»
La sua voce bassa e sensuale, anche in un momento del genere, ebbe il potere di far crollare tutte le sue difese.

Blair si accasciò improvvisamente sul bancone con gli ordinati riccioli castani che scendevano a coprirle il volto. Dopo qualche secondo, il suo corpo iniziò ad essere scosso da forti singhiozzi, suo malgrado.
No! Lei non poteva permettersi di certo di piangere davanti a lui, non lo faceva neppure davanti a Nate…e allora perché le sembrava tutto così naturale?

Chuck non sapeva cosa fare. Non era certo il tipo da grandi gesti romantici e di conforto, visto che durante la sua vita aveva imparato a vivere semplicemente facendone a meno.
Eppure vedere Blair ridotta così, accartocciata su se stessa, innescò qualcosa al suo interno. Il suo stomaco pulsò sofferente, come se qualcuno l’avesse strizzato dopo un lavaggio.

Immediatamente, pagando adeguatamente il barista, gli ordinò di chiudere il bar e fece in modo che tutti gli altri andassero via. Blair non sembrò nemmeno farci caso, ma Chuck apprezzò il ritrovato silenzio.

Sedette accanto a lei, staccando gli occhi da quello spettacolo che stranamente lo agitava, e guardò avanti a sé, dove, ordinatamente disposte su degli scaffali, giacevano le bottiglie di qualsiasi tipo di alcolico esistente.

«Ne vuoi parlare?», domandò prendendo un altro sorso di scotch.

Blair non rispose, ma scosse fremente la testa in senso di diniego.

«Riguarda qualcuno che conosco? Vuoi il mio aiuto per distruggerlo?», domandò lui tranquillamente.

«Non è niente del genere!», sbottò la sua voce acuta, leggermente attutita dalle braccia su cui era appoggiata.

«Ho capito allora», intervenne Chuck in un ultimo disperato tentativo di alleggerire l’atmosfera, «La tua è la tipica frustrazione sessuale da vergine portata all’esasperazione. Ora, so che il caro Nathaniel non è molto perspicace nel recepire certi segnali, però…»

«Serena se n’è andata», disse Blair, interrompendo i suoi inutili sproloqui.

«Serena? E dove è andata?», domandò Chuck, leggermente confuso dai nuovi sviluppi.

«Si è trasferita in un collegio del Connecticut», replicò doverosamente Blair, sputando le ultime parole con la sua voce di pianto mista ad una profonda rabbia, «Senza salutare, senza avvisarmi prima di farlo, niente di niente! Ho chiamato Lily oggi pomeriggio, perché l’assenza di Serena a scuola mi aveva preoccupata, e lei mi ha dato la bella notizia.»

Chuck sorseggiò nuovamente il suo drink, reclinando la testa bruna per trangugiare tutto fino all’ultimo goccio.

Quando riportò nuovamente il bicchiere sul tavolo, lo sbatté contro la superificie lucida con violenza, e per un momento temette di averlo rotto in mille pezzi.
Lo stesso numero di frammenti in cui la ragazza sembrava essere ridotta in quel momento.

«Perché», domandò Blair dopo poco, in un lamento miserabile, «Perché se n’è andata? Perché proprio adesso?»

Chuck sentì i suoi pensieri cadere liberamente nel baratro di quello struggente dolore.

Serena. Che troia”, pensò in un tentativo di ripristinare la collera precedente. La rabbia era un sentimento che sapeva gestire, contrariamente alla strana sensazione che stava provando in quel momento.

Il tempismo era stato a dir poco perfetto.

Un giorno Blair aveva una vita perfetta: una famiglia che tutto sommato le voleva bene, un affascinante principe azzurro dallo sguardo confuso ma pulito, una biondissima migliore amica il cui sorriso avrebbe stregato chiunque, un fedele complice nelle sue malefatte nascoste, ma la settimana dopo la sua esistenza era andata a rotoli. Suo padre si era rivelato gay e aveva deciso di trasferirsi in Francia con il suo amante modello, sua madre era caduta in depressione in un modo talmente melodrammatico da toccare i limiti della comicità, la sua migliore amica era scappata via senza dirle nulla, e il suo ragazzo sembrava aver preso persino peggio di lei tale notizia, per un motivo inspiegabile.

L’unico che le restava era il suo compagno di malefatte. Pervertito, disgustoso, abominevole, ma al tempo stesso l’unica figura della sua vita che aveva resistito a quel terremoto distruttore.
L’unica persona che era ancora in piedi, nonostante tutto. L’unico che era rimasto sempre lo stesso.

Pur pentendosi del suo stesso pensiero un millesimo di secondo dopo averlo realmente pensato, Blair fu felice di avere accanto a lei Chuck in quel momento.
La sua non era una felicità bruciante, ma un tipo più subdolo e difficile da riconoscere, una strana consapevolezza che le scaldava il cuore e la faceva tremare un po’ meno.

Chuck non disse niente, non le tenne la mano, né l’abbracciò cullandola tra le sue braccia con sussurri di comprensione e consolazione.
Però c’era. La sua aura densa e scura, complementare alla sua, l’avvolgeva quasi totalmente.

Guardandola inquieto - o per meglio dire tentando in tutti i modi di non guardarla, ma fallendo miseramente - Chuck, inconsapevole della sensazione che la sua presenza le trasmetteva, si sentì profondamente inutile.

Per queste cose c’era sempre Nate, d’altronde. Quando la coppia litigava, seppur brevemente, Blair dapprima si sfogava con Chuck, poi, esaurita la sua ira, Nate subentrava umilmente a chiederle scusa (sotto le direttive di Chuck) e così Blair, come una regina magnanima che grazia un condannato, finiva con il perdonarlo ogni santissima volta.

Era sempre andata così, eppure adesso le cose sembravano aver preso una traiettoria inaspettata che rendeva entrambi a disagio.

Blair non aveva più i suoi programmi fissati in anticipo a cui affidarsi e Chuck aveva perso il ruolo predefinito del migliore amico dell’eterno fidanzato, in cui doveva cercare di rientrare sempre e comunque.

Alzò una mano in aria, indeciso sul da farsi per un momento, poi l’appoggiò delicatamente sul capo chino di Blair.

La ragazza percepì il calore della sua mano soffermarsi per qualche momento in una carezza quasi gentile, per poi muoversi disordinatamente a scompigliarle tutti i capelli.

Istantaneamente, Blair alzò la testa e lo guardò in maniera truce.

I suoi occhi potevano anche essere lucidi e arrossati e le guance screpolate e gonfie, ma Blair Waldorf continuava ad essere una totale visione ai suoi occhi.
Una visione chiaramente fuori dal suo raggio di azione, si affrettò a ricordare a sé stesso.

«Felice di vederti di nuovo in faccia», la salutò lui con un sorrisetto ammiccante, facendole l'occhiolino.

«Va al diavolo, Bass», rispose puntualmente lei.

Blair cercò di sistemarsi alla bell’e meglio i capelli che Chuck aveva affezionatamente incasinato, ma inaspettatamente la sua mano sopraggiunse ancora, stavolta per aiutarla nel compito.

Blair si irrigidì lievemente al rinnovato contatto, trattenendo inconsciamente il respiro, ma ogni forma di disgusto era ben lontana da lei in quel momento.

Quando lui tornò a parlare dopo quel religioso silenzio, e lo fece senza perdersi in avances sessuali, Blair percepì la sua mano sui suoi capelli quasi bruciare per l’intensità di quello pseudo-gesto di affetto.

«Vuoi che domandi al mio investigatore privato di rintracciare il suo nuovo indirizzo?», domandò Chuck e Blair ebbe l’impressione che in quell’istante lui sarebbe stato capace persino di andare a recuperare Serena anche in capo al mondo per lei. Al contrario di Nate.

Nel bene o nel male, anche se più frequentemente nel male, Chuck era sempre l’opposto di Nate. Dopo tutti questi anni Blair si chiedeva ancora come potessero essere amici, eppure anche lei era sempre stata l’opposto di Serena e tra di loro le cose avevano sempre funzionato alla grande…almeno fino a quel momento.

Serena. Quel nome fece contorcere le sue viscere in un altro conato di puro dolore.

Aveva un bisogno disperato di sentire la sua voce allegra e la sua risata da bambina, ma, al tempo stesso, non aveva il coraggio di farlo.

Chuck le stava offrendo una via. Un contatto. L’unico contatto che lei agognava più di quello di Nate e di suo padre al momento.

Non le importava perché la sua migliore amica avesse deciso improvvisamente di scappare via da Manhattan, purché potesse raggiungerla, in qualsiasi posto fosse si fosse andata a cacciare.

«Sì, Chuck, per favore», Blair si trovò a scongiurarlo, con il mento tremante e le lacrime che minacciavano di cadere ancora.

Chuck scostò la mano dal suo capo e, pur senza ammetterlo realmente a se stessa, Blair avvertì una profonda perdita.
Era diventata così bisognosa di affetto che avrebbe accettato persino quello di Chuck Bass? Che situazione assurda.

«Sì dai, implorami ancora», mormorò Chuck con un sibilo dannatamente sexy, smettendo di essere serio.

Blair lo guardò oltraggiata e aprì leggermente la bocca per rispondergli adeguatamente con commento velenoso, ma lui l’azzittì prima che potesse pronunciare una qualsiasi vocale.

«E va bene, Waldorf. Per te, qualsiasi cosa.»



   
 
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