White day: https://it.wikipedia.org/wiki/White_Day.
Il White day è stato inserito solo successivamente all'anno in cui dovrebbe svolgersi questa storia, ma ricordiamo che nel mondo di KHR già nel quattrocento trovavamo viaggi diretti Italia-Giappone e sport come la box con le regole, però, che ha oggi. Ricordiamo che è un mondo che tende al fantasy con regole tutte sue.
La citazione viene da Montalbano, la puntata: Un covo di vipere.
Scritta per: Valyria_Valyria che l'aveva richiesta.
Amore incestuoso
Un
amore perverso e
malato, ma pur sempre amore: nato in quel nido di serpi.
Giannini
si passò la mano tra i neri capelli unti, la sua faccia
cicciottella
era madida di sudore e contratta.
"Non
dovresti toccare. Quel bazooka dei trent'anni è ancora in
fase di
collaudo. Non so nemmeno se ti riporterebbe all'anno giusto" si
lamentò.
Yamamoto
stava rigirandosi tra le braccia un bazooka color violetto.
Ne
guardò il foro d'ingresso, vi poggiò l'occhio
dilatandolo.
"Vuol
dire che potrebbe comparire un me quarantenne per cinque
minuti?" chiese.
Ridacchiò,
scostò appena l'arma da sé e ne
carezzò il grilletto.
"Certo
che in questo GDR fate sempre effetti nuovi!".
Giannini
negò con il capo e strofinò le dita sudaticce tra
loro,
tirandosele.
"L'ultima
volta ha dato l'effetto contrario. Chi lo ha usato è finito
nel passato e qui non è apparso niente. Ed è
tornato dopo un'oretta e non
cinque minuti. Pensavamo si fosse smaterializzato per sempre" gemette.
Takeshi
aggrottò la fronte, abbassò l'arma contro il
proprio petto e
sorrise.
"Oh?
Chissà cosa ha cambiato quel poveretto, tutto quel tempo nel
passato!".
Ridacchiò,
si passò una mano tra i capelli mori e guardò
nuovamente
l'interno del bazooka.
"Essere
adulti è molto più divertente, secondo me.
Però in un GDR è
giusto si vada in giro nel tempo, o non sarebbe un gioco completo!".
"Posalo!
Quel tipo è andato a finire da suo padre, rischiando di non
farsi concepire" gemette Giannini.
Il
bazooka sparò. Una nuvoletta violacea avvolse Yamamoto, che
venne
fagocitato dall'arma.
Takeshi
guardò in alto, scivolava lungo un vortice arcobaleno.
Chiuse gli
occhi accecato dai colori sfavillanti, sentì un piccolo
tonfo e socchiuse
lentamente gli occhi. Si guardò intorno aggrottando la
fronte, vedeva appannato
e le gambe gli tremavano appena.
<
Un... dojo? > si chiese.
Scosse
un paio di volte il capo e batté le palpebre schiarendo la
vista, si
guardò attorno osservando le pareti di legno. Un lieve
venticello filtrava
dalla porta socchiusa di fronte a lui, Takeshi prese una boccata
profonda e si
guardò i piedi, il tatami sotto le sue scarpe era umido.
Un
giovane si stava allenando davanti alle imposte di legno chiuse di una
finestra. Indossava un kimono candido che gli lasciava scoperto il
petto.
Faceva volteggiare la spada e i lunghi capelli rossi gli ondeggiavano
intorno
al corpo. Teneva le labbra socchiuse e scattava avanti e indietro. I
suoi piedi
nudi affondavano nel tatami umido. Non indossava i pantaloni candidi
del
kimono, ma dei pantaloncini aderenti neri inguinali.
Si
voltò verso il giovane e batté un paio di volte
le palpebre.
"Sei
uno nuovo, straniero?" domandò. I capelli gli mulinavano
intorno al viso roseo.
Takeshi
sobbalzò, si voltò verso il ragazzo e sorrise
solare incrociando le
braccia dietro la testa.
"Ah!
Devo essermi completamente perso!" esclamò.
Sfilò
le scarpe, poggiò i piedi coperti dai calzini sul tatami e
avanzò.
"C'è
un dojo del genere anche vicino a casa mia, ma ho paura siano
tutti un po' uguali!".
Il
giovane chiuse gli occhi e sorrise, quest'ultimo gli prese
metà del
viso. Fece ondeggiare la spada, con dei movimenti sinuosi del polso.
"Su,
su. Se sei qui vuol dire che sei un mafioso e non hai nulla da
temere". Socchiuse gli occhi. "O gli altri Varia ti avrebbero
già
ucciso" sussurrò.
Takeshi
batté ripetutamente le palpebre, sospirò piano e
si passò la mano
tra i capelli.
"Aaaah. Sembra io sia
capitato proprio in un brutto posto" borbottò.
Lasciò
ricadere le braccia lungo i fianchi spostando il peso da un piede
all'altro, la sacca sulla sua spalla oscillò battendogli
contro la schiena.
"Calma,
calma. Non si uccide la gente senza presentarsi. Una persona
che conosco dice che altrimenti ti dimentichi chi hai ucciso e diventa
tutto
noioso".
Il
ragazzo scrollò le spalle e conficcò la spada in
una fessura tra le assi
di legno.
"Non
ho nessuna intenzione di ucciderti. Piuttosto, hai fame?"
gli domandò.
Le
ciocche di capelli gli solleticavano il collo, risaltando sul kimono
candido.
Takeshi
sorrise solare, annuì e lo raggiunse rapidamente.
"Sto
morendo di fame!" esclamò.
Piegò
il capo di lato chinando lo sguardo verso il ragazzo, strinse la
bretella della sacca.
"Quindi
sei un Varia, eh? Pensavo abitassero in Italia o qualche altro
posto del genere!".
Il
giovane si piegò e trasse un contenitore di legno, coperto
da una stuoia
legata, da sotto un tavolo. Appoggiò il contenitore sul
ripiano e lo aprì. Ne
trasse un piatto ricoperto da foglie, c'erano delle polpette di riso
triangolari di colore blu, avvolte in delle alghe.
"Sono
polpette di riso, speziate con formaggio, patata viola e
rosmarino" spiegò.
"C'mon, assaggia!".
Aggiunse, porgendogliele.
Takeshi
ne afferrò una, la mise in bocca e masticò
rumorosamente. Ingoiò
deglutendo con forza, si leccò le labbra e ne prese un'altra.
"Wow!
Sono davvero buonissime!".
Diede
un morso alla polpetta, piccoli chicchi di riso gli rimasero
incollati alle labbra schiuse.
"Thank you!".
"You're welcome"
rispose il giovane, battendo le palpebre.
Takeshi
ingoiò il resto della polpetta, guardò il giovane
battere le
palpebre e sorrise appena socchiudendo gli occhi scuri. Si
umettò lentamente le
labbra ripulendole dal riso, spostò lo sguardo sulle
restanti polpette.
"Le
hai cucinate tu?" chiese.
"Sì.
Il mio nome è Tsuyoshi, ma puoi chiamarmi Tsu. Ed un giorno
sarò
famoso per il mio sushi" spiegò il giovane. Si
slacciò il kimono,
lasciando ricadere i propri capelli sulle spalle. Piegò il
kimono su un braccio
e raggiunse una stuoia, appoggiandovelo.
Takeshi
fece scorrere lo sguardo sulla schiena del giovane, si morse il
labbro.
"Yamamoto
Takeshi" si presentò.
Si
leccò le labbra e sollevò il capo sorridendo.
"Io
voglio fare il giocatore di baseball, invece!".
Tsuyoshi
gli strinse la mano e dimenò il braccio, ridacchiando.
"Non
ho la più pallida idea di cosa sia" ammise.
Takeshi
rise con forza ricambiando la stretta, gli carezzò il polso
con il
pollice e sorrise.
"Il
mio lavoro è colpire la palla, spedirla verso il cielo e
correre
fino alla meta!" spiegò, con tono entusiasta.
Sfilò
lentamente la sua mano da quella dell'altro, si guardò
intorno.
"Ti
alleni sempre tutto da solo?".
"Oggi
è il White Day e quasi
tutti sono in libera uscita. In questa parte del dojo si trovano solo i
Varia
più giovani. Ed io, ammetto che non ho nessuno con cui
festeggiare"
rispose Tsuyoshi.
Si
massaggiò il collo ed espirò rumorosamente.
"Non
che le ragazze m'interessino".
Takeshi
si batté la mano sulla fronte.
"Ah!
Mi ero proprio dimenticato del White Day!".
Ridacchiò,
scrollò le spalle e fece scorrere lo sguardo sul corpo
tonico
del giovane.
"Non
ci credo che nessun ragazzo ti ha invitato. Io ricevo un sacco di
proposte e non so neanche cucinare così bene!".
Tsuyoshi
raggiunse una parete e vi si appoggiò, incrociando le
braccia.
"Non
ricevo cioccolato il giorno di San Valentino e non ho nessuno con
cui contraccambiare nel White Day"
ammise.
Le
sue iridi rosso sangue divennero liquide.
Takeshi
mugugnò, si mordicchiò l'interno guancia e lo
raggiunse. Si chinò,
gli schioccò un bacio sulla guancia e sorrise ampiamente.
"Sarò
il tuo appuntamento del White
Day, allora!" sancì.
Tsuyoshi
si accarezzò la guancia e arrossì.
"Non
assomigli a del cioccolato" ammise. Si sporse sulle punte
dei piedi e lo guardò negli occhi castani.
Takeshi
si piegò in avanti con la schiena dilatando appena gli occhi.
"Beh!
Sono moro, ho la pelle scura e perfino gli occhi castani.
Secondo me con un po' di fantasia può funzionare".
Tsuyoshi
gli accarezzò la guancia con la mano, chiuse gli occhi e
appoggiò
le labbra su quello dell'altro.
"In
fondo non sono tipo da riflettere tanto sulle cose" confidò.
Takeshi
si leccò le labbra, sorrise appena socchiudendo gli occhi
liquidi.
"Non
baceresti gli sconosciuti, altrimenti" mormorò.
Premette
le labbra contro quelle dell'altro, premendosi appena contro il
corpo di Tsuyoshi.
Tsuyoshi
si staccò da lui e si voltò, dandogli le spalle.
"Sento
una strana sensazione" sussurrò. Allungò le
braccia sopra
di sé e gli avvolse il collo con le braccia. Gli
baciò il mento e chiuse gli
occhi.
Takeshi
gli strinse i fianchi, lo attirò a sé e gli
baciò dolcemente la
fronte.
"Mai
ignorare le sensazioni, succedono cose brutte" disse.
Gli
poggiò la mano sulla guancia e lo guardò.
"Guarda
che se preferisci possiamo andare a comprare della vera
cioccolata. Io non mi offendo" assicurò.
"È
meglio che non esci. Questo luogo è un covo di vipere" lo
ammonì Tsuyoshi.
Si
strusciò contro l'altro.
"Sono
avvezzo al sapore del peccato e questo ne ha tutta l'aria. Tutto
qui" soffiò.
Takeshi
schiuse le labbra e piegò il capo all'indietro facendo
oscillare la
chioma mora.
"Non
mi preoccupano né il veleno, né i peccati"
mormorò.
Gli
passò le mani sulla schiena, scese nuovamente sfiorandogli
le cosce e
sorrise.
"Anche
se ho sentito dire che i peccati per i Varia sono sacri".
Tsuyoshi
si staccò da lui e si allontanò di un paio di
passi. Girò su se
stesso con una gamba alzata, rimise i piedi nudi sul pavimento di
legno,
alzandosi sulle palme. Si piegò in avanti a novanta e
dimenò l'indice verso il
suo interlocutore.
"Il
sacro può divenire profano, e io mi tengo ben lontano da
ciò che è
perfettamente santo" spiegò.
Si
raddrizzò e piegò di lato il capo, sorridendo.
"I
miei peccati sono solo il mio modo di vivere. Sbaglio prima ancora
di avere buone intenzioni".
Si
sfilò i pantaloncini e li fece girare intorno al dito
indice, avvampando.
"Se
so già di sbagliare, non posso lasciarmi andare alle mie
paure".
Takeshi
sentì la gola secca, si morse l'interno guancia facendo
scorrere lo
sguardo sul corpo del ragazzo. Gli si mise di fronte, fece un paio di
passi in
avanti e slacciò il bottone dei propri pantaloni.
"Se
vale la pena farlo, non sono certo sia un peccato" disse.
Gli
prese i fianchi e lo attirò a sé, gli
passò le mani sul petto e sui
fianchi. Sorrise, scivolò in ginocchio e socchiuse gli occhi
lucidi.
"Se
ti sembro uno sbaglio, e ti fa sentire sicuro, allora non resta
che sbagliare" affermò.