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Autore: Mikirise    13/03/2017    3 recensioni
XXVII
“Pensavo che tu volessi rimanere a casa e…”
“Sei un idiota.” Calypso piange e scuote la testa. “Perché sei sempre stato tu casa mia.”
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In mia discolpa, stavo ascoltando Venus degli Sleeping At Last e Sleep on The floor dei Lumineers e mi è venuto in mente, perché io ho problemi nella mia testolina, che sarebbe stato bello raccontare una storia divisa in tanti pezzi, tipo puzzle. Ovviamente queste cose le possono fare solo persone che sono brave a fare queste cose e quindi quello che è uscito a me è questo. Il che è abbastanza meh, ma a me non importa e quindi... La storia intera senza dettagli,  la racconta Piper alla fine, i numeri sopra ogni frammento è l'ordine cronologico, o più o meno del periodo. Quindi  sotto il 10 dovrebbe essere infanzia-preadolescenza, dal 10 al 20 adolescenza fini ai sedici anni e dal 20 al 32 ultima 16-24 anni? Boh, qualcosa così. Tutto dovuto all'immagine del microscopio che legge solo le cose piccolissime e tu non vedi tutto l'organismo. Yuppi. Potete anche tirarmi pietre dietro, non m'importa, me lo merito. Mi mancava anche scrivere sulla Caleo. Ciao





Milioni di piccoli pezzi





 
I

La prima volta che si sono incontrati, erano in punizione. Leo era già seduto sui banchi, giocherellando con un marchingegno, Calypso era soltanto nervosa. "Prima volta?" aveva chiesto lui e non l'aveva neanche guardata negli occhi. Lei ha sempre odiato che le persone non la guardassero. Ha sempre odiato sentirsi sola, invisibile, irrilevante. Non è irrilevante. Non può essere irrilevante.

Sì, era la prima volta in punizione, non sarebbe stata l'ultima. Ma non aveva risposto, si era seduta e basta. Leo le aveva lanciato uno sguardo veloce, per poi tornare al suo marchingegno e ignorarla.

Forse per questo da piccola Leo Valdez non gli piaceva.

La faceva sentire irrilevante.


 
IV

È irrilevante.

Nessuno giocava con Leo Valdez. Era ricoperto di terra e sabbia. E non giocava. Costruiva. Inventava. Cose inutili per lo più, ma che facevano parte del suo essere.

"Perché mi odi così tanto?" Calypso si era portata le mani davanti al viso, guardando con orrore il fango su di lei, sulle sue scarpe, sui suoi vestiti. La mamma si sarebbe arrabbiata. La mamma si sarebbe arrabbiata così tanto. Era scoppiata a piangere. La mamma si sarebbe arrabbiata e Zoe avrebbe riso, e tutte le sue sorelle le avrebbero detto vedi?, vedi quello che succede quando lasciamo che Calypso faccia cose da sola? E lei avrebbe pianto ancora di più e la mamma si sarebbe arrabbiata e si sarebbe irritata e l'avrebbe mandata nella sua stanza. Nessuno l'avrebbe più guardata a casa, perché non era abbastanza adulta. Nessuno le avrebbe più voluto bene, perché non era come loro. Perché lei era irrilevante.

Leo aveva lo sguardo confuso. "Non capisco" aveva detto.

E Calypso intanto piangeva.



 
XV

Leo piange in modo silenzioso, si sente soltanto quando tira su col naso, o quando è costretto a parlare. Allora torna ad una specie di pubertà e perde il controllo della voce, che va dall'acuto al grave senza preavviso. Ed è divertente. Triste ma divertente. Lo sono tante cose riguardanti Leo Valdez. Tristi ma divertenti. "Dobbiamo andarcene di qui" aveva detto, e Calypso aveva posato una mano sulla sua guancia e contemplato gli occhi rossi di lui.

Aveva annuito e Leo aveva annuito dopo di lei. Poi aveva tirato su col naso e poggiato la guancia sulla spalla di Calypso, cercando di trattenere quei silenziosi singhiozzi, che nessuno avrebbe voluto che trattenesse.

Le mani di lei si erano posate sulla nuca di lui e aveva preso ad accarezzarlo con tanta delicatezza la vita le aveva insegnato. "Ci portiamo via Festus e gli insegnamo il vero stile vagabondo alla ricerca del sogno americano" aveva sussurrato.

E Leo aveva riso debolmente, facendosi stringere un po' di più da lei.



 
VI


Leo Valdez fa ridere tutti, su qualsiasi cosa, a quanto pare, ma non tutti sanno far ridere Leo Valdez. È meglio dire che nessuno sa far ridere Leo Valdez come Leo Valdez fa ridere Leo Valdez. È una frase mal costruita, anche un po' rindondante, ma efficace.

Leo Valdez stava ridendo, però.

“Aspetta. Tu gli hai detto…?”

“Gli ho detto che non capisco perché infilarsi nel sedere dei semi, visto che lì non possono germogliare” aveva risposto Calypso, con un sorriso a metà. Aveva tirato su lo zaino, aprendo la porta della loro capanna nel parco. “Non -non avrei dovuto farlo?”

“Stai scherzando? È la…” Leo ride ancora e scuote la testa. “Dylan è tipo, non lo so, Draco Malfoy e tu sei appena diventata la mia Hermione Granger!”

“Che è una cosa positiva.” Si era posata lo zaino sulle spalle, rimanendo tra il là e il qua. Era come stare tra la vita reale e un mondo di fantasia. Leo diceva che questa era la loro Terabithia, solo che, nella loro storia, si sarebbe assicurato che nessuno morisse.

Leo aveva sorriso. Aveva sorriso con affetto e dolcezza e Calypso era arrossita senza sapere neanche il motivo. Si era dovuta fermare dal correre verso di lui e abbracciarlo. Nonnaveva capito il perché. “Stai scherzando? Hermione Granger è la ragazza. Il mio idolo. E ora tu sei la mia Hermione.”

Calypso aveva chiuso la porta, rimanendo dentro il loro capanno. Poi aveva sorriso e si era seduta accanto a Leo, che aveva iniziato a leggere un fumetto di Ironman.





 
IX

Quando Calypso era a casa voleva tornare a casa. È una delle sensazioni più brutte che abbia mai sperimentato nei primi quindici anni della sua vita. Era come se fosse fisicamente dove doveva essere, ma non lo fosse emotivamente.

“Oggi non vieni al capanno?” aveva chiesto Leo. “Ti aiuto con il progetto di Falegnameria.”

“Sono più brava di te in Falegnameria.”

Leo ci aveva pensato per qualche secondo, prima di rilanciare. “Con Spagnolo?” Poi aveva fatto quella cosa con le mani che fa sempre quando sa che c'è una minima possibilità di essere respinto, e cerca di tirare tutto sullo scherzo. Era strano quanto conoscesse bene Leo Valdez.

“Va bene.” Aveva sorriso.

Quando era al capanno con Leo, sentiva di essere fisicamente ed emotivamente dove doveva essere. Ha sempre pensato fosse quella la definizione di casa.






 
XI

“Questa non è casa nostra. Insomma, no, sì, noi siamo…” Leo aveva scosso la testa, camminando con passo trascinato per le strade di quella piccola città del Texas. “Siamo noi due contro il mondo, no?”

Calypso non aveva capito. Quanto si è odiata per non aver capito. Nessuno capiva, nemmeno lei. E Leo era solo, un po' anche per colpa sua. “Certo” aveva detto, più perché pensava fossero solo parole, che perché credesse in quello che lui stava dicendo.

“Allora andiamocene via.”

Lei aveva sorriso con solo un lato della bocca. “Allora andiamocene via” aveva risposto.

Leo sembrava sollevato, come se le avesse rivelato il suo segreto più grande. Le aveva sorriso ed era entrato nella casa di sua zia Rosa, che, al vederlo, aveva iniziato a gridare in spagnolo senza motivo.



 
III

Leo Valdez non era il tipo di bambino che andava al parco, dicevano tutti a scuola. Calypso pensava fosse perché nessuno avrebbe mai voluto passare neanche un secondo vicino ad un tipo come lui, la verità è che nessuno voleva passare un minuto vicino a lui che veniva sgridato in spagnolo.

Leo normalmente non fa niente. Il suo più grande peccato era quello di ridere un po' troppo forte, o di respirare, allora arrivava sua zia e iniziava a sgridarlo senza ragione.

La tata di Calypso aveva scosso la testa, con aria di superiorità al vedere la signora Rosa prendere il bambino dal braccio e trascinarlo verso la loro casa. Lì le grida si erano intensificate.

“Che orrore, perdere la madre per finire in un posto del genere” aveva detto la tata, abbassando la voce è parlando ad un'altra donna, vicino a lei sulla panchina.

Forse è stata quella la prima volta che Calypso aveva sentito di capire Leo Valdez. Forse è stata quella la volta che aveva deciso di diventare sua amica, anche se era sempre sporco di sangue e finiva sempre in punizione.




 
V

Calypso era finita di nuovo in punizione e tutte le maestre dicevano fosse perché era la solita figlia di ricchi che cercava l'attenzione dei suoi genitori. In realtà aveva solo risposto male ad una bambina perché le aveva appiccicato la gomma trai capelli e la maestra l'aveva giudicata troppo piena di rabbia. Anche quella volta c'era Leo, ma non le ha parlato.

Secondo le maestre Leo Valdez finiva sempre in punizione perché era erbaccia. Non è una bella cosa dire una cosa del genere ad un bambino, ma loro pensavano di non essere ascoltate, quindi lo dicevano lo stesso. La classe di Leo lo aveva isolato. Era il bambino che faceva ridere tutti, niente più. Era finito in punizione perché un bambino gli aveva dato la colpa dell'esplosione della fontanella. Non si è mai saputo se era vero.

“Mi dispiace per il vestito” aveva detto lui a bassa voce, con la testa abbassata verso il banco. “Avevi detto che ti piaceva la torta di fango e volevo fartela vedere più da vicino ma…”

“Mamma non mi ha sgridato” aveva detto e alzato una spalla, perché era la verità. Alla mamma non era importato nulla.

“Va bene.”

“Va bene.” Calypso aveva ricordato le parole della tata e gli sguardi dei suoi compagni di scuola. Poi le era venuto in mente che se lei avesse perso la mamma non sarebbe riuscita a sopravvivere, ma Leo Valdez ce la sta facendo, a sopravvivere. E poi voleva farle vedere la sua torta di fango. È una cosa carina, voler vedere una torta di fango. “Magari potremmo fare un castello di sabbia insieme” aveva proposto.

Leo Valdez aveva sorriso.




 
VII


Quando avevano presentato il loro cane meccanico, tutti pensavano sarebbe esploso. Anche Calypso. Ma Festus aveva retto fino alla fine della lezione e nessuno aveva tirato loro nemmeno una pallina di carta. Era un record.

“Prossima fermata: NASA!” le aveva gridato Leo, guardando forse la prima A in tutta la sua carriera scolastica.

“Sicuramente, tu ci arrivi alla NASA.”

Leo aveva scosso la testa, incatenando i suoi occhi con quelli di lei. Ed erano occhi nudi, occhi sinceri, diversamente da quello che aveva in classe, o quando faceva battute con quei suoi falsi amici. “Ma dove vuoi che vada io senza di te?” aveva chiesto, e sembrava così dannatamente sincero, che Calypso ci aveva creduto.




 
XIIX


Quando si era svegliata quella mattina, aveva pensato di incontrare Leo al capanno, come sempre, ma Leo lì non c'era. Allora Calypso aveva aggrottato le sopracciglia ed era andato al taller dei Beckendorf, ma Leo lì non c'era. Era passata davanti alla casa di sua zia Rosa, ma la famiglia di Leo era stranamente silenziosa. Aveva cercato di chiamarlo al cellulare, ma le diceva che il numero era staccato.

Ha capito soltanto quando il sole era calato ed era seduta sul suo letto, con le ginocchia abbracciate al petto e la finestra dalla quale lui sgattaiolava sempre dentro aperta.

Leo era andato via. Senza di lei. E non sarebbe tornato.



 
XX

C'era una sensazione di aver dimenticato qualcosa, che perseguitava Calypso ovunque andasse. Parliamo di cose piccole. Cose come prendere l'autobus e aver paura di aver lasciato il cellulare sul sedile. Come controllare mille volte di aver preso le chiavi di casa. Come avere la sensazione di aver lasciato i fornelli accesi a casa.

Erano piccole sensazioni, razionalizzate in piccole azioni, quando lei sapeva benissimo cosa era la cosa che le mancava e perché aveva la sensazione di dimenticare una parte di lei ovunque andasse.

Casa sua era enorme e vuota, soprattutto da quando non aveva più bisogno di una tata e, lasciare i fornelli accesi e lasciarla bruciare, non era per niente nulla di cui si sarebbe pentita, se mai lo avesse fatto.


 
XVI

“Hai dimenticato di nuovo la penna?” Calypso aveva alzato un sopracciglio e scosso la testa, passando una matita a Leo.

“A che mi serve ricordare la penna, se so che ci sei sempre tu con una penna in più?”

La risposta l'aveva fatta irritare e quel giorno Leo non ha avuto la penna per scarabocchiare durante Inglese.


 
XXXI

“Hai dimenticato le chiavi?”

“Tanto ci sei tu che hai sempre le chiavi. Anche del mio cuore.” Leo fa l'occhiolino e Calypso sospira.




 
XIV

“Diciamo che sono dei bei film è che i libri non li voglio leggere.”

Leo si era posato drammaticamente la mano sul petto, gettandosi a terra, come se fosse stato ferito. “Il mio cuore” si era lamentato. “Il mio cuore! Cosa hai detto, Calypso Nightshade? Il mio cuore si sta fermando! Ah! Che dolore! Ah! Che dolore!”

“Oh, smettila di fare il melodrammatico. Non leggerò Harry Potter.”

“Perché?” Leo si era rotolato ancora più drammaticamente, se questo era possibile. Poi si era arricciato è posato il dorso della mano sulla fronte. “Perché dici cose così brutte?”

“È da quando abbiamo otto anni che non fai che raccontarmi Harry Potter e tutte le cose che sono successe nel libro e lo so a memoria senza averlo letto! Perché dovrei leggere qualcosa di cui so inizio svolgimento e fine bei minimi dettagli?”

“Il mio cuore” aveva continuato a lamentarsi lui.

Calypso si era sdraiata di fianco accanto a lui, fermando il rotolare di qua e di là di lui con un braccio. Poi aveva posato le labbra sulle sue, lentamente, il più delicatamente possibile. “Meglio?” Era un bacio leggero, e corto, forse troppo corto, ma era anche tutto quello che lei riusciva a dare in quel momento.

“Non lo so. Un altro?”

Calypso aveva sorriso e scosso la testa.


 
XXXII

“Potremmo rimanere così per sempre.”

“Sì.” Leo le sorride e poi le dà un bacio sulle labbra, cercandola tra le lenzuola. “Sì.”

 
XVII


“Potremmo rimanere così per sempre” aveva detto Calypso, prendendogli la mano e osservando il modo in cui i ricci di Leo si schiacciavano contro l'erba, per poterla guardare negli occhi. “Io e te. Lontano dalla tua famiglia. Lontano dalla mia famiglia. Potremmo.”

“Tu non vuoi andare via” aveva risposto Leo e sembrava così triste, così solo…

“Io voglio solo tornare a casa.” E casa era Leo. È Leo. Sempre sarà Leo. Ma non riesce a dirlo ad alta voce, non sa perché.

Lui si morde le labbra e annuisce. Calypso pensa che lui abbia capito. Leo non ha capito.




 
XII

“Cal!” Una ragazza dall'altra parte della mensa la chiamava, sbracciandosi. Leo sorrideva, indicandola col mento e Calypso si era accarezzata la fronte. “Ti siedi a mangiare con noi, vero?”

“In realtà…”

“Io devo lavorare al modellino dell'Argo II, oggi non mangio qua.” Il ragazzo aveva fatto un cenno allo zaino, come se questo potesse spiegare tutto. “Puoi sederti con le belle ragazze, magari ti si attacca qualcosa.”

Calypso l'aveva fulminato con lo sguardo e colpito leggermente alla spalla. Leo aveva riso e se n'era andato. La ragazza dall'altra parte della mensa continuava a sbracciarsi.



 
XIII



“La pubertà ti sta facendo trovare il tuo posto in città, eh?” Leo era sporco di olio, sotto una macchina per non dare a vedere a Charles che non stava lavorando ma parlando con Calypso.

“Dici? A me sembra soltanto che mi escano più brufoli e che tu sia sempre più ricoperto di olio.”

“L'olio è sexy.”

“No, non direi. E puzzi di più.”

“Quando esco di qua ti abbraccio.”

“Declino gentilmente l'offerta.”

“Oh, come se non sapessimo che tu vivi per gli abbracci Valdez!”





 
XXII


Calypso ha vissuto così tanto tempo dietro a mura costruite da lei, che non riesce a buttarle giù. Forse Leo aveva ragione e sarebbe dovuta andarsene da quella stupida cittadella, in cui non ha più amici, o parenti, o qualcuno a cui importi effettivamente cosa le stia succedendo nella vita.

Aveva visto l'occasione in quella casa nel New Jersey. Poi l'aveva lasciata andare.

Voleva solo scomparire com'è scomparso Leo. Fare male a Leo come lui ha fatto a lei. Ma come può fargli male, se per lui lei è scomparsa quando lui è andato via? Forse voleva soltanto incontrarlo di nuovo. Forse voleva soltanto tagliare il legame col passato.

Distrugge il loro capanno, che era riuscito a resistere a tempeste ed estati torride, prende dei soldi, un po' dal suo stupido lavoro alla biblioteca, un po' dal fondo di risparmio che aveva creato con i soldi della sua famiglia, e se n'era andata.

Aveva diciotto anni. Nessuno poteva più dirle cosa doveva fare della sua vita.




 
XIX

“Andiamo via.” Leo aveva uno zaino e Festus in braccio, nel bel mezzo della notte, non si stava neanche preoccupando di essere silenzioso. Calypso si era guardata intorno.

“Mi troveranno” aveva detto e poi aveva scosso la testa. Leo non faceva sul serio. Leo sarebbe stato al capanno il giorno dopo. Ne era sicura.

“Io non posso rimanere.” Calypso era in pigiama, con una treccia fatta di lato, sussurrando dalla sua finestra. Leo la stava supplicando con gli occhi. “Non posso farcela” aveva detto ancora. E poi: “Mi dispiace.” E se n'era andato.

Calypso era sicura di rivederlo il giorno dopo.


 
XXV

“Calypso?” Leo ha il fiato corto e la guarda con le sopracciglia aggrottate e quello sguardo di domanda che aveva anche quando era bambino, come poteva non averlo anche adesso? Calypso gli si avvicina e sì, è lui, è lui.

“Leo?” Lei fa un passo in avanti e lui fa un passo indietro. Poi si accorge di quello che ha fatto e sorride nervosamente. Ha lo sguardo più magro, il fisico più asciutto, la postura più sciolta.

“Scusa. Un mio amico non fa altro che stupidi scherzi con l'acqua e…”

Calypso stava cercando le chiavi di casa sua nella giacca, sentiva di aver dimenticato qualcosa. Le continua a cercare, e le trova. “Mi dispiace tanto” dice.




 
XXVII

“Pensavo che tu volessi rimanere a casa e…”

“Sei un idiota.” Calypso piange e scuote la testa. “Perché sei sempre stato tu casa mia.”




 
XXII

A Leo era sembrato di vedere Calypso alla fermata del treno, parlare con una ragazza dai capelli rossi e ridere.

Si era dato dello stupido, perché non vedeva Calypso da quando lui aveva sedici anni. In quel momento ne aveva ventidue. E aveva anche un lavoro da finire, un capo spaventoso e non poteva distrarsi pensando a fantasmi passati.


 
XXVI

“Quindi ora lavori al museo?”

“Mi preoccupo che i pezzi più antichi non si distruggano. Tu?”

“Nyssa ha aperto un'officina e io la aiuto.”

“Oh.”




 
VII

“E potremmo aprire un'officina insieme!” aveva detto Leo, con un sorriso enorme e le mani che faticavano a stare ferme.

“Potremmo sistemare tutte le macchine del mondo” aveva annuito Calypso, con un sorriso.

“Leo&Calypso, il regno dello spezzatino.”

Calypso era scoppiata a ridere.




 
XVI

“Nyssa è mia cugina.”

“Oh”


 
XXX

“Potremmo, vedi stavo pensando che, qui c'è il, uhm, il camino no? Così quando Lercy viene a trovarci potrei nascondermi qua e fare bu!, e lui morirebbe di paura, no? E poi vedi ci sono le porte in legno e la casa è grande -è veramente enorme e io cosa ci potrei fare con…? Nel senso, io lo so cosa potrei fare. Solo che non vorrei da… è vicino al parco, come il nostro capanno. E ci sono gli angoli e potremmo… è vicino al…”

“Sì.”

“Sì, cosa?” Leo si guarda intorno e sembra soltanto tanto nevoso, tanto ansioso. “Il parco è…”

“Sì, voglio che tu torni ad essere casa mia.”

Leo prende un respiro e la osserva. Non dice più niente. Annuisce piano. “Okay” dice e le si avvicina. Lei è rimasta più alta di lui. “Okay” ripete.


 
XXVII

“Potremmo ricominciare da capo.”

“Possiamo.”









 
Aliens believe in us


Annabeth beve il suo caffè, con gli occhi a mezz'asta, mentre Piper controlla il suo cellulare e sbadiglia. “Leo dice che Calypso ha detto che va bene.”

“Va bene cosa?”

“Essere di nuovo, beh, lo sai, la sua Penelope, la sua Elisabetta I, la sua Annabeth…”

Annabeth alza un sopracciglio e beve un altro sorso del suo caffè. No. Non dormire non è stata esattamente un'ottima idea. Alzarsi dal letto è stata un'idea anche peggiore. “E chi è Calypso?”

Piper sopprime una risatina, posando il cellulare sul tavolino, prima di bere elegantemente del tè alle rose. Stupide manie che le ha lasciato sua mamma. “Da quanto non esci, Annabeth Chase? Calypso. La Calypso di Leo. Il suo amore di quando era alto così -no, aspetta, lui è sempre stato alto così. Da quando andava alle elementari?”

“So che non vedi l'ora di raccontarm-…”

“Allora” la interrompe Piper, passandole un braccio sulla spalla. “Lo scenario è un triste e bruttissimo paesino del Texas, lo so che per te che sei nata e cresciuta a New York è difficile, ma provaci, va bene? Ce l'hai in testa? Okay. Allora pensa a un piccolo Leo che ha appena perso la sua mamma e si ritrova in casa con quella brutta persona di sua zia. Ti ricordi sua zia? Falla un po' più grassa e con tante verruche in faccia. Okay? Okay. Un giorno questo piccolo Leo incontra una piccola snob figlia di papà ed è odio a primo impatto, soprattutto per lei, finché non si rendono conto che, alla fine, tutti e due sono sulla stessa barca, senza una vera famiglia, senza nessuno a cui importa di loro, senza niente. E diventano amici. Anzi. Migliori amici. Si vogliono bene, creano un loro surrogato di casa, diventano una specie di famiglia. Ma Leo rimane un outcast, un emarginato, amico di tutti e di nessuno, mentre la pubertà trasforma lei, sotto il punto di vista di lui, in una specie di cheerleader amata da tutti. Ma Calypso continua a voler molto bene a Leo, e decidono di mettersi insieme. Le cose tra loro non cambiano molto. Annabeth?” Piper alza le sopracciglia e scuote il braccio dell'amica. “Non ti addormentare. Allora. Lei sembra abbastanza distante come fidanzata e Leo non se la sta passando bene con la zia Rosa. Quindi decide di scappare. Lo dice molte volte a Calypso, ma lei sembra non capire quello che lui vuole suggerire. Il risultato è Leo che, in mezzo alla notte, va da lei per chiederle di fare una pazzia e scappare insieme. Lei non risponde, il che è di per sè una risposta. Leo non può rimanere in quello stupido paesino, prende le sue cose e scappa via. Viene verso New York, in cui scopre di avere una cugina. Beh. Tanti cugini. Ed è lì che incontra me e poi Jason, e poi scappa via ed incontra te, e Percy, e scappa ancora e incontra Hazel e Nico e Frank… quando Nyssa, la cugina, gli dice di smettere di scappare in continuazione e crescere, ed ecco che Leo inizia ad avere strane allucinazioni, in cui rivede Calypso, cosa che lo rende inquieto, e sembra voler scappare di nuovo, finché, proprio in questo bar, un giorno di marzo, sbem, scopre che Calypso è veramente in città, e le sue non erano allucinazioni.”

Annabeth si tiene la testa, e beve un altro po' di caffè. “Questa storia l'hai raccontata così male che giuro…”

“E cosa poteva fare Leo se non cercare di riafferrare l'unica ancora nella sua vita? L'unica persona che è riuscito a tenerlo in un posto per dieci anni? Si riscoprono innamoratissimi…”

“Pips…”

“Rendimi di nuovo la tua casa, dice lui. Tu non hai mai smesso di essere la mia casa, dice lei. E poi sbaciucchiamenti e lieto fine.”

Annabeth sospira e scuote la testa. “Sai che c'è?” Alza le mani e sorride. “Come vuoi.”

Piper sorride e tamburella le dita sul tavolo. “Sono felice per Leo. Se le cose sono destino, sono destino, no? Quante possibilità avevano di rincontrarsi a New York?”

“Non dovevano rincontrarsi se lei lo avesse seguito.”

Piper sorpira e continua a sorseggiare il suo tè. “È romantico anche così, però.” Poi si perde nei suoi pensieri e Annabeth chiude gli occhi, giusto per riposarsi un pochino.
 
  
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