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Autore: Drakee20    16/03/2017    0 recensioni
Si dice che la notte porti consiglio, a me ha portato l'idea per questa storia.
I nostri amati personaggi sono inseriti in un contesto leggermente diverso da quello a cui siamo abituati, a partire dal pianeta, che non sarà la terra ma il pianeta Epsylon 12, di mia invenzione.
I protagonisti sono essenzialmente due, la mia coppia preferita, (che scoprirete in corso d'opera) ma non mancheranno gli interventi di tutti gli altri personaggi da noi amati.
La storia inizia con un prologo decisamente apocalittico, ambientato circa un anno dopo l'inizio della storia vera e propria, che vi porterà (spero) ad incuriosirvi e ad addentrarvi sempre di più in questo mio progetto.
A voi, buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bra, Goten, Trunks, Un po' tutti | Coppie: Bra/Goten, Bulma/Vegeta, Chichi/Goku, Pan/Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo 
 






Pianeta Epsylon 12
1 agosto 2018





Era sdraiato a terra, supino. 
Il cielo coperto di nuvole, arrossato dal sole ormai pronto a tramontare, era l’unica cosa che la sua visuale limitata gli consentiva di vedere. 
L’occhio destro era completamente chiuso, gonfio e interamente coperto dal suo stesso sangue raggrumato. Riusciva a malapena a sentire il contatto col terreno sotto di lui, eppure sapeva perfettamente che c’era, l’impatto non aveva lasciato nessun dubbio a riguardo. 
Era solo, non riusciva a vederlo ma sapeva di esserlo. Nessun rumore, nessuna voce, nessun lamento, niente di niente.
Gli era parso, probabilmente in un attimo di delirio, che una voce tuttavia ci fosse. Lontana sì, eppure presente.
Per qualche momento, rimase persino convinto che questa voce lo avesse chiamato per nome. Che fosse impazzito? Che l’impatto con la terra gli avesse fatto perdere le capacità mentali?
Non era possibile, lo sapeva. Si dette subito dell’imbecille. Nessuno avrebbe potuto chiamarlo.
Sapeva che era finita, lo sentiva.  La quiete che lo circondava lasciava intendere che tutto si era finalmente concluso. Ma a quale prezzo? La confusione iniziale lo colpì tanto violentemente che per qualche interminabile istante credette di non sapere assolutamente NIENTE, del perché o del come si trovasse in quello stato.
Tuttavia sapeva, ricordava benissimo e quella confusione non fu altro che una breve ed illusoria consolazione.
Cercò di muoversi. Inspiegabilmente ci riuscì. Percepiva chiaramente che le ultime tracce di forza vitale non lo avevano abbandonato. Non ancora. 
Tentò di alzarsi a sedere, anche stavolta ci riuscì ma si rese immediatamente conto che così la situazione era anche peggio: con la nuova posizione, il sangue, ora aiutato dalla gravità, aumentava il suo flusso e il dolore proveniente da tutto il corpo, ormai senza distinzione, lo lasciò per un istante senza fiato.
Dall’occhio ferito arrivavano fitte lancinanti che gli provocarono un’emicrania talmente forte da fargli venire conati di vomito.
Era molto più di quanto potesse sopportare, eppure dentro di sé sapeva fin troppo bene che doveva farcela, ad ogni costo.
Con l’ennesima smorfia di dolore trovò l’equilibrio.
Poco dopo sentì la sua mano muoversi, come se agisse con una volontà propria, e compì un gesto abituale e quasi automatico: spostò un ciuffo di capelli che gli coprivano la fronte. Bene, almeno qualcosa di lui era rimasto, qualcosa che ancora funzionava come si deve.
Si concesse qualche minuto di riposo prima di fare il primo tentativo di alzarsi in piedi. Il suo corpo lo aveva sostenuto fino a quel momento, sapeva che avrebbe retto un ultimo sforzo.
E infatti fu così. Si alzò lentamente, quel poco che i muscoli, stremati dallo sforzo, gli consentivano e scoprì con suo grande stupore di poter reggersi sulle proprie gambe; anche loro avevano deciso di non abbandonarlo.
Si sentì improvvisamente fiducioso, il dolore c’era e lo tormentava, ma la cosa che lo aveva ridotto così ormai non aveva più potere e lui era stato in grado persino di alzarsi in piedi.

Si guardò intorno: era finito in un vialetto di una casa, o almeno quello che restava del vialetto di una casa. D’un tratto, tutto gli sembrò familiare. Si trovava senza ombra di dubbio lontanissimo dal posto in cui viveva, eppure, alla vista di quel luogo probabilmente abitato, (almeno fino a qualche mese prima) da una famiglia felice, lo fece ripensare con tristezza alla sua di casa, che era stato costretto ad abbandonare. Adesso probabilmente non esisteva più, quella casa.
Dell‘appartamento, così come della maggior parte degli edifici della città dove aveva sempre vissuto, rimaneva ormai ben poco.
Un improvviso e nuovo senso di angoscia si impadronì di lui. Sapeva perché si trovava lì, lo sapeva fin troppo bene. Sapeva cosa avrebbe trovato se si fosse spinto al di fuori del luogo dove si era risvegliato. 
Ciò che realmente lo preoccupava, era invece il non saper nulla delle sorti degli altri. A giudicare dal panorama che gli si era presentato davanti c’era ormai ben poco da sperare.
Nella sua mente era impressa solamente una cosa. Un particolare che non voleva ricordare; non voleva assolutamente richiamare alla mente quelle parole orribili che aveva sentito. 
Eppure ricordava ed ora, nella quiete dopo la tempesta , sentiva che quelle parole gli facevano ancora più male.

Lui morto. Lei scomparsa, probabilmente morta.

No, non era possibile, non aveva visto con i suoi occhi perciò poteva benissimo non essere vero. Poteva persino trovarsi in un sogno, in un lungo e terribile sogno dal quale si sarebbe svegliato e avrebbe ritrovato tutto come era prima. 
All’improvviso gli venne in mente suo padre: lui era ancora vivo, prima che se ne andasse. Gli aveva chiesto di trovarla. E lui non ne era stato capace. Lo aveva deluso per l’ennesima volta.
 
Fece qualche passo in avanti ma il dolore lo costrinse a fermarsi di nuovo e ad appoggiarsi ad un cumulo di macerie, cadute da chissà dove. Il sole era ormai tramontato, cominciava a farsi buio. Che cosa avrebbe fatto adesso che era solo?
Si rimise a sedere, distrutto. Se voleva avere una speranza di fare qualcosa di concreto doveva concedere al suo corpo qualche minuto in più di tregua, altrimenti non avrebbe retto lo sforzo.
Improvvisamente si alzò il vento, come per avvisare minacciosamente che il giorno lasciava ormai spazio alla notte. La notte più buia di tutte, dalla quale era difficile uscire vivi.
Qualcosa gli urtò la gamba, probabilmente portato dal vento, un’altra prova della distruzione totale del luogo in cui si trovava. Lentamente riuscì a portare la mano destra sopra l’oggetto sconosciuto e a raccoglierlo, ma dovette passarlo nell’altra mano perché il dolore al collo gli impediva di voltarsi e l’occhio destro era ormai completamente inutilizzabile.
Era un oggettino piccolo, insignificante coperto quasi interamente dalla sabbia e dal fango. Tuttavia troppo pesante per essere stato semplicemente trasportato dal vento. Vide che a tratti sembrava brillare di luce propria, una luce verde… 
Ci mise qualche momento per rendersi conto di ciò che aveva tra le mani, dopodichè una luce, quella della più remota speranza si accese dentro di lui, e il verde dell’oggetto parve per un attimo perdersi nell’azzurro del suo unico occhio rimasto aperto.
 Adesso sapeva perfettamente di cosa si trattava. Fece appena in tempo a lasciarsi andare ad una risata isterica, nata da chissà quale sentimento contrastante e infine cadde a terra, di nuovo, svenuto.
   
 
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