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Autore: Damnatio_memoriae    20/03/2017    0 recensioni
La marca Occidentale e la marca Orientale sono affette, ormai da cinquant’anni, da un male incurabile che le sta conducendo verso una fine troppo amara. Creature misteriose, prive d’identità, uscite secondo le storie dai più reconditi meandri del sottosuolo, distruggono e incendiano tutti i villaggi che incontrano lungo il loro cammino. Ad Ovest gli Spettri – così vengono chiamati dai bambini i mostri che disturbano i loro sogni – hanno iniziato a rapire uomini e donne con un ritmo sempre più regolare, celati dall’oscurità della notte. Così la popolazione ha cominciato a temere il novilunio, che porta puntualmente con sé nuove incursioni, nuove perdite e nuovo dolore.
Nel tentativo di contrastare questa inesorabile piaga sono state erette le Torri, i cui comandanti però si sono rivelati essere spietati ed ingiusti, al punto da meritarsi la nomea di tiranni. La marca è sfinita, divorata da guerre intestine, epidemie, carestie e fame. In un clima di paura e oppressione ha inizio questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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La prima Torre
 
 
L’estate volgeva al termine e presto avrebbe lasciato il passo all'autunno, che quell’anno si preannunciava particolarmente rigido. La Torre di pietra che sorgeva al centro del piccolo villaggio si levava maestosa verso il cielo plumbeo, dove il sole allungava i suoi raggi, ormai troppo deboli, a sfiorare le colline circostanti. L’edera rampicante avvolgeva la solida struttura, attorcigliandosi su sé stessa, e formava un fitto groviglio verdeggiante che, dal terreno, si diramava senza sosta fino alla sommità. Da quell’imponente torrione, circondato da piccole abitazioni di legno e difeso dalle Guardie Ausiliarie, si estendevano le mura di pietra ad abbracciare l’intero paese.
La cima della Torre era un segnale sicuro per i mercanti, che in quel periodo si affrettavano a tornare dai loro viaggi, ma anche per pellegrini e carovane, che così sapevano di poter trovare rifugio per la notte. Sottoterra, fino al perimetro dell’abitato e, chissà, forse anche oltre, labirintiche gallerie permettevano di accedere alle prigioni. Era proprio in quel luogo, pensò Rose, che il capitano delle Guardie stava conducendo le sue nuove vittime.
Simeon era noto per la sua indole meschina e capricciosa. Sebbene avesse superato da poco la trentina, aveva nelle mani il pieno controllo del torrione e purtroppo – anche se nessun trattato lo aveva sancito – degli abitanti. Con il suo atteggiamento aggressivo e sprezzante era riuscito ad ottenere la cieca obbedienza della popolazione e nessun uomo avrebbe mai osato fare qualcosa senza il suo consenso o, cosa ancora più impensabile, contro il suo volere. Le grosse chiavi di bronzo che gli pendevano dal fianco, poi, ricordavano costantemente ai paesani chi fosse in realtà a decidere della loro sorte. Decisione che sarebbe stata di gran lunga più ponderata se giocata a tavolino, che non, in realtà, dovuta all’ispirazione del capitano.
Anche quel giorno Simeon non si era risparmiato la ronda e ora trascinava con sé uomini e donne, fin oltre i cancelli della Torre, con il chiaro intento di rinchiuderli nelle carceri per un tempo sufficiente a far scemare in loro qualsiasi desiderio di ribellione.
Jeremiah strattonò le gonne di Rose con insistenza, reclamando attenzione.
«Rose» la chiamò imbronciato.
«Solo un momento, Jeremy» gli passò la mano sulla testa in una carezza veloce, nel tentativo di placarlo.
La folla arretrò davanti all’incedere deciso di Simeon, come sempre seguito dai suoi uomini come un lupo dal suo branco, i pesanti mantelli svolazzanti, ricamati con il simbolo degli Ausiliari: balestre e lance incrociate su un campo blu. Avanzavano con passo cadenzato, militaresco, puntando le armi contro i paesani, che le vedevano brillare minacciose.
«Fate largo!» sbraitava senza sosta Simeon, dimenandosi per fare più spazio «Inutili cani rabbiosi!».
Al fondo del rumoroso corteo, con i polsi legati da corde troppo strette e ruvide, si trascinavano sei o sette uomini dai volti tirati e dalle guance infossate, arrancando dietro i loro aguzzini.
«Levatevi, levatevi di torno!» continuava Simeon imperterrito, alzando i pugni, sferrando calci «Via da me! Continuate a fare il vostro dovere o sarò costretto a rinchiudervi tutti nei sotterranei! Tutti!».
La folla arretrò lentamente, in un confuso e spaventato brusio.
Quando il braccio destro del capitano fece notare al suo superiore che la bottega del fabbro, in fondo alla strada acciottolata, era vuota, Simeon sputò per terra e fra le risa dei suoi e il timore degli altri, urlò: «Dov’è? Dov’è quel cialtrone di un vecchio? Stupido e insulso mendicante. Aspettiamo ancora le ultime consegne e lui cosa fa? Anziché lavorare bighellona per il paese, credendo di farmela sotto il naso? Si crede più furbo di me, non è così? Non è così?» ripetè ad un ragazzo che intralciava il suo passaggio.
«Il fabbro è malato, capitano» disse il giovane, alzando entrambe le mani in un gesto di resa «Il morbo lo ha infettato».
«Non interessano a nessuno le vostre scuse, mi potete credere. La plebaglia forse non sa cosa significhi lavorare o se lo è semplicemente dimenticato? E ora largo, largo ho detto! Ho fretta! Ho di meglio da fare che mettere in riga voi zotici».
Jeremhiah chiamò di nuovo: «Rose, Rose. Ho fame».
La ragazza attese il passaggio degli Ausiliari, facendo arretrare il bambino il più possibile e proteggendolo con il braccio. Poi, quando la folla si disperse per la piazza, gli si accucciò davanti, frugando nella sua cesta di vimini. «Ecco, prendi. Non fartelo rubare» disse, porgendogli un tozzo di fame raffermo. Jeremiah spalancò i suoi grandi occhi verdi e addentò il cibo con i piccoli dentiti, ingoiando il boccone quasi senza masticarlo.
Una mano calda si posò sulla spalla di Rose. «Hai visto?» le bisbigliò all’orecchio Thomas, attento a non farsi sentire da chi aveva la lingua troppo lunga «Di questo passo non resterà più nessuno in paese».
La ragazza si scostò un ricciolo dorato dalla spalla, fermandolo dietro l’orecchio. «Hai ragione» rispose, guardandosi intorno con circospezione «Ma ora come ora l’unica cosa che possiamo fare è restare a guardare. E non fare nulla di stupido o avventato. Non aspettano altro».
«Se la fame e la malattia non ci uccidono prima, intendi?».
Rose storse il naso. «Non è una bella prospettiva, questa. Ma è l’unica che abbiamo. E ce la faremo piacere» guardò Thomas più attentamente «E te la farai piacere anche tu».
«Certe volte avrei proprio voglia di…di…» le mani si chiusero in due pugni e Rose gli lesse negli occhi tutta la collera e la frustrazione per una condizione così miserabile e pietosa.
«Non farti sentire, Thomas» gli disse solo, dandogli le spalle e procedendo verso la Torre «La gente ha troppa fame. E la fame rende l’udito sensibile. Nessuno si farà scrupoli a venderti alle Guardie, se non presterai attenzione».
Il ragazzo brontolò. «E a te? A te sta bene così?».
«Io sopravvivo. E fino a quando non mi troverò sepolta sotto tre metri di terra, farò tutto il necessario per rimanere in vita».
«Questa non è vita».
«È meglio che essere morti» ribattè lei per l’ultima volta, ponendo fine alla discussione e prendendo per mano Jeremiah.
All’interno della Torre, che in quei giorni raccoglieva le provviste per l’inverno, era stipato tutto ciò che contadini e allevatori erano riusciti ad ottenere dal terreno ormai freddo o dalle mucche troppo vecchie. La raccolta delle provviste sarebbe continuata fino all’ultimo giorno di autunno, ma il cibo si era rivelato più scarso del previsto e non sarebbe stato di certo sufficiente per sfamare l’intera popolazione.
Giunti davanti alle porte di legno massiccio, lasciate spalancate prima del tramonto, Rose e Thomas posarono a terra i loro cesti, ammucchiati poi insieme agli altri. L’entrata della Torre era piccola e fredda, di forma circolare, illuminata solo da una torcia. Una scala a chiocciola conduceva nei sotterranei e dalle viscere del forte salivano grida e rumori sinistri. I lamenti dei torturati riempirono l’ambiente e a tutti i presenti venne la pelle d’oca. Poi, d’un tratto, solo un lugubre silenzio.
«Forza ragazzina, muoviti» la strattonò in malo modo la Guardia, ferma sull’uscio «Non faremo notte per colpa tua».
Rose spinse Jeremiah verso l’uscita e il bambino, con le sue gambe agili e scattanti, sgattaiolò tra la gente, perdendosi in mezzo alla calca.
«Thomas, vieni?» chiese al ragazzo dietro di lei e lui la seguì, lo sguardo basso e le mani in tasca.
«Jeremy!» chiamò poi e subito il piccolo corse trafelato verso di loro, arrancando tra le gonne delle contadine e i carretti dei mercanti. Quando si fu avvicinato, Thomas vide che il fratello teneva qualcosa fra le mani.
«Cos’è?».
«Niente» rispose in fretta, nascondendo le mani dietro la schiena.
«A me non la dai a bere marmocchio, non sono papà» lo prese dalla giacchetta di pelle come se fosse un gatto randagio.
«Lasciami, lasciami!» piagnucolò dimenandosi e quando il fratello maggiore allentò la presa, andò a nascondersi dietro Rose, mostrandogli la lingua.
«Jeremy» lo riprese lei con tono severo.
«Non mi ha visto nessuno…» disse a mo’ di scusa, mostrando la pagnotta che aveva rubato «E il signor Ario non ha certo bisogno di mangiare ancora, grasso com’è».
«Piccolo furfante» si indispettì Thomas «Restituiscilo subito. Non è roba nostra».
«Non è per me, è per la mamma!» disse, arricciando le labbra e aggrottando la fronte.
«E sei anche bugiardo!».
«No, no, non è vero, non sono bugiardo, io non dico bugie! Io non dico bugie» ripetè ancora battendo i piedi per terra, sollevando gli occhi per incrociare lo sguardo di Rose «Diglielo. Diglielo che io non mento».
Non sentendosela di lasciarlo a mani vuote, Rose si chinò su di lui ed estrasse dalla tasca una moneta di rame. «No, non dici bugie» lo tranquillizzò «Prendi questa e vai dal signor Ario a pagare quello che gli hai preso. Sono certa che capirà. O, almeno, lo spero per te». Gli scoccò un baciò sulla guancia prima di vederlo correre via.
«Gliele dai sempre tutte vinte» disse Thomas.
«È proprio questo il bello di essere piccoli».
«Sai che mia madre non vedrà neanche le briciole di quella pagnotta, vero?» la canzonò.
«Oh, certo» rise lei «Ma almeno il pensiero è stato gentile».
Thomas scosse la testa e le si avvicinò, cingendole la vita con un braccio. Rose si lasciò stringere e subito un odore di paglia ed erba tagliata le invase le narici, facendola sentire a casa.
«Tra poco ci sarà l’equinozio» sussurrò il ragazzo al suo orecchio.
«Si, lo so».
«Forse ti andava di venire con me alla festa».
«Come ogni anno, intendi?».
Lui fece per rispondere, ma prima che potesse dire qualcosa Jeremiah, già di ritorno, li interruppe.
«Fratellone?» domandò incuriosito, osservandoli entrambi «Che cosa stai facendo?».
«Niente» rispose lui e controvoglia fece un passo indietro, staccandosi da Rose, ma il piccolo non sembrò convinto.
«È meglio che torniate a casa» disse Rose, togliendosi dall’impaccio «Fra non molto farà buio».
Thomas annuì e dopo averla salutata prese per mano Jeremiah, allontanandosi sulla strada alta. «Cosa stavate facendo?» insistette ancora suo fratello.
«Niente» ribadì.
«Quando papà dice così, di solito arriva un fratellino…».
«Brutto impertinente che non sei altro!» sbuffò, dandogli uno scappellotto.
«Mi hai fatto male!».
«Non abbastanza!».
Poi le loro voci si fecero sempre più lontane, inghiottite dal rumore della piazza.
 
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Quando Rose bussò delicatamente alla porta dell’ultima casupola, sfiorando appena il legno con le nocche, il sole stava già calando oltre l’orizzonte, immergendo la valle nell’oscurità. Una donna massiccia, con un grosso sorriso ad illuminarle il volto, venne ad aprirle.
«Bambina mia!» esordì, avvolgendola in un abbraccio caloroso ed invitandola ad entrare.
La dimora era accogliente e un camino, che forse faceva troppo fumo, riscaldava la stanza. L’unica finestra, priva di tende e con i vetri appannati, si affacciava su uno dei viottoli laterali del villaggio.
Bessie, un cordiale donnone sulla cinquantina, abitava a ridosso dell’uscita meridionale, nell’angolo più estremo del paese e anche quello meno trafficato. Era l’unica commerciante nel giro di molte miglia ed era ormai risaputo che, sebbene fosse stato il marito a gestire il lavoro, in realtà era stata proprio Bessie a farlo fiorire, ancora prima della morte del consorte. Aveva dovuto faticare molto per essere accettata dalla congregazione dei mercanti, ma infine con il suo carattere autoritario era riuscita a farsi rispettare.
Rose si accomodò sulla panca di legno, vicino al camino: quel tepore sembrava un toccasana per le sue ossa infreddolite. Andava spesso a fare visita a Bessie e la conosceva fin da piccola, quando era solo una delle tante ragazzine incline ai furti e alle bricconerie. Se all’inizio aveva fatto visita alla prosperosa commerciante solo per riscaldarsi le membra e riempirsi la pancia, col tempo aveva iniziato ad apprezzarne la compagnia e ad affezionarsi a quella donna dai modi gentili e dalla faccia paffuta. E Bessie era diventata col tempo la sua seconda famiglia, anche se sarebbe più opportuno definirla l’unica, visto che i genitori di Rose erano sempre stati più inclini ad usare il bastone, piuttosto che a muovere qualche carezza.
«Il raccolto è stato misero quest’anno. Non abbiamo avuto fortuna» riflettè Rose quando Bessie, ritornata da poco dal suo ultimo viaggio ad Ovest, le chiese notizie.
La donna si sedette di fronte a lei e unendo le mani in grembo disse: «Purtroppo non solo qui. Anche negli altri villaggi la situazione si è fatta critica, per non dire drammatica».
«Di questo passo solo la metà di noi vedrà il nuovo anno. Quale senso potrà mai avere privarsi ora del cibo se si rischia di non arrivare all’inverno?» sorseggiò l’infuso e il liquido caldo le riscaldò lo stomaco.
Bessie arricciò il naso. «Per quello che può valere, penso sia stato l’unico provvedimento furbo preso da quella massa di caproni» disse riferendosi agli Ausiliari e, in particolar modo, a Simeon «Quasi mi stupisco che sia stata una loro idea. Comunque non ti devi angustiare, cara. Non siamo molto numerosi e ce la faremo, come ogni anno. Ne abbiamo passate di peggiori. Estremamente peggiori» sussurrò.
Rose le sorrise. «Come ricostruire un villaggio dalle macerie?» domandò maliziosa, ripensando alle storie che la donna le aveva raccontato quando era piccola.
«Bhe, certamente non la considererei una cosa da poco!».
Risero insieme, ma l’allegria abbandonò il viso di Rose al pensiero degli uomini che, anche quel giorno, erano stati condotti nei sotterranei.
«Sai» disse titubante, muovendo il dito sul bordo della tazza «Oggi Simeon ha condotto altri prigionieri nelle celle».
Anche il sorriso di Bessie svanì. Cercando di non turbare la sua giovane ospite, disse nel tono più calmo che le riuscì di trovare: «Sì. Sì, mi è stato riferito». Guardò fuori dalla finestra, scrutando il cielo senza stelle.
«Si avvicina anche il novilunio». Rose seguì lo sguardo della donna.
Bessie allungò una mano per sfiorare quello della ragazza. «Coraggio, Roselyn» la chiamò con il suo nome di battesimo «Coraggio. È solo questo che conta. Non è la speranza l’ultima a morire. È il coraggio che ci permette di andare avanti anche quando la fede viene meno. E tu sei molto, molto coraggiosa» si schiarì la voce «E poi non è il caso di abbattersi proprio adesso. Ormai si avvicina l’equinozio e il ballo dei folletti è alle porte». La bocca di Rose si stese appena in un sorriso. Riusciva a ricordare quando la donna le parlava del banchetto, definendolo come il ballo dei folletti solo perché i gufi, appollaiati sui rami, riempivano la sera con i loro bubbolii. «Sono i folletti che cantano», le aveva raccontato «In questo modo salutano l’inverno».
Quando divenne impossibile ignorare l’ora tarda, Rose ringraziò Bessie e dopo averla stretta, per quanto le era possibile, in un caldo abbraccio, si diresse verso la porta. Prima di aprirla, però, disse guardandosi indietro «Potrei portare qui Jeremy, domani? Ho provato a raccontargli le tue storie, ma temo di essere terribilmente negata. Preferisce ascoltarle da te».
L’altra ravvivò il fuoco gettando tra le fiamme qualche tocco di legno. «Certamente. Quel piccolino è un grande ascoltatore. Andrò anche a comprare qualche dolcetto, così forse metterà un po’ di ciccia su quelle gambe!».
«Prometto che questa volta non ti ruberà nulla» la rassicurò con imbarazzo.
«Oh, per carità!» rispose, agitando una mano «Questa casa è piena di cianfrusaglie. Piuttosto, perché non inviti anche Thomas?» domandò maliziosamente.
Rose arrossì prima di uscire e l’aria fredda le sferzò il viso. 
   
 
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