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Autore: Nao Yoshikawa    20/03/2017    8 recensioni
[Rumbelle - AU - Seconda Guerra Mondiale)
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Killian schioccò la lingua.
“Andiamo, non fare quella faccia. Ci tocca, siamo americani, siamo uomini, siamo...”
Pedine di un sistema corrotto, burattini nelle mani di uomini potenti, soldatini di fango pronti a crollare alla prima intemperia.
Adesso come avrebbe fatto a mantenere la parola data?
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Caro Rumple,
sì, come puoi vedere anche qui ti chiamo per soprannome, non intendo eliminare le mie abitudini. Io sto bene, anzi, stiamo bene entrambi. Emma, ed anche Mery Margaret, passano molto tempo con me. Mi manchi anche tu. Ogni giorno è lento come una vita intera. Posso immaginare quanto sia difficile, ma tu sei forte, devi esserlo. Tu sei un eroe, il mio valoroso eroe. E riuscirai ad uscire vivo da questa guerra, da questo gioco infame. Credimi che sarà così. Mi fido di te, ti prego.
Ti amo.
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Perché ogni storia d'amore merita il suo lieto fine.
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il suo valoroso eroe


1943

 

Le strisce bianche lasciate dagli aerei davano alla volta azzurra un tocco in più di colore, anche se di colore vero e proprio non si poteva parlare. Erano come nuvole, ma a differenza di quest’ultime non venivano dall’acqua, che a sua volta evaporava.

No, quello era un candore diverso, un candore chimico, bruciante e premonitore di eventi assai spiacevoli.

Pensieri del genere attraversavano la sua mente. Forse era quello che succedeva quando ci si perdeva troppo a guardare il cielo, forse si finiva con il formulare pensieri sciocchi.

Un calore piacevole faceva compagnia alla sua spalla destra. Una ragazza vi aveva infatti poggiato la testa, con gli occhi socchiusi. Poteva sembrare che stesse dormendo, ma non era così. Portava infatti un libro poggiato sul grembo, un libro che stava leggendo, a bassa voce.

E lui sarebbe rimasto ad ascoltare il dolce suono della sua voce, mentre il vento primaverile gli accarezzava la pelle, per ore interminabili.

E se chiudeva gli occhi per qualche attimo poteva fingere che quello non fosse il mondo tanto crudele a malvagio in cui si trovavano.

“Ti sei addormentato di nuovo?”

La voce di Belle era calda, era dolce, era gentile.

“No, guardavo il cielo. E le nuvole. Se ci pensi, le scie chimiche finiscono con il confondersi con esse, dopo un po’. E dopodiché uno non è più in grado di distinguerle”

La ragazza curvò le labbra in un sorriso strano. Era bella lei, nella sua semplicità, nei suoi occhi azzurri come specchi d'acqua, nel suo sorriso, nel suo modo di esistere.

“Andiamo, non mi dirai forse che ti stai annoiando?”

“Assolutamente. Lo sai che mi piace ascoltarti mentre leggi”

“Davvero? Allora dimmi, che titolo ha questo libro?”

La guardò, battendo ripetutamente le ciglia.

“… Cappuccetto Rosso?”

Belle alzò gli occhi al cielo.

“Il suo valoroso eroe". E ti ricordo che è anche il mio libro preferito, insieme a… beh, tu sai a cosa mi riferisco”

“Tsk, fiabe tedesche, pessima idea. Quei nazisti non ne fanno una buona” - disse con disprezzo.

“Ah, andiamo, cosa centra questo? O dici forse così perché ti ho dato il soprannome di un personaggio della fiaba, mh?" Rumpelstilskin?”

Lui assottigliò lo sguardo.

“Anzitutto io sono molto più affascinante di quella specie di… nano strano. E poi io un nome ce l’ho”

“Sì, ma questo è molto più carino. Se vuoi posso cercare un altro soprannome per te, ma non ti assicuro niente”

“No, va bene, mi tengo questo”

Dopodiché avvicinò alle labbra la sigaretta che fino a quel momento aveva tenuto tra le dita. Con un sospiro innalò il fumo nei polmoni, rilassandosi.

“Molti ti direbbero che è finito il tempo delle favole… ahi!”

Quando guardò Belle, si rese conto di come quest’ultima fosse imbronciata.

“Innanzitutto, sai quanto mi da fastidio il fatto che fumi! E poi, che la gente pensi pure quello che vuole – affermò – io continuerò ad aggrapparmi alla speranza di un mondo migliore”

“Sì, vorrei riuscirci anche io” - sospirò con un filo di malinconia.

Belle allora poggiò nuovamente la testa sulla sua spalla. Capiva e non capiva la sua paura. La guerra la affrontavano tutti, sia gli uomini che le donne. Ma i primi erano quelli che andavano sul campo di battaglia a rischiare la vita, le seconde erano quelle che attendevano il loro ritorno.

Fino a quel momento non avevano neanche mai accennato alla possibilità di separarsi.

Si amavano così tanto che una vita senza l’altro non sarebbe stata contemplabile.

“Hei… non pensarci – sussurrò Belle – fin ora non sei stato richiamato”

“Sì, ma sappiamo entrambi che accadrà. In quanto americano, devo servire la mia patria, come hanno fatto miriadi di persone. La guerra è un gioco proprio stupido. Noi siamo le pedine, gestite da chi sta più in alto a guardarci morire”

Alla parola “morire”, Belle si strinse al suo braccio. Che cos’era la morte, se non un nome astratto e lontano? O almeno lo era stato, fino a poco temo prima. Le notizie da oltreoceano arrivavano, arrivavano le notizie di uomini strappati alla vita e alle loro famiglie. Tutto per colpa di una guerra che non avevano deciso.

“Tu non morirai, ne sono certa. Tu non puoi morire. Tu sei il mio eroe”

“Io non sono un eroe, Belle”

“E’ eroe chiunque vada lì fuori a combattere. Guardami, guardami, Rumple. Mi devi promettere che se un domani andrai in guerra, dovrai sopravvivere. Ti prego, promettimelo”

I suoi specchi d’acqua sembravano pronti a lasciar cadere qualche goccia. Lui non avrebbe mai, mai, e poi mai voluto lasciarla, vederla soffrire in alcun modo.

Voleva prometterle che non si sarebbe fatto uccidere, quando sarebbe toccato a lui andare, perché sapeva che da quel destino nessuno poteva sfuggire. Ma non dipendeva da lui.

“Te lo prometto, Belle” - sussurrò a pochi millimetri dalle sue labbra.

Forse quella sarebbe stata una bugia, era una possibilità che non doveva escludere.

Ma Belle voleva crederci fino in fondo. Chiuse gli occhi, e mentre un ennesimo fiato di vento li sfiorava, lo baciò.

Ogni bacio era dolce, intenso e vero come se fosse stato l’ultimo. Rumple ricambiò quel gesto, e prima che se ne rendessero conto, si ritrovarono entrambi distesi sull’erba, ad amarsi ancora una volta.

Ogni volta che non sembrava mai abbastanza. E chiudendo gli occhi avrebbero finto di ritrovarsi in un mondo dove non esistevano nè guerre né famiglie, o amori infranti o bambini orfani.

Amarsi era terribile, lo era in quegli anni. Amarsi in quegli anni era un lusso per soli pochi coraggiosi. E loro erano stati abbastanza coraggiosi, o magari abbastanza folli, da amarsi, nonostante tutto.

I giorni passavano, ed ogni giorno, uno dei due si svegliava con la speranza che alla radio dessero buone notizie, come la fine della guerra e della vittoria del proprio paese.

Puntualmente però, le loro speranze svanivano.

Quando i fiori della primavera lasciarono posto ai raggi bollenti dell’estate, di quello stesso anno, Belle aveva ventun anni, tanti sogni e speranze e tanta paura.

Stava seduta nel soggiorno di casa sua, con gli occhi spalancati, ed un gelo addosso quasi innaturale.

“Belle”

La sua amica Emma posò la mano sulla sua. Debolmente la ragazza si voltò a guardarla.

“Non posso, Emma. Non posso dirglielo” - sussurrò.

“Come sarebbe a dire non puoi? Lui deve sapere”

“Ma questo… non sarebbe dovuto succedere, non adesso! Non è il momento giusto!”

Prese a piangere senza riuscire a controllarsi. Emma la strinse tra le braccia per tranquillizzarla.

“E’ successo perché evidentemente era destino che accadesse. Belle, la guerra porta cenere, porta distruzione e morte. Ma talvolta, può nascere anche qualcosa di bello, non credi di esserne la dimostrazione?”

“Ti prego, non fraintendermi – si strinse a lei – sono felice ma… ho paura”

“Lo so” - sussurrò soltanto. Come poterla biasimare?

Per quanto possibile tentò di calmare le sue ansie e i suoi dubbi. Ma era tutto inutile, niente w nessuno avrebbe potuto tranquillizzarla, se non un miracolo.

 

“Hei, Gold, allora ti unisci a noi, eh?”

Ad aver parlato era stato Killian Jones. Un soldato giovane, inesperto, ma molto sicuro di sé. Nei suoi occhi lo sguardo di chi non doveva aver sofferto troppo nella vita,

Rumple però non sembrava nelle condizioni di scherzare.

Il più giovane lo aveva visto entrare nell’ufficio del loro superiore, e lo aveva visto poi uscire con un’espressione terribile. Non aveva avuto bisogno di chiederglielo, perché chi usciva di lì, usciva con la consapevolezza di dover andare a morire.

“Fa silenzio, Jones” - sussurrò flebilmente.

Killian schioccò la lingua.

“Andiamo, non fare quella faccia. Ci tocca, siamo americani, siamo uomini, siamo...”

Pedine di un sistema corrotto, burattini nelle mani di uomini potenti, soldatini di fango pronti a crollare alla prima intemperia.

Adesso come avrebbe fatto a mantenere la parola data?

“Ah, fammi indovinare… è per la tua donna, non è vero? Ecco il motivo per cui Emma non saprà mai che la amo. Non voglio che si leghi a me, tanto so già che dovrò morire. Meglio farsene una ragione”

Lui però non voleva morire. In gioco c’era troppo, in gioco c’erano le sue speranze, quelle di Belle, le speranze di una vita insieme.

Debolmente compì qualche passo. Sembrava così debole.

“Amico, sei sicuro di farcela?” - domandò Killian.

Lui annuì debolmente. Non era sorpreso, aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato.

Ma ora era arrivato, adesso era concreto, adesso era realtà. Adesso aveva paura.

Come avrebbe potuto dirlo a Belle? Come avrebbe potuto dirle che sarebbe partito e che molto probabilmente non sarebbe più tornato?

Come avrebbe fatto ad affrontare quel gioco stupido ma fatale?

 

In gioco c’era tanto. Belle non poteva ancora sapere, e non lo avrebbe neanche immaginato, con tutti i pensieri che le attraversavano la mente.

Stava aspettando che lui tornasse, ovunque fosse andato. Rumple non le diceva mai nulla, per non farla preoccupare.

Si passò nervosamente le dita tra i capelli. Forse Emma aveva ragione. Forse tra la guerra e la distruzione, qualcosa di bello poteva anche nascere. Forse lei ne era davvero la dimostrazione vivente.

Sentì la porta aprirsi, ed in seguito un passo quasi strascicato.

“Rumple…!” - esclamò sollevandosi. Fremeva di dargli quella notizia, fremeva di condividere con lui quella gioia e quella paura, ma immediatamente dopo aver visto la sua espressione, ogni suo progetto e ogni sua parola, le morì l in gola.

Lui non aveva ancora parlato, ma la sua espressione era così cristallina che non sarebbero servite parole.

“Belle – la chiamò debolmente – ti devo… parlare...”

Ti devo parlare. Le parole più terribile in quel periodo, parole che potevano significare tutto o niente. Anche lei doveva parlargli, eppure non riuscì a fiatare.

“E’ successo quello che doveva succedere – sussurrò abbassando lo sguardo – sono stato richiamato, Belle. Dovrò andare anche io a combattere. Dovrò partire, dovrò andare incontro al mio… maledetto destino...”

La sua voce tremava. Era spaventato. Il sapere che sarebbe successo non era bastato a prepararlo, né a lui, né a lei.

Belle ebbe la sensazione di svenire. Si lasciò cadere tra le sue braccia, lo strinse prepotentemente. Non voleva lasciarlo, non voleva che la metà del suo cuore, che un frammento della sua anima, la lasciasse. Non voleva perderlo.

Lui ricambiò la stretta. Non voleva andare a morire, anche se si trattava di un suo dovere. Non voleva dimenticare… non voleva diventare anche lui una vittima di quel gioco che tanto odiava.

Belle sapeva che adesso più che mai avrebbe dovuto parlare, dirgli ciò che fremeva di dire. Ma non poteva dargli un dolore tanto grande, un pensiero in più, un altro motivo per disperarsi.

“Belle… non voglio, non posso andar via...”

La ragazza però lo zittì. Dire “non voglio” non sarebbe servito, perché il destino di entrambi era segnato.

Ciò che però nessuno dei due poteva trattenere, erano le lacrime, che correvano via, veloci e impossibili da fermare.

“Rumple, ti prego… baciami, amami stanotte, come mai hai fatto. Ne ho bisogno” - supplicò, guardandolo negli occhi.

E la sua preghiera fu ascoltata. Si amarono come mai avevano fatto, perché ad averne bisogno erano entrambi. Sapeva che nulla avrebbe arrestato lo scorrere del tempo, ma forse passare insieme quel poco tempo rimasto, poteva rendere tutto un po’ meno doloroso.

Avevano sempre immaginato che quel momento sarebbe arrivato. Ma immaginare le cose dal viverle era molto, molto diverso.

L’ultima notte vissuta insieme fu fatta di lacrime silenziose e baci fugaci, che non sarebbero bastati. Quando arrivò il mattino, Belle si pulì il viso e decise che non avrebbe pianto. Doveva essere forte, per quanto possibile. E malgrado nessuno dei due amasse gli addii, sarebbero stati insieme, fino alla fine.

Un porto circondato da navi da guerra sarebbe stato l’ultimo luogo in cui insieme sarebbero stati. Rumple adesso indossava la sua divisa da soldato. Belle lo aveva sempre trovato particolarmente affascinante in quelle vesti, ed anche per questo si era innamorata di lui. Amava l’idea dell'eroe che combatteva per la libertà altrui.

Ma adesso, avrebbe dato tutto l’oro del mondo per far sì che lui rimanesse lì.

Non erano le uniche coppie che si apprestavano a darsi addio. Molti dei compagni di Rumple stavano salutando le loro amate. C’era anche Emma, che sottovoce parlava con Killian, di qualcosa di inudibile.

Era sera, e faceva freddo, in maniera troppo innaturale. Belle cercò di scaldarsi come meglio poteva.

“Non voglio trattenerti troppo, Belle – le disse – non amo gli addii, lo sai”

“Questo non è un addio. Lo sappiamo entrambi che tornerai, mio eroe”

“Oh, Belle. Vorrei che fosse un incubo. Se è per te, io lotterò fino alla fine, pur di tornare vivo”

Lei gli sorrise, tuttavia c’era qualcosa che le dava pensiero, qualcosa che non gli veva ancora detto e che avrebbe anche potuto non dirgli. Forse però non era giusto.

“Belle, devo imbarcarmi” - disse stringendo la sua mano.

“Aspetta… aspetta, Rumple – sussurrò – c’è qualcosa che voglio darti, prima...”

Dicendo ciò, frugò nella tasca del suo cappotto. Poco dopo gli posò tra le mani un paio di babbucce in lana, bianche e con un fiocco color panna, minuscole”

Rumple spalancò gli occhi.

“Belle… perché?”

La ragazza sorrise, con le lacrime agli occhi.

“Mi dispiace che sia dovuto accadere adesso ma… sono incinta”

In quel momento, tutti gli sforzi di entrambi di trattenere le lacrime furono inutile. Rumple si portò una mano sul viso, incredulo, felice, emozionato e impaurito da quella notizia del tutto inaspettata.

“Aspetti… aspetti un bambino… un bambino nostro?” - domandò con un sussurro.

Belle annuì, lasciando che le lacrime calde e salate le scaldassero le guance.

Era forse un caso che fosse accaduto proprio adesso? Era giusto che fosse accaduto proprio adesso?

“Volevo dirtelo prima, ma non avevo il coraggio – sussurrò strozzando un gemito – non volevo darti un pensiero in più...”

“No, no… sono felice di saperlo. Questo significa che io… che io non posso morire, non posso morire assolutamente. Belle, io devo vivere”

“Sì… devi vivere… e sono sicura che vivrai...”

Le loro espressioni tristi si dipinsero di una sfumatura di gioia, forse data dalla speranza.

Rumple la abbracciò, anzi, la prese tra le proprie braccia.

La amava. Adesso aveva un motivo in più per cercare di sopravvivere. Per lei e per il bambino che portava in grembo. In qualche modo, per entrambi, sarebbe sopravvissuto.

“Allora… allora arrivederci… amore mio...” - le disse, guardandola negli occhi.

“Sì… arrivederci...” gli rispose.

Aveva paura, l’avevano entrambi, ma erano fiduciosi che si sarebbero riuniti, che si sarebbero riuniti preso, e che sarebbero stati una famiglia.

Sarebbero stati la prova che dalla guerra qualcosa di buono poteva anche nascere.

Ma sarebbero stati mesi molto, molto duri…

 

Settembre

 

Cara Belle.

Scusa se le lettere non arrivano puntuali, purtroppo di questi tempi non è facile. Sono passati solo due mesi, eppure mi manchi già terribilmente. Tu come stai? E il bambino? Mi sarebbe piaciuto starti accanto in questi lunghi mesi, ma conto di starti accanto in seguito. Qui va tutto bene… all’incirca. Non è ancora morto nessuno, ma sia tu che io sappiamo che prima o poi accadrà. Mi manchi tanto da star male. Mi manca ogni cosa di te, tutto. Ma solo il tuo pensiero mi aiuta ad andare avanti, ogni giorno.

Qui in Europa è dura. Noi siamo estranei che vanno eliminati. Non voglio vedere la gente morire, ma so che dovrò. Spero di poterti sentire presto, o potrei impazzire

 

Caro Rumple,

sì, come puoi vedere anche qui ti chiamo per soprannome, non intendo eliminare le mie abitudini. Io sto bene, anzi, stiamo bene entrambi. Emma, ed anche Mery Margaret, passano molto tempo con me. Mi manchi anche tu. Ogni giorno è lento come una vita intera. Posso immaginare quanto sia difficile, ma tu sei forte, devi esserlo. Tu sei un eroe, il mio valoroso eroe. E riuscirai ad uscire vivo da questa guerra, da questo gioco infame. Credimi che sarà così. Mi fido di te, ti prego.

Ti amo.

 

Dicembre.

 

Era tanto che non vedeva il cielo azzurro. No, perché il cielo sopra la sua testa adesso appariva costantemente grigio. E grigio era l’aria, grigia erra la terra, grigie le loro anime. Stare sul campo di battaglia, vivere in esso, senza fermarsi, senza dormire, impugnando un arma e stando continuamente sull’attenti, non era vita, era sopravvivenza.

Rumple stava tentando di sopravvivere, di non lasciarsi prendere dallo sconforto. Ma era dura quando i suoi compagni gli morivano davanti.

I suoi compagni morivano sì… ed era giunta l’ora anche per quel soldato dagli occhi glaciali, così sicuro di sé, così giovane, adesso così spezzato.

“Jones, Jones! - esclamò Rumple afferrandolo – maledetto, cerca di sopravvivere, mi hai capito? Non provare a morire!”

Killian però aveva più sangue intorno che dentro le vene. Il suo ventre per squarciato ed una sua gamba non era più al proprio posto. Rumple cercò in qualche modo si bloccare la fuoriuscita di sangue dalla sua ferita.

“Hei...amico – boccheggiò il più giovane – a quanto pare non è roba per tutti, questa. C’è chi vince e c’è chi perde… ed io ho perso”

“Silenzio! Reagisci, maledizione! Vuoi davvero morire così? Avanti!” - esclamò.

“Forse… l’essere troppo sicuri non aiuta. Ma tu… tu sopravviverai di certo… ti prego... ti prego, dì ad Emma che la amo… che l’ho sempre amata” - sussurrò con un sorriso.

“Ma… ma Jones...” - lo chiamò tremando.

“Promettimelo. Promettimelo” - ripeté per ben due volte, con fare supplichevole.

Glie l'avrebbe promesso. Killian non sarebbe stato che uno dei tanti a morire, una delle tane pedine perse, uno dei tanti burattini rotti e bruciati nel fuoco.

Uno dei tanti giovani strappati alla vita.

 

Cara Belle,

Killian se n’è andato. E’ così. Non riesco a crederci. E’ morto tra le mie braccia. Non mi è mai stato particolarmente simpatico, ma non volevo che morisse, non è giusto.

Sto male da far schifo. Qui si sopravvive, qui si fa del proprio meglio. Più il tempo passa e più diventa difficile. Sto cercando di non scoraggiarmi davvero. Ma non ce la faccio. Ho paura di poter morire anche io, ho paura di potervi lasciare. Nei libri è tutto facile, non è vero? Perché la realtà non può essere come le favole’

Perché le guerre non possono essere vinte?

Mi manchi, amore mio

Dì ad Emma che Killian la amava. Non ha fatto in tempo a dirglielo.

 

Belle strinse quel pezzo di carta tre le mani. Le venne da piangere, non sapeva neanche lei per quale motivo ben preciso. Ormai non faceva altro, forse anche a causa degli ormoni impazziti. Forse per angoscia.

“Hei, Belle – Emma la chiamò – che succede?”

 

Gennaio

 

Caro Rumple

Emma è stata malissimo. Non l’ho mai vista così. Penso che anche lei lo amasse. Oh, se solo avesse avesse saputo, magari avrebbero avuto la possibilità di amarsi come… come noi.

Il tempo passa inesorabile e il bambino cresce… si muove tanto. Dovrebbe nascere ad aprile, in primavera. Non sarebbe meraviglioso se anche tu potessi tornare qui in primavera? Dopotutto è la stagione della rinascita. Per ora i libri mi hanno tenuto compagnia. Li leggo ad alta voce perché so che lui può sentire. E molto spesso gli parlo di te, di quello che stai facendo per salvare il paese. E di quanto ti amo… torna presto da me.

 

“Gold, attenzione!”

Rumple sollevò lo sguardo. Tra le mani stringeva quel pezzo di carta impolverato e nero a causa ella terra. David Nolan, un suo compagno, aveva cercato di avvisarlo, prima che una bomba cadesse inesorabilmente sopra le loro teste. Ciò però non era bastato. La terra si era sollevata, e lui era caduto al suolo, con il foglio ancora tre le mani.

L’ultima lettera che avrebbe letto, l'ultima che gli sarebbe arrivata.

 

Marzo

 

Due mesi senza alcuna sua notizia. Belle aveva cercato di non pensarci. Dopotutto, la posta arrivava con così tanta lentezza. Per lei, il pensiero che potesse essere morto… no, non era affatto contemplabile. Perché glielo aveva promesso. E Rumple manteneva sempre le sue promesse.

Il suono del campanello però fece sussultare il suo cuore.

Poteva essere lui, poteva essere lui che finalmente tornava. E forse per questo non aveva ricevuto nessuna risposta, perché aveva affrontato il viaggio i ritorno!

Immediatamente aprì la porta. Indietreggiò d'istinto quando si ritrovò un ufficiale davanti.

“La signorina Belle French?”

“… Sì, sono io..” - sussurrò flebilmente.

Una lettera venne posata tra le sue mani, e il suo cuore perse un battito. Poi rabbrividì, ed infine cadde a terra. Un urlo straziante abbandonò le sue labbra.

Era morto. Era morto davvero, così. E lei era rimasta da sola, contro quel mondo crudele, anche eli vittima di quel gioco, sola contro tutti, sola con il suo dolore.

 

Amore mio… questa è una lettera che non riceverai mai. Perché ormai non sarai più in grado di leggerla.

Sai, io non ce l’ho con te. Perché tu sei morto da eroe. Io ce l'ho con chi ha permesso tutto ciò, con chi ha reso una ragazza sola e un bambino orfano. Io ce l’ho con il mondo, e ormai so per certo che nessuna favola può armi speranza. Perché la vita non è una favola e devo farmene una ragione. Ti ho perso… ho perso te che eri il mio tutto… ed io sono qui, da sola, senza neanche un corpo da piangere, senza nulla di te.

Cosa ne faccio di me, senza te? Ti prego… vorrei che un po’ del tuo spirito potesse ora abbracciarmi e darmi quel calore che non riceverò più.

Non è giusto… ogni favola dovrebbe avere il suo lieto fine…

 

Belle non poteva saperlo, ma lui non era morto. Era vivo, anche se per miracolo. Era stato catturato dall’esercito rivale, ed era stato imprigionato insieme ad altri soldati, americani e inglesi.

Un destino peggiore della morte. Sì, perché lo avrebbero torturato e ucciso nel peggiore dei modi. E nessuno avrebbe mai saputo nulla.

Non avrebbe più rivisto né lei... né avrebbe conosciuto suo figlio.

“Hei, tu – lo chiamò ad un tratto qualcuno – per caso vuoi da bere? Sono riuscito a conservare la mia boccetta di liquore, che è essenziale. Mh? Ma sei vivo oppure no?”

“Ah, lasciami in pace! - esclamò lui – non sono in vena di scherzare!”

Il giovane uomo gli si avvicinò, dando un’occhiata al foglio che non faceva altro che tenere in mano.

“Chi è Belle? La tua fidanzata?”

“Questi non sono fatti tuoi” - sibilò.

“D’accordo, calma, volevo solo sapere. Qui siamo tutti vittime dello stesso destino. E, se ti può fare stare meglio, anche io ho lasciato la mia donna, lì in America”

Rumple lo guardò con la coda dell’occhio.

“Non è solo la mia donna. E’ la mia vita, ed è la madre di mio figlio. Che sicuramente non conoscerò mai”

“Ah, davvero? Io ho una figlia, guarda un po’”

Dicendo ciò, l’uomo gli mostrò la foto sbiadita di una bambina di circa due anni, dai capelli corvini.

“E’ per lei e sua madre che sto cercando di sopravvivere. Io non mi farò ammazzare”

“Tsk, tanto è inutile. Siamo destinati a morire. Probabilmente, Belle penserà che sia già morto”

“Ma non è così, no? - sussurrò – ora ascoltami, io e un altro paio di soldati stiamo organizzando una fuga”

“Una fuga? Siete impazziti, potrebbe essere pericoloso!”

“Moriremmo comunque. Io voglio riabbracciare le donne della mia vita, loro hanno bisogno di me. Se poi non vuoi rischiare, non insisterò”

Rumple abbassò lo sguardo. Non era quella la promessa. La promessa che aveva fatto era stata quella di sopravvivere a tutti i costi. La promessa era che sarebbe tornato, dalla sua amata e da suo figlio. Anche se era una follia, anche se sarebbe stato impossibile… doveva tentare…

Guardò nuovamente l’uomo.

“In cosa consiste la fuga?”

“Lo scoprirai presto – disse l’altro sorridendo – a quanto pare abbiamo molto cose in comune. Sappi che in me hai trovato un nuovo amico. Mi chiamo Robin”

“Bene, Robin. Sono nelle tue mani. Riportaci dalle nostre famiglie”

 

Aprile

 

Belle aveva ormai smesso di leggere e di sperare. A cosa sarebbe servito, poi? Aveva perso tutto, aveva perso l’amore, aveva perso la voglia di vivere.

Sapeva di non poterselo permettere nelle condizioni in cui era. Tra poco sarebbe diventata madre e avrebbe dovuto vivere per lui o per lei che fosse.

Ma ogni briciolo di forza era andata persa.

Non era giusto che il destino li avesse separati, né che adesso lei si ritrovasse da sola, senza la metà del suo cuore accanto a lei.

Era il quindici di aprile quando suo figlio venne al mondo, dopo un travaglio lungo, faticoso e doloroso.

La prima cosa che aveva sentito, dopo il pianto del bambino, era stata Emma che allegramente diceva: “E’ un maschio! Congratulazioni, Belle!”

Dopodiché glielo aveva poggiato sul seno. Era un bambino bellissimo, perfetto, in salute.

Aveva provato un amore immenso verso quell'esserino, e allo stesso tempo una tristezza e una disperazione terribili.

“Somiglia a suo padre...” - fu la prima cosa che disse. E poi aveva pianto. Era felice che lui fosse nato. Ma il pensiero che non avrebbe mai conosciuto suo padre la intristiva, le faceva piangere il cuore.

La notte stessa, Belle scrisse l’ennesima lettera che non avrebbe mai ricevuto.

 

Rumple, sai… è nato nostro figlio. Sì, abbiamo un figlio. L’ho chiamato Gideon. Ti ricordi, no? Come il protagonista de “Il suo valoroso eroe”. Perché lui sarà un eroe, proprio come lo sei stato tu…

 

Non riuscì a scrivere nient’altro. Il dolore le stritolò il cuore in una morsa assassina, impedendole di respirare.

Lui non avrebbe mai saputo… non li avrebbe stretti, amati, vissuti. Era finito tutto.

 

Maggio

 

Un mese era passato. Gideon cresceva a vista d’occhio, ed era una gioia per gli occhi. L’unica gioia per Belle. Lentamente, quasi in maniera impercettibile, stava cercando di accettare la morte del suo amato. Ma era un processo lento, doloroso. Il suo cuore gli apparteneva, e gli sarebbe appartenuto per sempre.

Approfittando di quella bella giornata di inizio maggio, la ragazza stava stendendo i panni, che emanavano un buon profumo di lavanda. Gideon dormiva nel passeggino all’ombra. Lo teneva sempre vicino a sé. Gli ricordava lui… in tutto e per tutto. E ciò le faceva male, anche se solo in parte.

Strinse la sua camicia. Sì, continuava a lavarle a metterle a posto tranquillamente, pur sapendo che non le avrebbe più usate.

Forse per abitudine.

Quanto le mancava, il suo profumo, la sua voce… tutto.

A risvegliarla dai suoi pensieri fu un vagito. Immediatamente si indirizzò verso la carrozzina dove Gideon dormiva.

Un brivido l'attraversò quando si accorse che il bambino non era più lì. Chi poteva essere stato? Lo aveva perso di vista solo per qualche secondo.

“Oh mio Dio… Gideon…!?” - esclamò.

Il vento mosse i panni stesi. Dietro un lenzuolo bianco, scorse un’ombra.

Con un nodo in gola si avvicinò. Avvertì un profumo familiare, ed una sensazione… strana.

Scostò il lenzuolo.

Probabilmente doveva star sognando. Perché davanti a lui c’era Rumple… ma non poteva essere lui… lui era morto.

Ma adesso stava davanti a lei e stringeva Gideon, che a sua volta pareva a suo agio.

Belle indietreggiò, con le mani davanti la bocca.

“Sto… sto sognando… è un sogno bellissimo...” - mormorò con le lacrime agli occhi.

Rumple si avvicinò a lei, con le lacrime in bilico tra le ciglia.

“Belle… sono io...”

Era la sua voce. Non avrebbe potuto sbagliarsi. Era lui, era vero, reale, non si spiegava come.

Si avvicinò piano, quasi avesse paura che potesse scomparire. Dopodiché gli gettò le braccia al collo, piangendo senza più un auto controllo.

“Sei… sei… oh mio Dio… sei vivo… tu sei vivo! Tu se qui! Amore mio, sei vivo!”

“Sono vivo, Belle. Un po’ zoppo…. Ma vivo. Ma non avrebbe potuto essere altrimenti – accarezzò la testa de bambino – dovevo conoscere mio figlio...”

“Come… come hai fatto… a tornare…?

“Credimi… è una storia degna di un eroe...” - sussurrò commosso. La gioia esplose nel cuore di entrambi, e quando si baciarono capirono che non fosse né un sogno, né un illusione. Rumple strinse la sua amata e suo figlio, la sua famiglia. Era tornato da eroe. Aveva mantenuto la sua promessa. Si ricordò di come, circa un anno prima, aveva creduto che le cose non potessero cambiare, che le cose fossero terribili.

Adesso, con lo stesso vento profumato di sole addosso, potevano, anzi, potevano entrambi affermare, che per quanto la guerra fosse terribile, il loro amore aveva vinto e aveva fatto sbocciare un fiore che nessun conflitto avrebbe mai potuto spezzare.

Belle, ancora incredula, ma felice come non mai, strinse a sé il suo valoroso eroe.

Non era una favola, non era un libro. Era la realtà ed era meravigliosa.

Nota dell'autrice
Dopo aver visto la 6x13 e dopo aver ascoltato una certa colonna sonora.... è venuto fuori questo. Il contesto della Seconda Guerra Mondiale mi piace tanto. Probabilmente se non fossero stati i Rumbelle avrei fatto finire tutto in maniera super angst, ma per loro voglio felicità.
Spero di non essermi dilungata troppo con certe cose e che non sia stata frettolosa per altre. Purtroppo mi capita spesso con le one shot. Ogni parere è ben accetto, spero di averi fatto emozionare, almeno un minimo.
per la parte finale mi sono ispirata ad una scena del film "Big Fish".

   
 
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