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Autore: SheDark    25/03/2017    0 recensioni
Tratto dal testo:
"Michael era capace di mettermi a disagio con la sola sfrontatezza, era una sensazione che odiavo e con cui allo stesso tempo avevo imparato a convivere.
«Tu mi odi vero?» formulai la domanda che mi frullava in testa da tempo con una semplicità che lasciò di stucco anche me.
Sapevo che avrei dovuto aspettare per avere una risposta."
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Prima storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Se c'era una cosa con cui proprio non riuscivo ad accordarmi era la puntualità.  Mi detti una pettinata veloce per districare i capelli ancora caldi di fohn e corsi nella mia camera, consapevole che erano le sette e che Ashton sarebbe arrivato a momenti, mentre io dovevo ancora prepararmi completamente.
Infilai degli shorts beige e una maglietta bianca che avevo già preparato sul letto e tornai nel bagno per mettermi un velo di trucco, in quel momento il campanello suonò; sentì mia madre andare ad aprire la porta e delle voci al piano inferiore, poi dei passi sulle scale.
Il nostro ospite si annunciò poco dopo spalancando la porta e facendomi prendere un colpo.
«Ehi bionda, ancora a prepararti?» salutò appoggiandosi allo stipite con le braccia conserte, «Speravo di trovarti già pronta, sono andato anche piano per darti più tempo.»
Sbuffai osservandolo dallo specchio, lo vidi sollevare gli angoli della bocca in un sorriso e immaginai fosse divertente vedermi alle prese con il rimmel.
«Tranquillo, ho finito. Possiamo andare.» risposi dando un'ultima occhiata alla mia immagine, sorridendo soddisfatta al mio riflesso.
Un fischio di approvazione accompagnò la mia uscita dalla stanza.
«Che schianto!» commentò Ashton prendendomi una mano per farmi fare una lenta piroetta su me stessa, osservandomi compiaciuto, «Ti sei fatta bella per me?» scherzò.
«Certamente, e per chi altri sennò?!» risposi a tono strizzando l'occhio. Lo adoravo quando mi dedicata quelle piccole attenzioni.
 

*  *  *
 

Finalmente pronta per l'uscita con il mio migliore amico, e salutati mia madre e il mio fratellino Marvin, mi apprestai a seguirlo nella sua auto parcheggiata sul lato opposto della strada.
Mi aprii la porta del passeggero e poi si accomodò alla guida; mentre infilava le chiavi nel cruscotto notai una Rang Rover grigia metallizzata parcheggiarsi davanti alla mia abitazione, ne uscirono due persone (di cui però non riuscii a riconoscere i volti) che si diressero all'ingresso.
«Chi sono quelli?» anche lui li aveva visti.
Ci pensai un po' su prima di azzardare una risposta. «Uno è il nuovo uomo che frequenta mia madre, l'altro credo sia il figlio: mamma aveva accennato qualcosa a proposito. Però non li ho ancora conosciuti, avrebbe dovuto presentarceli stasera.» spiegai poi, senza distogliere lo sguardo dalla porta da cui erano scomparse le due figure.
«Samantha, sei sicura di non volere rimanere? Noi possiamo uscire un'altra sera.» chiese pensieroso, le mani sul volante in attesa che scegliessi.
Dopo un mio dissenso e, sebbene non fosse ancora del tutto convinto della mia motivazione (avevo raccontato che a mia madre non dava fastidio, che anzi preferiva far conoscere all'uomo un figlio alla volta, e che quindi ci sarebbero state altre occasioni), Ashton fece fremere il vecchio motore della sua Holden mezza scassata e partimmo.
Dimenticati completamente dell'uomo e del figlio, io e Ash ci mettemmo a chiacchierare spensieratamente e, come mio solito da quando aveva salvato quella carretta dallo sfasciacarrozze, monopolizzai la radio.
«Allora riccio, quali sono i programmi per stasera?» domandai mentre trafficavo in cerca di una stazione di mio piacimento, «Pizza e film da te?»
«All'incirca, ma non più a casa mia: RJ ci ha invitato tutti da lui. Va bene per te? Gli ho detto che lo chiamavo per dargli conferma.»
«Certamente! Allora lo chiamo io.» dissi prendendo lo smartphone che si accese squillando sulle note di “American Idiot” dei Green Day. «Quando si parla del diavolo...» commentai mentre accettavo la chiamata, portandomi il telefono all'orecchio, «Ehi, RJ. Ash e io siamo in macchina, arriviamo.»
«Un quarto d'ora e siamo li.» si aggiunse Ashton con voce abbastanza alta per farsi sentire dal ragazzo dall'altra parte della cornetta.
Salutai con un “A tra poco” e spensi la chiamata, posando il cellulare nella borsetta.
 

*  *  *
 

Proprio come aveva previsto in mio autista, nel giro di quindici minuti  eravamo arrivati alla nostra destinazione.
Il padrone di casa ci venne ad aprire, le treccine legate sulla nuca da un elastico, e fui travolta dalla solarità che trasmetteva il suo sorriso, i denti bianchi che splendevano in contrasto alla pelle scura. Richard James McGrath (conosciuto da tutti come RJ) era quello che si poteva considerare come il collante del gruppo.
Quella combriccola si era formata e consolidata in diversi anni, tra i banchi di scuola o le panchine del parco in cui eravamo soliti ritrovaci ed aveva visto il via vai di alcuni amici, fino a completarsi definitivamente con quelle sei persone che ora consideravo come una famiglia.
Seguimmo RJ nel soggiorno constatando che c'erano soltanto un paio di  ragazze; Kelsie West e Vanessa Hogan (che venivano considerate da tutti come una sola persona poiché inseparabili) si erano unite a noi qualche anno prima quando Nessa aveva iniziato a frequentarsi con uno del gruppo. La prima era minuta e il suo visino dai lineamenti delicati era incorniciato da lunghi capelli color ciliegia, mentre l'amica era la tipica ragazza “acqua e sapone”.
Mi sedetti sul divano insieme a loro per chiacchierare in attesa che i due fratelli che mancavano all'appello, e che (come appresi subito dopo) erano usciti per prendere le pizze, tornassero. Cosa che non si fece attendere, infatti il campanello suonò cinque minuti dopo annunciando il loro arrivo, il padrone di casa si apprestò ad aprire loro la porta.
Vanessa si spostò una ciocca castana dietro l'orecchio destro, sorridendo,  quando il suo fidanzato entrò nella stanza sorreggendo la pila di cartoni quadrati della pizzeria: Jack Hemmings, un bel ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri che aveva frequentato la Richmon High School insieme ad Ashton ed RJ.
Mi alzai per prendere il cartone che mi stava porgendo, sedendomi poi sul tappeto, lo aprii osservando la pizza con patatine e salsiccia (la mia preferita), felice che i miei amici conoscessero così bene i miei gusti. Mi accorsi ormai troppo tardi della mano che con uno scatto fulmineo aveva afferrato una patatina, facendola sparire nelle fauci del proprietario.
«Come è andata oggi a scuola, Sam?» chiese masticando.
Squadrai le labbra ornate da un labret nero del ragazzo seduto alla mia sinistra, incontrando i suoi occhi color cielo. Risposi con un sorriso tirato e un colloquiale “tutto bene”, ma probabilmente capì che stavo mentendo  visto la domanda che mi fece successivamente.
«Che ha combinato questa volta quell'idiota?» chiese, essendo al corrente degli scherzi che subivo abitualmente da alcuni compagni, ed alludendo ad uno di loro in particolare.
«Nulla, Luke, le solite cose...» dissi prima di raccontargli  brevemente dell'episodio di quella mattina. Vidi sul suo viso passare diverse emozioni - comprensione, rabbia,  colpevolezza -, e quando ebbi terminato si scusò di non esserci stato a scuola per difendermi.
Luke Hemmings (che era la fotocopia del fratello maggiore), da quando ci eravamo conosciuti, scoprendo anche di frequentare lo stesso liceo, era diventato la roccia a cui mi aggrappavo nei momenti in cui la mia fragilità mi imponeva di subire quegli scherni senza il coraggio di reagire, diventando così da subito una specie di protettore. Gli ero riconoscente per tutte quelle volte che mi aveva difeso, grazie a lui gli scherzi si erano alleggeriti sempre di più.
Sorrisi malinconicamente.
Mi resi conto che tutti avevano iniziato a mangiare, così afferrai una fetta di pizza addentandola con gusto, allontanando quei pensieri dalla testa.
 

*  *  *
 

La strada era deserta ed Ashton guidava con calma. La serata a casa di RJ era continuata con la visone di un film, di cui però ero riuscita a vederne solo metà poiché mi appisolai; e fui svegliata solamente sui titoli di coda da Ash che mi proponeva di tornare a casa.
Ero persa a guardare un punto fisso oltre il finestrino, con la testa sovrappensiero, e non mi resi conto che il mio amico mi stava parlando.
«Che ore sono?» ripeté.
«Le 11 e 36.» risposi controllando dal cellulare.
Il silenzio tornò a governare l'abitacolo.
«Tutto bene, Sam? Sei pensierosa stasera.» chiese con una lieve nota di preoccupazione nella voce.
Risposi con un cenno del capo e un “si bene” che sembrò più una specie di grugnito.
«Di chi stavate parlando tu e Luke a cena?» domandò nuovamente, colpendo nel centro.
«Di nessuno.» dissi cercando di non scendere nei particolari, «Cioè, nessuno d'importante. Solo uno che mi da fastidio a scuola.»
«Chi? Sempre quel Clifford?» chiese, rispondendosi da solo, ricordando il nome del ragazzo di cui mi ero lamentata tante volte.
Annuii. «Di solito è lui che prende l'iniziativa, e poi Hood lo segue come un bravo cagnolino.» dissi con sdegno.
«Quindi hanno ricominciato a prenderti di mira?» chiese con apprensione (come mio migliore amico era al corrente di quel che mi succedeva in classe), «Pensavo si fossero stufati.»
«Anche io.» ammisi con un sospiro, «Ma ogni tanto, quando Luke non c'è riprendono con i loro scherzi.» spiegai, raccontandogli poi di quella mattina.
«Non ci pensare, Samantha. Non farti rovinare il week-end da due cretini che vedi solo per poche ore al giorno a scuola. E poi pensa che sei all'ultimo anno, dopo non dovrai nemmeno più vederli.» cercò di tirarmi su di morale.
«Un anno è lungo.» precisai, «Oh povera me!» mi lamentai ancora portandomi le mani sul viso, sapendo che non sarei riuscita a resistere se Clifford avesse continuato prendermi di mira per tutto il tempo.
«Vedrai che passerà in fretta.» commentò, mentre imboccavamo la via in cui abitavo.
Appena arrivammo davanti a casa, vidi la Rang Rover svoltare l'angolo e allontanarsi nella notte. Per quella volta non avrei conosciuto la persona che era stata capace di rubare il cuore a mia madre. Salutai Ashton, ringraziandolo per la serata, e scesi dall'auto felice all'idea che presto avrei abbracciato il mio cuscino.

   
 
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