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Autore: Melian    06/06/2009    8 recensioni
"Lo confesso davanti a Dio: lo confesso a me stesso nel silenzio assoluto. La mia anima è pura, nobile il mio fine, io sono il giusto tra i giusti.
A te lo confesso: i giochi sono finiti troppo presto tra di noi."
[Terza classificata al "super-duper fangirl contest" di juliet indetto sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: L, Light/Raito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CONFESSIONI DAVANTI AD UNA LAPIDE

“E di persone ce ne sono tante, buoni pretesti sempre troppo pochi.” (Tiziano Ferro)

*


Il vento autunnale soffiava tra le candide lapidi, agitava gli alberi nudi e scuri e spandeva ovunque l’odore dell’incenso bruciato per onorare le anime dei defunti.
Un tempietto buddista si ergeva su una collinetta dal profilo morbido, ricoperta d’erba appassita e da una coltre di foglie gialle e marroni accartocciate che scrocchiavano sotto i piedi di chi le calpestava;
il loro fruscio saturava l’aria quando una folata più forte le spazzolava via.
Una scala intagliata nella roccia viva si snodava lungo il viale e l’acciottolato era screziato da macchie d’ombra addove gli alberi protendevano i loro rami adunchi.
La malinconia era intessuta fittamente nella bellezza spoglia di quel paesaggio come un sentore, un profumo caratteristico dell'autunno.

Lo confesso davanti a Dio: lo confesso a me stesso nel silenzio assoluto. La mia anima è pura, nobile il mio fine, io sono il Giusto tra i giusti.
A te lo confesso: i giochi sono finiti troppo presto, tra di noi.
Adesso mi ritrovo a venire qui, in un solitario e anonimo cimitero, e sto impalato a fissare un nome – non tuo – inciso su pietra ancor più insignificante.
Meritavi di più.

Una figura longilinea ed elegante calcava le pietre del viale vestita con un lungo impermeabile. Sembrava non avere fretta mentre camminava con passo tranquillo e deciso in una direzione ben precisa, quasi conoscesse fin troppo bene ogni palmo di quel cimitero; non si guardarva nemmeno attorno, come considerasse superfluo posare gli occhi su quei tumuli sconosciuti. E cos'erano, per lui, quei nomi? Nulla, se non estranei, pedoni abbattuti e inutilizzabili sulla sua scacchiera.
Poi il ragazzo si fermò; l’eco dei suoi passi si smorzò: aveva raggiunto la sua meta.

La verità è che non è più divertente senza di te.
Dove sono finite le nostre sfide? Dov’è l’adrenalina che scorreva a fiumi? E le nostre battaglie intellettuali? Io mi annoio.
È stato troppo facile, persino insoddisfacente, lasciar fare tutto a Rem: me ne pento.
“Mi pento e mi dolgo dei miei peccati.” Ma io non ne ho commessi.
Chi avrebbe potuto biasimarmi per essermi sentito tanto sollevato mentre tiravi le cuoia? Sapevo di aver vinto.
L’ultima scintilla nei tuoi occhi era la luce della consapevolezza e del rammarico: avevi capito di aver avuto sempre ragione, che il tuo intuito non ti aveva mai tradito e che – sì! – io ero Kira.
Tuttavia, era una consapevolezza inutile, oramai; era finita, tu eri finito.
La strada verso la gloria, con te fuori dai piedi, era spianata e – in quel momento denso di significato, nell’attimo supremo in cui il tuo cuore ha ceduto e il tuo respiro si è smorzato – ho gioito.
Ma ho bisogno di te, lo confesso. Ho maledettamente bisogno di gareggiare con qualcuno che riesca almeno a sfiorare la vetta che ho raggiunto. Ho la dannata necessità di sentire i nervi tesi, ritorti come fossero ferro rovente, l’accanimento, la corsa, l'ansia.
Soltanto così mi figuro chiaramente il traguardo da tagliare per primo. Unicamente tu mi davi ciò di cui avevo bisogno, quasi fosse una droga. Ero assuefatto ai nostri giochi di intelligenza, alle tue stranezze, al tuo acume. Forse eravamo simili? Oh, senza dubbio io sono stato più furbo!
Vengo in questo posto sperduto, trovato in fretta e furia, a portarti fiori bianchi. Perché?

Raito allungò la mano in cui stringeva garofani candidi e li depose in un vaso accanto alla lapide che si ostinava ad osservare, corrucciato e silenzioso. Nei suoi occhi si accese una scintilla crudele, mista a feroce insoddisfazione. C’era una furia latente nei suoi modi calmi, freddi e calcolati. Era evidente, ad un occhio più attento, che – al di là della logica e della ragione quel ragazzo fosse roso da una miriade di sensazioni contrastanti e troppo forti da sopportare… se avesse avuto una sensibilità più spiccata.
Una ruga gli segnò la fronte e gli conferirì un'espressione ancor più accigliata. Per un semplice momento apparve titubante, quasi triste, triste per se stesso, non certo per il morto che visitava.

Non è più divertente senza di te.
Se solo tu fossi stato dalla mia parte, avremmo governato il Nuovo Mondo assieme, lo sai, vero? Perché le nostre menti unite avevano un potere superiore a quelle di qualsiasi Dio.
È tutto piatto, senza sapore e mi annoio terribilmente. Già, la noia mi distrugge: è l’unico nemico che m’infastidisce sul serio.
Sono circondato da incompetenti, incapaci buoni a nulla e creduloni; menti grette e limitate.
Loro non sanno, né non comprendono la genialità del mio disegno, la perfezione con cui è stato tracciato, la nobiltà dello scopo!
Troppe, piccole persone a ciarlare, ad accanirsi contro Kira, ad additarlo come vile assassino quando, invece, il mondo intero non fa che osannarlo. Com’è possibile? Con quale autorità di arrogano il diritto di giudicare le mie azioni?
Io sono il giudice e il boia, sono l’unico tribunale a cui l’umanità potrà appellarsi.
È semplice: la giustizia deve trionfare, non c’è posto per gli assassini, gli stupratori, i ladri, i corrotti. Questo è l'assioma perfetto.
Danno la caccia al Signore del Nuovo Mondo e i buoni pretesti per farlo scarseggiano, sono sempre troppo pochi, sempre più labili e vacui.
Io lo confesso: voglio dare agli uomini una seconda Età dell’Oro, voglio essere per loro benefattore e portatore di pace. E ben venga lo sterminio di quanti si oppongono! La loro anima è macchiata e meritano la morte. Non c'è miglior redenzione. Non c'è miglior epurazione.
E Near?

Raito zittì i propri pensieri; fece scorrere la mano affusolata sul profilo della pietra tombale, tastò coi polpastrelli il nome cesellato nel marmo di un bianco puro – “Ryuzaki” – e ne artigliò con foga il bordo levigato.
Il vento non accennava a lasciarlo in pace: si divertiva ad intrufolarsi sotto le falde dell’impermeabile, a lambirgli il viso dai lineamenti nobili e piacevoli.
Lui trattenne il respiro, sembrò contrarsi in se stesso e chiuse gli occhi per trattenere un moto improvviso di rabbia pronto ad esplodere. La frustrazione gliela si leggeva in faccia, prima che – in una frazione di secondo – l’espressione si spianasse e tornasse falsamente neutra. Non parlava, teneva le labbra strette in una linea sottile e dritta, ma il suo cervello era in febbrile lavorio.


Near, quel moccioso!
S’illude di stanare Kira, di mettere le mani sul Quaderno e carpirne i segreti. Vuole la collaborazione del Quartiere Generale Giapponese e del nuovo L... il mio aiuto, capisci? Non trovi ironico che proprio io porti questo titolo, Ryuzaki? L'uomo che ti ha sconfitto e condannato a morte ha ereditato il tuo nome. Se solo sapessero!
Near ha commesso il tuo stesso errore, con me. E intanto cerca in tutti i modi di accattivarsi gli aiuti dei Governi mondiali, senza comprendere che nessuno gli darà spago, che tutti i Ministri e i Presidenti gli hanno voltato le spalle, dimostrandosi forse più saggi di lui, o magari ben più codardi.
Near non comprende che è solo, non riesce a capire che gli darò scacco matto.
Illuso!
Non potrà mai sconfiggermi, perché quel lusso lo avrei, magari, concesso solo a te. Solo tu potevi averne il diritto, solo tu potevi esserne veramente degno, solamente tu avevi l’intelligenza adatta a darmi filo da torcere!
Ecco perché vengo qui: nonostante tu stia marcendo sotto terra, sento che abbiamo ancora una partita da giocare, che non abbiamo mai davvero concluso il nostro incontro. Abbiamo ancora fanti e torri da muovere; e io ho la mia regina da far scendere in campo e il mio re al sicuro.

Un sorriso obliquo e trionfante gli apparve in viso, sembrava che, stampato sulle sue labbra, dovesse durare in eterno. Raito si mosse di scatto, si allontanò dalla tomba senza più degnarla di un'occhiata e si riavviò lungo il viottolo. Aveva il passo sicuro e fatalista del generale pronto a scendere in guerra e che si prepara ad affilare le armi, le movenze colme di arroganza e di sprezzo del pericolo. Il lavorio della sua mente era inarrestabile, come un fiume in piena: sceglieva la strategia, approntava il campo di battaglia, disponeva le proprie risorse in punti strategici. La sua scacchiera era il mondo, i suoi pedoni l'umanità. Come un novello Cesare avrebbe perseguito la sua conquista instancabilmente.
Yagami Raito continuò a sorridere anche quando sorpassò il tempietto buddista e lasciò al vento autunnale poche e semplici parole:

«Io solo il Dio del Nuovo Mondo. Sono il tuo Dio, L.»
 


_____________

 

Note:

 

Storia partecipante a “Temporal-mente”, challenge di Criticoni.

Prompt usato: “E di persone ce ne sono tante, buoni pretesti sempre troppo pochi” (Tiziano Ferro).

   
 
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