Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    05/04/2017    4 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 21 ~ 
RIMORSI
 
“I’m swimming in the smoke
Of bridges I have burned
So don’t apologize
I’m losing what I don’t deserve
What I don’t deserve.”
(Linkin Park – Burning in the skies)
 
 
Nemmeno mezz’ora più tardi, Briz si dirigeva verso la rimessa dietro al Faro, dove sapeva che Pete teneva la sua Yamaha FZ6 che, fra l'altro, pur non essendo nuova, non era affatto il catorcio che lei denigrava a ogni piè sospinto. Si era cambiata, sostituendo gli abiti da lavoro con una felpa bianca sulla quale spiccavano delle stelline di un azzurro sgargiante; sopra aveva indossato un giubbotto di pelle nera.
Si chiese cosa diavolo le fosse preso, a chiedere a Pete di portarla con la moto, ma a un certo punto… aveva avuto un bisogno assoluto e irrefrenabile di… toccarlo. Pessima idea: dopotutto aveva avuto la conferma che lui aveva davvero solo giocato, in quel periodo intorno a Natale, e andava bene così. Era decisa più che mai a uscire da quella cavolo di stupidissima cosa strana che in quell’ultimo, cupo periodo, era riuscita a tenere a bada. Però, al suo invito inatteso, si era fatta venire l'idea di un giro in moto; andava bene pure quello… qualunque cosa, purché le desse una scusa per abbracciarlo!
“Ma sì, facciamoci del male. Tanto, più di così…” si disse, rassegnata.
Pete, inginocchiato a controllare la catena della moto, sollevò lo sguardo quando la sentì arrivare e, per parecchi secondi, non fu capace di distoglierlo, nemmeno mentre si alzava in piedi.
– Che c'è da guardare? – gli chiese la ragazza.
– Niente. Cioè… Sì… insomma stai bene.
– Anche tu: Tom Cruise di Top Gun non ti allaccia nemmeno le scarpe – commentò Briz, vedendo che lui indossava un giubbotto che ricordava quello dell'attore nel vecchio film.
– Io sono un ufficiale della U.S. Air Force, l'aviazione americana, mentre Maverick, il protagonista del film, era un pilota della U.S. Navy, la  Marina – precisò lui, un po’ saccente.
– Il solito pignolo! Ti ricordi qual era il vero nome di Maverick
– Uhm… Mitch? Non pensavo che tu lo conoscessi, quel film, non eri nemmeno nata, quando uscì nei cinema.
– Perché tu invece sì, vero? – lo prese in giro – È un film che ha più di trent'anni, lo so, ma in casa avevo il DVD: l'ho visto parecchie volte. Tom Cruise a quell’età mi piaceva – tacque per qualche secondo, poi proseguì – Comunque Maverick non si chiamava Mitch, Mitchell era il suo cognome: ci sei andato vicino. Si chiamava come te: Pete. E adesso andiamo, perché il mio stomaco sta ricominciando a imprecare e non rispondo delle parolacce che potrebbe tirare fuori.
Si infilò il casco che lui le aveva teso, lo allacciò e salì sulla moto dietro a Pete con una scioltezza che lo stupì. Anche il modo in cui gli passò le braccia intorno e si assestò sulla sella, tranquilla e disinvolta, gli fecero balenare nella mente un paio di domande e, cinque minuti più tardi, nemmeno a metà strada, si era dato le risposte: Briz sapeva accompagnare le curve piegandosi nel modo giusto, e quando lui frenava non sbatteva il casco contro il suo, come capitava a chi non era un po' esperto. E non aveva affatto paura, dato che gli aveva già detto un paio di volte di andare più veloce: la fanciullina, in moto con qualcuno, c'era già andata. Uno dei suoi innumerevoli segreti, pensò Pete. Forse era quel misterioso Diego, che in passato l'aveva scarrozzata…? Beh, peggio per lui, chiunque fosse! Adesso Briz se la portava in giro lui, Peter J. Richardson, ed era lui che si sentiva stringere dalle sue braccia; cosa che, dannato il diavolo, gli piaceva non poco. Aveva già dovuto riconoscere, nell’arco di quella mattinata, che in quegli ultimi due mesi – durante i quali, stanchi e demoralizzati, se ne erano stati molto per conto proprio – Fabrizia e le sue battutine, le sue risate, la sua chiacchiera incessante e persino il suo sarcasmo e i suoi momenti di malinconia, gli erano mancati. E per quanto drammatica fosse stata la situazione in quella orribile cella zelana umida e fredda, addormentarsi tenendosela tra le braccia era stato l'unico momento, di quella terribile avventura, degno di essere ricordato; sembrava passato un secolo, invece erano trascorsi solo pochi giorni.
Diede una brusca accelerata, per vedere se lei lo avrebbe stretto un po' di più, cosa che avvenne prontamente, facendogli provare un'ondata di soddisfazione. Come già accaduto poche ore prima, si costrinse a mettere un freno a quei pensieri.
Più tardi, seduti a un tavolino fuori da un Take Away cinese, chiacchieravano davanti ai resti del loro pranzo tardivo. Resti… in realtà c'erano rimasti solo i cestini vuoti, anche se Briz frugava inutilmente con le bacchette, alla ricerca di un ultimo boccone di pollo al limone.
– Briz, non ce n'è più! Se ne vuoi ancora, l'unica cosa che puoi fare è ordinarne un'altra porzione.
– No, okay, basta: non sono mica Yamatake – ridacchiò lei.
– Decisamente no, anche se, con tutto quello che hai mangiato, oggi gli saresti quasi stata alla pari!
– Oh, parla lui! Ti va di fare una passeggiata? Così forse riusciamo a smaltire qualcuna delle diecimila calorie che abbiamo ingurgitato! Magari arriviamo al parco.
– Va bene, è passato troppo tempo persino per me, dall'ultima volta che ho passato una giornata normale.
Ripulito il tavolino e gettati i rifiuti nei vari cestini della raccolta differenziata, si incamminarono verso il parco.
“Una giornata normale”, aveva detto Pete. Era solo la prima giornata, da parecchio tempo, in cui si sforzavano di non pensare alla guerra contro l'Orrore Nero, ma da qui a definirla normale ce ne correva. Già la mattinata, a Briz, era sembrata surreale, con il dottor Shidara e Pete che sembrava geloso.
E la quasi demenziale telefonata di Melissa? Quella era proprio stata ai limiti del paranoico! Ancora si chiedeva come avesse fatto a reggere una recita come quella, per quanto breve. Per non parlare del giro in moto…
E poi, a dirla tutta, una passeggiata nel parco con Pete, era una cosa normale? Non sapeva nemmeno lei cosa pensare…
E comunque, non potevano permettersi di dimenticare proprio tutto; istintivamente si portò una mano all'orecchio, all'interno del quale era installato il piccolo auricolare. Ormai vivevano con quel dannato aggeggio ventiquattr'ore su ventiquattro, esattamente come convivevano con il duro rigonfiamento del fulminatore laser sotto ai giubbotti.
Cercò di allontanare questi pensieri, e di godersi la passeggiata e il pomeriggio bello e soleggiato: il profumo di primavera aleggiava già nell'aria.
– Fermata obbligata! – esclamò la ragazza ad un tratto, dirigendosi verso una luccicante vetrina.
– Oh, ti prego! Non dirmi che sei una di quelle che vanno in brodo di giuggiole per i gioielli! Non te ne vedo mai addosso, a parte tutti quei ciaffi alle orecchie e, raramente, il braccialetto che ti abbiamo regalato per il tuo compleanno.
– Lo porto poco, perché mi piace troppo e ho paura di perderlo. Però oggi l'ho messo, come vedi – disse mostrandogli il polso – E hai ragione, in genere i gioielli non mi mandano giù di testa, ma in questa vetrina ce n'è uno per il quale ho fatto un'eccezione. Ogni volta che passo di qui, mi fermo a guardarlo per un po': ci ho messo sopra un'opzione.
– E quale sarebbe? – chiese lui incuriosito, raggiungendola davanti al negozio e guardando la profusione di oggetti preziosi e lucenti in mostra. Si aspettava un ciondolo o, più facilmente, un altro strampalato orecchino.
– Quello – fece invece Briz, indicando un anello di oro bianco su cui era montato un diamante: la pietra era quadrata, girata di traverso, con i quattro lati leggermente incurvati verso l'interno, che le davano l'aspetto di una piccola stella a quattro punte. Il diamante era di un bianco purissimo, e la trasparenza perfetta catturava i colori dell'iride, proiettandoli nei loro occhi. Non era il diamante più grande lì esposto, ma non sarebbe potuto stare nemmeno tra i più piccoli; eppure, anche Pete non poté fare a meno di pensare che, proprio per la sua semplicità, fosse sicuramente il più bello tra tutti quelli in esposizione.
– Caspita, Briz! Non si può certo dire che ti piaccia la roba brutta o da poco! Ma hai visto il prezzo?
– Mm-mm – assentì; aveva già calcolato che quella cifra scritta in yen, equivaleva a diverse migliaia di euro – Pensi che non possa permettermelo? Posso, credimi. Ho promesso a me stessa che, se alla fine della guerra, sarà ancora in questa vetrina, regalarmelo sarà una delle prime cose che farò per festeggiare. Hai qualcosa in contrario?
– Io? Ci mancherebbe. È solo che…
– Ti pareva che non ci fosse un ma! Ti vedo perplesso: spara.
– Ecco… mi sembra strano che tu ti compri da sola un gioiello del genere: questo è il tipo di anello che, di solito, un uomo regala a una donna per chiederle di sposarlo. Insomma, dai: è un anello di fidanzamento!
– Scusa, c'è scritto sopra, che può essere solo un anello di fidanzamento? Perché sai, io non vedo niente di tutto ciò! Andiamo, Pete, sono io! Credi davvero che esista qualcuno che un giorno mi chiederà di sposarlo regalandomi un anello simile? Se lo voglio, dovrò comprarmelo. E lo farò, perché mi piace e basta – concluse, decisa e pragmatica.
– Briz, la sera di Natale, parlando con Midori, dicesti, testuali parole: "Magari là fuori, da qualche parte, c'è davvero un bravo ragazzo disposto a passare la vita con una pazza sconsiderata come me". Devo aggiungere il resto che sentii, riguardo a “Due o tre bambini concepiti in… modo tradizionale”?  
Lei arrossì senza scampo, ma non si lasciò sopraffare dall’imbarazzo:
– Se è per questo, tu mi rispondesti che lo compatisci, “Quel povero bravo ragazzo che avrà la disgrazia di incontrarmi”. Cosa che non è ancora accaduta, e forse mai accadrà: mi sa che quello sfigato deve ancora nascere.
– Briz… ma tu te ne accorgi, che al mattino dici una cosa e alla sera ne dici un'altra? Un giorno ti senti strepitosa e invincibile, quello successivo bruttina e insignificante; un momento dici di non credere nelle promesse degli uomini e che “Ti amo” è solo una bella bugia, e quello dopo dici che da una storia d'amore “Vorresti tutto, perché non saresti disposta a dare niente di meno”. Sei un tantino indecisa, non trovi?
– Alla faccia! Dopo più di due mesi, ti ricordi che ho detto tutta 'sta roba? Per fortuna che la sera di Natale dovevi essere appena arrivato, col ramo di abete, fuori dalla porta! Chissà cos’altro hai vergognosamente origliato; no, non voglio saperlo, lascia stare! E comunque… probabilmente è vero, sono incoerente, cosa vuoi che ti dica? Di questi tempi, non ho un grande equilibrio psichico ed emotivo. Comunque, se ci tieni tanto a regalarmelo tu, il diamante, lo prendo volentieri. E pensa: ti risparmio il fidanzamento!
Pete la fissò con un sorrisetto tra l'ironico e lo sbalordito.
– Fanciullina, ma a te queste boiate vengono così, a braccio, o ci studi sopra la notte?
Briz non riuscì a trattenere una risata, poi, con l'indice sollevato, esclamò:              
– Carina, questa, ti è venuta bene. Stai migliorando, Richardson, devo ammetterlo; stai decisamente migliorando.
Pete le afferrò la mano e, trascinandosela dietro, replicò ridendo:
– Forza, Cuordileone, andiamocene di qui, altrimenti la padrona della gioielleria si aggiungerà alla schiera di quelli che ci vorrebbero davvero fidanzati: è già da un po' che ci guarda speranzosa da dentro il negozio! E io, scemo, che non ho ancora imparato a capire quando fai sul serio e quando mi prendi per il culo!
– Ehi, Capitan Perfettino, parli come un contadino!
– Maddài!? Indovina da chi ho imparato!
– E che ne so io! Non posso farci niente se frequenti persone sboccate e volgari!
– Smettila, tu non sei volgare: solo, ti diverte scandalizzare il prossimo col turpiloquio!
– Ma ti senti!? Sembri proprio un secchione di un prof!
– Veramente mi avevi appena dato del contadino! Ma la coerenza…?
– E allora? Ti ho appena detto che lo so, di essere incoerente: sei tu che non ascolti!
Continuarono su questo tono per un po', tra una risata e una presa in giro.
– Pete… – disse lei, dopo diversi istanti di silenzio.
– Che c'è?
– Lo so, dov'è il parco – rispose seria.
– Beh, lo immagino. E allora?
– Eh, allora… perché continui a tenermi per mano? Hai paura che mi perda per strada?
Entrambi abbassarono gli occhi, sulle loro mani ancora allacciate; non solo, le loro dita erano anche morbidamente intrecciate: ma come avevano fatto? Si guardarono e si sorrisero imbarazzati, e le loro mani si sciolsero.
Tutti e due andarono col pensiero a qualche giorno prima, al momento in cui avevano creduto che Sakon li avrebbe uccisi e le loro dita si erano cercate, intrecciandosi come in quel momento. Briz, riprendendo a camminare al suo fianco, ripensò di nuovo a quell'ultima notte nella cella della base zelana: sarebbe potuta essere l'ultima della sua vita, per quel che ne sapeva in quei momenti, e, anche se aveva dell'incredibile, proprio Pete era riuscito a rassicurarla, tenendola stretta a lui tutta la notte e infondendo nel suo cuore un po' di pace e di calore.
Quanti segreti nascondeva, questo ragazzo che si sforzava in tutti i modi di apparire diverso da quello che era? Beh, vista l'atmosfera rilassata e amichevole che si era creata tra di loro, decise che quel giorno avrebbe provato a farlo parlare: voleva assolutamente scoprire qualcosa in più, su di lui. Così, per pura curiosità, naturalmente; niente secondi fini.
Certo, se avesse immaginato, anche solo lontanamente, la piega che le cose avrebbero preso di lì a non molto, forse avrebbe rinunciato. O forse no… ma non aveva il dono della preveggenza.
Nel frattempo erano arrivati al parco e si erano seduti sul prato, nei pressi di un laghetto dove nuotavano placidi alcune anatre e qualche cigno; Briz aveva appoggiato la schiena al tronco di un albero.
– Allora… che mi dici di Melissa? È stata l'ultima di una lunga serie? – indagò Fabrizia in tono leggero.
Pete la guardò con aria interrogativa. Ah, però! Briz sfoderava senza preavviso l'artiglieria pesante! Bah, finché gli faceva domande di questo genere, poteva anche sbilanciarsi… ma giusto un po'.
– È stata l'ultima, ma non di una lunga serie; non sono mai stato un gran seduttore, e il mio carattere non mi ha certo aiutato. Prima di Melissa c'era stata Sophie – aggiunse pure.
– Ah, ma senti! E… quanto sono durate?
– Poco, tutte e due: qualche mese, ma senza promesse da parte di nessuno. Sophie mi ha lasciato lei, alla fine, e con ben pochi complimenti! Melissa l'ho scaricata io, perché stava venendo meno ai patti, mi toglieva il respiro: hai sentito anche tu che tipetto è. Due sbornie passate in fretta. E se proprio lo vuoi sapere, dopo Sophie e prima di Melissa ce n’è stata una della quale, molto vergognosamente, non ricordo nemmeno il nome: una notte e via. Come hai detto tu? Sesso e rock and roll? – concluse con tono di sfida.
– Pete, sono una sciocchina romanticona, ma non una bacchettona. Basta che fosse maggiorenne, consenziente e consapevole della situazione: ognuno fa quel che crede della propria vita privata.
Lui non rispose; se aveva pensato di scandalizzarla, era rimasto deluso, ma, in fondo, Pete era sempre stato il primo ad ammettere di essere piuttosto arido.
Se, fino a qualche tempo prima, Briz non aveva stentato a crederlo, ultimamente le riusciva più difficile: negli ultimi mesi aveva visto affiorare in lui caratteristiche che avevano un po’ minato l’ormai trita teoria del cuore di ghiaccio; così insistette.
– Dai, vuoi dire che non ti è mai capitato di prenderti una cotta mostruosa per qualcuna? Uno di quegli innamoramenti da cuore a mille, orecchie che vanno a fuoco e ginocchia che tremano? Da sognartela la notte ma anche di giorno, da vederla anche dove non c'era, da non capire più niente?
– Non da adulto – fu la laconica risposta.
– Uhm… E… prima? 
Per qualche motivo, Pete capì immediatamente cosa significasse quel prima: non tanto prima dell'età adulta, quanto prima di ciò che gli aveva ribaltato la vita, ovvero il naufragio in cui erano periti i suoi genitori. Distolse lo sguardo da lei, e per qualche interminabile momento sembrò incredibilmente interessato alle anatre del laghetto; poi gli uscì dalle labbra un nome, appena sussurrato.
– Tracy Ballantyne.
Bastò il tono con cui lo aveva pronunciato, per far capire a Briz che quella ragazza era stata diversa dalle altre; e se era successo prima, dovevano anche essere stati entrambi molto giovani. Non che la cosa la stupisse, era proprio da adolescenti che si prendevano le cotte più furiose e devastanti: se non lo sapeva lei!
– Ecco, questa Tracy mi pare interessante. Avanti, Dragonheart, mollati un po': bisogna tirarti fuori le parole con le tenaglie!
– Magari non ho voglia di parlarne, ti ha sfiorato l’idea? – fu la risposta un po' brusca.
Lei ribatté in tono diametralmente opposto, pacato e quasi spento:
– Tu ormai sai vita, morte e miracoli, di me. Non dico che tu me lo debba, però, porca miseria… non mi parli mai di te.
– Tanto per cominciare non so vita, morte e miracoli, Briz. Non vuoi dirmi della NGC, e va bene: non te lo chiederò più. Non vuoi dirmi cosa ti ha fatto Diego: va bene anche questo. E poi? Dio solo sa cos'altro mi nascondi, ma ho anche smesso da un po' di farti certe domande, se per caso non te ne fossi accorta.
– Diego… Uhmf, buono, quello! Non c'è niente da dire, per quello non ne parlo! Cosa vuoi sapere? Avevo diciassette anni scarsi, lui diciannove e io me la sono pure cercata!
– Eri innamorata di lui?
– Sì… No… Non lo so. Ero innamorata; ero stupida; ero… la prova che a quell'età non si capisce un tubo. Due terzi della popolazione femminile del liceo era innamorata di lui, in qualche modo! Potevo arrivarci perfino io, a capire che il superfigo della scuola non poteva fare sul serio con Fabry-Froggy. Ecco perché diffido degli uomini troppo belli e popolari: tutte li amano, e loro non amano nessuna. Tutto qui.
– Okay – si arrese Pete, sapendo che non avrebbe certo ottenuto i particolari, benché fosse convinto, anzi convintissimo, che non fosse affatto tutto lì. Ma capì che adesso toccava a lui.
– Cosa vuoi sapere di Tracy? – le chiese, rassegnato.
– Siete stati insieme tanto?
– Dai diciassette ai vent'anni, ma siamo stati in classe insieme fin dal primo anno di liceo, era la mia migliore amica; poi abbiamo scelto la stessa facoltà di Archeologia all'università. Avevamo la stessa età, anzi, Tracy sei mesi in più: lei era nata in giugno. E, prima che tu me lo chieda, era la ragazza più normale della Terra: capelli castani, occhi marroni, altezza media. Carina, ma non troppo appariscente…
– Ma tu eri innamorato, è evidente. Tre anni insieme, a quell’età, non sono pochi: è ovvio che fosse una cosa piuttosto seria.
– Lo era. Come hai detto tu prima: da non capire più niente – ammise Pete, guardando da un'altra parte.
– Ma allora… perché è finita?
Pete esitò; si guardò in giro un altro po' e si passò una mano tra i capelli. Briz ormai conosceva quel gesto, che faceva sempre quando era nervoso e che non serviva a niente, perché poi il ciuffo gli ricadeva sugli occhi esattamente come prima.
– Il naufragio… – sospirò.
– Oddio! È morta!? – sbottò Briz, sconvolta.
– Ma che hai capito? No, non è morta, lei non era con noi sulla nave. Tom ve lo avrebbe detto, no?
– Whoa! Meno male. Solo che, scusa, ma allora… non vorrai dire che ti ha lasciato proprio dopo quella tragedia! Quando avresti avuto più bisogno di lei!
Così dicendo, Briz cambiò posizione, andando a sedersi al suo fianco, ma girandosi al contrario, in modo da poterlo vedere in faccia. Lui continuò a tenere i gomiti sulle ginocchia e a guardare di fronte a sé, tormentando nervosamente un ramoscello.
– Non mi ha lasciato lei – confessò a voce bassa.
A Briz occorsero diversi secondi per metabolizzare la frase: non l'aveva lasciato lei…
– Ma che cosa vuol dire!? L'hai lasciata tu!?
Pete non rispose, e se era vero che chi tace acconsente
– L'hai lasciata tu! – ripeté Briz, ma stavolta non era una domanda, piuttosto una indignata affermazione – Oh, ma… Ma perché, in nome del Cielo!? Non capisco!
– Non capisci, eh? – la voce di Pete era diventata improvvisamente dura, fredda e impersonale, come all'inizio, quando si erano conosciuti; la guardò per un attimo, e per poco non si sentì fulminata.
– Quel disastro mi ha devastato! Mi si è come… rotto qualcosa… dentro. Non avevo più niente da darle, Briz! Niente di buono. Non mi importava più di nulla: né di lei, né dell’Archeologia, tantomeno di me stesso. Prima o poi, Tracy si sarebbe stufata di uno difficile come me, è stato meglio lasciar perdere, tagliare i ponti e fine, prima che lo facesse lei… e mi spezzasse definitivamente.
– Come fai a sapere che lo avrebbe fatto? Era la tua ragazza! Probabilmente in quel momento non avrebbe chiesto altro che essere la tua roccia, la tua ancora di salvezza! Non hai pensato di aggrapparti a lei? Di parlarle? Di dirle come ti sentivi?
– No! – fu la secca replica, seguita da un altro silenzio che le sembrò lunghissimo.
– Forse avresti dovuto, invece – disse lei, tagliente.
– Avrei dovuto? Ma che ne sai, tu? Hai capito cosa ti ho appena detto? Lo vuoi capire che… non ero più io!?  Tu non c'eri, quella notte, sulla nave! Non hai idea di cosa sia successo! Io non la meritavo una come Tracy; non potevo costringerla a rimanere legata al mostro che ero diventato, tormentato com'ero dai… sensi di colpa, e divorato dai rimorsi!
Briz non riusciva a capacitarsi della piega che quella conversazione aveva preso: non aveva mai visto Pete così sconvolto, eppure, allo stesso tempo, lo sentiva freddo e lontano; aveva di nuovo abbassato la testa, evitando il suo sguardo. Gli appoggiò una mano su una spalla e gli diede una leggera scrollata, per costringerlo a guardarla; lui lo fece per un attimo, poi riabbassò il viso, il tempo sufficiente perché lei vedesse nei suoi occhi un luccichio sicuramente insolito.
– Sensi di colpa? Rimorsi? Ma perché? Tom ci ha detto che è stato tuo padre a ubriacarsi e a non essere più in grado di affrontare la tempesta! Che cosa… cos'è successo, quella stramaledettissima notte!?
– Cristo santo, Briz! Tom non sa tutto quello che è accaduto! Mio padre… se ha bevuto fino a stordirsi, quella notte… è stato per colpa mia!
Pete nascose di nuovo il volto tra le braccia appoggiate alle ginocchia; non aveva mai raccontato niente a nessuno di quella orribile nottata e, per qualche assurdo motivo, stava rischiando di farlo proprio con Briz. Aveva già confessato anche troppo, ma si sarebbe fermato lì. Stava per prometterlo a sé stesso, quando sentì la mano della ragazza passargli dolcemente sui capelli. Quel gesto tenero innescò in lui una reazione totalmente inaspettata: sentì una spiacevole sensazione di pressione dietro agli occhi e la gola chiudersi. Sollevò appena la testa, sottraendosi alla carezza di Briz ed eludendo il suo sguardo; deglutì, tentando di eliminare quel senso di soffocamento, e abbassò le palpebre, sperando che passasse. Invece si accorse, con orrore, che quel gesto servì soltanto a fargli rotolare lungo le guance due lacrime brucianti.
– Ma che diavolo… – brontolò passandosi sugli occhi il dorso di una mano.
Non poteva credere che gli stesse succedendo una cosa del genere! Non sapeva se essere più sconvolto per quello o per ciò che aveva raccontato a Briz: non era nella sua indole, lasciarsi andare in quel modo.
– Che cosa mi stai facendo? Che cosa vuoi da me, Briz? – la accusò.
– I… Io non ti sto facendo proprio niente! E poi… cosa dovrei mai volere? Ma non vedi? Per una volta che finalmente spremi due lacrime, dai la colpa a me! E il bello è che non so nemmeno di cosa tu stia parlando!
Briz gli mise di nuovo una mano fra i capelli, ma stavolta in modo brusco, costringendolo a girarsi verso di lei e ad affrontare il suo sguardo. Pete la guardò, con gli occhi lucidi; ogni volta che li chiudeva per tentare di arginare quel… quella cosa, altre lacrime silenziose si facevano strada tra le ciglia e gli scivolavano lungo il viso: non servì stringere gli occhi, né mordersi le labbra. Non riusciva a sopportarlo… riabbassò la testa fra le braccia.
– Lasciami, io non piango! – disse, negando l'evidenza.
– Oh, sì che lo fai, ed era anche ora! Avevo sempre pensato che la soluzione per farti sciogliere un po', fosse nel riuscire a farti ridere. Sicuramente ha aiutato, ma adesso… credo che invece sia di questo, che hai bisogno: piangere. Pensi che ti giudicherò uno smidollato, per questo? Non ho mai pensato che un uomo che piange sia un debole, se ha un buon motivo per farlo – il suo tono si addolcì – E qualcosa mi dice che tu di motivi ne hai ben più di uno, ma non posso capirti, se non me li dici.
Di nuovo silenzio; Pete era troppo impegnato a cercare di controllarsi, senza peraltro riuscirci. Briz avrebbe voluto fare qualcosa, per farlo sentire meglio, ma non sapeva cosa: riusciva solo a starsene lì, seduta vicino a lui, senza sapere cosa dirgli.
 


 
Pete-Briz-laghetto-parco
Per quale assurdo motivo si sarebbe dovuto sentire in colpa lui, per quello che aveva fatto suo padre? Non riusciva proprio a spiegarsela, questa faccenda… e non pensava che sarebbero arrivati a questo. L'unica cosa che capiva era che, senza volerlo, aveva scoperchiato un vaso di Pandora di proporzioni epiche.
– Pete… mi dispiace… scusa… – gli disse, accarezzandogli di nuovo i capelli.
La risposta di Pete fu una spinta che la allontanò da lui, e le parole che seguirono, pronunciate con voce rotta, ma gelida, le diedero l'impressione di aver scavato un abisso tra di loro:
– Non mi toccare! Mi hai massacrato, Briz, lasciami in pace, per una volta!
Briz deglutì a vuoto, mortificata; si alzò in piedi, senza riuscire a capacitarsi di quello che aveva appena sentito, ma non era disposta a lasciarsi umiliare in silenzio.
– Ah, ti ho massacrato? Come se tu, con me, non l'avessi mai fatto! Bene, torna ad arroccarti nel tuo castello di ghiaccio, se è questo che vuoi. E scusami se, dopo tutto il tempo passato insieme, tutta la fatica, le avventure, le risate e i pericoli che abbiamo condiviso in questi mesi, mi ero illusa che io e te fossimo riusciti a diventare… qualcosa di simile a due amici. Mi sono sbagliata, è evidente. E perdona il sacrilegio che ho commesso: averti visto fare qualcosa di così terribilmente umano come piangere!  
Raccolse dall'erba il giubbotto di pelle e se lo infilò con movimenti rapidi e nervosi.
– Ti lascio in pace, come mi hai chiesto. Se vuoi tornare a casa, fai pure: più tardi c'è un autobus per il Faro, rientrerò con quello – concluse freddamente, allontanandosi.
Pete alzò appena lo sguardo e, con la vista annebbiata, la vide tirarsi su il cappuccio della felpa, affondare le mani nelle tasche del giubbotto e avviarsi a passo deciso, costeggiando lo steccato che delimitava il laghetto. Ma tutto quello che lui riuscì a fare, fu solo di riabbassare la testa e continuare a piangere silenziosamente; si rese conto di avere una ragione in più per farlo: aveva ferito Briz, al punto di farla addirittura scappare.
Per un lunghissimo, assurdo momento, si sentì profondamente solo. E quella cosa che lei aveva detto, sul fatto di essere diventati quasi amici… beh, doveva ammettere che non aveva nemmeno tutti i torti. Si diede del deficiente, poi del cretino, poi dell'idiota; asino, somaro, stupido! E imbecille! Nel giro di pochi minuti aveva esaurito il vocabolario degli insulti da rivolgere a sé stesso, ma non le lacrime. Ma quanti cacchio di litri ce n'erano in un corpo umano? 
Briz gli avrebbe probabilmente detto che lui non faceva testo, perché aveva gli arretrati, più gli interessi maturati in tutti quegli anni… o qualcun'altra delle sue assurde teorie del cavolo per cercare di sdrammatizzare.
Fu costretto ad ammettere che se c'era una persona che avrebbe potuto capirlo, era davvero lei: in fondo chi, più di quella pestifera fanciullina, avrebbe potuto essere il massimo esperto di pianti e lacrime?
Tuttavia poco prima, quando lei gli aveva accarezzato i capelli – e gli aveva persino chiesto scusa! – si era sentito travolto da una tale ondata di emozioni, da sentirsi completamente sopraffatto. Aveva dovuto allontanarla da sé, perché l'unica altra alternativa sarebbe stata stringerla fra le braccia e continuare a piangere come un bambino, col viso seppellito tra i suoi capelli, respirando il suo profumo fresco di biancospino.
"E allora, scemo atomico?" si disse da solo "Non sarebbe stato meglio, visto che tanto, a piangere, stai continuando comunque?" 
Chissà se, con un po' di fortuna, avrebbe potuto ancora rimediare qualcosa.
Strofinandosi il palmo di una mano sugli occhi, prese il cellulare dalla tasca accorgendosi, con un po' di sollievo, che il fiume in piena sembrava essersi placato. Trovato il contatto di Briz, le inviò uno sbrigativo messaggio: "Dove sei?" 
La risposta arrivò dopo più di un minuto: "Nel Congo! E dove vuoi che sia? Sto facendo il giro del laghetto, tra dieci minuti sarò di nuovo lì, quindi ti conviene andartene, se non l'hai già fatto!"
Merda, era davvero arrabbiata… Però decise che l'avrebbe aspettata, se non altro per una questione di principio: non esisteva proprio che Pete Richardson portasse una ragazza da qualche parte e poi la facesse tornare da sola!
Si alzò in piedi, si avvicinò al laghetto e appoggiò le braccia allo steccato, scompigliandosi i capelli e guardando l'acqua che si increspava alla brezza. Sì, ma certo! Chi voleva prendere in giro? L'avrebbe aspettata perché era lui, ora, a doverle delle scuse… e magari anche per raccontarle cosa fosse accaduto tra lui e suo padre, quella notte, prima che si scatenasse la tragedia.
Sempre che lei avesse avuto ancora voglia di ascoltarlo, furiosa com’era.
 
> Continua…
 
 
 
E adesso? Fabrizia avrà voglia di ascoltarlo, Pete, o deciderà di prendere l’autobus? Bel dilemma…
  
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