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Autore: _Frame_    09/04/2017    5 recensioni
Ogni tanto si ha l’impressione che l’Asse abbia perso la guerra solo perché nessuno ha dato retta ai tedeschi. Questa è la mia (idiotissima) versione dei fatti.
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Un’altra mini parodia tratta dal capitolo 122 de ‘Il Miele sul Bicchiere’, leggibile separatamente.
L’ultima parte non è da prendere come il vero finale della fan fiction principale, lo giuro.
Genere: Comico, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axis Powers/Potenze dell'Asse, Germania/Ludwig, Giappone/Kiku Honda, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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Link al Capitolo 122: Il Miele sul Bicchiere/122




Fraintendimenti e Piani super malvagi

 

 

L’ammiraglio giapponese batté la stecca sopra la carta geografica che racchiudeva Ford Island. Traiettorie rosse circondavano l’isola e croci dello stesso colore rappresentavano il futuro percorso delle ondate aeree che avrebbero scaricato i siluri sui punti strategici della base americana. “E questa in conclusione è la nostra proposta per il piano super malvagio che ci permetterà di impadronirci di tutto il Pacifico ed espandere di conseguenza la nostra potenza su tutto il territorio asiatico.” Staccò la punta della stecca dalla cartina appesa al muro e la fece tamburellare sul palmo. Rivolse lo sguardo a Giappone, in cerca di approvazione. “Signore, per caso i tedeschi hanno qualcosa in contrario?” gli chiese. “Ci è permesso attaccare l’America?”

Giappone sollevò le punte delle sopracciglia, i profondi e calmi occhi neri davano al suo sguardo un aspetto placido e mite. “Se i tedeschi hanno qualcosa in contrario?” Si strinse il mento fra le dita, sollevò gli occhi al soffitto e fece tamburellare l’indice sul labbro. “Mhm, lasciate che ci pensi...” Una nuvoletta di ricordi si espanse sopra la sua testa.

 

♦♦♦

 

Germania fece ondeggiare il suo champagne dentro il calice che gli avevano offerto per il brindisi al Patto Tripartito. Annuì con aria assorta dopo il monologo che aveva esposto a Giappone durante il corso della serata. “E quindi questo è il mio piano super malvagio per impadronirmi di tutta l’Unione Sovietica e tentare di conquistare il mondo.” Prese un sorso di champagne e tese l’indice verso Giappone. “Ovviamente intendo il mondo intero, ma per il momento non attaccare America, a lui penseremo più tardi, va bene?”

Giappone abbassò il suo bicchiere e piegò un piccolo inchino di assenso. “Sì, Germania-san.”

 

.

 

“E questo sarebbe dovuto essere il piano super malvagio di Italia per impadronirsi di Grecia e tentare di conquistare i Balcani.” Germania fece un passo indietro, si mise accanto a Giappone, ed entrambi tennero gli sguardi alti sulla cartina del Peloponneso. Croci rosse segnavano le basi di partenza da cui le truppe italiane si erano addentrate nel territorio greco. Germania sospirò, sconfortato, e si strofinò la nuca. “È una gran bella seccatura, lo ammetto, anche perché mi costringe a rimandare il mio piano super malvagio per invadere l’Unione Sovietica.” Di nuovo rivolse lo sguardo a Giappone e lo bacchettò con la punta dell’indice. “Italia ha già fatto abbastanza danni, quindi è di vitale importanza che tu mantenga un profilo basso. Non aprire altri fronti di guerra e, soprattutto, non attaccare America. Intesi?”

Giappone annuì, rimase a capo basso. “Sì, Germania-san.”

 

.

 

Germania picchiettò l’estremità del gessetto sull’ultimo punto che aveva segnato sulla lavagna sotto la parola ‘Operazione Judgment’. “E questo in sostanza è stato il piano super malvagio di Inghilterra per dimezzare il potenziale della Regia Marina e annichilire Italia.” Staccò il gessetto dalla lavagna e lo rivolse a Giappone, facendolo ondeggiare. “Prima o poi gliela faremo sicuramente pagare, ma senza coinvolgere o attaccare America, chiaro?”

Giappone abbassò il blocco di appunti che aveva riempito durante la riunione e flesse una riverenza di spalle. “Sì, Germania-san.”

 

.

 

La voce di Germania lo raggiunse dall’altro capo della cornetta. Suonò sgranata e affaticata, scossa da una punta di disperazione. “Giappone, qui in Unione Sovietica le cose non stanno andando esattamente come previsto e forse Russia ha in mente un piano super malvagio migliore del nostro piano super malvagio. Non dobbiamo esporci in nessun’altra maniera fino a che qui le cose non saranno migliorate, perciò sta’ lontano da America, mi raccomando.”

Giappone tenne la cornetta del telefono premuta all’orecchio e si inchinò anche se Germania non poteva vederlo. “Sì, Germania-san.”

 

♦♦♦

 

Giappone sbatté due volte le palpebre, sciolse le immagini dei ricordi dalla nuvoletta galleggiante sopra la sua testa che si smaterializzò in uno sbuffo. Tornò con la mente assieme all’ammiraglio, davanti alla mappa di Pearl Harbor appesa alla parete, ma le parole di Germania, i suoi consigli, le sue preoccupazioni e le spiegazioni dei suoi piani super malvagi continuavano a echeggiargli nella testa. La sua voce era pregna di fiducia e di aspettativa nei confronti di Giappone. E Giappone non sarebbe stato da meno nei confronti del suo alleato!

Giappone voltò lo sguardo verso il suo ammiraglio, prese un breve respiro, strinse un pugno davanti al petto e annuì. “Credo che Germania abbia detto che è finalmente giunta l’ora di attaccare America.”

 

♦♦♦

 

Quattro anni dopo

 

Giappone sollevò le mani dalle ginocchia, scosse le braccia piegate verso i fianchi, e le sue spesse manette d’acciaio tintinnarono attorno ai polsi. Sospirò, tornò a poggiare le spalle alla parete di cemento della cella, fece ciondolare le braccia dalla panca su cui era seduto assieme ai suoi alleati, e spostò lo sguardo assente verso le sbarre che li separavano dal corridoio. Sopra la loro prigione, un cartello tracciato con la calligrafia di America recitava: ‘ASSE SUPER MALVAGIO – Non dare da mangiare attraverso le sbarre!’.

Germania premette i gomiti sulle ginocchia, incrociò le braccia al petto e anche le sue manette emisero un tintinnio arrugginito. Aggrottò la fronte, divenne scuro in volto, e picchiettò la punta di un piede sul pavimento. “Sì, ma se nessuno mi ascolta...”

Italia si raggomitolò dall’altro lato della panca e si dondolò avanti e indietro stringendo le gambe al petto. Tirò su col naso, una lacrimuccia piovve da una guancia. “Io non dovrei nemmeno essere qui,” piagnucolò.

Oltre le umide e scure pareti della prigione, al di là dei corridoi sotterranei, dall’interno di una delle galanti e spaziose sale per le riunioni, cinque calici colmi del miglior champagne francese tintinnarono fra loro. Brindarono la vittoria degli Alleati.

 

 

Fine

   
 
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