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Autore: SheDark    17/04/2017    0 recensioni
Tratto dal testo:
"Michael era capace di mettermi a disagio con la sola sfrontatezza, era una sensazione che odiavo e con cui allo stesso tempo avevo imparato a convivere.
«Tu mi odi vero?» formulai la domanda che mi frullava in testa da tempo con una semplicità che lasciò di stucco anche me.
Sapevo che avrei dovuto aspettare per avere una risposta."
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Prima storia della serie 5 Stuff Of Season (5SOS)
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Clifford, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '5 Stuff Of Season (5SOS)'
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Sbattei le palpebre un paio di volte prima di aprire gli occhi, le luci fredde dei lampioni che illuminavano la notte mi scorrevano sul viso ad intermittenza, riflettendo sul vetro del finestrino. Buio. Luce. Buio.
Le strade deserte di Sydney si snodavano sotto al mio sguardo seguendo l'andamento calmo ma sostenuto della macchina, la radio accesa e tenuta ad un volume così basso che mi ci volle un po' a riconoscere la canzone. Il ritmo ovattato delle percussioni e poi l'armonia di una chitarra, cos'era: are we the waiting?

“Starry night city lights coming down over me
Skyscrapers and strangers in my head”

Richiusi gli occhi lasciandomi cullare da quella melodia rilassante e quelle parole che sembravano essere state scritte appositamente per quel preciso istante, per me.
«“Are we we are, are we we are the waiting unknown?”» si unì una voce nell'abitacolo quasi coprendo quella di Billie Joe Armstrong.

“The dirty town was burning down my dreams,
lost and found city bound in my dreams.”

Mi voltai verso il mio autista. Le mani dalla pelle chiara ferme sul volante, i capelli tinti spettinati, gli occhi grigio-verdi fissi sulla strada, le labbra rosee che si muovevano seguendo le parole della canzone.  «“And screaming,”» di nuovo la sua voce sopra a quella registrata, «“are we we are, are we we are the waiting”»
«“And screaming,”» mi unii a lui tenendo la voce un'ottava più alta dalla sua, Michael si voltò verso di me zittendosi. «“Are we we are, are we we are the waiting”» continuai a cantare, sorridendo poi la ragazzo.
«“Forget me nots and second thoughts, live in isolation.”» continuammo insieme, le nostre voci che si armonizzavano l'una con l'altra, «“Hends or tales and fairytales in my mind.”»
«Ehi, ti sei svegliata.» salutò poi sorridendomi mentre i ritornello si ripeteva in sottofondo riempiendo l'abitacolo. Annuii ricambiando il sorriso.
L'auto si fermò ad un segnale di “stop”, sebbene non servisse dato che a quell'ora non c'era nessun altro in strada, e Michael ne approfittò per sporgesi verso di me.  «“The rage and love: the story of my life.”» riprese a cantare guardandomi intensamente, come se quelle parole fossero riferite esattamente a lui e a nessun altro.
Non mi diedi il tempo di pensare, mi avvicinai a lui annullando la distanza tra le nostre labbra. Michael fu preso alla sprovvista e si irrigidì all'istante, mi staccai subito: Che mi era preso?
«Scusa, io...» iniziai a balbettare completamente in imbarazzo.
«Shhh.» mi zittì lui a pochi centimetri dalla mia bocca, le sue mani calde sulle mie guance. Occhi negli occhi. Mi persi in quel cielo tempestoso che erano le sue iridi, le pupille dilatate che si spostavano impercettibilmente dai miei occhi alla mia bocca dischiusa. Michael fece nuovamente combaciare le nostre labbra, le mie dita andarono naturalmente tra i suoi capelli, trovandoli così morbidi al tatto.
Ci scambiammo quel bacio che racchiudeva in se tutto ciò che volevamo esprimere entrambi:  perdono, gratitudine, comprensione, amore. Si, forse era proprio amore quella cosa che mi faceva mancare il respiro; quell'emozione capace di farmi battere così forte il cuore tanto da fermarlo per un brevissimo secondo. In quel preciso istante c'eravamo solo noi, solamente io e Michael in tutto l'universo. Persi per le strade di una Sydney addormentata, in un'auto illuminata dalla luce innaturale dei lampioni, e i Green Day in sottofondo.
Non mi importava che la canzone fosse cambiata. Non mi importava del passato, mi dimenticai gli episodi che ci avevano visto come i due principali protagonisti e ogni lacrima versata fu cancellata da quel semplice bacio. Non mi importava nemmeno del futuro, di quello che sarebbe successo dopo, lasciai solamente che quella nuova emozione si impossessasse di me prendendo il posto di tutto il resto. C'eravamo solo noi, due anime che si erano sempre appartenute senza nemmeno saperlo, e questo era tutto ciò che importava veramente.
«Era da quella notte al mare che aspettavo di rifarlo.» ammisi in un bisbiglio appena ci staccammo, come se fosse un reato rompere quel magnifico silenzio che si era creato.
«Io da tutta la vita.» sussurrò lui di rimando guardandomi negli occhi. Sorrisi e lo attirai nuovamente verso di me reclamando un altro bacio, un uragano di farfalle nello stomaco ed il cuore che martellava nel petto.
«Forse è meglio se ora partiamo.» disse poi Michael alludendo all'auto ancora ferma allo “stop” e facendomi ridere. Annuii mordendomi il labbro inferiore, si avvicinò nuovamente lasciandomi un languido bacio prima di rimettersi alla guida.
Mi voltai verso il finestrino mentre la macchina riprendeva il suo percorso e solo allora mi resi conto che eravamo in una zona della città lontana dal nostro quartiere; va bene che mi ero addormentata ma saremmo già dovuti essere a casa, o perlomeno nei paraggi. «Quanto ho dormito?»
«Circa mezz'ora.» rispose lui.
Presi il cellulare per vedere che ore erano: 02:01.  Com'era possibile che non eravamo ancora arrivati? Spostai di nuovo l'attenzione fuori dal finestrino, forse nel buio della notte non ero riuscita a riconoscere la strada. No, niente: eravamo proprio lontani da casa.
«Ho deciso di allungare un po'.» spiegò Michael come se fosse riuscito a leggere nei miei pensieri. «Una volta a tavola Rose-Anne ha raccontato che da piccola l'unico modo per calmarti erano i lunghi giri in auto.» Gli sorrisi riconoscente. «“So we're taking the long way home 'cause I don't wanna be wasting my time alone.”» iniziò a canticchiare Michael con una melodia che non riuscì a riconoscere, sovrastando i Green Day in radio.
«E questa?» gli chiesi incuriosita sorridendo.
«Me la sono inventata sul momento.» spiegò compiaciuto fermando la macchina ad un semaforo rosso. «“I wanna get lost and drive forever with you.”» canticchiò ancora rubandomi un altro sorriso e facendomi arrossire; si sporse nuovamente verso di me per darmi un bacio.
Sembrava tutto così irreale, avevo tanta paura di svegliami e scoprire che fosse solamente  uno stupido e magnifico sogno.
 

*  *  *
 

Mi sentii chiamare mentre la spalla veniva mossa leggermente e mi costrinsi ad aprire gli occhi; alla fine mi ero riaddormentata, o forse non mi ero proprio mai svegliata. Mi sentii cadere la terra sotto ai piedi: proprio come temevo, era davvero tutto solo un sogno.
Spostai lo sguardo alla mia destra, sul mio disturbatore: Michael teneva la porta della macchina, chinato per portare lo sguardo all'altezza del mio. Tutto ritornò alla mia mente come un flashback: la festa e Daniel ubriaco, Mike che ara apparso come un angelo a salvarmi, poi i nostri baci in auto (sebbene quest'ultimo ricordo sembrava più una fantasia che la verità). I miei occhi si riempirono inevitabilmente senza possibilità di fermare le lacrime.
«Che succede, piccola?» domando allarmato mentre mi lanciavo tra le sue braccia, cademmo goffamente sul pavimento del garage. Iniziai a singhiozzare e Michael mi strinse con delicatezza come se fossi di porcellana e mi potessi rompere da un momento all'altro. «Non pensare più a quel bastardo. Ci sono qua io, stai tranquilla.» continuò sussurrando mentre passava le mani sulla mia schiena, cullandomi per calmarmi.
Strano, pensai, ero tra le braccia del ragazzo da cui mi ero sempre fatta difendere e adesso mi stringeva protettivo rimettendo al loro posto i frammenti di cuore che lui stesso aveva rotto.
«Ti prego, non mi lasciare.» mormorai sulla sua spalla.
Michael mi strinse ancora più forte, «Te lo prometto.» sussurro.  Mi pose una mano sotto al mento invitandomi ad alzare il viso e puntare gli occhi nei suoi, «Me lo fai un sorriso ora?» chiese quasi supplicando.
Annuii obbedendogli, lui posò delicatamente le labbra sulle mie facendo  intensificare quel sorriso mentre le guance iniziavano a bruciare e a colorarsi di una tonalità di rosso. Felicità allo stato puro.
«Sono contenta che non sia stato un sogno.» commentai senza pensarci, Michael mi osservò incuriosito senza capire a cosa alludessi. «Niente.» scossi la testa ridendo e lui fece lo stesso. «Sai, ti preferisco così.» continuai appoggiandomi alla sua spalla e chiudendo gli occhi per assaporare quel momento: alla fine Michael aveva trovato il coraggio di fidarsi e di farsi conoscere per quello che era realmente, e ne ero grata.   «Dove sei stato fino adesso?»
«Mi ero perso in me stesso,» rispose cullandomi lievemente, il pollice che descriveva piccoli cerchi sul mio braccio, «ma ora mi sono ritrovato e non ho nessuna intenzione di tornare indietro.» Sorrisi orgogliosa di lui e della persona che era diventata senza che me ne rendessi conto.
Non sapevo ancora che cosa avesse innescato quel suo radicale cambiamento, cosa lo avesse spinto ad abbandonare la maschera da duro per mostrare la sua vera natura. Forse non lo volevo nemmeno sapere veramente, dopotutto non era così importante (sarei rimasta sempre con la curiosità, certo), ma in verità mi importava solo di essere riuscita finalmente a vedere Michael, il vero e unico Michael Clifford. In fin dei conti ero stata capace di scalfire e a distruggere la sua corazza con il potere di quell'emozione a cui ancora non riuscivo a dare un nome, ma che sentivo scorrere nelle vene e che vedevo riflessa anche nel grigio delle sue iridi. Si era sciolta come neve al sole lasciando posto a quel piccolo germoglio che cercava disperatamente di crescere; bastava solo un piccolo aiuto, un po' di tempo e tanta pazienza, per farlo diventare uno splendido fiore.
Rimanemmo così, stretti sul pavimento del garage, per ancora qualche minuto poi Michael mi accompagnò dentro casa e mi chiese che potesse fare per me, era così premuroso che faticavo ancora a riconoscerlo. Gli risposi che l'unica cosa di cui avevo bisogno in quel momento fosse un bagno caldo e così mi lasciò sola mentre mi dedicavo a quel momento di relax.
L'acqua ormai tiepida mi cingeva il collo proprio sotto al mento provocandomi un piacevole solletico alla base del collo, mentre le increspature dovute ai miei movimenti facevano ondeggiare leggermente le bolle di schiuma. Sentì bussare e così mi tirai su la testa aprendo gli occhi e pronunciando un timido “si”.
«Tutto bene Sam?» la voce di Michael mi raggiunse da dietro la porta del bagno, «È da un'ora che sei li.»
«Si, certamente. Scusa.» Non pensavo fosse passato così tanto tempo. «Cinque minuti ed esco.»
L'acqua insaponata si mosse rumorosamente mentre mi alzavo tenendomi saldamente ai bordi della vasca, tolsi il tappo sul fondo lasciando che il liquido scivolasse con un gorgoglio nello scarico; nel frattempo mi asciugai e poi indossai il pigiama che mi ero portata dietro.
Trovai Michael che mi aspettava in camera mia seduto sul letto, appena entrai nella stanza si alzò avvicinandosi a me e chiedendomi se stessi bene, gli sorrisi annuendo.
«Questo deve essere tuo.» disse estraendo qualcosa dalla tasca e porgendomela.
Afferrai quello che riconobbi come  il mio cellulare ringraziandolo e chiedendomi mentalmente dove lo avesse trovato, solo allora mi accorsi delle screpolature rossastre sulle nocche, gli afferrai la mano destra analizzando le ferite.
«Ho tirato un pugno ad Honeycut,» spiegò Michael, «era la prima volta che lo facevo.» continuò soddisfatto e sussultando appena vi passai sopra il polpastrello, «Non pensavo facesse male tirare un pugno a qualcuno.» ammise con un sorriso tirato.
«Vieni che ti disinfetto.» dissi ridendo tirandolo verso il bagno; Mike intrecciò le sue dita alle mie facendomi sorridere senza motivo. «Brucerà un pochino.» lo avvertii mentre versavo un po' di acqua ossigenata su un batuffolo di ovatta.
«Non ti preoccupare,» disse coraggiosamente facendomi l'occhiolino, «non sono mica un bambin... Oh cazzo se brucia!» commentò appena appoggiai il cotone sulla ferita.
«Io ti avevo avvisato.» gli ricordai continuando a tamponare le nocche, «Ma cerca di soffrire in silenzio, e sopratutto fermo!» continuai tirandogli la mano che aveva appena cercato di sfilare via.
Michael sbuffò alzando gli occhi al cielo e stringendo i denti, ma rimase fermo e zitto come gli avevo chiesto e pochi secondi dopo lo lasciai andare annunciando che avevo finito. L'orologio digitale sull'armadietto del bagno segnava le 3:42 del mattino, gli proposi di andare a dormire e così ci incamminammo verso le nostre rispettive camere da letto.
«Michael?» lo richiamai, lui si fermò sulla porta della sua stanza osservandomi. Mi guardai i piedi nudi sentendomi inspiegabilmente in imbarazzo, «È strano se ti chiedo di dormire con me per stanotte?» domandai alzando gli occhi su di lui, «Cioè, almeno finché non mi addormento.» mi affrettai a dire mentre le guance iniziavano a bruciarmi.
Michael si avvicinò a me e io mi persi nel verde delle sue iridi mentre lui acconsentiva a quella mia insolita richiesta. Mi sistemai sotto le coperte aspettando che lui facesse lo stesso dall'altro lato del letto da una piazza e mezza, poi mi accoccolai al petto di Mike trovando nel calore del suo corpo la sicurezza che stavo cercando e chiusi gli occhi cullata dal suo respiro.

   
 
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