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Autore: jacksmannequin    19/04/2017    0 recensioni
[Pete/Patrick] [Brendon/Ryan] [Eventual OT3] [Noir, 50s] [Traduzione]
Sembrava un caso semplice per Patrick Stump. Rintracciare Ryan Ross, musicista di Las Vegas in fuga in California, e farlo riunire con i suoi amici preoccupati. Ma, come ogni investigatore privato dovrebbe sapere, non esistono casi semplici. Dalla città degli angeli a Sin City e ritorno, Patrick scopre che le luci accecanti rendono solo le ombre più buie, e risolvere questo caso non sarà una passeggiata al parco.
Tutto ciò senza Pete Wentz. Cliente. Informatore. Guai avvolti in charm e tatuaggi. Può aiutarlo a risolvere il caso, o lo distrarrà abbastanza da farli uccidere entrambi? Scopritelo in 'The Cat's Miaow'.
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Attenzione: questa storia non è mia, ma una traduzione dell'originale di Pennyplainknits di Archive Of Our Own.
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cobra Starship, Fall Out Boy, Panic at the Disco, The Academy Is
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le possibilità di trovare qualcosa di utile sui corridori erano inesistenti come la neve a Las Vegas, ma avevo speranza per il terzo studio nel quale provammo. Joe aveva messo una buona parola per noi con il regista, e sembrava esserci affezionato. La bionda a guardia dell'ingresso ci piazzò in un angolo del set e ci ordinò di aspettare che finissero di girare. Pete si guardò intorno, osservando il caos e l'andirivieni di persone. Non l'avevo mai visto così silenzioso. Mi toccò il gomito e fece un cenno con la testa in direzione di un tizio con la faccia arrabbiata che stava lavorando alle luci.

«Ted Grant. Uno di quelli di Neumann.»

Arretrai di qualche passo, spostandomi dietro delle casse ammassate una sull'altra, e tirai Pete insieme a me. Mi avvicinai al suo viso, sentendolo rabbrividire quando le mie labbra sfiorarono il suo orecchio.

«Pensi che potrebbe riconoscerti?» mormorai.

Pete si strinse nelle spalle e rispose con il mio stesso tono di voce, «Non saprei. L'ho visto in giro abbastanza volte da sapere che faceva il sicario per Neumann, ma non ci ho mai parlato. Non so nemmeno se sia mai venuto a qualche mia esibizione. Però faresti meglio a darmi questo, non si sa mai.»

Mi rubò il cappello e se lo mise in testa, abbassandolo abbastanza da coprirsi il viso.

«Rinuncerò anche a metà della mia paga se basterà a farti comprare un dannato cappello», gli dissi nell'orecchio.

«Mi piacciono perché sono tuoi», replicò, il viso appoggiato alla mia guancia. Restammo fermi così, pelle contro pelle, e il tempo sembrò fermarsi finché un cut! ruppe il silenzio.

Il set sembrò tornare in vita non appena il regista disse, «Abbiamo finito, mezz'ora di pausa pranzo. Mangiate qualcosa, mi raccomando.» Si mise a ispezionare una risma di fogli fitti di appunti, dandomi l'opportunità di abbandonare il nascondiglio dietro le casse e farmi notare dal regista, il quale ci fece un cenno non appena ci vide.

Era più basso di me, cosa talmente rara da farmi sentire un gigante. Teneva una matita masticata dietro l'orecchio.
A differenza dei registi movimentati e nervosi che erano soliti far parte degli aneddoti di Joe, questo sembrava mantenere un'aura di calma costante, in contrasto con il viavai di persone che si svolgeva attorno a lui.

«Mr Stump.» Mi strinse la mano nel salutarmi. «Adam Levine.»

«Grazie per aver acconsentito a incontrarci», dissi, «questo è Pete Wentz, il mio associato.»

«Piacere di conoscerla.» Levine si affrettò a salutarlo. «Ho una ventina di minuti liberi. Joe mi ha detto che potreste avere un modo per tenere quelle dannate droghe fuori dal mio set.»

Fui sorpreso dalla sua schiettezza. Il mio stupore dovette risultare evidente, data la sua risposta. «Una delle ragazze di Joe sta lavorando qui; era preoccupato per lei e ha deciso di fidarsi. Ho provato a tenerla d'occhio, ma nonostante ai registi piaccia ritenersi onnipotenti, non possiamo avere ogni cosa sotto controllo. Ieri era talmente fatta da costringermi a invertire alcune scene, visto che riusciva a malapena a parlare.»

«Abbiamo ragione di pensare che siano i corridori a portare la roba sul set. Vorremmo provare a parlarci, convincerli a dirci qualcosa.»

Si portò una mano alla nuca. La sua manica si sollevò rivelando un tatuaggio, un pezzo di un cuore rosso. «È difficile riunirli tutti. Corrono, dopo tutto. Ma posso darvi un elenco di nomi e mandarveli se non hanno niente da fare questo pomeriggio. Merv?»

Si voltò verso un tizio seduto nella sedia dell'assistente alla regia, un ragazzo con lo stesso entusiasmo di una sedia. «Puoi chiedere ad H la lista degli aiutanti?» Merv si allontanò senza rispondere. Pete si mise a infastidire Levine per ingannare il tempo, cercando di farsi rivelare la fine del film. Scrutai il set invano. Era un po' troppo sperare in un corridore che distribuiva volantini con listini prezzi di droga.

Levine ci lasciò utilizzare il suo ufficio, andandosene con uno sguardo preoccupato. Riuscivo a vedere perché piacesse a Joe.

Purtroppo, le buone intenzioni non ci portarono molto lontano. Il pomeriggio stava finendo e nessuno aveva parlato. Bocche cucite più a fondo di Fort Knox. Pete si dondolò sulla sua sedia, tenendola in equilibrio su due gambe.

«Riuscirei ad ottenere più gossip da una suora», si lamentò, frustrato.

Mi tolsi gli occhiali e mi sfregai gli occhi; sentivo un mal di testa farsi strada. Avevamo ottenuto confusione, ignoranza, smentite, un bizzarro accenno di indignazione e un corridore che guardava Pete come se fosse un pasto. Niente di utile.

«Benvenuto nell'affascinante vita di un investigatore privato», dissi con del velato sarcasmo. «Non hanno alcuna ragione per parlarci. Se la cosa arrivasse a Neumann, beh. Sappiamo cosa succede quando ci si mette contro di lui.»

La sedia fece un rumore sordo quando Pete la rimise nella sua posizione naturale. «Direi di andarcene.»

Sapevo che eravamo sulla pista giusta, ma non avremmo ottenuto nulla quel giorno.

«Concordo», affermai. «Vedrò di fermarmi alla stazione e parlare con Hurley. Magari la polizia riuscirà a risolvere qualcosa.»

Pete non dava l'impressione di esserne tanto convinto, ed io lo capivo.

Levine fece capolino dalla porta.

«Noi ce ne stiamo andando. Ho provato a mandarvi più persone possibili. Trovato qualcosa?»

Aveva lo stesso sguardo di un cagnolino in attesa di cibo, ma non avevamo nulla da dargli. Scossi la testa.

«Grazie per il suo tempo, Mr Levine, ma non credo che parleranno. Se scopre qualcosa, mi può raggiungere qui», dissi, porgendogli un biglietto da visita.

Annuì. «Certamente.»

Pete si mise in piedi e mi seguì fuori dall'ufficio. Aveva ancora il mio cappello addosso.

***

L'impiegato all'ingresso della stazione di polizia mi guardava come se fossi stato meglio ad occupare una cella piuttosto che portare informazioni. Tutti quelli seduti lì hanno sempre lo stesso sguardo; sicuramente li aiuta a risparmiare tempo. Pete si mise a leggere i poster dei ricercati mentre io mi accingevo a scrivere un messaggio a Hurley su un pezzo di carta.

«Potrebbe far sì che questo arrivi ad Hurley?» chiesi. «Ha a che fare con un caso che sta esaminando.» Il sergente grugnì e lo fece scivolare sotto una tazzina di caffè con un'espressione sdegnata. Me ne andai prima di dire qualcosa che lo avrebbe convinto ad arrestarmi.

Pete mi diede una gomitata mentre ci dirigevamo verso la macchina.

«Questa è davvero la parte meno affascinante, eh?»

Risi. «Tutto il lavoro è la parte meno affascinante. Non credere a tutto quello che vedi nei film.»

«Sicuramente dopo oggi non lo farò più.»

«Non c'è mai una risposta semplice a casi di questo genere», gli dissi. «Ci vogliono pazienza, testardaggine e fortuna.»

«Ci arriveremo», mi rispose.

Apprezzavo i suoi tentativi di concentrarsi sul lato positivo, ma quell'onnipresente sentimento di frustrazione non intendeva lasciarmi in pace. Due passi in avanti, un passo indietro, e la fine sembrava non apparire mai. Mi ero forse fatto distrarre dalla costante presenza di Pete e tutte le promesse che ogni suo movimento sembrava proporre? Mi ero troppo abituato ad averlo vicino per concentrarmi completamente sul caso? Sarebbe stato più semplice concentrarsi senza quella continua tentazione? Lo guardai furtivamente, seduto nel sedile del passeggero, e non riuscii a rimpiangere nulla.

Pete riempì il silenzio angoscioso che si era formato con osservazioni sulla città, storie di spettacoli finiti male e speculazioni su dove dirigerci. Smise di parlare solo dopo cena.

«Patrick», mi chiamò, «cosa sta succedendo nella tua testa?»

Alzai lo sguardo dal piatto, spostando pigramente quel poco che vi era rimasto con la forchetta. Pete aveva la faccia di qualcuno a cui sono state rubate le caramelle. Realizzai che lo stavo ignorando. Probabilmente non ci era abituato.

«Stavo solo pensando a cosa fare dopo», risposi. «Sembra che ogni pista che trovo in questo caso ci faccia finire in un vicolo cieco. Non avrei mai trovato Ross se non fosse stato per Mr Beckett e –»

«L'avresti trovato», mi interruppe. «L'avresti sicuramente trovato. Sono sicuro che hai ragione anche sui corridori. Non è colpa tua se la polizia non ti ascolta.»

«Non serve che provi a migliorare la situazione.» Strisciai il coltello sul piatto, facendolo stridere. «Non stiamo arrivando da nessuna parte.»

«Oggi non siamo arrivati da nessuna parte», mi corresse. Si sporse verso di me e mi tolse gentilmente il coltello dalle mani. «Domani sarà diverso. Neumann avrà ormai capito che gli stiamo dietro, prima o poi commetterà un errore.»

«Lo scopriremo se qualcuno ci aggredirà di nuovo in un vicolo.»

Pete si accigliò. «Non scherzare su queste cose.»

Mi strinsi nelle spalle. «Capita.»

«Ti do un consiglio. Smettila di pensarci. Fai altro e lascia che la tua mente ci arrivi da sola.»

«Con te funziona?»

«Quando scrivo? A volte.» Pete annuì. «Hai un pianoforte lì. Perché non mi suoni qualcosa?»

Sembrava così speranzoso. Lungo la strada avevo perso l'abitudine di dirgli di no.

«Non sono al livello di Urie», lo avvisai, sentendomi come se dovessi esibirmi sul palco.

«Non provo per Brendon quello che provo per te.»

«E quindi?»

«Quindi lo amerò», mi rispose sommessamente.

Mi sedetti sulla panca e sollevai il coperchio. L'avorio era freddo sotto le mie dita. Chiusi gli occhi e mi concentrai sulle note, tentando di ricordarle a memoria. Era un notturno, lento e soave, qualcosa per rilassare la mia stessa mente. La musica riempì la stanza ed io mi persi nel suono. Solo l'inclinarsi della panca mi riportò alla realtà. Non era stata fatta per due persone, ma questo non fermò Pete.

«Proprio quando credo di averti capito», disse, «mi sorprendi un'altra volta.»

«I vicini non sarebbero d'accordo. Danno colpi al muro del suono troppo.»

«Lasciali fare», mi disse. «Suoni qualcos'altro?»

«Se vuoi musica ci sono un sacco di posti dove andare», dissi, anche se avevo già ripreso a suonare. Stormy Weather iniziò a prendere forma e iniziai a cantare sotto voce. Pete si avvicinò ancora di più, quasi impedendomi di muovere la mano sinistra e interrompendo il flusso delle note. Si avvicinò a baciarmi dietro un orecchio ed io mi fermai, sorpreso.

«Mi stai distraendo.»

«Non sono riuscito a trattenermi», mi disse, le labbra ancora appoggiate sul mio collo. «Canti, invece di trattenerti? Per favore?»

In quel momento, con lui vicino, mi veniva difficile riuscire a respirare, figuriamoci cantare, ma ci provai lo stesso, con l'unica canzone che sembrava perfetta per il momento, nonostante non fossi Peggy Lee,

I never cared much for moonlit skies, I never winked back at fireflies, but now that the stars are in your eyes I'm beginning to see the light

Poco prima della fine del ritornello, il braccio di Pete era attorno alla mia vita, con una mano premuta sul mio stomaco sotto la camicia. Ogni respiro che prendevo la faceva alzare e abbassare.

«Che stai facendo?» gli chiesi, continuando a suonare.

«Sto sentendo la musica», affermò. «Continua.» Aveva la testa appoggiata sulla mia spalla.

«Then you came and caused a spark, that's a four-alarm fire now», riuscii a cantare. Era difficile andare avanti, con Pete vicino. Il suo profumo, il suo respiro sulla mia pelle e il peso della sua mano sul mio stomaco. Riuscii ad arrivare all'ultimo verso con Pete che mi lasciava baci sul collo, succhiando dove c'era il battito. Continuai a cantare, sentendo la canzone riecheggiare attraverso di lui. Non appena l'ultima nota risuonò, le sue labbra incontrarono le mie, catturando le ultime parole della canzone.

«Patrick», disse, senza fiato, «Patrick

Volevo dire qualcosa per alleggerire l'atmosfera. Non ero abituato a vedere quel tipo di soggezione sul viso di qualcuno. Non volevo fidarmi, ma ripeteva il mio nome fra i baci, come se fosse l'unica cosa che era in grado di dire. Il rumore che i tasti del pianoforte emisero quando il ginocchio di Pete li colpì mi riportarono alla ragione. Era praticamente seduto su di me, il colletto della sua camicia aperto.

«Aspetta», dissi. Riconoscevo a malapena il suono della mia stessa voce.

«Per favore», rispose. «Ti prego.»

«Letto?» chiesi.

Il suo sorriso fu l'unica risposta di cui avevo bisogno.

Mi piace credere di avere una buona immaginazione. Ci avevo pensato diverse volte, ma come scoprii, la mia immaginazione non poteva battere la realtà. Pete che gettava i suoi vestiti sul pavimento della camera da letto. Il suono che fece quando i miei fecero la stessa fine. La carezza dei suoi occhi sul mio corpo, come se non potesse guardarlo abbastanza. Il suo corpo appoggiato sulle lenzuola bianche, ed il mio accanto. Il suo sapore nelle mie mani e bocca, la sua intera lunghezza sotto di me.

La sensazione di averlo nelle mie mani. Come mi toccò, fermo e sicuro. Essere lì valeva ogni dubbio che avessi mai avuto. Sentirlo ansimare il mio nome sulla mia pelle e baciarlo più e più volte. «Pete», fu tutto quello che dissi, finché tutto ciò che riuscivo a sentire furono i nostri nomi mischiati. Lo accarezzai e baciai e lo guardai cadere a pezzi. La sua stretta su di me si fece più salda. Rabbrividii e chiusi gli occhi e caddi insieme a lui.

Quando aprii gli occhi lui era l'unica cosa presente davanti ai miei occhi.

«Tutto bene?» Pete mi spostò i capelli sudati dalla fronte e mi baciò.

«Sì», dissi, lentamente. «Scusa.»

«Non hai nulla per cui scusarti», disse. «A meno che tu non rimpianga qualcosa.»

Appoggiai le dita sul suo viso e lo baciai di nuovo. «Solo aver aspettato così tanto.»

Pete fece un verso di approvazione e mi si sdraiò accanto, mettendo una gamba sulla mia. Faceva troppo caldo per condividere alcun tipo di calore ma il pensiero di muovermi non mi colpì nemmeno per un secondo. Coprii entrambi col lenzuolo e lasciai che i miei occhi si chiudessero di nuovo.

***

Pete stava ancora dormendo profondamente quando la luce del sole mi svegliò. Mi sfilai da sotto il suo corpo con una certa difficoltà. Sospirò e si rannicchiò nello spazio lasciato libero dal mio corpo. Gli accarezzai una spalla. Non si svegliò. Mi ritirai in bagno per lavarmi i denti: mi toccai i segni rossi reduci dalla bocca di Pete davanti allo specchio, prova che non era stato un sogno febbricitante. Mi vestii e andai a farmi un caffè, realizzando solo dopo che stavo canticchiando. Mi resi conto che non sarei più riuscito ad ascoltare quella canzone senza ricordare.

Pete si stava strofinando gli occhi quando appoggiai il caffè sul comodino. «Non c'eri più», disse. Le lenzuola si chiusero attorno alla sua vita mentre si tirava su con i gomiti.

«Sono tornato», replicai.

Pete guardò il caffè. «Colazione a letto, eh?»

«Fatti bastare il caffè.» Gli porsi una tazza, ma lui la appoggiò nuovamente e si avvicinò per baciarmi.

«Ti sei messo dei vestiti addosso», mi fece notare. «Non sono molto d'accordo con questa scelta.»

«Pete», dissi, in un fiacco tentativo alla protesta, «abbiamo da fare.»

«La città non dorme mai», replicò. «Può anche aspettarci se siamo in ritardo la mattina.»

«Quella è New York», dissi, senza nemmeno più crederci io stesso.

«Pensi davvero che io sappia dire cose sensate?» Avvicinò una mano alla mia pancia. «Non è corretto.»

«Tutto quello che dici potrà essere usato contro di te», dissi. Pete si affrettò a togliermi la maglia. «E lo faresti anche tu.»

«Allora dì solo il mio nome», mormorò, accarezzandomi il viso con le dita.

«Pete», mi limitai a dire, e lo spinsi nuovamente verso il letto.

   
 
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